La mezzaluna fertile e la prima rivoluzione neolitica
Il processo di neolitizzazione vede i suoi presupposti nella cultura natufiana in un periodo compreso tra il 12000 e il 9600 a.C. Il Natufiano, nozione introdotta da Dorothy Garrod a seguito delle sue ricerche condotte nello Wadi an-Natuf in Israele, è stato riconosciuto, sulla base dell’industria litica e del tipo di insediamento, in tutto il Levante, nel Sinai e lungo il medio corso dell’Eufrate. Non è esclusa la possibilità che sia presente anche in altre regioni della mezzaluna fertile, ma attualmente sembra confinato nei territori occidentali di essa. È probabile si tratti di una lacuna di conoscenza piuttosto che di un effettivo vuoto di occupazione. Lungo l’alta valle del Giordano, nel 1955, fu messo in luce con scavi sistematici condotti da J. Perrot, M. Lechevalier e F. Valla, il villaggio Natufiano di ’Ain Mallaha. Questo sito documenta una comunità di cacciatori-raccoglitori epipaleolitici, ma la grande novità risultante dalle ricerche su questo sito è che per la prima volta si è posto il problema di un processo di sedentarizzazione nel Vicino Oriente precedente all’avvento dell’agricoltura. ’Ain Mallaha è costituito da case circolari seminterrate le cui pareti sono rinforzate con muretti a secco. Pali disposti in modo circolare costituiscono la struttura di sostegno per il tetto. Le abitazioni sono attrezzate con uno o due focolari. Alcune sepolture singole o collettive sono collocate sotto le case o in una zona esterna a esse. L’unico animale domestico documentato è il cane, che ritroviamo sepolto insieme all’uomo sia ad ’Ain Mallaha che nel sito di Hayonim. Nei siti natufiani non c’è produzione di cibo ma una economia che è stata definita “ad ampio spettro”, cioè in grado di sfruttare un insieme vario di risorse alimentari. Tra la fauna spicca la gazzella e tra i vegetali la raccolta di frumento selvatico. In realtà, contrariamente a quanto era stato ipotizzato in precedenza da vari autori, nel Natufiano non vi è una scelta preferenziale per una o per un’altra risorsa; la caccia è rivolta ad animali disponibili in un’area relativamente lontana dal sito e la stessa cosa vale per la raccolta delle specie vegetali. La gazzella e il grano selvatico vivono un po’ ovunque nel Levante, ma soprattutto nelle fasce costiere e lungo le rive dei fiume e dei laghi. I siti natufiani distribuiti in queste zone hanno carattere più stabile e la caccia alla gazzella è prevalente come la raccolta di cereali selvatici, ma in aree meno favorevoli la mobilità della popolazione aumenta e cambia anche il tipo di risorse sfruttate, secondo quello che il territorio offre spontaneamente. Le fasi più recenti del Natufiano sono senz’altro quelle più conosciute attraverso gli scavi sistematici nel Negev a Rosh Zin e Rosh Horesha, sul medio Eufrate siriano ad Abu Hureyra e Mureybet. Molti siti comprendenti quelli della fase antica e recente sono stati individuati in Libano e in Siria attraverso ricerche di superficie. Lo stretto legame tra uomo e territorio porta a un cambiamento dello stile di vita, per cui l’adattamento all’ambiente diventa uno strumento fondamentale di sopravvivenza. Ad esempio i villaggi nel Negev o a sud del Giordano come Beidha potrebbero avere carattere stagionale. Nei territori umidi molti sono invece gli elementi che suggeriscono la stanzialità degli insediamenti: in primo luogo, come abbiamo visto, le stesse case, le cui strutture sono solide e hanno carattere permanente; in secondo luogo l’attrezzatura in pietra pesante di uso quotidiano costituita da