Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La Monarchia francese di Luglio nasce da una rivoluzione (1830) e si conclude con una rivoluzione (1848). Pur suscitando attese, speranze e delusioni fra i popoli e le nazioni oppresse, la Monarchia di Luglio produce importanti conseguenze per il nuovo assetto europeo dopo il Congresso di Vienna.
Premessa
La monarchia instaurata in Francia nel 1830 trae la propria denominazione dalle “tre gloriose giornate” del 27, 28 e 29 luglio, giornate in cui il popolo parigino costringe il monarca Carlo X ad abdicare con una rivoluzione di piazza e il ricorso alle barricate.
La rivoluzione di Luglio, comunque, porta un nuovo re alla guida della nazione francese, il duca di Orléans Luigi Filippo, che si dichiara e desidera essere “nazionale” e “cittadino”, come espressione della borghesia in ascesa, sebbene ancora nobile.
Fin dalle sue origini rivoluzionarie e dal suo esito monarchico, il regime è dotato di un’ambivalenza solo apparentemente contraddittoria. Solitamente gli storici che si sono occupati della Monarchia di Luglio l’hanno interpretata come seconda fase della monarchia costituzionale alla francese, iniziata nel 1814 con l’adozione della carta costituzionale. È stata considerata, quindi, come un ulteriore passaggio dell’evoluzione politica e istituzionale che porterà la Francia all’adozione di un sistema parlamentare e al riconoscimento del ruolo dell’opinione pubblica. Nel contempo, però, è lo stesso evento rivoluzionario e il regime instauratosi – almeno in alcune fasi della sua storia politica e in alcuni aspetti della sua ideologia – che, al di là delle effettive intenzioni, contribuisce a rilanciare la grande tradizione rivoluzionaria in nome della piena e definitiva attuazione dei principi del 1789.
La classe dirigente che si afferma e governa la Francia fino ai moti del febbraio del 1848 ispira la propria politica al criterio del “giusto mezzo”, un ideale di moderazione e di equilibrio in contrasto con esiti rivoluzionari o reazionari. Della Rivoluzione francese (1789) essa assume la componente liberale, rifiutando gli eccessi scaturiti dal processo rivoluzionario e facendo proprio il progetto di conciliazione tra la classe sociale emergente – la borghesia – e la forma di governo monarchica. Non a caso l’ideale del “giusto mezzo” e tutto ciò che questo comporta – il tentativo di collegare la legittimità e il funzionamento di questo regime allo sviluppo delle classi medie e l’adozione della monarchia costituzionale inglese come modello storico-politico – troveranno la loro più coerente formulazione nell’elaborazione dottrinaria di François Guizot, l’uomo politico e l’intellettuale più rappresentativo della Monarchia di Luglio.
Una rivoluzione
Fra gli indiscussi protagonisti della rivoluzione dell’estate del 1830 figurano esponenti democratici e bonapartisti, legati ai progetti e alle idealità della repubblica e dell’Impero napoleonico. La stessa rivoluzione, inizialmente, sembra possa essere guidata da loro e condotta vittoriosamente, ma il processo storico intraprende un’altra direzione. Nasce infatti una monarchia che ribadisce la propria fedeltà alla Carta costituzionale del 1814, respingendo il minacciato esito repubblicano o altre possibili alternative istituzionali.
La capacità dei rappresentanti dell’alta borghesia finanziaria di imporre il proprio disegno politico e la necessità di legittimare il nuovo regime agli occhi delle potenze europee favoriscono la soluzione monarchico-costituzionale. Inoltre, la parziale revisione della Carta costituzionale sembra costituire il rimedio agli eccessi assolutistici del precedente monarca Carlo X, garantendo di fatto la Restaurazione e il completamento della prassi politico-parlamentare. In questo senso si può affermare che la rivoluzione di Luglio e il regime che regge la Francia dal 1830 al 1848 sono il risultato di una nuova alleanza sociale, il prodotto di un compromesso fra l’alta finanza parigina e il notabilato francese (borghesi e aristocratici possessori di grandi proprietà fondiarie).
Rispetto al periodo precedente, caratterizzato da reiterati tentativi di ripristinare l’antico regime, vengono introdotte alcune significative riforme, in particolare durante il 1831, quando il governo è affidato a personalità dell’opposizione liberale al precedente regime. Vengono infatti introdotte una nuova legge elettorale, che abbassa il censo per l’eleggibilità e per lo stesso esercizio del voto (mantenendo sempre distinto l’elettorato attivo da quello passivo e sempre elitaria la funzione elettorale), una riforma delle municipalità che prevede l’elezione delle singole amministrazioni locali e la legge sulla Guardia nazionale che rappresenta il prodotto più tipico della rivoluzione di Luglio, in quanto aperta ai soli cittadini contribuenti, ma regolata dalla designazione democratica ed elettiva dei suoi ufficiali.
La fase della Monarchia di Luglio dagli esiti più aperti, quando ancora nessun partito o fazione rinuncia all’iniziativa e a imporre una soluzione istituzionale, si conclude con l’estate del 1832.
Nel corso di questi due primi anni la tensione politica e sociale è estremamente alta: rivolte operaie represse nel sangue (Lione, novembre del 1831), tentativi falliti di insurrezione repubblicana, e ancora prove di colpo di Stato da parte di Luigi Bonaparte e dei legittimisti, e una terribile epidemia di colera (1832) che falcidia la popolazione delle grandi città ne sono espressione. È in questo contesto che le speranze di rilanciare un movimento rivoluzionario o un progetto istituzionale alternativo si infrangono rapidamente.
Nel corso dei primi dieci anni il regno di Luigi Filippo d’Orléans conosce una particolare instabilità politica con il susseguirsi di ben quindici esecutivi. Fra questi vanno ricordati il governo retto dal banchiere Jacques Laffitte (1830-1831), espressione contraddittoria delle iniziali aspirazioni riformiste e patriottiche, e il governo di un altro banchiere, Casimir Périer, che segna una prima svolta conservatrice (1831-1832). A questi seguono il governo Molé (1836), espressione del tentativo di Luigi Filippo di ostacolare il libero gioco parlamentare, e i due governi di Adolphe Thiers (1836 e 1840), che concedono maggiore spazio alle vocazioni bellicistiche della borghesia parigina, vocazioni rilanciate dal ritorno a Parigi delle ceneri di Napoleone.
Verso la fine del 1840 la Francia orleanista è alla ricerca di un equilibrio, sia per consolidare le acquisizioni del regime di Luglio, sia per confermare e accentuare una soluzione di conservatorismo sociale e politico. È Guizot a interpretare questa fase, prima come ministro degli Esteri, poi come primo ministro. La sua permanenza al governo garantisce un periodo di stabilità ministeriale, ma coincide con una fase di “sclerotizzazione” della politica, caratterizzata dalla mancanza di alternative e dal conseguente distacco fra Paese legale e Paese reale, che contribuirà alla fine del regime.
Una grave crisi economica e alimentare (1846-1847), accompagnata dall’emergere di un diffuso malessere all’interno della stessa borghesia parigina, produce le condizioni che trasformano una campagna d’opposizione in una nuova rivoluzione.
Il 24 febbraio 1848 il governo provvisorio che proclama la repubblica e la dinastia orleanista, in pochi giorni non trova più sostenitori.
L’opinione pubblica francese, la politica estera e i popoli d’Europa
Una parte rilevante della stampa e dell’opinione pubblica francese, traendo alimento dall’origine rivoluzionaria del regime di Luglio, si pronuncia in più occasioni perché la nuova monarchia, erede della “grande nazione” e guidata dal “re-cittadino”, assuma un ruolo di sfida nei confronti dell’ordine europeo sancito dal Congresso di Vienna (1815).
La semplice cronaca delle giornate parigine, una successione di notizie allarmanti per regnanti e governi, è in grado da sola di attirare la solidarietà dei movimenti, mobilitando aspirazioni patriottiche e nazionali. Agli occhi di molti la Francia riprende la sua funzione di guida della rivoluzione europea e si prepara a intervenire in difesa dei popoli oppressi.
La prima immediata ripercussione degli avvenimenti parigini viene dal Belgio con l’insurrezione di Bruxelles nell’agosto del 1830. All’indomani del Luglio francese, infatti, il Belgio insorge per rivendicare la propria indipendenza nei confronti dell’Olanda, alla quale il Congresso di Vienna l’aveva legato. I cattolici e i liberali, promotori della rivolta, chiedono due regni distinti anche se governati da un unico sovrano. Guglielmo I d’Orange Nassau cerca di soffocare militarmente la rivolta, ma le truppe olandesi sono sconfitte e cacciate al di là dei confini. Fra le “rivoluzioni europee” del 1830-1831 questa è l’unica destinata al successo e a un esito positivo per una causa nazionale.
Diverso è il destino dell’insurrezione polacca contro la dominazione russa. Partendo da Varsavia, il 29 novembre 1830, la rivolta assume subito carattere indipendentista e gli insorti, contando sull’aiuto militare francese, proclamano l’indipendenza della Polonia (gennaio del 1831). Ma l’auspicato intervento francese viene a mancare e nel settembre dello stesso anno le truppe dello zar Nicola I occupano Varsavia, procedendo a una durissima repressione.
Tragicamente votati al fallimento si consumano anche i moti insurrezionali nei Ducati di Modena e Parma e in alcune province dello Stato pontificio. Ciro Menotti, accordatosi con Francesco IV di Modena, prepara un’insurrezione che coinvolge l’Emilia Romagna, le Marche e l’Umbria. Alla vigilia della data prefissata Francesco IV fa catturare Menotti e gli altri capi dagli Austriaci, ma i disordini scoppiano ugualmente a Parma e a Reggio. Bologna proclama un governo provvisorio retto dai liberali, stroncato dall’arrivo degli Austriaci il 20 febbraio. Oltre alla debolezza intrinseca dei gruppi dirigenti rivoluzionari, anche in questo caso il mancato intervento francese viene interpretato come un tradimento del regime nato dalla rivoluzione, alimentando il dissenso e la delusione del patriottismo di sinistra francese ed europeo.
La svolta della Francia ha conseguenze anche nei Paesi di lingua tedesca e nella penisola iberica. Così in Germania il tentativo di rivolta viene interrotto sul nascere dal blocco politico-sociale conservatore; mentre in Spagna e in Portogallo, dove non manca un intervento francese coordinato con l’Inghilterra, le forze liberali mostrano il loro scarso radicamento sociale nella lotta contro il conservatorismo cattolico e agrario.
In generale la politica estera francese, sebbene spinta dall’opinione pubblica interna a intervenire militarmente a favore delle nazionalità, non asseconda queste spinte e si attiene a una posizione di non intervento, salvo laddove siano in gioco interessi francesi o legami di reciproca alleanza con l’Inghilterra; così la Francia interviene in Belgio nel 1830-1831, ad Ancona nel 1832, per bilanciare l’intervento austriaco, e in Algeria negli anni 1831-1834, per le prime prove di una “moderna colonizzazione”.
La nascita dello Stato belga e l’alleanza anglo-francese
Il 20 gennaio 1831 viene sancita l’indipendenza del Regno del Belgio e questo nuovo Stato viene proclamato “perpetuamente neutrale”. Ma questo esito è fortemente condizionato e concertato dalle politiche estere di Francia e Inghilterra.
Il Belgio ottiene l’indipendenza dall’Olanda che nel Regno dei Paesi Bassi – costituto dal Congresso di Vienna – pretendeva di far valere il proprio primato politico, nazional-linguistico e religioso, imponendo la religione protestante. Secondo il movimento nazionale belga, risultato di una convergenza fra liberali, cattolici e anche gruppi rivoluzionari, la rivoluzione francese di Luglio può mutare lo scenario europeo e in quel contesto è quindi possibile porre il problema dell’indipendenza dall’Olanda e porre fine al Regno dei Paesi Bassi.
Dopo una prima fase di conflitto bellico fra le due parti, si perviene alla soluzione diplomatica tramite un accordo internazionale sotto l’egida dell’Inghilterra e della Francia. Luigi Filippo d’Orléans rifiuta la corona offertagli da Bruxelles e accetta il candidato inglese Leopoldo di Sassonia Coburgo, facendo poi sposare la propria figlia al nuovo re.
Tale risultato permette alla Francia di avviare, per la prima volta nel corso del XIX secolo, una politica estera attiva da grande potenza, d’instaurare un’intesa diplomatica con l’Inghilterra e di tutelare il proprio confine settentrionale con la creazione di uno Stato “cuscinetto”, neutrale e amico.
Conclusione
In conclusione, la Monarchia di Luglio rende visibile e accentua la distinzione fra un’Europa liberale – di cui sono rappresentanti Inghilterra e Francia – dove la grande borghesia ha trovato lo spazio politico e sociale congeniale al suo sviluppo, e un’Europa retta da regimi autoritari – come la Russia zarista e gli Stati austro-tedeschi – espressione degli interessi aristocratici e dinastici. Tale divisione all’interno dell’Europa è visibile sia attraverso l’intesa con l’Inghilterra, il nemico di sempre, sia nell’adozione del modello costituzionale.