Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso dell’Ottocento la narrativa breve ha le forme della fiaba, della novella in versi e soprattutto del racconto, che attraverso romanticismo, realismo e naturalismo, per opera di autori di Paesi diversi, assume i tratti che oggi sono caratteristici del genere.
Incerti confini
Il racconto come oggi lo conosciamo nasce nell’Ottocento. Esso si distingue dal romanzo per la sua brevità, che consente di compierne la lettura senza interruzioni, e per altri possibili tratti: narra un frammento di vita e non una vita; si svolge intorno a un unico evento e tratta di un solo argomento; può essere raccolto con altri racconti o incorniciato in un’opera più ampia; non esibisce polifonia di lingue e stili e il narratore può condurre la narrazione senza mai cedere la parola ai personaggi. Tutti questi sono tratti tendenziali, tuttavia, e gli esempi di racconti che non presentino l’uno o l’altro aspetto sono numerosi. Inoltre, la misura breve può essere abbastanza lunga da suggerire la specificazione del racconto lungo, a meno che non si arrivi a parlare di romanzo breve, e così, per i casi intermedi, si è proposto di introdurre la categoria terza della novella, modernamente intesa e distinta da quella della tradizione boccacciana, ma magari caratterizzata da un soggetto storico. Da questa terza categoria non deriva però maggiore chiarezza e dunque conviene parlare di racconto e di romanzo e usare il termine "novella" solo quando esso sia già usato dall’autore. Infine, occorre ricordare che l’Ottocento, soprattutto nella prima metà, è anche secolo di fiabe e di narrativa in versi.
Favole, leggende e novelle romantiche
Genere amato dai romantici, la fiaba incrocia il fantastico e le tradizioni nazionali con il tempo dell’infanzia e la cultura popolare. Opera capitale per il genere, nel secondo romanticismo tedesco, è Il corno magico del fanciullo (1806-1809), raccolta di canti popolari curata da Achim von Arnim e Clemens Brentano con la collaborazione dei fratelli Jakob e Wilhelm Grimm. Il corno magico è presto seguito da altre raccolte: le Fiabe per bambini e per le famiglie (1812) degli stessi fratelli Grimm; Fantaso (1812-1816) di Ludwig Tieck; e altre Fiabe italiane (1810) e renane (1815) ancora di Brentano. Le Fiabe dei Grimm attingono alle tradizioni tedesche e francesi con un’intenzione dichiarata di recupero filologico che non esclude in realtà una rielaborazione formale del materiale narrativo. Il loro successo è straordinario: storie come Cappuccetto rosso, Cenerentola e Biancaneve non solo sono diventate dei classici della letteratura per l’infanzia, come Goethe aveva predetto, ma appartengono anche alla cultura condivisa del pubblico adulto di tutta Europa.
La passione romantica per le tradizioni popolari e nazionali e per il fantastico si manifesta anche nella narrativa di altri paesi. È il caso, per esempio, delle leyendas scritte in Spagna da Ángel Saavedra y Ramírez, duca di Rivas (1791-1865), e da José Zorrilla y Moral (1817-1893), ma anche delle ballate e dei poemetti narrativi di autori russi come Fëdor Glinka (1786-1880), Víl’gel’m Kjuchel’beker (1797-1846) e soprattutto Aleksandr Sergeevic Puškin. Puškin è autore di poemetti narrativi che uniscono passione amorosa ed elegia, dame ed eroi dai tratti byroniani e motivi autobiografici. L’ultimo dei suoi poemi meridionali, Gli zingari (1824), evolve però già oltre il romanticismo, verso il realismo polifonico della maturità.
All’inizio del secolo, un passato folclorico e l’uso del verso caratterizzano anche la narrativa breve italiana. Mentre infatti si esaurisce la novellistica pedagogica settecentesca, cristiana e paternalistica (le estreme Quattro novelle narrate da un maestro di scuola di Cesare Balbo sono del 1829), scrittori come Tommaso Grossi, Carlo Porta e Giovanni Prati usano l’ottava rima e l’endecasillabo sciolto, in lingua o in dialetto, per trame patetiche e sentimentali su sfondo storico. Ottima accoglienza ricevono l’Ildegonda (1820) di Grossi e l’Edmenegarda (1841) di Prati, mentre un’ambientazione popolare e un fondo più amaro caratterizzano la Ninetta del Verzée (1834) di Porta.