macine, mortai, pestelli, utilizzati sia per macinare le piante raccolte, sia per triturare minerali per ottenere colorante. L’industria litica è costituita soprattutto da microliti geometrici che nel Natufiano hanno una forma caratteristica a semiluna e servivano per armare strumenti compositi per la caccia, la pesca e la raccolta di piante selvatiche. La lavorazione dell’osso raggiunge una qualità straordinaria con oggetti quali ami, arponi dentati, lame, perforatori. Oggetti in pietra levigata, considerata come prerogativa tecnologica del Neolitico, fanno in realtà la loro prima apparizione tra queste comunità epipaleolitiche. Inoltre vi sono oggetti che rappresentano animali, probabilmente gazzelle, e più raramente figure umane realizzate in modo naturalistico. Si tratta delle prime esperienze di natura simbolica che caratterizzeranno tutto il corso del periodo successivo. Anche le sepolture nelle case sono un indizio importante di rapporto stabile con il territorio, che inizia a essere percepito in relazione con i propri antenati. Per la verità tutti gli elementi che ritroviamo nel Neolitico sono già presenti nel Natufiano. Sarebbe però un errore attribuire a questa cultura caratteri che sono propri delle società agricole perché, nonostante le notevoli conoscenze raggiunte, essa è ancora lontana da quella maturazione sociale e ideologica per essere considerata neolitica.
Fino ad alcuni anni fa le rive del lago Tiberiade, del fiume Giordano e del Mar Morto erano considerate le aree dove per la prima volta nacquero villaggi stabili con le più antiche comunità agricole. Oggi sappiamo che questo processo ha investito in realtà contemporaneamente un territorio molto ampio e non geograficamente omogeneo. Oltre al Levante, infatti, teatro delle prime manifestazioni di produzione agricola furono le regioni dei Monti Zagros, le fasce pedemontane e montane del Tauro e le rive del medio corso dell’Eufrate. Al Neolitico si associa la coltivazione delle piante e l’allevamento degli animali, e un tale radicale cambiamento nelle strategie di sussistenza dell’uomo è stato per lungo tempo considerato come un miglioramento dello stile di vita. Tuttavia, oltre agli indubbi benefici che questa trasformazione economica ha comportato, alcune difficoltà di adattamento alle nuove condizioni sono certamente emerse proprio all’inizio di questo processo. L’introduzione della produzione del cibo richiese un sostanziale riassetto dei gruppi umani verso una maggiore stanzialità degli insediamenti e una diversa organizzazione sociale che, anche se mostra ancora caratteri egalitari come nelle precedenti comunità di cacciatori-raccoglitori, assume in questo periodo un diverso compito proprio in rapporto all’economia nascente e a esigenze sociali mutate rispetto al passato. Alcuni cambiamenti possono essere anche il frutto di precise scelte comunitarie. Nascono ad esempio forme di attività specializzate che, sebbene non ancora definite strutturalmente, suggeriscono la presenza di differenziazioni sociali basate principalmente sulle classi di età e su ruoli emergenti a carattere temporaneo, ma ancora del tutto effimeri e non consolidati. Anche il mondo religioso si rivela sin dalle prime fasi del Neolitico molto complesso. Il materiale associato alle pratiche rituali è ampio e diversificato, e comprende figurine, crani modellati in argilla e gesso, statuaria complessa, bassorilievi, architettura imponente. È per questa ragione che Jaques Cauvin, come abbiamo visto, identifica questa diversa maturazione della sfera ideologica durante il Neolitico come la “rivoluzione dei simboli”.
