Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il concetto moderno di inno nazionale è legato a quello di “nazione” che si afferma nella seconda metà del Settecento e che nasce dal rivolgimento non solo politico, ma anche sociale e ideologico determinato dalla Rivoluzione francese. Nel nuovo contesto, l’inno nazionale esprime simbolicamente l’unità di un popolo raccolto attorno a una bandiera e teoricamente manifesta in musica le specificità, l’individualità di cultura e di sentimenti di una comunità di cittadini.
La Marsigliese
Con la Rivoluzione francese nasce la “nazione”, non composta da sudditi ma da cittadini e simbolicamente rappresentata da una bandiera e da una musica, non più emblemi di una monarchia di un re o di un principe, ma dell’insieme di tutto il popolo. È quindi giusto vedere nella Marsigliese il primo vero inno nazionale moderno. La forte carica simbolica di questo inno farà sì che esso acquisti quasi subito un significato che trascende la rappresentazione nazionale, per diventare una manifestazione “sonora” internazionale, collegata a tutti i moti rivoluzionari in Europa, a tutti i movimenti tesi ad abbattere l’assolutismo monarchico e ad affermare valori democratici. Infatti, prima che L’ Internazionale si imponga quale manifestazione libertaria, è la Marsigliese (1760-1836) il canto che percorre l’Europa per esprimere ansie di libertà e intenzioni repubblicane, e per questo motivo viene proibito dalle polizie dei Paesi governati da monarchie assolute.
Così la Marsigliese viene tradotta in varie lingue e la sua musica utilizzata per parafrasi e nuovi testi in differenti nazioni e, nella stessa Francia, in diversi contesti politici. Proprio in Francia, per esempio, la melodia della Marsigliese avrà un nuovo testo nella rivoluzione parigina del 1848 e questo nuovo canto sarà intonato anche da Lamartine. E ancora nei giorni della Comune, la musica della Marsigliese avrà un altro testo con parole di Madame Jules Faure. Anche in Italia la Marsigliese ha avuto nuovi testi in italiano. Dopo le traduzioni e parafrasi del periodo giacobino, a Firenze durante i moti bakuniniani del 1868 circola un canto – non sappiamo se intonato sull’aria dell’inno francese – che fa riferimento a quell’inno.
Madame Jules Faure
Testo della Marsigliese nei giorni della Comune
Français! ne soyons plus esclaves
Français! ne soyons plus esclaves
sous le drapeau, raillons-nous
sous nos pas, brisons les entraves
quatre-vingt-neuf, réveillz vous
Frappons du dernier anathème
ceux qui, par un stupide orgueil
ont ouvert le sombre cercueil
de nos fréres morts sans emblème
Chantons la liberté
défendons la cité
marchons, marchons
sans souverain
le peuple aura du pain.
E ancora, sempre nel clima della prima Internazionale, il giornale fiorentino “L’Anarchia” (n. 10, 18 novembre 1877) pubblica un testo dell’avvocato napoletano Stanislao Alberici-Giannini che propone nuove parole sulla musica evocatrice della Marsigliese.
Citazioni della Marsigliese sono presenti anche in varie composizioni cameristiche e sinfoniche di Salieri, Schumann, Wagner, Liszt, Ciajkovskij, Mendelssohn e Debussy. In Francia, con il secondo impero, la Marsigliese, ormai troppo rivoluzionaria, viene sostituita da due nuovi inni, Partons pour la Syrie (alla stesura del suo testo avrebbe partecipato anche Ortensia, madre di Napoleone) e Le salut de l’Empire (Veillons au salut de l’Empire), composto nel 1792 da Nicolas-Marie Dalayrac (1753-1809), adattando un’aria della sua opera Renaud d’Ast del 1785. E solo con la fine del potere napoleonico la Marsigliese viene reintrodotta come inno nazionale.
God bless our gracious King
Sotto l’impatto dei valori provocatori e unificanti della Marsigliese, anche le grandi monarchie europee sono spinte ad assegnare ai propri inni di celebrazione un significato nazionale. Se infatti il God Save the King britannico è cronologicamente antecedente all’inno rivoluzionario francese, è nel periodo della guerra con la Francia che questo canto assume gradualmente quei caratteri di unità nazionale che originariamente non aveva e, da canto dei fedeli di casa d’Hannover contro i fedeli di casa Stuart, diventa l’inno della nazione britannica.
