del Cinquecento è caratterizzata dalla riscoperta dei matematici antichi, dai progressi nel simbolismo nell’algebra, nell’estensione del sistema numerico e nella trigonometria. L’avvenimento più celebre è l’invenzione del metodo di soluzione delle equazioni di terzo e quarto grado. Il risultato più importante è invece la generalizzazione di alcuni campi della matematica, sancita in particolare dalla distinzione di Viète tra algebra e aritmetica. Un impulso significativo allo sviluppo delle matematiche è il loro impiego a fini pratici. Nel lavoro degli artisti, ingegneri e cartografi le matematiche acquisiscono una crescente importanza. Fra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento vengono istituite cattedre di matematica tutte le maggiori università europee.
Recupero dei classici e insegnamento delle matematiche
Tra i principali fattori che contribuiscono alla rinascita delle matematiche del XVI secolo, vi sono le traduzioni e l’assimilazione delle opere dei matematici dell’antichità. Inizialmente, ne sono protagonisti i matematici italiani, successivamente, anche i matematici d’Oltralpe.
Federico Commandino è editore di Euclide, Archimede, Apollonio e Pappo; Francesco Maurolico dà fondamentali contributi alla ricostruzione del quinto libro perduto delle Coniche di Apollonio; Raffaele Bombelli traduce gran parte dell’opera di Diofanto, includendone alcuni problemi nella sua Algebra. La traduzione inglese degli Elementi di Euclide (1582) è opera di John Dee, che è anche astrologo. Nella prefazione Dee insiste sulla utilità dello studio della matematica in molteplici ambiti dell’attività umana. Il gesuita Cristoforo Clavio pubblica nel 1574 un commentario agli Elementi di Euclide, che ha una vasta circolalazione in tutta Europa ed è usato per l’insegnamento.
A partire dalla seconda metà del secolo, l’insegnamento delle matematiche si diffonde rapidamente in quasi tutte le università europee. Fino alla fine del secolo, tale insegnamento include anche astronomia e astrologia. A Padova, Egnazio Danti (1536-1586) fa sì che esso comprenda anche geografia, architettura e meccanica. I gesuiti, grazie alll’incessante impegno di Clavio, attribuiscono un ruolo sempre maggiore alle matematiche. In Francia, la matematica si insegna soprattutto al Collège Royal, fondato da Francesco I nel 1530. In Inghilterra l’impulso all’insegnamento della matematica è dato da Sir Henry Savile, cui si deve la creazione di cattedre di astronomia e geometria ad Oxford. A Londra, si diffonde l’insegnamento privato della matematica, così come la pratica di tenere corsi di matematiche per scopi pratici presso il Gresham College, creato a Londra grazie a una donazione del mercante Thomas Gresham.
L’algebra e il nuovo simbolismo
La Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità (1494) di Luca Pacioli, è l’opera più diffusa all’inizio del secolo e ben rappresenta lo stato della matematica del periodo. Quest’opera è un’enciclopedia del sapere matematico dell’epoca, anche se non contiene elementi di originalità. Nella Summa la matematica non appare come scienza unitaria ma come insieme di tecniche. Una delle quattro parti della Summa è interamente dedicata alle tecniche di contabilità e, in particolare, alla registrazione a partita doppia. Le altre tre parti sono sull’aritmetica (vengono trattate soprattutto le tecniche di moltiplicazione e l’estrazione di radici quadrate), sull’algebra (vengono esposte le soluzioni canoniche delle radici di primo e secondo grado) e sulla geometria.
Il maggior progresso nel campo dell’algebra è costituito dall’introduzione di un simbolismo più efficace. È questo a rendere possibile il costituirsi dell’algebra come scienza. In questo secolo si ha il passaggio dall’algebra retorica (ossia che fa uso di parole per l’espressione di numeri ed equazioni) all’algebra sincopata (che fa uso di abbreviazioni), sino all’introduzione di veri e propri simboli matematici. Quando viene pubblicata la Summa di Pacioli, le lettere p e m sono ormai largamente usate in Italia come abbreviazioni per la somma e la sottrazione, e Pacioli vi aggiunge l’uso di co (cosa, ossia l’incognita), ce (censo, il quadrato dell’incognita) e ae (aequalis). Per indicare la quarta potenza dell’incognita usava cece. I simboli + e - appaiono per la prima volta in Rechenung auff allen Kauffmanschafft (1489) di Johannes Widman e sostituiscono gradualmente le abbreviazioni italiane. Il simbolo = fu introdotto da Robert Recorde in The Whetstone of Witte (1557), il primo trattato di algebra in lingua inglese. Espedienti simbolici per l’esponenziazione dell’incognita vengono utilizzati da Chuquet nella Triparty en la science des nombres (1484) e da Raffaele Bombelli nell’Algebra (1572).