Il sito di Gerico, Tell es-Sultan, i cui scavi furono condotti da una missione austro- tedesca tra il 1907 e il 1911, proseguita da John Gastang tra il 1930 e il 1936, è stato fondamentale per comprendere il processo di neolitizzazione nel Vicino Oriente, ancor di più a seguito degli scavi condotti da Kathleen Kanyon nel dopoguerra. Nel Neolitico di Gerico è stato possibile distinguere un livello preceramico e uno ceramico, mettendo in luce il fatto che la ceramica inizialmente considerata contemporanea al processo di neolitizzazione, è risultata essere un prodotto tardivo rispetto all’introduzione dell’agricoltura. La Kenyon, osservando la sequenza di Gerico, introdusse uno schema cronologico ancora oggi in uso distinguendo il Neolitico in: Neolitico Preceramico A (Pre-Pottery Neolithic A, PPNA) seguito dal Neolitico Preceramico B (Pre-Pottery Neolithic B, PPNB). Attraverso le più recenti acquisizioni di datazioni radiocarbonio ottenute su campioni provenienti da vari siti del Vicino Oriente e corrette con la più recente curva di calibrazione, possiamo considerare il PPNA compreso tra il 9600 e l’8500 e il PPNB tra l’8500 e il 7000. Alcuni autori considerano la fase finale del PPNB come Neolitico Preceramico C (PPNC) collocato fra la fine dell’VIII e la metà del VII millennio.
Gli studi paleoclimatici indicano che il Neolitico si afferma in un periodo con clima abbastanza mite, con una piovosità distribuita regolarmente durante l’anno e inverni relativamente temperati. Si tratta di un periodo che coincide con il cosiddetto optimum climatico olocenico. Il clima durante l’Olocene antico risultava essere leggermente più caldo e umido rispetto a oggi. L’origine del Neolitico si associa, dunque, a un periodo di marcato miglioramento climatico. Nel Levante questo processo verso una economia di produzione del cibo è assolutamente locale ed è chiara la forte continuità con l’Epipaleolitico Natufiano. I siti del PPNA si concentrano soprattutto intorno alla valle del Giordano. Due sono le facies culturali di questo periodo nell’area levantina distinte sulla base soprattutto delle industrie litiche: il Khiamiano e il Sultaniano. Il Khiamiano, nome che trae spunto dal sito di El-Khiam localizzato lungo le rive del Mar Morto, è una facies poco definita e comunque riferita al momento di passaggio tra Natufiano e PPNA. Il Sultaniano, individuato a Tell es Sultan-Gerico nell’ambito del Levante meridionale, risulta invece più conosciuto ed è presente anche nei siti più settentrionali quali Mureybet, Jerf el-Ahmar in Siria e Çayönü in Turchia. I siti del PPNA levantino mostrano dimensioni variabili. Gerico, Netiv Hagdud, Dhra’ e Gigal I coprono una estensione di circa un ettaro e risultano almeno otto volte più grandi dei precedenti siti Natufiani. Al contrario ’Iraq ed-Dubb, Nahal Oren e altri si estendono solo per poche centinai di metri quadrati. Naturalmente queste difformità possono anche riflettere aspetti funzionali o differenti condizioni ecologiche.
Tranne il caso di Gerico, l’architettura levantina del PPNA è tutta di tipo domestico. Le case sono circolari oppure ovali con un diametro che oscilla tra i 3 e gli 8 metri. Di solito sono costruite con una fondazione in pietra e uno spiccato in argilla pressata o in mattone crudo. Si tratta della prima testimonianza dell’uso del mattone crudo, un tipo di materiale da costruzione che sarà dominante in tutto il Vicino Oriente ed Egitto. Le case sono spesso incassate nel terreno e separate una dall’altra. Inoltre sono costituite da un’unica stanza, più raramente da due ambienti, con poche strutture interne rappresentate da un focolare, pozzetti e macine fisse. La loro distribuzione nell’abitato risulta poco codificata, ma in genere le strutture si dispongono irregolarmente intorno a un’area aperta in cui sono presenti sili e focolari. Il caso di Gerico è interessante. Qui gli scavi hanno messo in luce una struttura che potrebbe aver avuto funzioni pubbliche. Si tratta di una torre alta 8,5 metri con un diametro di 9 metri alla base. Una stretta scala interna permetteva di raggiungere la sommità. La torre era a sua volta inserita in un muro alto 3,60 metri e spesso oltre un metro. Questo tipo di istallazione non è stata interpretata come una struttura difensiva, ma come un efficace sistema di protezione dalle esondazioni del fiume. Molto probabilmente deve aver assunto anche un importante significato simbolico se, pochi secoli dopo la sua costruzione, in un cavità ricavata nel muro sono stati inseriti 20 scheletri di adulto.