In Gran Bretagna lo spazio della narrativa romantica è occupato dal romanzo storico. Per Walter Scott i racconti sono una forma di espressione meno che secondaria ed è significativo che John Stuart Mill, scrivendo nel 1833 su "What Is Poetry" e "Two Kinds of Poetry", contrapponga poesia e romanzo, e non poesia e prosa o poesia e narrativa.
La stessa marginalità, rispetto alla lirica, al teatro e al romanzo, caratterizza la narrativa breve del romanticismo in Francia. Sola eccezione significativa sono i sette racconti di amori ideali delle Figlie del fuoco (1854) di Gérard de Nerval. Perfino uno scrittore prolifico come Stendhal scrive solo pochi racconti – saranno raccolti postumi nelle Cronache italiane – e non li firma nemmeno con il proprio nome.
Forme del fantastico
Con Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, il fantastico lascia i luoghi dell’immaginazione per le vie delle città e gli appartamenti della piccola borghesia tedesca. Il fantastico hoffmanniano non è evasione, ma rappresentazione delle ossessioni e delle psicosi di identità scisse e tormentate. Dopo il saggio di Sigmund Freud del 1919, la bambola animata dell’Uomo della sabbia, il primo dei Racconti notturni (1817), esemplifica paradigmaticamente la categoria del perturbante, mentre realtà, sogno e follia solipsistica si fondono nelle storie dei Fratelli di San Serapione (1819-1821). Gli artisti soffrono più acutamente la tensione che si genera fra idealità dello spirito e realtà sociale: così è per Johannes Kreisler, figura di musicista tormentato che avrebbe ispirato Robert Schumann, e così è per lo stesso Hoffmann, scrittore, compositore e insieme funzionario dello Stato prussiano.
L’opera di Hoffmann è subito ammirata non solo in Germania, ma anche in Francia (Baudelaire: "Le divin Hoffmann, le désordonné Hoffmann") e in Russia, dove un altro scrittore, Nikolaj Vasilevic Gogol’, mescola il fantastico alla più trita quotidianità. Dopo l’Ucraina ancora folcloristica delle Veglie in una fattoria presso Dikán’ka, già nei quattro racconti di Mirgorod si affacciano il grottesco e il mondo burocratico, che si portano al centro della scena nei celebri Racconti di Pietroburgo (1835-1842). Gogol’ perviene a rappresentazioni in cui l’individuo “si contorce come le due parti di un verme sezionato, o pende come una mosca catturata in una ragnatela di oggetti che imputridiscono nella polvere” (Andrej Belyj, La maestria di Gogol’, 1934). Racconti come Il diario di un pazzo, Il naso e Il cappotto – il cui Akakij Akakievic Basmackin è l’antenato di tutti gli umiliati impiegatucci della letteratura russa – legano il nome di Gogol’ alla categoria del grottesco e il suo grottesco al surreale e insieme al quotidiano.
Il terrore è invece la cifra dei racconti fantastici dell’americano Edgar Allan Poe, la cui opera si diffonde in Europa anche grazie alle traduzioni di Charles Baudelaire. Come Hoffmann e Gogol’, Poe usa il terrore e il fantastico come strumenti di rappresentazione dell’identità, componendo uno spettro pulsionale che dalla paura va alla paranoia, al sadismo, al masochismo e all’ossessione. Proprio riflettendo su Poe, e riprendendone la Filosofia della composizione, Baudelaire nota che il racconto può avere sul romanzo il vantaggio di una maggiore concentrazione del suo effetto.
Certo è che in Francia il racconto fantastico ha grande successo. Oltre alle traduzioni di Hoffmann e di Poe, si apprezzano infatti i racconti fantastici di Prosper Mérimée – La Venere d’Ille è del 1837 – e di Théophile Gautier, primo teorico dell’arte per l’arte e autore di racconti come Onuphrius, ou les Vexations fantastiques d’un admirateur d’Hoffmann (1832). I temi sono ancora la divisione dell’io e l’incertezza del confine tra il sogno o la visione e quella realtà quotidiana e sociale su cui si concentra il coevo romanzo realista.
