La medicina egizia: la filosofia, i medici, le pratiche e l'imbalsamazione
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Ciò che conosciamo della medicina egiziana deriva principalmente dalla lettura dei papiri a soggetti medico e dai commenti di storici tardi, tra i quali Erodoto e Diodoro. La malattia è in genere intesa come il prodotto dell’azione di un dio sui canali del corpo, che risultano bloccati da sostanze in grado di indurre una sorta di “putrefazione” interna. Le fonti antiche parlano spesso dell’esistenza di specialità mediche in Egitto, ma probabilmente l’indicazione va letta nel senso di un curriculum di formazione del medico che prevede vari gradi di sviluppo prima dell’acquisizione della competenza totale.
Erodoto e Diodoro Siculo, tra il V e il I secolo a.C., forniscono notizie sulla medicina egiziana e sullo status professionale dei medici. Erodoto (Hist. II, 84) narra che la medicina in Egitto è suddivisa in specialità, e che ogni medico si occupa di una sola patologia, sicché esistono specialisti degli occhi, dei denti, della testa e delle malattie interne, “dall’incerta origine”. Tutti credono che le malattie provengano dal cibo ingerito, che si guasta all’interno del corpo, in modo che il medico deve provvedere a processi di purgazione in cicli di tre giorni, con emetici e vomitivi (II, 77). Diodoro, nella Biblioteca storica, aggiunge che i medici sono molto fedeli ad una norma scritta, messa a punto dai sacerdoti loro predecessori, e che ad essa si uniformano nell’esercizio della medicina pratica; che sono pagati dallo stato, con doni di natura, grano, orzo, talvolta rame e salnitro, in proporzione all’elevatezza del loro rango sociale e alle loro qualità tecniche; che si formano all’interno della famiglia, e poi si perfezionano con soggiorni nelle Case della vita, centri di cultura sacra nei quali confluiscono competenze dirette e vengono trascritti i testi.
Le notizie fornite dai due storici possono essere solo parzialmente accolte come veritiere, visto il lungo lasso di tempo che separa la loro testimonianza dalle origini della medicina egiziana; essa è nota direttamente attraverso una buona quantità di papiri, rinvenuti nel corso del XIX secolo e quasi tutti editati: questi raccolgono molte informazioni sull’attività medica in Egitto che, unita alla testimonianza degli ostraka, frammenti di terracotta o pietra incisa, databili fino all’epoca romana, che riportano spesso nomi di medici e ricette, ed alle testimonianze fornite dall’epigrafia e dall’iconografia, aiutano a ricostruire un quadro attendibile dell’esercizio della medicina dei faraoni. Esso è molto differente dalle aspettative comuni; lungi dall’essere una medicina scientifica, come la pratica dell’imbalsamazione e la conseguente coscienza anatomica indurrebbe a credere, la medicina egizia si configura, attraverso la lettura dei papiri, come un’arte della guarigione profondamente connessa alla magia da un lato e alla mitologia e alla religione dall’altro. Ciononostante, i papiri sono veri e propri trattati di medicina pratica, interessati alla diagnosi, alla prognosi e a fornire ricette farmacologiche. Essi traggono il loro nome da quello degli archeologi che li hanno scoperti o acquistati e, in qualche caso, dal luogo dove sono attualmente conservati. Tra i più antichi, il papiro Kahun, un trattato ginecologico composto intorno al 1850 a.C., sulla scorta di materiale più antico; i papiri Ebers e Smith, parte di un’opera originale unica, acquistati da Edwin Smith a Luxor nel 1862, uno dei due poi ricomprato e pubblicato da Georg Ebers negli anni settanta del XIX secolo. Sono i testi più integri a nostra disposizione, datati intorno al 1550 a.C.; a questi si aggiunge il papiro Hearst, che contiene una trattazione frammentaria delle malattie che colpiscono i condotti del corpo e la pelle. Altri sono più recenti: il papiro di Londra (1350 a.C. ca.), il Chester Beatty VI (1300 a.C.), il Berlino 3038 (1200 a.C.), il papiro di Brooklin (forse di epoca tolemaica), che contiene un trattato sui serpenti con antidotario; e vari altri frammenti (Carlsberg VIII, papiro di Leida, papiri inediti al Museo di Brooklin). Il papiro Ebers contiene al suo interno un trattato sul cuore e sulle parti interne del corpo, il papiro di Berlino una trattazione particolareggiata sugli oukhedou. Alcuni papiri contengono rimedi a diverse patologie (riguardo le malattie femminili, sono presenti indicazioni per pronosticare la gravidanza del tutto simili a quelle presenti nei trattati ginecologici della medicina ippocratica – per esempio il riscontrare odori buoni o sgradevoli nella bocca dopo l’applicazione di sostanze vegetali in vagina); altri, contengono ricette magiche ed incantesimi di protezione; altri ancora formule per interrogare il malato ed individuare la causa della sua malattia. Tutti fanno riferimento ad una teoria medica comune e hanno la caratteristica di essere privi di autore. L’anonimia dei trattati è spiegabile in base all’organizzazione stessa della medicina in Egitto, il cui unico responsabile è il faraone, emanazione delle divinità solari Osiride ed Horus, unico dispensatore della salute per tutto il suo popolo. I medici altro non sono che gli esecutori di questa volontà divina incarnata, agiscono in base ad una gerarchia precisa, sotto gli ordini del Gran medico di Palazzo, responsabile dell’interpretazione corretta dei testi. Sui loro specialismi molto si è discusso; le interpretazioni più recenti sono portate a leggere la testimonianza di Erodoto come l’osservazione di una tradizione tarda, la cui origine prevedeva specialità gradualmente cumulate dal medico, per il raggiungimento di una capacità di approccio totale al corpo, nella quale risiedeva la possibilità di salire i gradini della scala gerarchica del Palazzo reale. In un solo caso un papiro riporta il nome dello scriba che si è occupato della sua estensione (Berlino 3038), ma si tratta della firma di un copista di Palazzo, non del responsabile delle teorie in esso contenute.