Sebbene il Neolitico sia di solito considerato come il periodo della più antica attestazione di produzione di cibo, testimonianze di questo genere sono piuttosto rare con presenza di farro, piccolo farro, grano e orzo. Inoltre, la coltivazione di piselli e lenticchie a Tell Aswad e Yfthael documenta la domesticazione dei legumi. In realtà tra questi primi gruppi neolitici del Levante la coltivazione è un’attività ancora marginale. Essi continuano a procacciarsi il cibo con la raccolta di piante selvatiche e la caccia a gazzelle, oltre che a pecore e capre selvatiche, al cinghiale, al cervo e all’uro. Tra le prede di piccola taglia si annoverano lepri, volpi e uccelli. Le comunità del PPNA hanno dunque molta familiarità con quegli animali selvatici che di lì a poco mostreranno caratteri di domesticazione, ma in questo periodo non si hanno ancora testimonianze in tal senso, tranne per quanto riguarda il cane che, come abbiamo detto, dovrebbe essere stato domesticato già durante l’Epipaleolitico.
Dal punto di vista della religione sono davvero poche le testimonianze messe in luce utili a comprendere questi aspetti della vita simbolica. Figurine zoomorfe e umane in pietra e argilla sono state interpretate come divinità, mentre alcune sepolture di adulto, a eccezione di quelle della torre di Tell es Sultan- Gerico, sono state interrate singolarmente e collocate in posizione flessa in semplici fosse, prive di corredo funebre. In seguito tali fosse venivano riaperte e il cranio separato dal resto del corpo per essere deposto in ripostigli specifici. I bambini non subivano questa decollazione, ma venivano spesso sepolti sotto le fondazioni dei muri o sotto le case. L’insieme di queste pratiche suggerisce, anche se in forma embrionale, la nascita di una forma di religione legata al culto degli antenati. Questa tradizione si associa in genere a società maggiormente stabili e che mostrano un più stretto rapporto con la terra.
I tipi di case e di insediamento, così come gli stessi rituali funebri, mostrano in questo primo Neolitico levantino comunità a carattere egalitario. Ma non si tratta di società isolate. Tra l’industria litica, costituita soprattutto da punte, lame di falcetto, bulini, asce e accette, spiccano strumenti realizzati in ossidiana proveniente dall’Anatolia e molti di questi oggetti sono stati rinvenuti nei siti della valle del Giordano. Questo tipo di materiale documenta chiaramente l’esistenza di uno scambio a lunga distanza, mentre le materie prime reperibili da zone limitrofe sono le conchiglie dal Mediterraneo e dal Mar Rosso e il bitume dal Mar Morto utilizzato come collante di qualità. Infine una intensa azione di reciprocità interregionale è data dalle punte di freccia che risultano stilisticamente simili dal Sinai ai monti del Tauro.