Sull’origine di God Save the King curiosamente non si hanno dati certi: l’inno è stato attribuito a vari autori, ma nessun dato sicuro è stato stabilito, nonostante il gran fiorire di ricerche, congetture e ipotesi. Secondo alcuni, la melodia deriverebbe da una composizione, Ayre, di John Bull, musicista della corte di Giacomo I; più attente ricerche hanno poi dimostrato che, nonostante alcuni punti di contatto fra le due musiche (qualche somiglianza nella linea melodica e l’insolita struttura di sei battute più otto), non vi è alcuna prova che effettivamente la composizione di John Bull sia all’origine dell’inno britannico. Un più attento esame del manoscritto ha inoltre dimostrato come i diesis, che portano Ayre in La maggiore, siano di mano posteriore e forse apposti proprio per avvicinare la melodia a quella di God Save the King; il presumibile originale in La minore presenta infatti una maggior distanza dalla musica dell’inno.
È probabile che, secondo il costume del tempo, Ayre di John Bull sia l’elaborazione di una melodia diffusa in Gran Bretagna fra Cinque e Seicento, e God Save the King potrebbe derivare dallo stesso ceppo melodico. Un altro presunto autore della musica dell’inno è Henry Carey, autore di vari songs intorno al 1750 (la sua canzone più famosa è Sally in our Alley).
Nel 1795 il figlio di Carey avanza una richiesta al parlamento per ottenere una pensione, affermando che nel 1743 il padre ha scritto musica e parole di God Save the King, senza però poter addurre prove tali da ottenere la pensione e il riconoscimento del padre quale effettivo autore del canto.
Anche il dottor Arne è stato indicato come possibile autore, ma in realtà egli non è che l’armonizzatore per la prima esecuzione conosciuta del canto, avvenuta nel 1745 al Drury Lane Theatre e primo dato certo nella storia di quest’inno. Quando il 28 settembre 1745, l’anno della seconda ribellione giacobita, giunge a Londra la notizia che Charles Edward Stuart ha sconfitto a Prestonpans le forze inglesi inviate a fermare la sua avanzata verso sud, i sostenitori di Giorgio II cadono nella costernazione, mentre quelli della casa Stuart naturalmente esultano. Nelle vie della capitale inglese i sostenitori del Bonnie Prince Charlie cantano: “Ci accucceremo vilmente ai tiranni?/ Ammetteremo una spada straniera?/ Sarà bandito un Reale Stuart/ mentre uno straniero governa il giorno?”. I Whigs, sostenitori della casa d’Hannover, pensano allora di promuovere la sera stessa una manifestazione al Drury Lane, prima dell’inizio dello spettacolo, per sollevare gli animi degli antigiacobiti. Il “Daily Advertiser” così riferisce l’avvenimento: “Lo scorso sabato sera il pubblico del Drury Lane è stato piacevolmente sorpreso da un gruppo di gentiluomini che sono entrati in teatro cantando un inno che incomincia con ‘Dio benedica il nostro nobile re’”. Nei mesi successivi, il canto viene nuovamente eseguito in altri teatri e sale pubbliche, diventando popolare e viene pubblicato, con la musica, sul “Gentleman’s Magazine”.
Nel tempo il testo ha subito molte trasformazioni per adattarlo al mutare dei tempi e ai nomi dei diversi re inglesi. Nel 1745 al Drury Lane viene cantato con l’incipit “God bless our noble King/ God save Great George the King”, ma lo stesso anno nella prima edizione a stampa compare “God save our Lord the King/ Long live our noble King” che con l’ascesa al trono di Guglielmo IV diventa poi “God save our gracious King/ William our noble King”. L’operazione non è possibile per la regina Vittoria – incantabile sarebbe stato “God save Victoria the Queen” – e così viene fissata la forma ancor oggi in uso “God save our gracious Queen”. Nei primi anni, dopo la definitiva sconfitta di Charles Edward Stuart nella battaglia di Culloden Moor (1746), la prudenza suggerisce, per esempio, ai cittadini di sentimenti giacobiti di cantare “God save our Lord the King/ God save the King I mean”, cioè “il re che ho in mente io”.
Benché considerato inno nazionale, God Save the King non ha mai avuto una codificazione musicale ufficiale. Nel 1933, su richiesta di re Giorgio V – che considera ormai troppo veloce e allegro il tempo adottato per l’esecuzione dalle bande militari – viene pubblicato un arrangiamento destinato proprio a queste che restituisce all’inno il suo carattere di solenne anthem, di cantico quasi religioso con una prima parte lenta e pianissimo e una seconda parte più mossa e forte.
