La mobilità del personale pubblico
Il d.l. 6.7.2012, n. 95 sulla cd. “spending review” prevede una riduzione degli organici delle amministrazioni pubbliche, che è destinata a determinare situazioni di esubero di dirigenti e dipendenti. In vista del ricollocamento del personale, viene chiamato in causa l’istituto della mobilità – nella sua duplice accezione (volontaria e d’ufficio/per eccedenza) – che presenta molti punti in chiaro scuro, come dimostrato da ripetuti interventi del legislatore e da un crescente contenzioso. Dopo l’inquadramento dei due profili dell’istituto, diversi per disciplina e ratio, si darà conto del grado di autonomia normativa e organizzativa delle Regioni in tema di mobilità volontaria e collettiva e delle principali problematiche applicative alla luce della recente giurisprudenza (il rapporto fra mobilità e scorrimento delle graduatorie e la questione dei sistemi di inquadramento del personale).
Il particolare momento di crisi economica che il Paese attraversa ha comportato incisivi interventi sui costi della pubblica amministrazione, coinvolgendo anche i dipendenti pubblici, considerati sempre più spesso, nella legislazione degli ultimi anni, più come un costo da ridurre che come una risorsa da valorizzare. In questo contesto il d.l. 6.7.2012, n. 95, conv. in l. 7.8.2012, n. 135, nell’ambito di un’articolata operazione di revisione della spesa pubblica, all’art. 2, co. 1, prevede la riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali nella misura del 20 per cento per gli uffici dirigenziali e del 10 per cento per le dotazioni del personale non dirigenziale.
In esito a tale operazione verranno presumibilmente a crearsi situazioni di esubero di personale, per il ricollocamento del quale si prevede di fare ricorso (per espressa indicazione del legislatore) a procedure di mobilità.
1.1 La mobilità volontaria e collettiva nel d.lgs. n. 165/2001
Nel lavoro pubblico l’espressione mobilità si riferisce a diverse fattispecie, individuate negli artt. 30 ss., d.lgs. 30.3.2001, n. 165. Le due principali sono il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, cioè la cd. mobilità volontaria (art. 30), e la mobilità collettiva per eccedenze di personale, cioè la c.d. mobilità d’ufficio (artt. 33, 34 e 34 bis)1.
La ratio delle due tipologie di mobilità è profondamente diversa:
a) la mobilità d’ufficio mira al riassorbimento delle eccedenze attraverso una procedura che si conclude – ove il personale in esubero non possa essere impiegato diversamente nella medesima amministrazione o presso altre amministrazioni – con il collocamento in disponibilità per la durata massima di ventiquattro mesi, decorsi i quali il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto;
b) la mobilità volontaria mira all’ottimizzazione della gestione del personale ed al contenimento della spesa pubblica attraverso la copertura dei posti disponibili in organico con dipendenti in servizio presso altre amministrazioni.
Entrambi gli istituti sono stati interessati negli ultimi anni da vari interventi legislativi: le modifiche hanno inciso in maniera più rilevante sulla disciplina della mobilità collettiva (il riferimento è, in particolare, all’art. 16, co. 1, l. 12.11.2011, n. 183), ma anche la mobilità volontaria merita una particolare attenzione, in virtù dei numerosi profili problematici emersi in sede applicativa ed evidenziati da una copiosa giurisprudenza.
In via preliminare, le norme sulla mobilità vanno collocate nel contesto dell’assetto delle fonti in materia di lavoro pubblico realizzatosi a seguito della «seconda privatizzazione del lavoro pubblico» degli anni 1997-98, che muove da una rilettura dell’art. 97, co. 1, Cost., in base alla quale non solo la disciplina del rapporto di lavoro, ma anche la cd. «micro-organizzazione» degli uffici viene ricondotta ad una dimensione privatistica, mentre la sola «macro-organizzazione» conserva un regime pubblicistico.
