La musica dell'antico Egitto
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’antico Egitto la musica ha un’importanza fondamentale sia nella vita pubblica che nell’ambito delle cerimonie religiose. Gli Egiziani adorano il canto e utilizzano una grande varietà di strumenti musicali. Attraverso testi letterari, raffigurazioni e reperti materiali di strumenti è possibile perlomeno intravedere uno squarcio di questa antica cultura musicale, anche se non sopravvive alcuna notazione di brano musicale.
L’antico Egitto è oggi conosciuto per la magnificenza della sua architettura monumentale e per lo splendore della sua scultura e pittura. Un’altra forma d’arte, un tempo parte integrante di questa antica e raffinata cultura ma oggigiorno sconosciuta – se si escludono gli studiosi del settore – è la sua musica. La ragione di ciò sta certamente nel fatto che i suoni sono di per sé qualcosa di non permanente. Tuttavia, grazie agli sforzi congiunti di egittologia e archeologia musicale, è comunque possibile esplorare almeno una parte di questo tesoro perduto. L’antico Egitto è infatti un candidato perfetto per l’archeologia musicale, in quanto esso presenta tutti i tipi di testimonianze di cui essa può usufruire – fonti letterarie che descrivono sia la musica che i suoi contesti d’uso o che addirittura preservano i testi dei canti, raffigurazioni di musicisti all’opera e anche veri e propri reperti di strumenti musicali, talvolta straordinariamente ben conservati.
Da tutto questo è possibile arguire che la musica gioca un ruolo importante in tutta la storia del paese, dal periodo predinastico in poi.
Già intorno al tardo IV millennio a.C. troviamo una famosa incisione su una tavolozza d’ardesia (da Ieraconpoli) usata per polverizzare i minerali per il trucco degli occhi, la quale mostra un branco di vari animali tra cui spicca uno sciacallo che suona un flauto obliquo (nay). Poiché esso sta in piedi sulle sue zampe posteriori e impugna lo strumento con quelle anteriori, mentre tutte le altre figure sono rappresentate come semplici animali, abitualmente si suppone che tale animale sia in realtà un uomo mascherato da sciacallo. Ad ogni modo questa è la prima raffigurazione chiaramente riconoscibile di un musicista nell’arte egizia, sebbene vi siano ceramiche più antiche che sembrano mostrare donne che danzano ed applaudono. Per questa fase arcaica, esiste anche un sonaglio d’argilla dipinto.
I cosiddetti Testi delle Piramidi, attestati a partire dal 2350 a.C. in avanti, ma sicuramente molto più arcaici, sono i testi religiosi più antichi a noi conservati. Se non è chiaro in che modo venissero eseguiti, in alcune formule rituali essi descrivono forme musicali piuttosto antiche. Vi si afferma che certi esseri divini si percuotono braccia e cosce, e pestano i loro piedi in una danza ritmica in onore del re defunto. Anche altri testi molto più recenti nominano strumenti a percussione in contesti rituali simili a questi.
Nell’Antico Regno (metà del III millennio a.C.), la maggior parte degli strumenti classici dell’antico Egitto sono già perfettamente attestati. Quasi tutte le loro raffigurazioni provengono da tombe private, e questo semplicemente perché esse si sono preservate meglio rispetto ai templi dello stesso periodo. Le immagini solitamente mostrano un’orchestra che comprende almeno un’arpista, un suonatore di nay e, talvolta, altri esecutori. Di solito l’arpista è anche cantante. Ogni orchestra mostra, a mo’ di direttore, uno o più chironomisti che compiono alcuni gesti con le mani e le dita. Nonostante i tentativi di alcuni studiosi di capire il funzionamento del sistema chironomico (talvolta arrivando addirittura a trascrivere i loro movimenti in notazione moderna!), è stato chiaramente dimostrato che non vi è modo di accertare nessuna di queste interpretazioni.
L’orchestra accompagna sempre una scena in cui il proprietario della tomba e sua moglie sono alla tavola delle offerte: di qui si è ipotizzato che anche i vivi apprezzassero la musica eseguita durante i banchetti. Dai testi sappiamo che lo stesso sovrano e individui di alto rango ricorrono spesso alle prestazioni di musicisti, i quali possono essi stessi ricoprire una elevata posizione sociale, soprattutto se assunti dalla corte reale. Uno di questi musicisti di corte è addirittura ritratto sulla sua tomba da una statua che lo rappresenta mentre suona il suo lungo nay.
