La motivazione nell'annullamento d'ufficio
Nel dirimere un contrasto da tempo emerso in giurisprudenza, la decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2017 afferma il principio secondo cui la motivazione dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio deve dare conto di una valutazione comparativa tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e l’interesse privato al mantenimento del provvedimento. Nell’affermare il principio, la sentenza prefigura, tuttavia, un’attenuazione dell’onere motivazionale nelle ipotesi in cui sia in gioco la tutela di preminenti valori pubblici di carattere “autoevidente” e nei casi in cui il privato abbia fornito una falsa rappresentazione della realtà. La decisione si occupa anche del termine “ragionevole” entro cui disporre l’annullamento, individuandone il dies a quo nel momento in cui l’amministrazione viene concretamente a conoscenza del vizio.
Con la decisione 17.10.2017, n. 8, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sul quesito di diritto posto nei seguenti termini dall’ordinanza di rimessione: «se, nella vigenza dell’art. 21 nonies, come introdotto dalla l. n. 15 del 2005, l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivato in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo».
Originata da un contrasto emerso nella giurisprudenza amministrativa, la questione riguarda l’esatta consistenza dell’onere motivazionale gravante sull’amministrazione nel disporre l’annullamento di una concessione edilizia rilasciata molti anni prima. In particolare, il quesito richiede di verificare se sia sufficiente una motivazione in re ipsa, esclusivamente basata sull’esigenza di ripristinare la legalità violata, o se invece sia necessaria una più ampia motivazione che dia conto anche dell’interesse privato e dell’affidamento ingenerato dal provvedimento originario. Si tratta di una questione di estrema rilevanza per le sue dirette implicazioni sui presupposti generali dell’annullamento d’ufficio, la quale, sebbene posta con specifico riferimento alla pregressa disciplina, conserva interesse e attualità anche nel vigente quadro normativo1. Si può anticipare subito che la decisione ha l’indubbio merito di confutare l’orientamento sulla motivazione in re ipsa, riaffermando la necessità, in linea con la disciplina positiva e i principi generali sull’autotutela, di una motivata valutazione comparativa tra interesse pubblico all’annullamento e interesse privato al mantenimento dell’atto. Senonché, la concreta portata del principio così enunciato risulta in parte attenuata da alcune significative limitazioni poste dalla stessa decisione, che rivelano un percorso argomentativo non sempre persuasivo e condivisibile.
Prima d’illustrare le soluzioni offerte dalla Plenaria, è necessario inquadrare la questione nel suo esatto contesto di riferimento, soffermandosi in particolare sul contrasto emerso nella giurisprudenza amministrativa e sulla disciplina generale dell’annullamento d’ufficio.
L’intervento della Plenaria origina da un contrasto giurisprudenziale sull’esatta consistenza dell’onere motivazionale richiesto per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’articolo 21 nonies della l. 7.8.1990, n. 2412. Il contrasto è maturato con specifico riferimento alle concessioni edilizie, sebbene la materia edilizia non rappresenti l’esclusivo campo d’elezione per le fattispecie di cd. annullamento doveroso3. Secondo un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di un’illegittima concessione edilizia sarebbe giustificato in re ipsa dall’esigenza di ripristinare la legalità violata, senza necessità di considerare l’affidamento medio tempore maturato nel destinatario dell’atto annullato4. Più esattamente, la situazione contra legem determinata dal rilascio della concessione farebbe sorgere in capo all’amministrazione un «potere dovere di annullare in ogni tempo la concessione illegittimamente rilasciata» al solo fine di ripristinare il rispetto della disciplina urbanistica5. La motivazione verrebbe così interamente ad esaurirsi nell’esigenza di ripristinare l’ordine giuridico, sollevando l’amministrazione dall’onere di dimostrare la concreta prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse del privato al mantenimento dell’atto. Sebbene non espliciti chiaramente il suo fondamento giuridico, l’esaminato orientamento lascia presupporre un’assoluta preminenza degli interessi pubblici sottesi alla disciplina urbanistico-edilizia, tale da eliminare qualsiasi rilevanza all’interesse del privato e all’affidamento ingenerato