La medicina dei papiri ha alcuni tratti comuni; in primo luogo, una forte connotazione religiosa, che attribuisce al dio Seth il principio del male e della degradazione, a Iside e a suo figlio Horus il potere di ristabilire l’ordine del corpo, a Thot la capacità di fornire linee guida di comportamento. Il medico ha bisogno di protezione per affrontare la malattia, che è voluta da un dio e causata da principi viventi, dotati di volontà maligna, in grado di penetrare nel corpo e di sconvolgerne la fisiologia; questi principi, veri e propri demoni, prendono nomi diversi a seconda delle malattie che generano (i tumori e le escrescenze del corpo sono ascritti, per esempio, al dio Khonsou; altre entità patogene sono gli oukhedou, capaci di generare putrefazione interna). Il corpo malato, infestato dai principi negativi, è impuro e le sue secrezioni sono contaminanti; il medico si protegge attraverso incantesimi e formule rituali, spesso in onore di Iside, madre di Horus, impegnata nella difesa del figlio inerme contro le insidie di Seth. L’intervento nocivo di dèi maligni causa nel corpo iperproduzione di liquidi, che creano blocchi ed ostruzioni in un sistema fatto di canali vuoti (met, vene ed arterie), in cui circolano sangue e spiriti vitali. La malattia risulta principalmente dall’ostruzione di questi canali e dal blocco del soffio vitale, di origine divina, che percorre il corpo; dall’irrigidimento degli stessi canali che non veicolano più i principi vitali, irrigidimento che diventa progressivo nell’invecchiamento fino al blocco totale, che avviene nel momento della morte; dalla trasformazione del sangue da principio positivo e vitale a principio malefico e divoratore (ounem senef, il sangue che mangia). I fattori patogeni individuati da Bardinet sono il principio aaa, sostanza che si produce nel capo, veicola demoni nei condotti e genera processi putrefattivi; i setet, sostanze viventi, citate nel papiro Ebers, che causano dolori, decomposizione e verminosi; gli oukedou, legati alla materia fecale e all’idea che essa si corrompa nel corpo, originati dal disfacimento del cibo ed in relazione con il principio aaa, che pare esserne l’origine. Essi causano la formazione di ouhaou, manifestazioni cutanee di infiammazione, pustole e rossori che segnalano il grado di disfacimento interno del corpo e la cui diagnosi prevede buona conoscenza delle affezioni anali. Essendo la malattia in genere causata da processi anomali di disfacimento, la terapia, individuata attraverso l’indagine dei segni e l’interrogazione del malato, è incentrata, oltre che su una strategia di aggressione magica, sulla purificazione del corpo attraverso evacuazione ed eliminazione di sostanze putride. Non si può fare a meno di pensare alle imponenti parassitosi che la paleopatologia ha dimostrato essere particolarmente gravi in tutto il mondo antico.
Quale relazione abbia la medicina egizia con le pratiche di mummificazione in uso dall’Antico Regno è ancora oggetto di discussione; se le iscrizioni talvolta presentano, nei ranghi della stessa famiglia, sia medici che imbalsamatori (il che farebbe supporre, almeno saltuariamente, un travaso delle conoscenze da un ambito all’altro), altri testi parlano di uno status sociale di chi praticava l’eviscerazione dei corpi tanto basso da precludere i contatti normali con la società egiziana e probabilmente con i medici, esponenti di un ceto sociale intermedio, pari a quello degli artigiani e degli operai specializzati. Jonckheere ha sostenuto, però, che talune tecniche di bendaggio delle ferite descritte nei papiri sembrano essere sovrapponibili a quelle ben note all’indagine archeologica sulle mummie; ed anche la conoscenza accurata di alcune parti interne del corpo (l’interno-ib, che comprende intestini, fegato, milza e polmoni, ma non il cuore-haty, sede dell’anima, del pensiero e della volontà, unica parte ad essere lasciata in sede nei processi di preparazione del cadavere, perché grazie ad essa il defunto può riprendere possesso del suo corpo nell’aldilà) sembra rimandare all’uso di estrarre i visceri e conservarli, sotto salnitro e sostanze aromatiche che ne consentano la conservazione attraverso disidratazione, in quattro vasi canopi, dedicati ognuno ad una delle figlie di Iside ed Horus.