Le parentesi tonde compaiono nel 1544; le quadre e le graffe vengono introdotte da Viète nel 1593. I simboli indicanti maggiore e minore vengono introdotti da Harriot in Artis analyticae praxis (pubblicata postuma nel 1631) e il simbolo × è introdotto da Oughtred in Clavis mathematicae (1631). L’innovazione più importante è introdotta da Francois Viète in In artem analyticam isagoge (1591). Viète è il primo a usare le lettere deliberatamente e sistematicamente non solo per rappresentare l’incognita, ma anche come coefficienti generali. Usa le consonanti per quantità che si assumono note e le vocali per quantità ignote. In questo modo traccia l’importante distinzione tra parametro e incognita, e si rende conto che quando si studia un’espressione con coefficienti letterali si sta studiando un’intera classe o tipo di espressioni. Distingue infine fra logistica speciosa (che studia i tipi di espressioni) e logistica numerosa (che studia i particolari casi numerici di certi tipi di espressioni). In questo modo traccia l’importantissima distinzione tra algebra astratta e aritmetica, e contribuisce in maniera decisiva a quel processo di generalizzazione della matematica che avrà compimento nell’Ottocento.
Pacioli, nella Summa, dice che è impossibile trovare un metodo costante per risolvere le equazioni di grado superiore al secondo. Questa affermazione stimola i matematici a trovare un tale metodo e nel 1545 vengono resi pubblici un metodo per la soluzione delle equazioni di terzo grado e un metodo per la soluzione delle equazioni di quarto grado. Le due soluzioni vengono pubblicate per la prima volta nell’Ars magna di Girolamo Cardano, un’opera che ha enorme successo. Come lo stesso Cardano ammette, le due soluzioni non sono di sua invenzione. La prima – precisa Cardano – la deve a Niccolò Tartaglia, la seconda al suo assistente Ludovico Ferrari.
Sulla soluzione dell’equazione di terzo grado nasce però la più grossa polemica del secolo tra matematici e la prima vera e propria disputa sulla priorità nella scienza. Il primo a trovare la soluzione è Scipione dal Ferro, il quale, sul letto di morte, nel 1526, la confida ad alcuni suoi allievi, tra cui Antonio Maria Fior. Tartaglia viene a conoscenza del metodo – non è dato sapere se tramite ricerche indipendenti o tramite altre fonti – e nel 1535 viene sfidato da Fior alla risoluzione di 30 quesiti matematici che richiedono la trattazione di equazioni cubiche. Tartaglia risolve tutti i 30 quesiti, mentre Fior risolve solo uno dei quesiti che l’avversario gli sottopone.
Ciò dipende dal fatto che la soluzione data da Scipione richiede una generalizzazione a diversi casi per poter risolvere tutte le equazioni: Tartaglia, diversamente da Fior, giunge a questa generalizzazione. Dopo questa sfida Cardano riesce a farsi confidare la soluzione da Tartaglia, sotto la promessa di non diffondere la notizia prima che Tartaglia stesso l’abbia pubblicata. Nonostante ciò, Cardano pubblica la soluzione nell’Ars magna. Tartaglia si sente defraudato ed espone le sue ragioni in Quesiti et inventioni diverse, dove critica pesantemente Cardano e Ferrari. Nel 1547 Ferrari nel Cartello di sfida accusa Tartaglia di aver plagiato Scipione dal Ferro e gli lancia una sfida matematica. In un controlibello (Risposta) Tartaglia risponde alla sfida. Si succedono sei Cartelli e sei Risposte dove i contendenti cercano di mostrare la propria superiore abilità matematica. Il metodo di Tartaglia e Cardano consiste nel cosiddetto “riempimento del cubo”. Nell’Ars magna Cardano non offre una soluzione generale, ma presenta diversi casi e risolve ogni caso in un modo specifico. La generalizzazione completa della soluzione a tutte le equazioni di terzo grado si deve a Bombelli e a Viète.
La scoperta della soluzione delle equazioni di terzo e quarto grado dà un grosso impulso alle ricerche in algebra ed è alla base di una teoria generale delle equazioni. Molti, dopo la scoperta, cercano di trovare un metodo risolutivo per equazioni di grado maggiore, ma, come verrà dimostrato più tardi, un tale metodo non esiste.
L’aritmetica e l’espansione del sistema numerico
Nel Cinquecento si ha un’espansione del sistema numerico: alcune quantità, che fino ad allora non erano state considerate numeri, entrano a far parte a pieno diritto del sistema numerico. Intorno al 1500 lo zero viene accettato come numero e i numeri irrazionali vengono usati liberamente. L’ammissione dei numeri irrazionali viene motivata dal fatto che essi possono essere facilmente approssimati da numeri razionali. Più difficile risulta l’ammissione dei numeri negativi; mediante la nozione di direzione su una retta viene però risolta anche la differenza tra positivi e negativi. Il vero problema è però costituito dai numeri immaginari, ossia dalle radici di numeri negativi. Se in precedenza questi numeri avevano potuto essere rigettati, ora la risoluzione delle equazioni cubiche e biquadratiche impone un loro uso, sebbene del tutto strumentale. Il primo a occuparsi di essi seriamente è Bombelli nell’Algebra, il quale scopre così quelli che oggi vengono chiamati i numeri complessi coniugati. Bombelli introduce anche l’uso delle frazioni continue per l’approssimazione di radici.