dal provvedimento annullato. A prescindere da come la si voglia giustificare, si tratta di una posizione difficilmente conciliabile con la disciplina positiva dell’annullamento d’ufficio, considerato che l’articolo 21 nonies della l. n. 241 del 1990 prescrive espressamente di tenere in adeguata considerazione proprio l’«interesse dei destinatari» del provvedimento annullato6. Si deve ancora aggiungere che, nell’ambito dell’orientamento in questione, alcune pronunce tendono comunque a circoscrivere la dequotazione dell’onere motivazionale alle ipotesi in cui il privato abbia fornito un’erronea rappresentazione della realtà, tale da fuorviare l’amministrazione inducendola a rilasciare illegittimamente il titolo edilizio. In questi casi la falsa rappresentazione impedirebbe di configurare una posizione di affidamento e l’amministrazione sarebbe autorizzata a disporre l’annullamento richiamando il solo interesse pubblico al ripristino della legalità, senza necessità di alcuna comparazione con l’interesse privato7. Soltanto raramente la giurisprudenza si preoccupa di distinguere le ipotesi in cui la falsa rappresentazione dipende da negligenza e malafede da quelle in cui non è imputabile a colpa o dolo del richiedente8. Il più delle volte l’inconfigurabilità dell’affidamento è affermata in via assoluta e generale a prescindere da una concreta indagine sulle cause effettive della falsa rappresentazione. Un secondo orientamento afferma invece che, nell’esercizio del potere di annullamento, l’amministrazione debba sempre effettuare una congrua valutazione degli interessi in conflitto, con particolare riferimento all’interesse privato al mantenimento dell’atto. In quest’ottica, l’interesse all’annullamento non potrebbe mai essere identificato nella mera esigenza di ripristinare la legalità, dovendo l’amministrazione pur sempre individuare le ragioni d’interesse pubblico che, nella comparazione tra i vari interessi in gioco, giustifichino la rimozione del provvedimento illegittimo9. Secondo alcune più recenti pronunce, l’onere motivazionale dovrebbe intendersi “aggravato” proprio a causa dell’efficacia istantanea dell’atto ovvero della sua idoneità a produrre «effetti autorizzatori destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto permissivo»10. Oltre a rivelarsi maggiormente in linea con la disciplina positiva e i principi generali in materia di autotutela, l’orientamento in esame arresta sul nascere la possibile ipostatizzazione dell’interesse pubblico nella norma violata, ribadendo il concetto essenziale per cui l’interesse pubblico deve essere concretamente identificato a posteriori dopo l’acquisizione dei fatti e l’apprezzamento degli interessi in gioco.
Sebbene sia principalmente maturato con riferimento alla pregressa disciplina, il contrasto giurisprudenziale resta attuale e d’interesse anche nel vigente quadro normativo del quale è opportuno dare sinteticamente conto11.
Nel confermare la previsione che richiede di tenere in adeguata considerazione «gli interessi dei destinatari e dei controinteressati», la nuova formulazione dell’articolo 21 nonies prevede, come noto, un limite massimo di diciotto mesi entro cui disporre l’annullamento, applicabile specificamente ai provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. Secondo l’interpretazione più accreditata, il limite dei diciotto mesi non eliminerebbe comunque il «termine ragionevole» già previsto dalla pregressa disciplina, così che l’annullamento dovrebbe pur sempre essere disposto entro «un termine ragionevole» nel limite massimo dei diciotto mesi12. Quanto alla decorrenza del termine, la nuova disciplina ne individua il dies a quo nel momento di adozione del provvedimento originario, colmando una lacuna della precedente normativa che sul punto non recava espresse indicazioni. Ulteriori novità riguardano la possibilità di disporre l’annullamento d’ufficio oltre il limite massimo dei diciotto mesi, nei casi in cui il provvedimento originario sia stato conseguito sulla base di «false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci» che integrino delle «condotte costituenti reato, accertate con sentenza penale passata in giudicato». La ratio della previsione è, da un lato, quella di impedire che si consolidino provvedimenti conseguenza di condotte penalmente rilevanti; dall’altro, di consentire l’annullamento oltre il limite temporale soltanto in presenza di un accertamento giurisdizionale passato in giudicato, escludendo così che l’autotutela possa risultare giustificata dalla mera pendenza di un processo penale ovvero