di Lorenzo Vidino
Sin dai giorni di Narodnaja Volja, l’organizzazione russa di fine Ottocento da molti considerata come il primo gruppo terrorista dell’era moderna, in Europa hanno operato formazioni terroristiche
di ogni orientamento, dimensione e caratteristiche. Ancor oggi nella maggior parte dei paesi europei agiscono gruppi motivati da varie ideologie autoctone (estremismo di sinistra, estremismo di destra, nazionalismo basco, ecologismo militante ...) ed esogene (nazionalismo curdo, Tamil ...). Ma è opinione pressoché unanimemente condivisa che, dagli attacchi dell’11 settembre 2001, la forma di terrorismo più diffusa e che presenta la minaccia più severa contro la sicurezza del continente europeo è creata da gruppi e individui ispirati dall’ideologia jihadista.
L’embrione di tale presenza fu posto nei primi anni Novanta del Novecento, quando veterani della guerra in Afghanistan contro l’Unione Sovietica ed esponenti di vari gruppi militanti islamisti nordafricani e mediorientali si trasferirono in Europa per sfuggire alle persecuzioni dei regimi dei loro paesi d’origine. All’epoca percepivano l’Europa come una conveniente base logistica dalla quale sostenere le attività dei loro gruppi in Nord Africa e nel Medio Oriente. Tuttavia, l’ideologia jihadista importata trovò un terreno fertile presso segmenti delle comunità musulmane europee, attraendo nuovi adepti tra immigrati di prima e seconda generazione ed alcuni europei convertiti all’islam.
La trasformazione del jihadismo da fenomeno esogeno a endogeno nella decade successiva si è manifestata negli attacchi di Madrid nel 2004 (perpetrati da nordafricani perlopiù residenti da anni in Spagna), Amsterdam nel 2004 (uccisione del regista Theo van Gogh da parte di un marocchino nato ad Amsterdam) e, più di ogni altro, Londra nel 2005 (attentati contro la metropolitana e un autobus realizzati da tre pakistani nati in Inghilterra e un convertito di origini giamaicane).
Questo cambiamento demografico, evidente nei paesi del Nord e Centro Europa da più di un decennio, ha interessato negli ultimi anni anche l’Italia, dove, per il relativo ritardo nell’arrivo di flussi migratori massicci, solo ora una seconda generazione di musulmani sta entrando in età adulta. I casi di due giovani marocchini cresciuti nel bresciano accusati di diffondere propaganda jihadista su Internet (2012 e 2013) e di Giuliano Delnevo, un convertito genovese morto combattendo in Siria (2013), dimostrano che il fenomeno del cosiddetto ’homegrown terrorism’ tocca, anche se in maniera limitata, anche l’Italia.
Pur non manifestandosi in tutti i paesi europei con identica intensità, il fenomeno del terrorismo di matrice jihadista è diffuso nell’intero continente. Ogni anno, in media, le autorità europee sventano sei o sette attacchi ed arrestano circa 200 persone per reati connessi. Inoltre, sin dagli anni Novanta
militanti europei si sono recati in paesi come Bosnia, Cecenia, Afghanistan, Algeria, Iraq, Somalia,
Pakistan per combattere o addestrarsi. Si stima che, nei primi mesi del 2014, circa duemila europei stessero combattendo con forze jihadiste contro il regime di Bashar al-Assad in Siria.
Un numero crescente di jihadisti europei agisce in completa indipendenza: si sente parte di un movimento globale, ma opera autonomamente. In tale ottica vanno inquadrati alcuni attentati quali il tentato attacco suicida di Stoccolma nel 2010, l’accoltellamento del deputato inglese Stephen Timms nel 2010, l’assassinio di due militari americani all’aeroporto di Francoforte nel 2011, l’uccisione di soldati francesi e membri della comunità ebraica nella zona di Tolosa da parte di Mohammed Merah nel 2012, e l’assassinio di un soldato inglese a colpi di mannaia da parte di due militanti inglesi nel 2013.
In questi come in altri casi si assiste a un fenomeno di cosiddetto ‘terrorismo diffuso’. La caratteristica è che chiunque abbia autonomamente acquisito l’ideologia jihadista e il know how necessario per compiere attentati di piccola entità – ma comunque capaci di seminare morte e di incidere pesantemente sulla psiche collettiva – diventa de facto membro di un movimento globale, pur senza possedere alcun legame formale.
Al tempo stesso, vari gruppi jihadisti nell’orbita di al-Qaida, pur con base al di fuori dell’Europa, sono presenti sul territorio europeo e lo utilizzano come base logistica e di reclutamento (oltre che, occasionalmente, come obiettivo in sé). In ogni caso la dinamica del ‘terrorismo diffuso’ si rivela la più comune. E sebbene raramente individui operanti indipendentemente riescano a ottenere conoscenze tecniche idonee a compiere attentati di notevole sofisticazione e portata, la loro autonomia operativa li rende di più difficile identificazione per gli apparati di intelligence e polizia.
Ciononostante, grazie anche ai miglioramenti degli strumenti legislativi e alla cooperazione internazionale degli ultimi anni, le autorità europee hanno dimostrato una notevole abilità nel far fronte al terrorismo jihadista. Non trascurabili, e forse di maggiore pericolosità, sono però le tensioni sociali che possono essere innescate dalle azioni di militanti jihadisti