Nelle cerimonie reali sono rappresentati anche strumenti non attestati nelle orchestre private. Una scena importante a questo riguardo proviene da un tempio del re Niuserra ad Abusir. Il frammento conservato mostra un uomo che suona un ampio tamburo a cornice rotondo. Ancora testimonianze più tarde, parallele a quest’immagine, relative al giubileo reale mostrano lo stesso tipo di tamburo conservato in maniera notevolmente migliore.
Dopo la fine dell’Antico Regno e, a seguire, il Primo Periodo Intermedio, nel Medio Regno (circa 2000-1700 a.C.) gli strumenti rimangono più o meno gli stessi che nell’Antico Regno. Tuttavia non vi sono più, come nella fase precedente, molte tombe con rilievi parietali e pitture, ma in alcune di esse troviamo invece modelli tridimensionali di scene di vita quotidiana che, talora, includono anche musicisti. Queste figurine sono particolarmente interessanti in quanto le convenzioni pittoriche egizie a due dimensioni rendono qualche volta difficile immaginarsi la reale forma degli oggetti.
Uno dei dipinti musicali più interessanti del Medio Regno proviene dalla tomba della madre del visir Antefiqer. Esso mostra un uomo e una donna che suonano ciascuno un’arpa decorata in maniera leggermente diversa: gli strumenti sono dipinti con grande accuratezza. Sul muro, accanto ad essi, i testi del canto sono annotati in scrittura corsiva, come su un papiro. I musicisti sono qualificati ciascuno con il proprio titolo, nome e affiliazione. Apparentemente, essi sono membri regolari dell’entourage del visir.
A questo periodo si può datare anche una raffigurazione di nomadi semitici che include un suonatore di lira. Questa è la prima raffigurazione di una lira in Egitto. Documenti ad essa contemporanei attestano che molti asiatici dell’est vivono in questo periodo in Egitto come servi o con molteplici altre funzioni: alcuni di loro lavorano anche nel settore dell’intrattenimento, ad esempio come musicisti o danzatori presso famiglie ricche e, in modo particolare, alla corte reale.
Durante il cosiddetto Secondo Periodo Intermedio, questi immigrati usurpano il potere nella parte più a nord dell’Egitto. Essi sono noti come Hyksos, forma grecizzata di un termine egizio che vuol dire “sovrani dei paesi stranieri”. Non più tardi di questo periodo, la lira e il liuto vengono introdotti in Egitto. Forse ciò era già avvenuto durante il Medio Regno per opera di singoli musicisti, ma fino a questo momento non è testimoniato. Tuttavia, a partire dal tardo Secondo Periodo Intermedio e dall’inizio del Nuovo Regno, questi strumenti nuovi e apparentemente molto alla moda sono ampiamente attestati, sia in affascinanti pitture tombali o altri dipinti che nei ritrovamenti archeologici. A questo periodo (XVIII Dinastia, 1550-1300 a.C. ca.) va ricondotta una grande abbondanza di scene musicali sulle pareti di tombe private, specialmente in scene di grandi banchetti che sostanzialmente continuano i soggetti dell’Antico e Medio Regno. Ma, mentre in quei contesti l’uditorio consisteva unicamente nel proprietario della tomba e la sua consorte, ora viene rappresentata l’intera famiglia, con amici e colleghi, mentre si gode cibo e bevande ascoltando l’orchestra. Qualche volta l’orchestra è mista, altre volte c’è un’orchestra femminile per ospiti femminili e un’orchestra maschile per ospiti maschili. Al di là delle diffusissime scene di banchetto, occasionalmente sono dipinte anche altre scene musicali, anche se ciò avviene più raramente. Durante la XIX Dinastia (intorno al 1300-1190 a.C.), però, il banchetto smette ancora una volta di essere un tema decorativo di ampio utilizzo nelle tombe private e viene soppiantato da scene con tematiche di carattere religioso. Alcune di esse contengono anche raffigurazioni di musica, ma non è poi così comune.
La XVIII e la XIX Dinastia forniscono anche il più ampio spettro di ritrovamenti archeologici di strumenti musicali: liuti, lire, arpe, oboi, trombe, percussioni di varie forme e grandezze e naturalmente sistri e crotali. Molti di questi provengono dalle tombe dei musicisti che originariamente li suonavano e che si può, quindi, presumere li possedessero. Non è questo però il caso di due trombe, databili a questo stesso periodo, provenienti dalla tomba del faraone Tutankhamon, che ovviamente non le avrà suonate di persona. Esse sono state probabilmente collocate nella sua tomba per fornirgli il corredo necessario ad uno stile di vita ultraterrena adatto al suo status.
Strumenti diversi servono ovviamente a scopi diversi. Trombe e grandi tamburi a forma di barile sono strumenti tipicamente militari usati nelle parate reali, ma anche in ampie processioni religiose. Al contrario, gli strumenti a corda sono utilizzati soprattutto durante occasioni più intime, come i banchetti. Tuttavia, durante la processione della Festa di Opet, forse la più importante festa religiosa nella Tebe del Nuovo Regno, file di suonatori di liuto marciano in processione accanto a percussionisti, trombettieri, cantanti e uomini provvisti di sonagli: se a tutto questo aggiungiamo le grida di acclamazione della folla, la festa doveva proprio essere alquanto vivace!
Per alcuni anni, durante la fase più antica della XVIII Dinastia, sono di moda piccoli tamburi a cornice quadrati. In seguito essi scompaiono di nuovo, mentre la tipologia arrotondata diviene popolare sino alla fine del periodo faraonico.
Durante il breve intermezzo del periodo di Amarna, durato appena due decadi, viene introdotto un altro strumento che avrà vita breve, la lira gigante, così grande da dover essere suonata da due musicisti! Inoltre, in questo periodo, spesso suonatori maschili di liuto e lira gigante sono raffigurati bendati da un pezzo di stoffa. I suonatori di questo strumento indossano anche un tipo particolare di vestito, che fa ipotizzare fossero dei travestiti. Essi erano musicisti stranieri provenienti dal regno siro-palestinese.
A partire dalla XVIII Dinastia sono testimoniati anche danzatori e musicisti nubiani, soprattutto in contesti militari: sono raffigurati nell’atto di suonare grandi tamburi a barile e cilindrici, mentre i danzatori indossano campanelli attorno alle caviglie, che avranno tintinnato ritmicamente.
Gli artisti stranieri possono giungere alla corte egizia in modi diversi: come bottino di guerra vivente o come doni diplomatici che accompagnano, ad esempio, principesse straniere destinate ad andare in sposa al faraone. È possibile anche che alcuni giungano di loro spontanea volontà in cerca di un lavoro, anche se non ve n’è testimonianza.
È assai verosimile che i musicisti egizi abbiano cercato fortuna anche nelle corti straniere: almeno la Storia di Wenamun menziona una cantante egizia alla corte del re Tjekerbaal nell’antica città fenicia di Biblo. Questa storia, che narra gli sfortunati incidenti di viaggio di un diplomatico reale egiziano di nome Wenamun, è datata già intorno all’inizio del Terzo Periodo Intermedio (intorno al 1070 a.C.), quando il potere politico dell’Impero egizio stava iniziando un ripido declino.
Le testimonianze musicali relative a questo periodo provengono principalmente dalla sfera del culto, in modo particolare dal culto del grande dio Amun-Re di Tebe. Durante il Terzo Periodo Intermedio e fino al Tardo Periodo, una figura politica e religiosa importante è la cosiddetta “Moglie del Dio di Amun”, una principessa di discendenza reale. Tra i suoi compiti cultuali il più importante è quello di suonare i sistri di fronte ad Amun e alla sua divina consorte Mut. Il sistro è sempre utilizzato per pacificare gli dèi e soprattutto le dee adirate.
Un ritrovamento particolarmente importante di strumenti musicali è datato al Tardo Periodo: si tratta della tomba di una ragazza di nome Tadja vissuta intorno al 750 a.C., molto probabilmente una musicista professionista o, per lo meno, attiva nel campo dell’intrattenimento, in quanto la sua tomba contiene due liuti, di dimensioni diverse tra loro, dalla cassa armonica a forma di pera e una lira, oltre a gioielli a buon mercato e utensili per il trucco.