Nei pressi della città di Damasco, il sito di Tell Aswad ha restituito industrie che trovano strette connessioni con l’area della valle del Giordano, ma allo stesso tempo si distinguono da esse tanto da definirne una facies a parte: l’Aswadiano. Risalendo il corso dell’Eufrate sulla riva occidentale nella Siria del nord è localizzata l’importante collina di Mureybet. Gli scavi hanno rivelato una sequenza significativa del PPNA. In particolare la facies detta Mureybetiana (fase III) ha restituito edifici circolari semi-interrati con suddivisioni interne, alcune delle quali erano molto piccole, probabilmente destinate a funzioni di stoccaggio. Questa tipologia di struttura, messa in luce anche nel contemporaneo sito di Jerf el-Ahmar, è in continuità con le fasi precedenti, ma in questo periodo si affiancano anche strutture rettangolari. Jerf el-Ahmar, localizzato a nord di Mureybet, rivela una sequenza di occupazione del PPNA datata 9200-8700 a.C. L’insediamento distribuito su due basse colline naturali separate da un wadi è costituito da nove livelli in successione stratigrafica. In particolare sulla collina occidentale dal livello 2 provengono dieci case isolate con perimetro ovale, ma alcune anche di forma rettangolare. Focolari e superfici pavimentali in pietra costruiti internamente costituiscono le strutture domestiche della casa. Gli edifici si distribuiscono irregolarmente accanto a un cortile anch’esso attrezzato con strutture domestiche, probabilmente destinato alla preparazione comune dei cibi. Una costruzione, simile a un’altra rinvenuta a Mureybet, è alloggiata a una profondità di 2,50 metri lungo una trincea foderata di pietre. Dieci pali lignei dovevano sostenere un tetto piatto, anch’esso di legno coperto di terra. La parte interna era suddivisa in due piccole stanze e due panchine sopraelevate. In un angolo era collocato un cranio umano, mentre uno scheletro senza testa era posto nella stanza centrale dell’edificio. In altre costruzioni di Jerf el-Ahmar sono stati trovati crani nelle strutture di fondazione o sotto i pali portanti del tetto. La presenza di colorazione sull’intonaco testimonia di pareti dipinte o decorate. Molto probabilmente alcune di queste strutture profondamente incassate dovevano avere funzioni cerimoniali comunitarie.
Lo scenario che si apre nel sud-est anatolico per il PPNA è altrettanto complesso, ma soprattutto le testimonianze archeologiche documentano in modo inequivocabile l’assoluta contemporaneità con le manifestazioni culturali del Levante. Oggi conosciamo in Turchia siti importanti come Hallan Çemi, localizzato a 50 chilometri a nord della moderna città di Batman, i cui scavi hanno messo in luce strutture circolari incassate nel terreno. Tra i resti animali solo il maiale sembra aver avuto un inizio di domesticazione mentre il resto della fauna rinvenuta è di tipo selvatico, con un 27 percento di pecora/capra. Tra i resti di piante sono presenti piselli, lenticchie e pistacchi, non vi sono piante domestiche. Quindi ad Hallan Çemi è ancora dominante un’economia tradizionale di caccia e raccolta selettiva, mentre non vi è traccia di coltivazione.
Anche a Çayönü la caccia è predominante, accompagnata dalla raccolta di grano e legumi. L’insediamento è posto su di una collina a nord-ovest di Dyarbakir presso l’alto corso del Tigri. Gli scavi, iniziati nel 1963 da Robert Braidwood e Halet Çambel, hanno messo in luce una lunga sequenza del Neolitico Preceramico. Il PPNA è la prima occupazione del sito, l’architettura è costituita da strutture circolari oppure ovali leggermente incassate nel suolo. L’elevato, simile a capanne, era realizzato in legno, canne e fango. Le strutture più recenti mostrano una fondazione in pietre. Non sono presenti in questa fase di Çayönü strutture con funzioni comunitarie. Il sito avrà un significativo sviluppo nel PPNB.