dalla semplice apertura di un’indagine13. Resta non perfettamente chiarito se la condizione del passaggio in giudicato valga solo per le autodichiarazioni previste dal d.P.R. n. 445 del 2000 o sia applicabile anche alle rappresentazioni contenute in atti diversi dalle autocertificazioni. Al momento, giurisprudenza e dottrina sono sostanzialmente concordi nell’applicare la condizione soltanto alle prime, ritenendo possibile che, al cospetto di rappresentazioni non consacrate in autocertificazioni, l’amministrazione disponga l’annullamento oltre il limite anche in assenza di un accertamento giurisdizionale passato in giudicato14. Come emerge da questa rapida sintesi, la nuova disciplina non intacca e non supera la questione sottoposta alla Plenaria, dal momento che nessuna delle nuove previsioni è realmente innovativa sotto il profilo dell’onere motivazionale e della rilevanza dell’affidamento. Al di là del limite dei diciotto mesi e delle relative deroghe, l’innovatività riguarda soltanto la prevista decorrenza del termine dal momento di adozione del provvedimento originario.
La decisione della Plenaria presenta un percorso argomentativo alquanto ricco e articolato del quale in questa sede si possono illustrare soltanto i passaggi più rilevanti15. La sentenza afferma anzitutto che l’annullamento di un titolo edilizio deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un «interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro, tenuto conto degli interessi dei privati destinatari», escludendo, come invece ritenuto da uno dei contrapposti orientamenti, che la motivazione possa esaurirsi nel mero richiamo al ripristino della legalità violata. Secondo la pronuncia, una motivazione in re ipsa sarebbe infatti incompatibile con i principi generali in tema di annullamento d’ufficio, pacificamente applicabili anche ai provvedimenti concessori in materia edilizia, attualmente codificati nell’art. 21 nonies, l. n. 241/1990 che richiede testualmente di tenere in considerazione (anche) gli interessi dei destinatari dell’atto originariamente adottato. Più esattamente, la sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto non potrebbe comportare la pretermissione di ogni altra circostanza rilevante, come appunto gli interessi privati contemplati dall’art. 21 nonies, dovendo pur sempre l’amministrazione effettuare una motivata valutazione tra i vari interessi in gioco. La sentenza precisa ancora che la teoria della motivazione in re ipsa sarebbe comunque inaccettabile, nella misura in cui di fatto finisce per trasformare in vincolato un potere che tanto la legge quanto il consolidato orientamento giurisprudenziale configurano come tipico potere discrezionale. Con specifico riferimento al fattore temporale, la decisione sottolinea che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo non incide affatto sul potere di annullare in autotutela il provvedimento illegittimo, ma onera soltanto l’amministrazione del compito di «valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora ad un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale». Quanto al «termine ragionevole» entro cui disporre l’annullamento, la pronuncia sottolinea anzitutto che la locuzione «termine ragionevole» di cui all’art. 21 nonies richiama «un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie», precisando successivamente che la nozione di «ragionevolezza» deve ritenersi comunque strettamente correlata a quella di «esigibilità in capo all’amministrazione». La concreta conseguenza di tale correlazione è che il termine in questione verrebbe a decorrere «soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto» ovvero, nei casi in cui il titolo abilitativo sia stato rilasciato sulla base di dichiarazioni non veritiere, «solo dal momento in cui l’amministrazione ha appreso della richiamata non veridicità»16. Senonché, dopo avere enunciato la necessità di una motivazione che dia conto della comparazione tra interesse pubblico e interesse privato, la stessa decisione mitiga il principio così affermato prefigurando la possibile attenuazione dell’onere motivazionale «in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati», in particolare laddove venga in rilievo la tutela di «preminenti valori pubblici di carattere – per così dire – autoevidente» tra cui «il complesso di interessi e valori sottesi alla disciplina edilizia e urbanistica»17. In questi casi – precisa la pronuncia – l’onere motivazionale «potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e al rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate».