Racconto e romanzo realista
Negli anni del realismo, la narrativa in prosa ha innanzitutto la forma lunga del romanzo. Gli autori di racconti sono soprattutto romanzieri e la loro poetica non assume tratti specifici per la misura del racconto. Così, delle narrazioni brevi di Charles Dickens resta celebre il solo Canto di Natale (1843). George Eliot esordisce come narratrice con i tre racconti di Scene di vita clericale (1857), ma passa poi al romanzo. Honoré de Balzac integra nella sua Commedia umana anche alcune narrazioni brevi e si dedica all’invenzione linguistica nei Racconti ameni (1832-1837), ma di nuovo questa produzione è marginale rispetto a quella romanzesca. Maggiori cure sono dedicate da Gustave Flaubert ai suoi Tre racconti del 1877: nella serva Felicité di Un cuore semplice, segnata dall’amore e dal dolore, nel santo della Leggenda di san Giuliano, involontario assassino dei suoi genitori e poi penitente, e nella corte di Erode di Erodiade, con le sue atmosfere esotiche e decadenti, si succedono le diverse anime del mondo flaubertiano. Tuttavia, anche Flaubert resta innanzitutto l’autore di Madame Bovary e dell’Educazione sentimentale, della Tentazione di Sant’Antonio e di Salammbô.
Anche altri narratori di lingua tedesca, complessivamente, sono prima romanzieri e poi autori di racconti, o magari di novelle: Adalbert Stifter, cantore della restaurazione asburgica e della sua morale Biedermeier; Gottfried Keller, che narra dei suoi compaesani svizzeri nei due volumi di racconti di La gente di Seldwyla (1856 e 1874); Hans Theodor Storm, tedesco, che nelle Storie e canzoni estive (1851) elabora i temi del ricordo, della patria e delle tradizioni familiari; e l’altro tedesco Wilhelm Raabe, autore di un realismo che si è detto poetico.
Negli anni che in Europa sono del realismo, fino all’incirca al 1860, il successo del romanzo sembra togliere spazio al racconto. Il Paese che esula da questa regola, e del quale conviene trattare a parte, è la Russia.
I russi da Puškin a Cechov
Alla base "di tutta la successiva prosa russa dell’Ottocento" (Jurij Lotman, "Puškin", in Michele Colucci e Riccardo Picchio, Storia della civiltà letteraria russa, 1997) stanno i Racconti del defunto Ivan Belkin (1831) di Puškin. Il padre della letteratura russa moderna vi esprime la polifonia che dispiegherà poi nell’Onegin e la sua tipica ironia: romantica e antiromantica nella Tempesta di neve, dove l’eroina è sorpresa in pose da romanzo e la trama esaudisce i desideri dei personaggi oltre le loro intenzioni, o bonaria nel Maestro delle poste, dove lo sconfitto Simeon Vyrin riceve se non altro la pietà del narratore.
Antón Pávlovic Cechov
Il reparto n. 6
Una mattina di autunno, alzato il bavero del pastrano e guazzando nel fango, Ivàn Dmitrič si trascinava per viuzze e retrocorti da un certo borghese per riscuotere in base a un atto esecutivo. Era di umor tetro, come sempre di mattina. In una viuzza gli vennero incontro due detenuti in catene e con loro quattro soldati di scorta coi fucili. In passato Ivàn Dmitrič aveva incontrato spessissimo dei detenuti, e ogni volta avevano lasciato in lui un sentimento di compassione e di disagio, ma ora quell’incontro gli fece una particolare, strana impressione. Gli parve a un tratto, chi sa perché, che potessero mettere in catene anche lui e in tal guisa condurlo attraverso il fango in prigione. Dopo essere stato dal borghese e mentre se ne tornava a casa, incontrò vicino alla posta un ispettore di polizia, suo conoscente, che lo salutò e fece con lui alcuni passi per la via e, chi sa perché, ciò gli sembrò sospetto. A casa, per tutta la giornata non gli uscirono di capo i detenuti e i soldati coi fucili e un’incomprensibile agitazione d’animo gl’impedì di leggere e di concentrarsi. La sera in camera sua non accese il lume e la notte non dormì, pensando sempre che lo si potesse arrestare, mettere in catene e schiaffare in prigione. Sapeva di non avere sulla coscienza alcuna colpa e poteva garantire che anche in futuro non avrebbe mai né ammazzato, né incendiato, né rubato; ma è forse difficile commettere un delitto all’impensata, involontariamente? E forse che non è possibile una calunnia, infine, un errore giudiziario? Non per niente, infatti, la secolare esperienza del popolo insegna a non far voto di non conoscere mai la bisaccia del mendicante e la prigione. E l’errore giudiziario, con la vigente procedura, è possibilissimo e non ha nulla di strano. Gli uomini che hanno rapporti d’ufficio, professionali con la sofferenza altrui, per esempio i giudici, i poliziotti, i medici, con l’andar del tempo, in forza dell’abitudine, si temprano a tal punto che, pur volendo, non potrebbero considerare i loro clienti se non in modo formale; da questo lato non si distinguono in nulla dal contadino che nelle retrocorti sgozza i montoni e i vitelli, senza accorgersi del sangue. E quando si considera la personalità in modo formale, senz’anima, il giudice, per privare un uomo innocente di tutti i suoi diritti civili e condannarlo ai lavori forzati, ha bisogno di una cosa sola: di tempo. Solo il tempo di os-servare alcune formalità per le quali al giudice si paga uno stipendio, e poi tutto è finito. Va’ poi a cercar giustizia e difesa in questa piccola, sporca cittaduzza, a duecento verste dalla ferrovia! Anzi non è ridicolo pensare alla giustizia, quando ogni sorta di violenza è accolta dalla società come una necessità ragionevole e conforme allo scopo e ogni atto di clemenza, per esempio un verdetto di assoluzione, provoca un vero scoppio di sentimenti insoddisfatti e vendicativi?
A. P. Cechov, Racconti, a cura di E. Bazzarelli, trad. it. di A. Polledro, Milano, Rizzoli, 2002
Lev Tolstoj
La morte di Ivan Il’íc
Il matrimonio […] così imprevisto, come pure la delusione e l’alito cattivo dalla bocca della moglie, e la sensualità, l’ipocrisia! E questo lavoro morto, e le preoccupazioni per i soldi, e così un anno, e due, e dieci, e venti – e sempre lo stesso. E, più s’andava avanti, più tutto si faceva morto. Proprio come se avessi camminato sotto una montagna immaginando di camminarci sopra. Era stato proprio così. Secondo il parere della gente avevo camminato sulla montagna quando invece la vita mi sfuggiva di sotto i piedi […]. E adesso ero pronto, crepa!
Cos’era stato dunque? Perché? Non può essere. Non è possibile che la vita sia stata così insensata, così ripugnante. E se fosse stata proprio così insensata e ripugnante, allora perché morire, e morire soffrendo? C’era qualcosa che non tornava.
“Forse non ho vissuto come avrei dovuto?” gli veniva improvvisamente in mente. “Ma come è possibile, se ho fatto tutto come si doveva?” si diceva, e subito allontanava da sé quell’unica soluzione dell’enigma della vita e della morte, come qualcosa di assolutamente impossibile.
Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il’íc e altri racconti, a cura di I. Sibaldi, trad. it. di S. Prina, Milano, Mondadori, 1999
L’esempio di Puškin e quello di Gogol’ alimentano la successiva scuola naturale, che si presenta nel 1846 con la Raccolta pietroburghese e alla quale sono vicini anche i giovani Turgenev e Dostoevskij.
Ivan Sergeevic Turgenev esordisce con i racconti delle Memorie di un cacciatore (1852), dove il mondo contadino è rappresentato nelle forme di una poetica realistica non priva di partecipazione. Lo zar Alessandro sarebbe stato spinto all’abolizione della servitù della gleba anche dalla lettura delle Memorie, ma la "rappresentazione di certe persone" (Henry James, Ivan Turgenev, 1884), ovvero il ritratto psicologico, interessa a Turgenev più dell’ideologia o dell’affresco sociale, come peraltro della trama. Ciò vale anche per i racconti successivi e per esempio per Il diario di un uomo superfluo (1850), che battezza un tipo psicologico della letteratura e della società russe.
Se per Turgenev vale il precedente di Puškin, per Fëdor Michajlovic Dostoevskij agisce soprattutto, almeno inizialmente, quello di Gogol’. I suoi racconti, d’altra parte, non rappresentano solo figure di umiliati o squilibrati (La padrona, 1847), ma anche sognatori (Le notti bianche, 1848), membri dell’establishment economico che usano il matrimonio per interesse (L’albero di Natale e il matrimonio, 1848) o che fanno sfoggio ipocrita di umanitarismo (Una brutta storia, 1862), avari esposti al dubbio morale (Il signor Procharcin, 1847), buffoni masochisti (Polzunkov, 1848), intellettuali radicali (Il coccodrillo, 1865), morti fissati nelle loro abiezioni psicologiche e sociali (Bobok, 1873) e vittime della crudeltà altrui (La mite, 1876). Verso la fine della sua vita, come già Turgenev, anche Dostoevskij sonda i territori del fantastico. E complessivamente la scrittura di racconti, senza mai diventare sistematica, accompagna tutta la sua carriera.
Lo stesso vale per l’altro sommo scrittore della letteratura russa dell’Ottocento, Lev Nikolaevic Tolstoj. Apprezzamento immediato, tra le sue prime prove, ricevono i tre Racconti di Sebastopoli (1855), dove Tolstoj narrativizza la sua esperienza della guerra di Crimea e insieme inizia a rappresentare il popolo russo e la tragedia della guerra. Con La tormenta (1856), invece, al tema della morte si legano quelli della memoria e dell’infanzia, che sono centrali in tutta la sua opera fino ancora a La morte di Ivan Il’ic (1882-1886), dove la morte del protagonista, culmine e fine del racconto, suscita in lui, approssimandosi, una dolorosa interrogazione sulla verità della sua vita. Temi e situazioni narrative circolano insomma tra i romanzi e i racconti di Tolstoj, che inoltre scrive un ampio corpus di fiabe per bambini, i quattro Libri russi, e di racconti per il popolo, ispirati al suo pensiero religioso.
Autore di romanzi e di racconti è anche Nikolaj Semënovič Leskov, che sperimenta inoltre la forma della cronaca allorché si convince che la vita non possa essere veridicamente rappresentata in una trama organica di romanzo. La sua opera compone un’enciclopedia dei gruppi e dei tipi sociali della Russia del secondo Ottocento che, per varietà e vastità, è pareggiata solo da quella di uno scrittore per il quale il racconto, con il dramma, è la forma principale di espressione: Anton Pavlovic Cechov.
Cechov inizia scrivendo racconti e prose brevi su rivista per mantenersi all’università, in un momento in cui un clima di riflusso, dopo l’assassinio dello zar Alessandro II e la risposta reazionaria di Alessandro III, è subentrato ai dibattiti ideologici precedenti. Nel corso degli anni, tuttavia, la sua scrittura dismetterà l’abito umoristico per privilegiare la condensazione, la scorciatura e lo straniamento come strumenti di analisi e di resa della realtà psicologica. Il punto di svolta è La steppa (1888), ma dell’anno prima è Il racconto della signora N.N., che elabora già il tema cechoviano dell’amore mancato, e degli anni successivi si devono ricordare almeno Il reparto n. 6 (1892) e Lo studente (1894). Essenziale per Cechov, ma senza esibizioni o prese di posizione ideologiche, è la dimensione etica della scrittura: "Il mio sancta sanctorum – scrive in una lettera del 1888 – sono il corpo, la salute, l’intelligenza, l’ispirazione, l’amore e la più assoluta libertà, libertà dalla violenza e dalla menzogna".
Il naturalismo francese e Maupassant
La produzione di racconti registra un aumento nel corso del ventennio 1860-1880 e proprio nel 1880, in Francia, esce la raccolta Serate di Médan, promossa da Émile Zola e alla quale partecipano, con lo stesso Zola, Guy de Maupassant, Joris-Karl Huysmans e altri giovani scrittori naturalisti. Il 1880 è anche l’anno del Romanzo sperimentale di Zola, che dichiara il programma del naturalismo: “siamo dei moralisti sperimentali che mettono in luce mediante l’esperimento come si comporta una passione in un dato ambiente sociale”. Il racconto è dunque un saggio di osservazione concentrato in forma narrativa. Il suo migliore interprete, tuttavia, non è il maestro della scuola, Zola, ma il suo fiancheggiatore Maupassant, la cui opera consiste in sei romanzi e in oltre 300 racconti, concentrati nel decennio 1880-1890.
Guy de Maupassant
Palla di sego
La donna, una di quelle che vengon chiamate allegre, era rinomata per la sua floridezza, che le aveva procurato il soprannome di Pallina. Piccina, tutta tonda, grassa grassa, con le dita rigonfie strozzate alle falangi, simili a rosari di salsicciotti, aveva la pelle lustra e tesa, un enorme seno che le gonfiava il vestito: pure, era appetitosa e desiderata, tanto piacevole a vedersi era la sua freschezza. Il suo viso era una mela rossa, un bocciolo di peonia vicino a schiudersi; vi si aprivano, in alto, due magnifici occhi neri ombreggiati da lunghe e folte ciglia, e sotto una bella bocca piccola, umida, da baci, guarnita di dentini lucenti e microscopici.
Ella aveva inoltre – si diceva – moltissime inestimabili qualità.
Appena la riconobbero, indignati bisbiglii corsero tra le donne oneste, e le parole “prostituta” e “vergogna pubblica” furono pronunciate così forte ch’ella alzò il capo, e fece scorrere sui vicini uno sguardo così ardito e provocante che subito si fece un gran silenzio, e tutti abbassarono gli occhi, eccettuato Loiseau, il quale la guardava eccitato.
Guy de Maupassant, Racconti e novelle, trad. it. di M. Picchi, Milano, Garzanti, 1988
Come molti altri autori di racconti dell’Ottocento, Maupassant scrive per giornali e riviste – "Figaro", "Gaulois", "Gil Blas", "Journal" – e la misura breve dei suoi testi è spesso legata a questa loro destinazione originaria, mentre le raccolte in cui li ripubblica – La casa Tellier (1881), Racconti della beccaccia (1883), Racconti del giorno e della notte (1885), La piccola Roque (1886), L’Horlà (1887), La mano sinistra (1889), L’inutile bellezza (1890) e altre – non sono intese necessariamente come libri organici. Vicino a Zola ma anche allievo di Flaubert, che a lungo lo protesse, e irriducibile a una scuola, Maupassant appare già ai lettori suoi contemporanei come uno straordinario osservatore della vita di tutte le classi sociali e come un pessimista radicale. L’amore, la Normandia della sua infanzia, la vita militare, i bambini abbandonati o trascurati e il dubbio delle proprie origini, la paura e la follia (sarebbe morto pazzo) sono i suoi temi ricorrenti.
Il verismo italiano
Anche in Italia la produzione di novelle in prosa aumenta già dagli anni Trenta, per effetto dello sviluppo del mercato dei periodici, e prosegue negli anni Quaranta e Cinquanta, con la narrativa rusticale di autori come Caterina Percoto e Ippolito Nievo, che però lascia incompiuto il suo Novelliere campagnolo. Negli ultimi decenni del secolo, alcuni scrittori della scapigliatura – Paolo Valera, Arrigo Boito, Iginio Ugo Tarchetti, Giovanni Faldella – praticano il genere del racconto nelle direzioni del fantastico, dell’umoristico e della sperimentazione stilistica, ma sono soprattutto i veristi siciliani che ne sfruttano le possibilità.
La produzione novellistica di Luigi Capuana inizia con Il dottor Cymbalus (1867) e prosegue fino a Gioie precluse (1915). Le novelle degli anni 1875-1890, in particolare, vengono sistemate da Capuana in due raccolte: Le appassionate (1893), come scrive Capuana stesso nella sua prefazione, riuniscono i "casi passionali, diremmo quasi, casi di coscienza dolorosi o tragici", inframmezzandoli con altri dove le passioni sono meno violente; Le paesane (1894) sono invece "novelle di soggetto siciliano, studi di carattere e d’ambiente". Un filone di novelle fantastiche cresce inoltre via via che Capuana si allontana dal verismo.
Anche Federico De Roberto è autore di numerose raccolte di novelle. La sorte (1887) è narrativa verista, ma con ampia rappresentazione delle classi sociali; i Documenti umani (1888) indugiano nello psicologismo e nel melodramma; i Processi verbali (1890) sono "la nuda e impersonale trascrizione di piccole commedie e di piccoli drammi colti sul vivo".
Le prove migliori della novellistica verista si devono però a Giovanni Verga, che, dopo il bozzettismo di Nedda (1874), intraprende la strada del verismo con Fantasticheria (1879). La poetica del verismo, che vuole che il racconto sembri "essersi fatto da sé", è esposta nella prefazione a L’amante di Gramigna, ma presiede a tutte le novelle di Vita dei campi (1880). Con le Novelle rusticane (1882), per le quali Maupassant si offre di prefare l’edizione francese, Verga si sposta dalle tragedie della passione alle tragedie della miseria e della necessità economica, mentre Per le vie (1883) inscena le sue storie in un ambiente urbano. La città e la campagna saranno i due scenari alternativi della novellistica verghiana anche nelle ultime raccolte.