In questo contesto, sin dalla originaria versione dell’art. 33, d.lgs. 3.2.1993, n. 29, la dottrina ha qualificato la fattispecie della mobilità volontaria come cessione di contratto, che determina una modificazione meramente soggettiva del rapporto2. Sulla medesima linea si colloca anche la giurisprudenza3, stabilendo che la disciplina della mobilità attiene ai rapporti di lavoro di diritto privato, ed è inquadrabile nello schema della cessione del contratto prevista dall’art. 1406 c.c., per il cui perfezionamento è necessaria la partecipazione di tutti e tre i soggetti interessati (il lavoratore ceduto, l’amministrazione cedente e quella cessionaria). La mobilità comporta il trasferimento soggettivo dei diritti e obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali, sicché il rapporto di lavoro continua, senza interruzioni, con l’amministrazione di destinazione: ne consegue, tra l’altro, che è illegittima la pretesa di un nuovo patto di prova nell’amministrazione ad quam, ove esso sia stato già superato in quella a qua4. Sul piano del riparto di giurisdizione, in linea con l’art. 63, co. 1, d.lgs. n. 165/2001, le controversie spettano al giudice ordinario del lavoro, davanti al quale si instaura un litisconsorzio necessario tra le tre parti summenzionate.
La principale modifica del testo dell’art. 30, d.lgs. n. 165/2001 è intervenuta con il d.l. 31.1.2005, n. 7, conv. nella l. 31.3.2005, n. 43 (integrato dal d.l. 13.8.2011, n. 138, conv. dalla l. 14.9.2011, n. 148), che, introducendo un nuovo comma 2 bis, ha obbligato le amministrazioni ad attivare le procedure di mobilità prima di bandire concorsi finalizzati alla copertura di posti vacanti in organico. A sua volta, l’art. 49, d.lgs. 27.10.2009, n. 150, ha «procedimentalizzato» la mobilità volontaria, impegnando le amministrazioni a rendere pubblici i posti da ricoprire con tale strumento e a fissare preventivamente i criteri di scelta; inoltre, viene rafforzato il ruolo dei dirigenti che, quali responsabili della gestione del personale, sono chiamati ad esprimere parere vincolante sulla professionalità in possesso dei dipendenti in relazione ai posti ricoperti o da ricoprire5.
Il legislatore nazionale, dunque, da una parte ha reso più trasparente la procedura della mobilità volontaria (ponendo un freno alle scelte quasi intuitu personae consentite in precedenza)6; dall’altra, ha manifestato – anche in funzione di un risparmio di spesa – un crescente favor verso l’istituto della mobilità, quale strumento privilegiato di gestione del personale per la copertura dei posti disponibili in organico.
1.2 La mobilità nel d.l. n. 95/2012
Se questo è il quadro di riferimento consolidato della normativa in tema di mobilità del personale pubblico, occorre verificare il ruolo assegnato all’istituto in relazione all’operazione di riduzione delle dotazioni organiche delle amministrazioni prevista dal d.l. n. 95/2012.
Come stabilito dall’art. 2, co. 5, alle riduzioni si provvede con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai quali fa seguito l’approvazione dei regolamenti di organizzazione da parte delle amministrazioni interessate (co. 7). Per le unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero, in base al co. 11 le amministrazioni adottano una serie di misure, collocate in ordine di priorità7: laddove non si possa procedere ad operazioni di pensionamento (secondo modalità e criteri specificati dalla stessa norma), nella lett. d) si prevede «l’avvio di processi di mobilità guidata, anche intercompartimentale, intesi alla ricollocazione, presso uffici delle amministrazioni di cui al comma 1 che prestino vacanze di organico, del personale non riassorbibile».
I processi di mobilità sono disposti, previo esame con le organizzazioni sindacali8, mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il personale trasferito mantiene il trattamento economico fondamentale ed accessorio corrisposto al momento del trasferimento, nonché l’inquadramento previdenziale. Con gli stessi decreti è stabilita un’apposita tabella di corrispondenza tra le qualifiche e le posizioni economiche del personale assegnato9.