Conclusivamente, la sentenza esclude la configurabilità dell’affidamento in presenza di una erronea e non veritiera rappresentazione del privato, precisando che in questi casi l’onere motivazionale è soddisfatto dal «richiamo alla non veritiera prospettazione di parte».
Sebbene abbia il merito di (ri)affermare la necessità di una motivata valutazione comparativa tra i diversi interessi in gioco, la sentenza pone alcune limitazioni alla concreta operatività del principio enunciato non pienamente persuasive e condivisibili. In particolare, gli aspetti di criticità che meritano di essere approfonditi riguardano la dequotazione dell’onere motivazionale in presenza di «valori pubblici autoevidenti»; la decorrenza del termine dalla scoperta del vizio; la generale inconfigurabilità dell’affidamento a fronte di rappresentazioni non veritiere.
La sentenza è senz’altro condivisibile nella parte in cui, nel confutare l’orientamento sulla motivazione in re ipsa, afferma la necessità di una motivazione che dia effettivamente conto della comparazione tra i diversi interessi in gioco, con particolare riferimento all’affidamento maturato nel privato. La conclusione è perfettamente in linea con i principi generali in materia di autotutela e la disciplina positiva dell’annullamento d’ufficio che, come più volte osservato, richiede espressamente di tenere conto degli «interessi dei destinatari e dei controinteressati». Da un punto di vista sistematico, la soluzione offerta riconduce correttamente l’annullamento d’ufficio nell’ambito di una funzione di amministrazione attiva, come tale presidiata dalla regola della comparazione degli interessi, confermando che l’interesse pubblico da perseguire non è quello ipostatizzato nella norma, ma quello concretamente identificato a posteriori dopo l’acquisizione dei fatti e l’apprezzamento degli interessi. Al contempo, garantisce il rispetto del generale obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi seriamente compromesso dall’orientamento sulla motivazione in re ipsa18. Dove invece la decisione non è pienamente condivisibile è quando, dopo avere affermato il principio generale, ne mitiga significativamente la portata prefigurando l’attenuazione dell’onere motivazionale per le ipotesi in cui venga in rilievo la tutela di «preminenti valori pubblici di carattere autoevidente» tra cui proprio «il complesso di interessi e valori sottesi alla disciplina edilizia e urbanistica». Al ricorrere di queste ipotesi – lo si è già precisato – la sentenza ritiene che l’onere motivazionale sia adeguatamente soddisfatto dal mero richiamo alle «pertinenti circostanze in fatto» e alle «disposizioni di tutela in concreto violate», pur in assenza di una specifica considerazione dell’interesse privato e del relativo affidamento. Al di là dell’estrema genericità e impalpabilità del concetto di valore/interesse «autoevidente» – tale da impedire persino l’esatta individuazione degli interessi cui fare riferimento – l’assunto è in contraddizione con le stesse premesse della decisione e finisce sostanzialmente per riproporre l’avversato orientamento sulla motivazione in re ipsa. Se infatti è sufficiente richiamare le «pertinenti circostanze di fatto» e le «disposizioni di tutela in concreto violate», la motivazione è destinata ad esaurirsi nella semplice invocazione degli interessi sottesi alla disciplina violata, in contrasto con quanto affermato dalla sentenza sulla necessità di una motivata valutazione comparativa tra i diversi interessi in gioco. Ad ogni modo l’affermata dequotazione dell’onere motivazionale contrasta palesemente con l’art. 21 nonies, l. n. 241/1990, in quanto la norma non prevede nessuna disciplina differenziata in funzione della diversa natura e/o rilevanza degli interessi pubblici, richiedendo sempre e comunque lo stesso onere motivazionale senza possibilità di nessuna gradazione o attenuazione. Non è del resto un caso che, quando il legislatore ha voluto assoggettare determinati interessi ad una specifica e differenziata disciplina procedimentale, lo ha previsto espressamente. Si pensi, ad esempio, all’articolo 20, l. n. 241/1990 che sottrae alcuni interessi sensibili al regime semplificato del silenzio assenso, oppure all’art. 17 della stessa legge sul procedimento che sottrae al regime ordinario le valutazioni tecniche relative ad interessi paesaggistico-ambientali. Nel riconoscere ai non meglio precisati interessi «autoevidenti» un regime motivazionale attenuato rispetto a quello applicabile alla generalità dei casi, la decisione sembra pertanto superare i limiti dell’interpretazione normativa e creare di fatto una nuova norma estranea al contenuto prescrittivo dell’art. 21 nonies.