Più o meno databili allo stesso periodo vi sono anche testi e dipinti di musicisti e musiciste che partecipano a una festa per la dea Hathor, divinità regolarmente associata a musica e danza. Hathor è il prototipo delle numerose divinità che si riteneva dovessero essere pacificate: in caso ciò non fosse avvenuto, la loro rabbia avrebbe distrutto tutta la vita in Egitto, ma se il rito fosse stato compiuto correttamente la dea, all’esatto opposto, sarebbe diventata benevola e avrebbe assicurato la prosperità al Paese. Nel tempio di Medamud nella regione tebana sono dipinte donne che cantano e battono le mani, accompagnate da una donna con un minuscolo tamburo a forma di barile appeso al collo, un arpista con un’arpa angolare e un suonatore di liuto, entrambi uomini. I testi geroglifici che accompagnano questa scena contengono un inno alla dea, apparentemente proprio il canto che stanno intonando i musicisti. Anche le parole del canto menzionano la musica: “I sacerdoti lettori ti lodino con inni, quelli cui ciò compete recitino le liturgie di festa! Il capo celebrante ti onori con il suo tamburo a forma di barile, i percussionisti sollevino i loro tamburi a cornice! Le giovani donne ti celebrino con ghirlande di fiori, le ragazze con corone fiorite! Gli ubriachi suonino le percussioni per te durante il freddo della notte e quelli che si risvegliano preghino per te!”. Il testo ci fornisce quindi una interessante descrizione della festa nel suo complesso, la quale include anche abbondanza di alcolici, danze e la possibilità di altri elementi orgiastici – tutti fatti confermati anche da altre fonti relative a questo culto.
Nel periodo greco-romano (332 a.C. - III sec. d.C.), la musica egizia indigena continua ad essere utilizzata come prima, ma diventano molto popolari anche la nuova musica e gli strumenti ellenistici. Infatti molti brani che si sono conservati con notazione musicale greca provengono da papiri provenienti dall’Egitto, soprattutto da Hermopoli e Ossirinco, due città del Medio Egitto con un’alta percentuale di popolazione greca. Sfortunatamente, per la musica egiziana propriamente detta, manca una notazione musicale chiaramente interpretabile. Tuttavia dalla biblioteca di epoca romana del tempio di Tebtynis, una piccola città nell’oasi del Fayum, proviene un papiro che conserva almeno un possibile esempio di marcatura per un’esecuzione percussiva nell’ambito di una liturgia religiosa.
Da questo stesso periodo proviene anche un testo noto come “L’Arpista Depravato”, che prende in giro un musicista molto probabilmente tanto incompetente quanto goloso. Questa testimonianza, tuttavia, non è semplicemente satirica ma pare avere un legame con le festività in onore della dea Mut, di cui viene menzionata la rabbia contro il povero musicista.
Mentre nelle scene templari vengono ancora mostrati gli strumenti tradizionali dei periodi precedenti, nelle arti secolari o meno formali appaiono anche nuovi strumenti di tipo greco. A parte questo, vi sono strumenti che non vengono mai rappresentati in forme artistiche di alcun genere, sebbene esistano nella documentazione archeologica sin dai tempi più antichi e fino ad un’età piuttosto tarda. Un esempio possono essere i tipi diversi di crotali.
Alla fine della cultura tradizionale dell’Antico Egitto, la cristianità soppianta e sopprime i culti antichi (IV-VI sec.). Purtroppo è ancora argomento di discussione quanto della musica tradizionale egizia realmente sopravviva nel periodo bizantino. In modo particolare per quel che riguarda la musica della Chiesa copta, è stato ripetutamente sostenuto che essa sarebbe una sorta di continuazione della musica templare dell’Antico Egitto. Sebbene tali sopravvivenze appaiano attraenti, si deve però ammettere che non vi è alcuna prova di questo. In Egitto, anche lo strumento musicale liturgico più “anticamente egizio”, il sistro, è scomparso dalla musica della Chiesa cristiana copta. Stranamente, però, esso è ancora oggi in uso nei servizi cristiani etiopici.