Per i risvolti riconosciuti nell’ambito dei cambiamenti psico-culturali, assumono particolare significato i ritrovamenti effettuati negli ultimi anni nel sito di Göbekli Tepe, una collina dominante la estesa pianura di Urfa nella Turchia sud-orientale. Qui si manifesta per la prima volta, e in modo del tutto imprevisto, una dimensione del mondo della rappresentazione radicalmente nuova. Gli scavi hanno messo in luce ambienti circolari costruiti in pietra e dotati internamente di enormi pilastri monolitici a forma di T che raggiungono in alcuni casi i 5 metri di altezza. Questi monoliti rivelano lineamenti umani stilizzati ma offrono anche un ampio spettro di animali selvatici ottenuti a bassorilievo o vere e proprie sculture isolate. Cinghiali, volpi, onagri, gazzelle, leoni, serpenti e uccelli acquatici, sono il mondo di immagini – in cui è rara la figura umana – dove si riflette la creatività di una società ancora fondamentalmente di cacciatori, ma che inizia a sperimentare la coltivazione dei cereali. Le strutture circolari di Göbekli Tepe, datate intorno al 9000 a.C, non sembrano aver avuto funzioni abitative, ma dovevano essere destinate a scopi cerimoniali e rituali per eventi quali la nascita, l’iniziazione, il matrimonio, la morte. Il sito rappresenta anche un importante centro di produzione per l’industria della selce. La monumentalità delle strutture di Göbekli Tepe è paragonabile, se non per tipo di costruzione per complessità architettonica, alla torre e alle mura di Tell es Sultan-Gerico. Nei villaggi del PPNA, la cui struttura sociale è ancora di tipo egualitario, nascono esigenze che richiedono una organizzazione del lavoro complessa. Realizzare monumenti o edifici imponenti rende indispensabile la presenza di personaggi che si assumono, anche se in forma temporanea, la responsabilità di guidare la costruzione di queste opere secondo criteri e canoni riconosciuti. Forme ancestrali di “capi”, dunque, ma probabilmente con un potere di natura effimera, non ereditaria. Questo processo apre le porte alla formazione di gerarchie sociali, ancora incerte e instabili.
Nel IX e particolarmente nell’VIII millennio il numero dei siti aumenta considerevolmente. Questo è il periodo in cui si consolida la produzione di cibo e vengono introdotte nuove tecnologie. Nel Levante centrale l’inizio di questa fase è caratterizzato da siti agricoli di piccole dimensioni, mentre nelle zone aride orientali e meridionali l’occupazione è costituita da gruppi di cacciatori-raccoglitori. Il PPNB iniziale risulta ancora in continuità con il periodo precedente, mentre si osserva un sostanziale cambiamento durante la fase intermedia. I siti sono numerosi e ben documentati, come quelli di Gerico, ’Ain Ghazal, Beidha, Kfar HaHoresh, Nahal Hemar e Yftahel. Gli insediamenti della valle del Giordano possono raggiungere i 5 ettari, mentre più modesti sono i siti meridionali e occidentali, che non superano l’ettaro e mezzo. L’architettura domestica risulta particolarmente standardizzata ed è costituita da strutture rettangolari in pietra e mattone crudo definite pier houses. Queste case hanno una planimetria molto semplice con l’ingresso sul lato corto e una suddivisione degli spazi interni realizzata con la costruzione di setti murari (pier) che permettevano il passaggio da un’area a un’altra. È probabile si tratti di case, coprenti una superficie di 20-30 metri quadrati, destinate a singoli nuclei familiari. Sebbene in queste regioni non vi siano edifici pubblici o comunitari, tre ampie costruzioni in pietra realizzate al centro del villaggio di Beidha possono essere interpretate come spazi destinati a eventi pubblici (feste, riti religiosi). Questo aspetto dell’architettura rivolta ad attività collettive sembra consolidarsi maggiormente nella fase tarda del PPNB intensificando la coesione del gruppo.