Tale versione viene adottata dalle bande militari, ma continuano a circolare e a essere usati arrangiamenti diversi. Nel corso dell’Ottocento l’inno britannico viene adottato anche da altre nazioni (Danimarca, Svezia, Russia, fino al 1917, e persino Stati Uniti, fino al 1931) a dimostrazione di quanto poco nazionali, in molti casi, siano le musiche di questi inni e quanto poco esse riflettano l’animo di uno specifico popolo.
Attualmente è ancora inno nazionale del Liechtenstein.
Dal 1796 l’aria di God Save the King viene utilizzata come inno del Regno di Prussia, Heil dir im Siegerkranz, su testo di Heinrich Harris, e nel 1818 verrà sostituito dal Preussischer Volksgesang (Wo ist das Volk, da kühn von Tat) di Spontini che resterà in uso per 20 anni; viene quindi adottato un inno di August Heinrich Neithardt (testo di Bernhard Tiersch), Ich bin ein Preusse. Con la proclamazione dell’impero di Germania (1871) si rende necessario un nuovo inno e viene quindi ripresa la melodia dell’inno britannico con il testo di Heinrich Harris, rivisto da G.B. Schumacher. Nel 1922, con l’avvento della repubblica, l’inno imperiale viene sostituito da Deutschland, Deutschland über alles, sulla stessa melodia dell’inno asburgico, ma in una forma assai meno settecentesca e più marziale. Con l’avvento di Hitler al potere a questo inno viene affiancato quello del partito nazionalsocialista, l’Horst Wessel Lied, con le parole applicate nel 1930 da Horst Wessel a una vecchia canzone militare. E nel 1950 la melodia di Haydn, che già era stata dell’impero asburgico, viene riadottata con un testo ampiamente rimaneggiato per renderlo meno aggressivo.
La melodia dell’inno britannico è stata utilizzata anche quale inno svizzero, e come tale, God Save the King – Rufst du mein Vaterland nella versione in tedesco, testo di Johann Rudolf Wyss (1782-1830) – rimane in uso fino al 1961. All’indomani della seconda guerra mondiale è però ravvisata l’opportunità di dotare la Svizzera di un proprio canto, mettendo da parte con la musica anche il vecchio testo che nella non felicissima versione in italiano iniziava con “Ci chiami, o patria”, per proseguire con versi ormai anacronistici, quali “Uniti impavidi snudiam l’acciar”, o “dolce, o Elvezia, morir per te”. Così il Consiglio federale decide di adottare in via provvisoria – per un periodo di tre anni – il Salmo svizzero, un inno religioso composto nel 1835 dal gesuita Alberich Zwyssig (1808-1854), maestro di cappella del convento di Wettingen, ispirato al Salmo XVIII. Il Salmo svizzero (che, nella versione italiana, recita “Quando bionda aurora/ il mattin c’indora/ l’alma mia t’adora/ Re del ciel!/ Quando l’alpe già rosseggia/ a pregar allora t’atteggia/ in favor del patrio suol/cittadino, Dio lo vuol!/...”) si è dimostrato però molto difficile da cantare in modo appena decoroso da non professionisti.
Nel 1971, perciò, il Consiglio federale commissiona un nuovo inno a un compositore assai noto, Paul Burkhard, e a un giovane poeta, Herbert Meier. Il nuovo inno dovrebbe rappresentare la Confederazione fuori da stereotipi e luoghi comuni, esprimendo i tradizionali sentimenti pacifisti e democratici del Paese. Ma gli autori forse vanno oltre i propositi innovatori del Consiglio federale e presentano un inno nel quale figurano (nella traduzione italiana) i versi: “Vogliamo aprire le porte a tutti/ compresi quelli che fanno domande” o “Vogliamo sfatare le false leggende/ e non affidarci a nuovi feticci”. L’idea di aprire i confini proprio a tutti e, soprattutto, di sfatare le “false leggende” – cioè Guglielmo Tell – non trova molto favore, suscitando al contrario rimostranze. Così il nuovo inno non viene adottato e, al suo posto, nel 1981 è ricollocato il Salmo svizzero, ufficiale per l’esercito e le rappresentanze diplomatiche all’estero.
Gott erhalte den Kaiser!
Accanto al britannico God Save the King e alla francese Marsigliese, il terzo grande inno nazionale che appare alla fine del Settecento, nel clima acceso delle guerre napoleoniche, è quello dell’Impero asburgico composto da Joseph Haydn.