Un’altra importante innovazione viene introdotta da Simone Stevino, il quale, in La disme(1585), introduce l’uso dei numeri decimali, innovazione che facilita grandemente i processi di calcolo.
La più grande innovazione in questo campo avviene però alla fine del secolo, quando John Napier introduce l’uso di numeri di cui prima mai nessuno si era occupato: i logaritmi. L’idea viene a Napier per la prima volta nel 1594, ma egli la rende pubblica solo nel 1614 nella Mirifici logarithmorum canonis descriptio. La concezione su cui si basano i logaritmi è anticipata nella Arithmetica integra (1544) da Michael Stifel, il quale si rende conto della connessione esistente tra progressioni aritmetiche (0, 1, 2, 3...) e progressioni geometriche (0, r1, r2, r3...). Napier definisce i logaritmi sia geometricamente sia algebricamente.
Consideriamo la definizione geometrica. Siano dati un segmento AB e una semiretta r che parte da D e si estende indefinitamente. Siano dati inoltre due punti C e F, rispettivamente di AB e di r, che partono contemporaneamente da A e da D sulle rispettive linee. Immaginiamo che i due punti abbiano nell’istante t iniziale la stessa velocità e che in seguito la velocità di C decresca gradualmente man mano che si avvicina a B, mentre F continui con velocità costante. A ogni dato momento dall’istante t i segmenti CB e DF hanno una data lunghezza. La distanza CB decresce geometricamente, la distanza DF cresce aritmeticamente. Napier chiama la distanza DF il logaritmo della distanza CB. Dapprima Napier chiama questi numeri “numeri artificiali” e successivamente “logaritmi”, che significa “numeri del rapporto” (da logos e arithmos), in quanto essi sono i numeri del rapporto tra una serie geometricamente decrescente e una serie aritmeticamente crescente. Durante questo secolo si hanno anche grandi progressi in trigonometria. Nel Cinquecento è ancora strettamente legata all’astronomia. È del tutto normale quindi che lo stesso Copernico produca importanti lavori in questo campo e pubblichi nel 1542 il De lateribus et angulis triangulorum, lavoro che l’anno successivo viene inglobato nel De revolutionibus. I risultati di Copernico si rifanno a quelli ottenuti nel secolo precedente da Regiomontano. Un allievo di Copernico però, Rheticus, introduce in Opus palatinum de triangulis, un importante cambiamento nel modo di considerare il seno. Fino ad allora il seno era stato considerato in relazione all’arco di cerchio di cui è la proiezione; Rheticus è il primo a mettere il seno in relazione all’angolo formato dai raggi del cerchio che delimitano l’arco. Tuttavia anche in questo campo, è Viète a introdurre quella attenzione per la generalità che consacra la trigonometria come branca autonoma della matematica. Nel Canon mathematicus (1579) Viète introduce quel metodo analitico generalizzato di trattare la trigonometria che è noto come goniometria. Alla fine del secolo appaiono in diverse opere identità trigonometriche di diverso genere, come le leggi di prostaferesi o la legge delle tangenti. Ma è alla fine del secolo che viene per la prima volta usata la parola “trigonometria” da Bartholomeus Pitiscus. Il Cinquecento è il secolo di passaggio fra le teoria della prospettiva del Quattrocento e la nascita della geometria moderna del Seicento. È da ricordare il De divina proportione (1509) di Pacioli, opera ispirata ai lavori di Piero della Francesca, con immagini disegnate da Leonardo. In quest’opera Pacioli parla di ciò che verrà chiamata “sezione aurea” sia dal punto di vista matematico, sia dal punto di vista architettonico. Un’altra opera a metà tra tecnico e teorico è la Underweysung der Messung mit Zirchel und Richtscheut in Linien, Ebenen und gantzen Corporen (1525) di Dürer. In questo libro vengono proposte dimostrazioni e applicazioni pratiche di principî geometrici. Il primo libro, il più importante, parla delle curve; in esso Dürer usa le doppie proiezioni ortogonali. I rapporti tra geometria e algebra vivono un momento cruciale nel Cinquecento. In questo secolo prevale la pratica di interpretare le equazioni algebriche in termini geometrici e di usare queste interpretazioni algebriche come strumenti per mostrare la correttezza delle soluzioni ottenute. La correttezza della risoluzione delle equazioni di terzo grado, per esempio, viene mostrata tramite un’interpretazione geometrica nella quale la scoperta delle radici avviene per mezzo del “riempimento del cubo”. In questa prospettiva si trova anche il programma di Viète, il quale cerca di ridurre le equazioni algebriche alla determinazione di proporzioni continue concepite geometricamente. Questo mutamento è dovuto in modo particolare a quell’opera di generalizzazione compiuta da Viète nei suoi scritti.