Un ulteriore aspetto di criticità riguarda la decorrenza del termine «ragionevole» a partire dal momento in cui l’amministrazione sia venuta concretamente a conoscenza dei profili d’illegittimità dell’atto. L’identificazione del dies a quo con il momento di scoperta del vizio costituisce invero un elemento di novità che non trova puntuali riscontri giurisprudenziali e normativi. Nelle rare volte in cui se ne è occupata19, la giurisprudenza ha infatti individuato il dies a quo nel momento di adozione del provvedimento di primo grado e non in quello della scoperta del vizio20, senza peraltro fornire al riguardo particolari giustificazioni, come se fosse scontato che il termine per annullare un determinato provvedimento decorra necessariamente dalla sua adozione. La rarità della casistica conferma che la questione non è avvertita in termini problematici. Sul piano prettamente normativo, la soluzione offerta contrasta con l’attuale disciplina dell’annullamento d’ufficio che, come già sottolineato, identifica testualmente il dies a quo nel momento di adozione dell’originario provvedimento. Vero è che la vicenda sottoposta alla Plenaria è assoggettata alla previgente disciplina, ma è pur vero che la stessa giurisprudenza riconosce pacificamente alla nuova disciplina una valenza interpretativa della vecchia, specialmente laddove ciò sia utile per colmare eventuali lacune21. Poiché nella pregressa disciplina manca un’espressa individuazione del dies a quo, non è da escludere che, anche per fattispecie regolate dalla previgente normativa, il termine ragionevole possa farsi decorrere dall’adozione del provvedimento originario. In tal senso induce peraltro l’art. 1, co. 136, della l. n. 311 del 2004, già abrogato dalla l. n. 124 del 2015, il quale, nel prevedere una fattispecie di annullamento doveroso finalizzata al conseguimento di risparmi e minori oneri finanziari, prevede espressamente che l’annullamento non «può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento». A conclusioni diverse, ma pur sempre incompatibili con la soluzione offerta dalla Plenaria, si giunge incentrando il ragionamento sul concetto di “esigibilità” espressamente richiamato dalla sentenza. Se infatti l’esigibilità si concretizza quando l’amministrazione è astrattamente in grado di riscontrare i presupposti che giustificano l’annullamento, il termine dovrebbe coerentemente decorrere dal momento in cui l’amministrazione sia entrata nella disponibilità di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per valutare la sussistenza dei suddetti presupposti22. Se così non fosse, la ragionevolezza del termine risulterebbe correlata ad un evento meramente eventuale ed incerto, nell’esclusiva disponibilità dell’amministrazione, con la conseguenza che il privato sarebbe di fatto esposto sine die ad un potere di autotutela non prevedibile né predeterminabile nel suo esercizio, in aperto contrasto con i principi di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche. Potrebbe infatti accadere che, pur avendo la disponibilità di tutti gli elementi, l’amministrazione non effettui le verifiche preliminari all’annullamento, con l’effetto d’impedire la decorrenza del termine fino al momento incerto ed eventuale in cui il vizio verrà concretamente riscontrato. Per contro, l’identificazione del dies a quo nel momento di completa disponibilità degli elementi necessari ancorerebbe l’esercizio del potere di autotutela ad un momento certo e determinabile, nel rispetto dei principi di certezza e stabilità delle situazioni giuridiche. Né a giustificare le conclusioni della Plenaria varrebbe il nuovo co. 2-bis dell’articolo 21 nonies a tal fine richiamato dalla sentenza. La norma si limita infatti a stabilire una deroga al limite dei diciotto mesi per le ipotesi in cui l’erronea rappresentazione integri una condotta penalmente rilevante, definitivamente accertata con sentenza passata in giudicato, ma lascia pur sempre immutata la “ragionevolezza” del termine entro cui procedere all’annullamento, senza pertanto offrire né soluzioni innovative né conferme alla soluzione adottata dalla Plenaria23.