La tradizione funeraria del PPNB levantino continua, anzi accresce quella già riconosciuta nel precedente PPNA. I singoli adulti vengono inumati privi di corredo funebre, con il cranio rimosso in un momento successivo. L’uso di trattare i crani con particolare cura, rimodellando il viso con gesso o argilla e ricostruendo i dettagli degli occhi e dei capelli con conchiglie e pittura, diventa un costume molto diffuso e lo ritroviamo in siti quali Gerico, Kfar HaHoresh, Beisamoun e ’Ain Ghazal. Ai crani modellati si aggiunge un repertorio costituito da busti e vere e proprie statue di forma umana realizzate in argilla, gesso e canne. Questa forma di statuaria, proveniente soprattutto da ‘Ain Ghazal, Gerico e Nahal Hemar, può raggiungere anche il metro di altezza ed è molto probabile che fosse esposta in luoghi pubblici. Vari autori hanno interpretato questo uso dei crani e delle statue d’argilla come la volontà di rappresentare divinità sconosciute; altri ancora, molto più verosimilmente, hanno associato questa tradizione al “culto degli antenati” reali o fittizi, cioè creati da una mitologia locale per giustificare lo stretto legame esistente tra il gruppo e la terra in cui esso vive e da cui trae i prodotti per la sopravvivenza.
Durante l’intero corso del PPNB le comunità levantine diventano sempre più dipendenti dalla produzione di cibo e alla fine del periodo pecore, capre e bovini sono totalmente domestici. È probabile che la pecora domestica sia stata introdotta dalle regioni settentrionali, mentre i bovini e le capre siano stati domesticati localmente. La coltivazione aumenta notevolmente e i cereali e i legumi giocano un ruolo chiave per la sussistenza. Le piante maggiormente coltivate sono grano, orzo, pisello, lenticchia, veccia, cece, lino, ma è importante ricordare che la dipendenza dalla produzione di cibo non significa l’abbandono della caccia e della raccolta di piante spontanee, poiché esse rappresentano ancora, soprattutto nelle aree desertiche, una risorsa importante.
Anche nei siti del PPNB della regione dei monti del Tauro si osservano alcune analogie con l’area levantina, ma con specificità molto evidenti. L’architettura domestica risulta, infatti, fortemente standardizzata con una tradizione radicata su di un vasto territorio del sud-est anatolico. Rispetto al Levante le case dell’altopiano anatolico, documentate nei siti di Cafer Höyük, Nevalý Çori e Çayönü, sono piuttosto diverse. Il modello planimetrico viene ripetuto in modo molto rigido. Ancora una volta è il sito di Çayönü a documentare la sequenza strutturale completa. Alle capanne circolari databili al PPNA segue nel periodo successivo un’architettura costituita da grandi case rettangolari isolate dette grill houses, “case a griglia”. La caratteristica dominante, infatti, sta nel fatto che parte della pianta interna presenta a livello di fondazione una serie di muretti accostati che ricorda appunto una graticola. Così la superficie pavimentale dell’edificio è rialzata, separata dal suolo e ventilata in modo da mantenere asciutta questa zona della casa presumibilmente destinata alla conservazione delle derrate alimentari. La fase edilizia più recente dal punto di vista stratigrafico rivela case rettangolari con strutture interne a cella, le cosiddette cell houses. La suddivisione interna di queste case, messa in luce sempre in fondazione, è costituita da piccoli ambienti minori, che probabilmente fungevano da deposito.
Con l’ultima e più recente fase edilizia del Neolitico Preceramico le partizioni interne delle case vengono abbandonate a vantaggio di un’unica grande stanza rettangolare. Separate dalle strutture domestiche, tre imponenti costruzioni continuano a Çayönü la tradizione degli edifici di culto monumentali. Alla fase delle “case a griglia” appartiene il flagstone building, un ampio edificio rettangolare a vano unico con due stele in pietra erette al centro dell’ambiente. Alla stessa fase appartiene lo skull building, un altro importante edificio da cui provengono numerosi crani separati dal resto dello scheletro e ammassati in un piccolo vano obliterato con lastre di pietra, come anche grandi quantità di ossa post-craniali conservate in un altro vano dell’ambiente. Nella stanza principale una grande lastra di pietra posta in orizzontale poteva fungere da altare, mentre pietre erette come menhir erano collocate intorno all’edificio.