A sua volta l’art. 2, co. 13, crea i presupposti per l’attivazione di una forma di mobilità volontaria, disponendo l’avvio, da parte del Dipartimento della funzione pubblica, di un monitoraggio dei posti vacanti presso le amministrazioni pubbliche e la redazione di un elenco, da pubblicare sul relativo sito web. Il personale iscritto negli elenchi di disponibilità può presentare domanda di ricollocazione nei posti di cui al medesimo elenco e le amministrazioni sono tenute ad accogliere le domande, individuando criteri di scelta nei limiti delle disponibilità in organico. Le amministrazioni che non accolgono le domande di ricollocazione non possono procedere ad assunzioni: viene, quindi, ribadita la priorità della mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale.
Va richiamato anche l’art. 2, co. 16, dove si prevede che per favorire i suddetti processi di mobilità «le amministrazioni interessate possono avviare percorsi di formazione del personale nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili».
In un quadro normativo caratterizzato da una sempre maggiore attenzione per l’utilizzazione dello strumento della mobilità, confermata anche dal decreto del 2012 sulla spending review, appare opportuno centrare l’attenzione su un tema di ordine istituzionale che è stato oggetto di significativi interventi da parte della giurisprudenza (costituzionale e amministrativa): la definizione del grado di autonomia delle Regioni, rispetto alle indicazioni fornite dalla legislazione statale, in ordine alle determinazioni sulle modalità di copertura dei propri uffici.
2.1 Mobilità e autonomia organizzativa delle Regioni
Alla luce del nuovo Titolo V, parte II, Cost., si pone il problema di trovare un punto di equilibrio tra esercizio della potestà legislativa dello Stato in tema di lavoro pubblico (in quando rientrante nella materia dell’«ordinamento civile») e garanzia di uno spazio di autonomia organizzativa delle Regioni10, con specifico riferimento alla scelta ( di «macro-organizzazione») di coprire i posti disponibili in organico tramite concorso pubblico o attraverso la mobilità. La questione è emersa con forza nel 2005 quando, come detto, il d.l. n. 7/2005 ha obbligato le amministrazioni ad attivare le procedure di mobilità prima di avviare le procedure concorsuali, mentre la l. 28.11.2005, n. 246 (modificando l’art. 30, co. 2, d.lgs. n.165/2001) ha dichiarato «nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale». Sembra dunque che si sia avvicinato il contenuto del citato art. 30, sotto il profilo del modus procedendi, alla mobilità per eccedenze di personale di cui agli artt. 33, 34 e 34 bis, l’ultimo dei quali (aggiunto ad opera dell’art. 7, l. 16.1.2003, n. 3) sanziona con la nullità di diritto le assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni sulla mobilità d’ufficio (co. 5) e stabilisce che le amministrazioni possono avviare la procedura concorsuale per le sole posizioni per le quali non sia intervenuta l’assegnazione di personale in disponibilità e da mobilitare (co. 4).
Per definire l’ampiezza del potere regionale di organizzazione dei propri uffici occorre riferirsi alle pronunce della Corte Costituzionale, che è intervenuta più di una volta in merito a questioni di legittimità costituzionale riguardanti sia la mobilità volontaria, sia quella collettiva. In particolare, nella sentenza n. 388/2004 la Corte dichiara che la disciplina statale sulla mobilità collettiva non si ingerisce nelle scelte delle Regioni e degli enti locali circa le loro esigenze di munirsi di nuovo personale, ma si limita a prevedere «che le nuove assunzioni possano avvenire con procedure concorsuali solo dopo che sia stata verificata concretamente l’impossibilità di valersi di personale proveniente da altre amministrazioni e destinato, ove non sia possibile il suo ricollocamento, al licenziamento». L’art. 34 bis è, dunque, il completamento di quanto disposto dagli artt. 33 e 34, e costituisce non già normativa di dettaglio, di spettanza della legge regionale, «bensì disciplina necessariamente di competenza dello Stato, in quanto solo lo Stato può emanarne una con efficacia vincolante per tutte le amministrazioni pubbliche, centrali e locali, e far sì in tal modo che gli elenchi del personale in mobilità (delle amministrazioni centrali e locali) non restino tra loro incomunicabili».
Nella sentenza n. 324/2010 la Corte Costituzionale si esprime, invece, sulla costituzionalità dell’art. 30, d.lgs. n. 165/2001, stabilendo – a conferma di quanto sopra evidenziato – che non sussiste violazione dell’art. 117 Cost., in quanto l’istituto della mobilità volontaria è un negozio tipico disciplinato dal codice civile e rientra nella materia dei rapporti di diritto privato: gli oneri, imposti alle amministrazioni dall’art. 49, d.lgs. n. 150/2009, di rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso mobilità volontaria prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, «rispondono alla necessità di rispettare l’art. 97 Cost. e, precisamente, i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione». Quest’ultima pronuncia del giudice delle leggi trova riscontro in una serie di decisioni dei giudici amministrativi, dove si afferma che l’art. 30 vincola tutte le amministrazioni (incluse quelle regionali), sicché le nuove assunzioni possono avvenire con concorso solo dopo la concreta verifica dell’impossibilità di valersi di personale in mobilità volontaria11.
Sembrerebbe, così, che le norme statali sulla mobilità volontaria e su quella collettiva, pur nella profonda diversità di oggetto e di finalità, finiscano per avere lo stesso effetto di compressione dell’autonomia organizzativa delle Regioni. Tuttavia, il problema si pone in termini più complessi rispetto a quanto emerge dalla citata sentenza n. 324/201012, in quanto in essa non si tiene adeguatamente conto dell’attribuzione alle Regioni, in base all’art. 117 Cost., di una competenza residuale in ordine alla determinazione dell’assetto strutturale dei loro uffici13, che non può non ripercuotersi anche sulle decisioni di tipo «macro-organizzativo» concernenti la provvista del personale.
Non si discute della qualificazione dell’istituto della mobilità – nella sua duplice accezione – e della conseguente competenza (questa sicuramente statale) a delinearne la disciplina14, ma occorre indagare sull’alternativa tra mobilità e concorso pubblico in relazione alla potestà organizzativa regionale: dunque, al quantum di discrezionalità esercitabile dalla Regione nella scelta della procedura da attivare. Particolarmente significative, sul punto, appaiono due recentissime pronunce del TAR Lazio15, nelle quali, partendo dalla evidenza che la scelta sulla copertura di posti vacanti è espressione del potere di organizzazione che fa capo alla Regione, si interpreta l’art. 30, d.lgs. n. 165/2001 in linea con il quadro costituzionale, che delinea e valorizza uno Stato multilivello. Tali decisioni mettono in evidenza le diversità strutturali e finalistiche delle due forme di mobilità, per arrivare a concludere che: a) la mobilità d’ufficio per le finalità che assolve non ammette temperamenti, mentre la mobilità volontaria è condizionata, a tutela di un interesse pubblico prevalente, al previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale sarà assegnato; b) la «disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni» (art. 30) è diversa dalla disponibilità dei posti «per i quali si intende bandire il concorso» (art. 34 bis). Pertanto, le Regioni nell’ambito oggetto dell’art. 30 sono vincolate ad un «principio», e devono destinare almeno una parte dei posti disponibili16 e vacanti alla mobilità volontaria, potendo invece decidere – nell’ambito del loro potere di organizzazione, «motivatamente esercitato» – di procedere tramite concorso pubblico per gli altri posti non coperti: questo, fermo restando che tale principio non può essere eluso, in quanto a seguito delle recenti modifiche normative il ricorso prioritario alla mobilità costituisce per l’amministrazione un obbligo, colpito dalla sanzione di nullità laddove si faccia ricorso ad una tecnica di reclutamento che vanifica totalmente il trasferimento volontario.
Si afferma, dunque, l’idea che per la copertura dei posti nelle amministrazioni regionali (comprese le aziende sanitarie) e negli enti locali il sistema normativo attualmente privilegia il ricorso alla mobilità, ma questa non si configura come una regola assoluta e inderogabile: peraltro, secondo la giurisprudenza amministrativa, la scelta di prescindere dall’attivazione delle procedure di mobilità deve essere frutto di una consapevole e motivata decisione discrezionale17.
Emerge, così, una impostazione che privilegia la mobilità, anche nell’ottica della cd. spending reviev, senza mettere in discussione la natura privatistica dell’istituto e senza comprimere lo spazio di autonomia spettante alle Regioni in merito alle modalità di copertura delle vacanze negli organici degli apparati da esse dipendenti.
L’utilizzazione dell’istituto della mobilità presenta, sul piano operativo, vari elementi di criticità – come quello dell’identificazione della disciplina applicabile al lavoratore con riferimento alla conservazione del livello retribuivo ed al riconoscimento dell’anzianità pregressa – che meriterebbero di essere distintamente esaminati. Fra i profili problematici di maggiore rilievo, peraltro, presentano un particolare interesse quelli relativi al rapporto fra il ricorso alla mobilità e lo scorrimento delle graduatorie concorsuali e al condizionamento esercitato sul passaggio di dipendenti tra diverse amministrazioni dalla presenza di differenti sistemi di classificazione del personale nei vari comparti.
3.1 Mobilità e scorrimento di graduatorie
La questione del rapporto tra copertura dei posti disponibili con mobilità volontaria oppure attraverso il c.d. scorrimento di graduatoria – che può considerarsi la «gemmazione» del problema dell’alternativa tra nuovo concorso e scorrimento delle graduatorie concorsuali18 – si caratterizza per una evoluzione della giurisprudenza volta, ancora una volta, a valorizzare il meccanismo della mobilità.
Il Consiglio di Stato nel 200919, pronunciandosi su un caso in cui era applicabile l’art. 30 d.lgs. n. 165/2001 nella formulazione originaria, ha affermato che la normativa si limitava a prevedere la procedura di mobilità volontaria senza stabilire alcuna priorità rispetto a forme alternative di copertura di posti disponibili in organico (ad es., utilizzazione di graduatorie valide), per cui anche la scelta della mobilità volontaria era rimessa ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione.
In virtù dei cambiamenti successivamente intervenuti nella normativa si è aperta la strada ad un mutamento giurisprudenziale, che muove dalla differenza tra mobilità volontaria e nuovo concorso (a cui si equipara lo scorrimento della graduatoria) per valorizzare la preferenza espressa dal legislatore per la mobilità rispetto all’assunzione di nuovo personale anche attraverso lo scorrimento della graduatoria. Si fa riferimento ad una recente decisione del TAR Lombardia20, che evidenzia come l’ordinamento del lavoro pubblico preveda una preferenza per la mobilità rispetto alle nuove assunzioni, perché tale procedura «comporta la possibilità di acquisire personale già formato e con esperienza nel ruolo» e permette di «ottenere una più razionale distribuzione delle risorse tra le amministrazioni pubbliche nonché economie di spesa di personale complessivamente intesa, dal momento che consente una stabilità dei livelli occupazionali nel settore pubblico». Oltre all’art. 30, co. 2-bis, d.lgs. n. 165/2011, vengono richiamati l’art. 39, co. 3, l. 27.12.1997, n. 449, il quale stabilisce che «le assunzioni restano comunque subordinate all’indisponibilità di personale da trasferire secondo le vigenti procedure di mobilità», e l’art. 1, co. 47, l. 30.12.2004, n. 311, dove si prevede che «in vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche…». Tale combinato disposto normativo, che esprime un assoluto favore per il passaggio di personale tra amministrazioni, «non può non riverberarsi anche sul rapporto tra ricerca di personale mediante mobilità volontaria e scorrimento delle graduatorie»: in questo quadro, deve ritenersi che «la preferenza normativa per la mobilità volontaria comporti l’inesistenza di un obbligo di motivazione in merito a tale scelta rispetto a quella dello scorrimento della graduatoria, trattandosi di scegliere tra la redistribuzione delle risorse umane tra le pubbliche amministrazioni rispetto all’aumento del personale mediante nuove assunzioni».
Chiaramente, anche questa problematica implica una diversa declinazione a seconda che si tratti di amministrazioni dello Stato, alle quali si applica in toto la disciplina del d.lgs. n. 165/2001, oppure di amministrazioni regionali, che godono di autonomia organizzativa, nei limiti in precedenza indicati.
3.2 Mobilità e sistemi di inquadramento del personale
Sull’attuazione della mobilità, e nello specifico di quella volontaria, ha fin qui influito negativamente la mancanza di una disciplina della equiparazione delle posizioni professionali nei comparti del lavoro pubblico.
Il d.lgs. n. 150/2009 ha tentato di sopperire a tale mancanza inserendo nel d.lgs. n. 165/2001 l’art. 29 bis, dedicato alla mobilità intercompartimentale, con il quale si affida ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la redazione di una tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti. In tal modo si è inteso realizzare l’obiettivo, del tutto condivisibile, di favorire i processi di mobilità fra i comparti di contrattazione del personale pubblico: un’esigenza divenuta ancora più urgente soprattutto dopo il decreto sulla cd. spending review n. 95/2012, il quale, come si è visto, prevede la definizione di una tabella di corrispondenza tra le qualifiche e le posizioni economiche dei dipendenti interessati dalla mobilità. Viene, però, operata una sottrazione alla fonte contrattuale di un aspetto rientrante nel sistema di classificazione del personale, che costituisce oggetto proprio e qualificante dalla contrattazione collettiva: in prospettiva si renderebbe, quindi, opportuno ricondurre la soluzione della questione alla sfera negoziale (ad esempio, attraverso la stipula di un contratto quadro).
Può, infine, facilmente individuarsi un collegamento fra il problema della classificazione del personale e quello del rapporto tra mobilità volontaria e mansioni, ex art. 52, d.lgs. n. 165/2001, sul quale pure non sono mancati interventi giurisprudenziali. Come si sa, in tema di mansioni nel lavoro pubblico esiste una diversità fondamentale rispetto al regime di lavoro strettamente privatistico: infatti, l’art. 52 prevede che «l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore», per cui in caso di mobilità la giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere che l’inquadramento del lavoratore debba determinarsi sulla base della posizione dal medesimo ricoperta al momento del passaggio e dell’individuazione della posizione ad essa maggiormente corrispondente nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nell’amministrazione di destinazione21.
1 Le altre ipotesi di mobilità sono costituite dal passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività (art. 31) e dallo scambio di funzionari appartenenti a Paesi diversi e dal temporaneo servizio all’estero (art. 32).
2 Mainardi, S-Miscione, M., La mobilità del personale nella pubblica amministrazione, in Riv. giur. lav., 1994, 459 ss.; Sordi, P., Mobilità (pubblico impiego privatizzato), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2003, 1 ss.; Esposito, M.-Santagata, R., La mobilità del personale tra “autonomia negoziale” ed “evidenza pubblica”, in Zoppoli, L., a cura di, Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2010, 335 ss.; Mainardi, S., Il pubblico impiego nel collegato lavoro, in Giur. it., 2011, 2447 ss.; Riccobono, A., Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra innovazione e nostalgia del passato (d.lgs. n. 150/09). Uffici, piante organiche, mobilità, accessi, in Nuove leggi civ. comm., 2011, 1152 ss.
3 Cass., 6.12.1995, n. 12576; Cass., 6.11.1999, n. 12384; Cass., 5.11.2003, n. 16635; Cass., S.U., 12.12.2006, n. 26420; Cons. St., V, 26.10.2009, n. 6541.
4 Cass., S.U., 12.12.2006, n. 26420.
5 La responsabilizzazione dei dirigenti viene valutata come un «lodevole passo avanti» da Esposito, M.-Santagata, R., op.cit., 343 e Pasqua, S., Le norme sulla mobilità, in Amministr@tivamente, n. 11, 2009.
6 In passato in alcuni casi la contrattazione collettiva (v. il CCNL comparto Ministeri, quadriennio 2006-2009, art. 26) aveva sopperito a tale carenza di trasparenza e di pubblicità.
7 Per il personale degli enti locali, le misure di gestione delle eventuali situazioni di soprannumero si applicano nei casi e nei modi previsti dall’art. 16, co. 8.
8 In tema di relazioni sindacali, di particolare importanza è l’art. 2, co. 18, d.l. n. 95/2012, che ha modificato l’art. 5, co. 2 e l’art. 6, co. 1, d.lgs. n. 165/2001.