Nell’escludere l’affidamento al cospetto di una «non veritiera rappresentazione delle circostanze in fatto e in diritto», la sentenza si pone in linea con il prevalente orientamento secondo cui l’erronea rappresentazione della realtà rende l’affidamento «non meritevole di tutela e sicuramente recessivo di fronte all’interesse pubblico al ripristino della situazione edilizia regolarmente assentita». Per tale orientamento, la diretta conseguenza di un affidamento inesistente o immeritevole è che l’annullamento della concessione «non necessita di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica»24. Senonché, tanto l’orientamento in esame quanto la decisione della Plenaria omettono completamente di distinguere o differenziare la varietà di ipotesi che possono accompagnare una rappresentazione dei fatti non veritiera, come se tutte le rappresentazioni non veritiere risultassero sempre imputabili a negligenza e/o malafede del privato e non esistessero casi in cui la falsa rappresentazione prescinda da un comportamento scorretto e negligente. Tra questi ultimi casi non rientrano ovviamente le ipotesi in cui la falsa rappresentazione integra una condotta penalmente rilevante e definitivamente accertata, poiché in tali ipotesi il disvalore della condotta è assoluto e incontestabile25. Muovendo da una diversa impostazione, sarebbe pertanto auspicabile che la dequotazione dell’affidamento risultasse circoscritta alle sole ipotesi in cui la rappresentazione non veritiera riguardi fatti in relazione ai quali non residuino spazi di opinabilità26. In tali casi di falsità oggettiva l’affidamento risulta effettivamente eliso per effetto del comportamento negligente, ed è ragionevole che un affidamento inesistente o immeritevole non abbia nessun ruolo nella scelta di procedere o meno all’annullamento. All’opposto sono le ipotesi in cui l’erronea rappresentazione dipende da un’incertezza interpretativa della normativa o da fattori che rendono oggettivamente difficile rappresentare la situazione di fatto. Si pensi, ad esempio, al caso in cui venga dichiarata una determinata volumetria in base ad un’oscura normativa che non dà certezze sulle modalità attraverso cui effettuare i calcoli volumetrici. Oppure all’ipotesi in cui la vetustà dell’immobile o l’assenza di precedenti misurazioni renda oggettivamente incerta e difficile l’esatta quotazione delle altezze27. O, ancora, all’asseverazione di un determinato intervento in termini di ristrutturazione edilizia, in presenza di un contrastante orientamento proprio sull’esatta definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia. In tutti questi casi, un’ipotetica erronea rappresentazione non può essere ascritta a malafede o negligenza (dolo o colpa), proprio in quanto strettamente connessa alla situazione d’incertezza che caratterizza il contenuto della dichiarazione. La diretta conseguenza è che l’affidamento è giuridicamente configurabile e come tale deve essere preso in considerazione. Al di là dei segnalati aspetti di criticità, la sentenza costituisce pertanto l’occasione per avviare una più approfondita riflessione sull’effettiva rilevanza, ai fini dell’esatta configurabilità dell’affidamento, dell’elemento psicologico che in termini di colpa o dolo assiste le dichiarazioni rese dal privato. In quest’ottica, al pari di quanto ad esempio accade nell’ambito delle sanzioni amministrative, l’amministrazione procedente dovrebbe, tuttavia, essere onerata di un potere di concreta verifica sull’elemento soggettivo, quantomeno nelle ipotesi in cui il disvalore della condotta non risulti già compiutamente accertato dall’autorità giudiziaria. Poiché allo stato un siffatto potere non è specificamente previsto, uno dei primi aspetti da indagare nella direzione indicata potrebbe essere questo.
1 Come noto, l’art. 21 nonies, l. 7.8.1990, n. 241 è stato recentemente modificato dall’art. 6, l. 7.8.2015, n. 124.
2 Sul contrasto giurisprudenziale e le sue implicazioni, sia consentito rinviare a Zampetti E., Motivazione in re ipsa e autotutela decisoria, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 245; Id., Note critiche in tema di affidamento e motivazione in re ipsa nell’annullamento d’ufficio, in Riv. Giur. Edil., 2015, 5.
3 Nell’espressione annullamento doveroso sono ricomprese le fattispecie in cui l’annullamento d’ufficio risulta giustificato in re ipsa per la presunta preminenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine giuridico violato. Ipotesi di annullamento doveroso sono frequenti nella materia del pubblico impiego, nei casi di illegittimo inquadramento. (Cons. St., III, 20.6.2012 n. 3603; Cons. St., III, 20.6.2012 n. 3625; Cons. St., III, 15.4.2013 n. 2022). Altre ipotesi riguardano l’annullamento di finanziamenti illegittimamente concessi (Cons, St., III, 4.6.2012 n. 3290). Sul tema generale dell’annullamento doveroso, Tuccillo, S., Autotutela: potere doveroso?, in Federalismi.it, 10.8.2016; Id., Contributo alla studio della funzione amministrativa come dovere, Napoli, 16/2016; Posteraro. N., Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e dalla Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), in Federalismi.it, 20/2017.
4 Cons. St., V, 27.8.2012, n. 4619; Cons. St., V, 8.11.2012, n. 5691; Cons. St., VI, 14.4.2015, n. 1915; Cons. St., IV, 28.6.2016 n. 2885; TAR Sardegna, Cagliari, II, 29.5.2014, n. 386.
5 Cons. St., IV, n. 2885/2016.
6 Nella sua attuale formulazione a seguito delle modifiche appostate dalla l. n. 124/2015, l’art. 21 nonies, l. n. 241/1990 prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo «può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 2, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge». Pur non contemplando il limite massimo dei diciotto mesi, la previgente formulazione prescrive anch’essa di tenere conto «degli interessi dei destinatari e dei controinteressati».
7 Cons. St., V, 30.7.2012 n. 4300; Cons. St., V, 8.11.2012 n. 5691; Cons. St., IV, 21.8.2016 n. 3660.
8 Si veda, ad esempio, TAR Veneto, Venezia, II, 30.9.2010 n. 5242, secondo cui la vetustà dell’immobile può giustificare l’erronea rappresentazione dell’altezza del fabbricato, senza necessariamente precludere la configurabilità di una posizione di legittimo affidamento.
9 Cons. St., IV, 15.2.2013, n. 915; Cons. St., VI, 14.11.2014 n. 5609; Cons. St., VI, 29.1.2016, n. 351; Cons. St., 27.1.2017, n. 341; TAR Liguria, Genova, I, 25.6.2014, n. 1013.
10 Cons. St., n. 341/2017, cit., secondo cui la consistenza dell’onere motivazionale «deve intendersi aggravata dall’efficacia istantanea dell’atto, e, cioè, della sua idoneità a produrre effetti autorizzatori destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto permissivo, assumendo, in tale fattispecie, nel giudizio comparativo degli interessi confliggenti, maggiore rilevanza quello dei privati destinatari dell’atto ampliativo e minore pregnanza quello pubblico all’elisione di effetti già prodotti in via definitiva e non suscettibili di aggravamento».
11 Sulla nuova disciplina dell’annullamento d’ufficio, si veda in particolare Lipari, M., La Scia e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi, in Federalismi.it, 20/2015; Sandulli, M.A., Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015 n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.ci.a., silenzio-assenso e autotutela, in Federalismi.it, 17/2015; Id., Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi, in Federalismi.it, 14/2015; Id., Autotutela, in Libro dell’Anno 2016, Roma, 2017, 177 ss.; Francario, F., Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Federalismi.it, 20/2015; Id., Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 8/2017; Costantino, F., L’annullamento d’ufficio del provvedimento, in Romano, A., a cura di, L’azione amministrativa, Torino, 2016, 869 ss.; Deodato, C., L’annullamento d’ufficio, in Sandulli M.A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 1173 ss.