L’ultima e la più recente di queste strutture con funzioni speciali, tutte conservate solo parzialmente, è il cosiddetto “edificio a terrazza” (terrazzo building). Esso si associa alla fase delle “case a celle”. Il nome di questa costruzione deriva da una particolare e del tutto innovativa tecnica edilizia per la realizzazione del pavimento. Si tratta della messa in opera di una specie di malta costituita da calcare triturato con l’aggiunta di pietrame colorato in rosso. Non è chiaro, ma forse altamente probabile, se questa malta sia stata ottenuta attraverso l’uso del fuoco, realizzando la calce. In ogni caso il pavimento è particolarmente liscio e resistente, simile al calcestruzzo di epoca romana. Anche in questa sala è presente una lastra di pietra simile a un altare. Ma le innovazioni non sono finite. Çayönü è finora il sito che ha restituito le più antiche testimonianze di metallurgia. Non si tratta di metallurgia fusoria, ma di semplici oggetti realizzati in rame nativo, proveniente dai ricchi giacimenti di Ergani sull’alto Tigri. Dal rame, martellato a freddo e a caldo, venivano ottenute sottili lamine che, a loro volta ripiegate, permettevano di realizzare pendenti, grani di collana, ami e punteruoli. La novità sta proprio nell’aver riconosciuto che la materia prima, oltre ad avere una propria duttilità, può essere ancor più facilmente modellata con l’uso del calore. Questo tipo di lavorazione della pietra è molto diversa dalla tradizionale scheggiatura. Più di un centinaio di piccoli oggetti provengono dai livelli delle “case a cella” di Çayönü e numerosi scarti di lavorazione, costituiti da rame nativo, malachite e azzurrite, sono distribuiti negli spazi esterni alle case.
Il sito di Nevalý Çori, scavato negli anni Ottanta da Harald Hauptmann, è un altro esempio di come le trasformazioni osservate a Çayönü siano diffuse in un’ampia regione del sud-est della Turchia, mettendo in evidenza l’affermarsi in questo territorio di un modello culturale condiviso. Gli scavi di Nevalý Çori hanno messo in luce un complesso cultuale in cui si sono riconosciute tre fasi architettoniche di un ampio edificio rettangolare con angoli arrotondati. La continuità tra di esse risulta molto chiara dalla presenza di una nicchia probabilmente utilizzata per l’alloggiamento di una statua e di pilastri a T modellati a stele antropomorfa, due dei quali posti al centro della sala come sostegno per il tetto.
Case costruite con specifici schemi planimetrici, luoghi dedicati al culto separati da quelli per le attività domestiche e produttive, innovazioni tecnologiche nel campo architettonico e artigianale, ma soprattutto profondi cambiamenti nel campo ideologico, sono alcuni degli elementi che riassumono i caratteri del PPNB. Le sculture e i bassorilievi provenienti dai siti di questo periodo rappresentano animali e demoni che sono la testimonianza di un mondo religioso ancora in trasformazione. È presente una divinità maschile e l’elemento femminile compare solo in relazione a immagini di volatili, in genere rapaci, oppure con il serpente. Sebbene siamo in grado di cogliere solo in modo superficiale il pensiero religioso di queste prime comunità agricole, risulta però chiaro che non trova ancora spazio nell’immaginario simbolico quella forma di rappresentazione assimilabile alla cosiddetta dea-madre, considerata in passato da alcuni autori come elemento dominante delle società neolitiche. In realtà il legame figurativo con la fertilità non è del tutto sconosciuto, ma diventa perfettamente intelligibile più tardi, quando l’economia di produzione si consolida, suggerendo precisi spunti o temi iconografici tratti dal mondo “mitologico” di queste popolazioni.
Dall’organizzazione dei siti, con centri religiosi ed economici, e dai numerosi ed estesi insediamenti, si delinea una società già socialmente differenziata che anticipa alcuni caratteri che si manifesteranno durante la prima urbanizzazione del IV millennio in Mesopotamia e nella valle del Nilo.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia