La Mothe Le Vayer, Francois de
Filosofo francese (Parigi 1588 - ivi 1672). Vicino all’ambiente di corte, ben voluto da Richelieu, chiamato (1639) nell’Académie Française appena sorta, fu nominato da Anna d’Austria precettore di Filippo d’Orléans, poi del delfino, il futuro Luigi XIV (1652-60). Della sua attività di maestro di corte restano, oltre all’Instruction de M. le Dauphin (1640, scritto quando aspirava a essere nominato precettore del delfino) i trattatelli Géographie, Rhéthorique, Morale, Économique, Politique, Physique du prince. Ma sono scritti scolastici, tra i meno rilevanti, dei suoi lavori. Ben diverso il significato di altre sue opere, tra le quali gli anonimi Dialogues faits à l’imitation des anciens par Orasius Tubero (pubblicati con falsa data e falso luogo di stampa fra il 1630 e il 1633), la sua opera più celebre e discussa, e l’Hexaméron rustique (1671), in cui il gusto erudito si compiace, riprendendo motivi di Montaigne e di Charron, di sottolineare la radicale debolezza della ragione umana, contrapponendo usi, costumi, dottrine tra cui è impossibile sceglierne una come «vera» e come canone di giudizio; tornano anche i vari modi dell’argomentare scettico, secondo gli insegnamenti di Sesto Empirico e di Cicerone, cui non sfuggono neppure le più consolidate e autorevoli prove dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima, mentre si profilano una concezione del comportamento e un ideale di vita «scettico» in cui la morale viene distaccata dalla religione e trova la sua norma nell’equilibrio del saggio che ha rifiutato ogni posizione dogmatica. In questa pro- spettiva, che apre la via alle indagini di Bayle e Fontenelle, si colloca anche un’altra celebre opera di La M.: De la vertu des païens (1642). Di questo scetticismo si sono proposte varie interpretazioni, che dipendono dal significato dato al termine stesso, e sono stati anche messi in evidenza gli esiti fideistici, fino a volerlo ricondurre nell’ambito di uno ‘scetticismo cristiano’ e per la verità non mancano precise suggestioni in questo senso nei libri di La M. (per es., Discours chrétien de l’immortalité de l’âme, 1637; Discours pour montrer que les donnés de la philosophie sceptique sont d’un grand usage dans les sciences, 1668; Du peu de certitude qu’il y a dans l’histoire, 1688, trad. it. Della poca certezza che c’è nella storia). Resta una fondamentale ambiguità nell’atteggiamento di La M., comune a gran parte degli ‘scettici’ e dei libertini eruditi della prima metà del seicento francese: la critica scettica svolta nelle opere di La M. può anche avere esiti fideistici, ma il suo significato maggiore sta nell’erosione di ogni criterio di verità dogmaticamente assunto e nell’insistenza posta sul limite umano della ragione sentito come positività proprio nel momento in cui si rinunciava a una fondazione razionale di ogni assoluto. La M. affrontò anche la questione della lingua criticando C.F. Vaugelas e i puristi (Considérations sur l’éloquence françoise de ce temps, 1637).