La fine del secolo in Spagna, in Germania e in Gran Bretagna
In Spagna il trentennio 1870-1900 è un periodo di fioritura della narrativa e il naturalismo è oggetto di acceso dibattito. A sostenerne le ragioni, in una serie di venti articoli, è l’aristocratica Emilia Pardo Bazán (1851-1921), autrice di più di 500 racconti (e inoltre di romanzi e opere teatrali) che peraltro non si informano rigidamente al magistero zoliano. In generale, non si trova in Spagna un naturalismo puro à la Zola, ma una narrativa di matrice realista, sensibile alle riflessioni del naturalismo e venata talvolta di partecipazione sentimentale. I principali narratori di questi anni sono Benito Pérez Galdós (1843-1920) e Leopoldo García-Alas y Ureña (1852-1901), detto Clarín, il quale scrive tra l’altro un centinaio di racconti (¡Adiós, Cordera! è il suo pezzo più celebre).
Anche in Germania il naturalismo è dibattuto. Le opere più significative della scuola si devono ad Arno Holz (1863-1929) e Johannes Schlaf (1862-1941) e soprattutto a Gerhart Hauptmann. Holz e Schlaf pubblicano nel 1889 la raccolta di racconti Papa Hamlet, manifesto di un Konsequenter Naturalismus che con il suo Sekundenstil, o "stile secondo per secondo", vuole eliminare ogni residuo di soggettività autoriale dalla rappresentazione. A Hauptmann si devono soprattutto opere teatrali, ma anche racconti come Il casellante Thiel (1888), dove una narrazione protocollare di marca zoliana si apre a una tensione simbolica che non può dirsi propriamente naturalistica.
Per la Gran Bretagna dell’ultimo Ottocento, infine, non si può parlare di una narrativa naturalista, ma di un realismo vittoriano che ha ora in Thomas Hardy il suo migliore interprete. Hardy stesso colloca i Racconti del Wessex (1888) e le Piccole ironie della vita (1894) in quella parte della sua produzione che consiste innanzitutto nei "romanzi di carattere e d’ambiente" (Jude l’oscuro, o Tess dei d’Ubervilles), mentre alla parte dei "romanzi di fantasia" si possono unire i racconti di Un gruppo di nobili dame (1891).
Narratore facondo di racconti, in società prima ancora che su carta, è però soprattutto Oscar Wilde. Le sue storie esibiscono tratti di oralità – ripetizioni, dialogo, riprese della tradizione folclorica irlandese – ma si richiamano anche a fonti più colte, come Flaubert o la Bibbia, e ai moduli della detective story e della ghost story. Il principe felice e altri racconti (1888) unisce così racconto fiabesco, sguardo sociologico e riflessione estetica, mentre La casa dei melograni (1891) sceglie decisamente l’estetismo e Il delitto di Lord Savile e altri racconti (1891) compone commedia sociale e parodia del gotico.
Il panorama della narrativa breve di fine Ottocento in Gran Bretagna non sarebbe però completo senza tre figure di narratori che riscuotono grande successo di pubblico già in vita e che tuttora sono fra i più tradotti in tutto il mondo. Il primo è Robert Louis Stevenson, che raggiunge la sua prima notorietà con i racconti delle Nuove notti arabe (1882) e che conclude la sua carriera con Gli intrattenimenti delle notti sull’isola (1893). A Stevenson si deve, almeno in parte, l’affermazione del genere presso il pubblico di lingua inglese. Il secondo è Joseph Rudyard Kipling, autore di numerose raccolte tra Ottocento e Novecento. Sebbene oggi Kipling sia più spesso ricordato come l’apologeta dell’imperialismo britannico, il suo Libro della giungla (1894) è un classico della letteratura per l’infanzia. Il terzo, infine, è Arthur Ignatius Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes. Dalla sua prima apparizione di A Study in Scarlet, (1887), attraverso la caduta con Moriarty nelle cascate Reichenbach (L’ultima avventura, 1893) e il suo successivo ritorno, per acclamazione dei lettori indignati, Sherlock Holmes è diventato uno dei personaggi più noti della letteratura moderna, continuamente ripreso da scrittori e cineasti e vivo ben oltre i cinquantasei racconti e i quattro romanzi usciti dalla penna del suo creatore Conan Doyle.