Il nuovo inno nasce, in un certo senso, sul modello ideologico (ma anche con qualche coincidenza, forse inevitabile, nel testo) di quello britannico. Haydn è già stato due volte a Londra, nel 1790 e poi nel biennio 1794-1795, e il suo scopo è offrire un simbolo sonoro che possa esercitare una funzione esortatrice e unificatrice con l’affermazione della lealtà alla casa d’Asburgo di tutti i popoli dell’impero, in un difficile periodo di guerra con i Francesi. E in questo senso l’inno asburgico si propone esplicitamente come l’anti-Marsigliese.
Haydn compone il suo inno nel 1797, utilizzando non già una melodia austriaca, ma – e la cosa è significativa del carattere multietnico dell’Impero asburgico – un tema popolare croato. Per stendere il testo venne chiamato il poeta di corte, Lorenz Leopold Haschka (1749-1827). Haydn, inoltre, utilizza lo stesso tema dell’inno nel secondo movimento del Quartetto per archi in Do, op. 76, #3, noto appunto come Kaiserquartett.
Per cogliere l’evolversi del significato evidentemente politico degli inni nazionali, è interessante notare che inizialmente quello asburgico appare con il titolo esplicitamente dinastico Gott erhalte den Kaiser, per poi assumere dal 1804 il titolo di Volkshymne (cioè Inno del popolo). L’inno sarà tradotto in tutte le molte lingue dell’impero.
Durante il succedersi dei diversi monarchi sul trono austriaco il testo ha subito modificazioni anche sostanziali. Nel 1835, con la salita al trono di Ferdinando I, l’inno viene rivisto da Karl von Holtei (1798-1880), acquisendo un nuovo inizio: “Gott erhalte unsern Kaiser/ unsern Kaiser Ferdinand”. Ma, appena un anno dopo, il testo è nuovamente rimaneggiato da Joseph Christian von Zedlitz (1790-1862) e il nuovo inizio diviene: “Segen Öst’ reichs hohem Sohne/ unsern Kaiser Ferdinand”. Un’ultima versione si avrà infine nel 1854 con la salita al trono di Francesco Giuseppe I: per il nuovo testo viene bandito un concorso, vinto da Johann Gabriel Seidl (1804-1875). E questa versione rimane in uso nelle province dell’impero fino alla caduta della monarchia asburgica (1918).
Franz Joseph Haydn
Testo ufficiale per il Regno Lombardo-Veneto
Serbi Dio l’austriaco Regno
Serbi Dio l’austriaco Regno,
guardi il nostro Imperator!
Nella fé che gli è sostegno
regga noi con saggio amor!
Difendiamo il seggio avito
che gli adorna il regio crin!
Sempre d’Austria il soglio unito
sia d’Asburgo col destin.
Dell’industria a’ bei tesori
sia tutela il buon guerrier;
incruenti e miti allori
abbian l’arte ed il saper!
Benedica il Cielo e renda
glorioso il patrio suol,
e pacifico risplenda
sovra l’Austria ognora il sol!
Pia difesa e forte insieme
siamo al dritto ed al dover,
e corriam con lieta speme
la battaglia a sostener!
Rammentando le ferite
che di lauri ci coprir;
noi daremo beni e vite
alla patria al nostro Sir.
Siamo concordi: in forze unite
del potere il nerbo sta!
Alte imprese fian compiute
se concordia in noi sarà.
Siam fratelli e un sol pensiero
ne congiunga e un solo cor!
Duri eterno questo Impero,
salvi Iddio l’Imperator!
Presso a lui sposa beata
del Suo cor l’Eletta sia,
di quei vezzi inghirlandata
che non temono l’età.
Sulla Mite in trono assisa
versi il Cielo ogni suo don;
salve Augusto, salve Elisa
e d’Asburgo la Magion!
F.J. Haydn, Kaiserhymne, 1797
Con la caduta della monarchia, dunque, e l’instaurazione della repubblica viene adottato in Austria un nuovo inno, Deutsch-Österreich, du herrliches Land, che però non incontra il favore popolare. Viene così ripresa la vecchia melodia di Haydn, ovviamente con un nuovo testo di Ottokar Kernstock (Sei gesegnet ohne Ende). Nel 1947, infine, la repubblica austriaca adotta un nuovo inno (Land der Berge, Land am Strome) con parole di Paula Preradovic, su una musica attribuita, anche se con forti incertezze, a Mozart.
Questa “polifunzionalità” nazionale e patriottica del tema di God Save the King suggerisce a Louis Moreau Gottschalk, il virtuoso pianista e brillante compositore di New Orleans, di comporre su di esso delle variazioni, di gusto molto chopinesco, per il pubblico di molti Paesi. Gottschalk compone infatti, in occasione di una tournée in Svizzera nel 1850, le Variazioni su God Save the King, che successivamente verranno reintitolate America.