9 Per il personale non riassorbibile nei tempi e con le modalità di cui al co. 11, le amministrazioni dichiarano l’esubero (art. 2, co. 12).
10 D’Alessio, G., Pubblico impiego, in Corso, G.-Lopilato, V., a cura di, Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, II, Milano, 2006, 408 ss.; D’Auria, G., Variazioni su lavoro pubblico, organizzazione amministrativa e Titolo V (parte seconda) della Costituzione, in Lav. pubbl. amm., 2005, 3 ss.; Bolognino, D., La collocazione del «lavoro pubblico» tra Stato e Regioni nel nuovo Titolo V, parte seconda, della Costituzione, in Dir. lav., 2005, II, 3 ss..
11 TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 22.12.2010, n. 38002; Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 16.7.2009, n.1348; TAR Toscana, Firenze, sez. I, 9.7.2009, n.1212; TAR Campania, Napoli, sez. V, 18.10.2006, n. 8616.
12 Sentenza commentata in senso critico da Boscati, A., Ordinamento civile per gli incarichi dirigenziali esterni e per procedure di mobilità tra enti, in Riv. it. dir. lav., 2011, 1197 ss., e Bolognino, D., Corte costituzionale - sentenza del 12 novembre 2010, n. 324: problemi di applicabilità dell’art. 19, comma 6 e 6 bis, alle regioni ed agli enti locali in uno Stato multilivello, in Lav. pubbl. amm., 2011, 144 ss.
13 Come si deduce dall’art. 117, co. 2, lett. g), che riserva alla competenza esclusiva statale la sola «organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
14 Sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni si veda il contributo di D’Avena, P., Competenze legislative tra Stato e Regioni dopo la riforma costituzionale del 2001: la mobilità del personale pubblico, in Verbaro, F., a cura di, La mobilità del lavoro pubblico, Roma, 2005, 163 ss.
15 TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 18.1.2012, n. 610; TAR Lazio, Roma, I ter, 18.1.2012, n. 611.
16 Solo nell’ipotesi disciplinata dall’art. 30, co. 2 ter, si prevede l’immissione in ruolo del personale interessato alla mobilità esterna «nei limiti dei posti effettivamente disponibili».
17 TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 10.6.2011, n. 345; TAR Toscana, Firenze, sez. I, 9.7.2009, n. 1212; TAR Marche, Ancona, sez. I, 30.11 2009, n. 1428.
18 Quest’ultimo ha visto fronteggiarsi due tesi giurisprudenziali: la prima valorizza il principio per cui il concorso è il mezzo più idoneo, ex art. 97, co. 3, Cost., per il reclutamento del personale pubblico, sicché l’amministrazione ha un potere discrezionale, che non richiede motivazione, circa la scelta di emanare un nuovo bando, invece di utilizzare una graduatoria ancora efficace mediante lo «scorrimento» oppure un altro strumento consentito, come la mobilità (v. Cons. St., sez. V, 11.9 2009, n. 7243 e 18.12.2009, n. 8369, e Cons,. St., sez. IV, 27.7.2010, n. 4911); la seconda valorizza l’ultrattività delle graduatorie, affermando che sussiste per la P.A. l’obbligo di farvi ricorso, in nome di principi di semplificazione, di economicità e di garanzia dei soggetti già selezionati (v., fra le pronunce recenti, Cass., S.U., 9.2.2009, n. 3055; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 15.9.2008, n. 4073; TAR Lazio, Roma, sez. II, 15.9.2009, n. 8743). Da ultimo il Cons. St., A.P., 28.7.2001, n. 14 (seguito da Cons. St., sez. VI, 12.9.2011, n. 5112), si è orientato nel senso dell’obbligo per l’amministrazione di motivare puntualmente tutte le determinazioni relative all’indizione di nuovi concorsi, in presenza di graduatorie ancora utilizzabili.
19 Cons. St., sez. V, 15.10.2009, n. 6332.
20 TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 21.9.2011, n. 2250.
21 Cass., S.U., 10.11.2010, n. 22800.