12 Sul punto, si veda Lipari, M., La Scia e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi, cit., 15, secondo il quale «sembra corretta l’interpretazione secondo cui il termine di diciotto mesi è quello massimo insuperabile, ma non si può escludere che, in concreto, alla luce delle circostanze della singola fattispecie il termine ragionevole possa essere ritenuto ancora più breve». Lo stesso A. precisa tuttavia che «è probabile, però, che in una prospettiva di semplificazione e omogeneità interpretativa, la giurisprudenza tenderà generalmente a considerare sempre legittimi gli annullamenti d’ufficio disposti entro tale termine».
13 Sandulli, M.A., Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015 n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.ci.a., silenzioassenso e autotutela, cit., 9, che sottolinea come la di sposizione «dovrebbe risolvere il delicato tema dei rapporti di pregiudizialità tra giudizi penali e giudizi amministrativi, ostando alla giustificazione dell’intervento in autotutela sulla base della mera apertura di indagini penali e alla possibilità di opporre al giudice amministrativo eventualmente adito avverso i provvedimenti di annullamento d’ufficio dei titoli de quibus la mera pendenza di un processo penale»; Id., Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi, cit.
14 Caponigro, R., Il potere amministrativo di autotutela, in www.giustiziaamministrativa.it, 27.10.2017, il quale ritiene che la condizione del passaggio in giudicato non sia applicabile alle false rappresentazioni non consacrate in dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’amministrazione potrebbe disporre l’annullamento anche oltre il termine di diciotto mesi. In giurisprudenza, si veda in particolare TAR Lazio, Roma, II bis, 7.3.17, n. 3215.
15 Per un primo commento alla decisione si veda Posteraro, N., Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e dalla Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), cit., 23; Caponigro, R., Il potere amministrativo di autotutela, cit.
16 Per la sentenza, la conclusione sarebbe oltretutto coerente con il nuovo co. 2-bis dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990.
17 Come esempio, la sentenza riporta il caso di un titolo edilizio illegittimamente rilasciato in area interessata da vincolo di in edificabilità assoluta o caratterizzata da grave rischio sismico.
18 Per un esaustivo approfondimento delle implicazioni correlate al generale obbligo di motivazione si veda Cardarelli, F., La motivazione del provvedimento, in Sandulli, M.A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 378 ss.
19 Più spesso la giurisprudenza si è occupata del dies ad quem del termine, demandandone all’interprete la concreta individuazione in funzione «del grado di complessità degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento» (TAR Abruzzo, L’Aquila, I, 13.2.2017 n. 86; TAR Campania, Napoli, I, 9.10.2013 n. 4529; TAR Puglia, Bari, III, 13.1.2012 n. 184; Cons. St., VI, 27.2.2012 n. 1081).
20 Cons. St.,VI, n. 351/2016, secondo cui il carattere ragionevole del termine richiede di parametrarne la durata «in relazione al tempo trascorso fra il momento dell’adozione del provvedimento originario e quello dell’adozione dell’atto di auto annullamento». In dottrina, si veda Costantino, F., L’annullamento d’ufficio, cit., secondo cui il termine dovrebbe decorrere «dal momento dell’adozione del provvedimento e non dell’accertamento dell’illegittimità».
21 Cons. St., VI, n. 341/2017: «per quanto l’anzidetta cogente regola non possa applicarsi a provvedimenti di autotutela perfezionatisi prima dell’entrata in vigore dell’intervento normativo che l’ha introdotta, non può trascurasi la valenza della presupposta scelta legislativa, in occasione dell’esegesi e dell’applicazione della norma, nella sua formulazione previgente»; Cons. St., VI, 10.12.2015, n. 5625.
22 In tal senso Posteraro, N., Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa, cit., 23.
23 Posteraro, N., Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa, cit., 23.
24 Cons. St., V, 8.11.2012, n. 5691.
25 Cfr. articolo 21 nonies, co. 2-bis, l. n. 241 del 1990.
26 Sul punto si vedano le considerazioni di Posteraro N., Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa, cit., 23.
27 È, ad esempio, il caso trattato in TAR Veneto, Venezia, II, n. 45242/2010.