La nascita della trigonometria
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella prima metà del IV secolo a.C. Eudosso di Cnido elabora il primo modello geometrico dei moti celesti, il cosiddetto sistema delle sfere omocentriche. Ingegnoso ed elegante, ma incapace di rendere conto di alcune importanti evidenze empiriche, esso sarà soppiantato dalla teoria epiciclica, ideata Apollonio di Perga nel secolo successivo. La nuova teoria condurrà alla nascita di quella branca della matematica, oggi nota come trigonometria, che consentirà di esprimerne tutte le potenzialità.
Alla scienza greca spetta non solo il grande merito di aver fatto della matematica quella disciplina deduttivo-dimostrativa che oggi conosciamo, ma anche quello di aver impresso all’astronomia una svolta altrettanto epocale.
Le due grandi civiltà potamiche, quella egizia e quella babilonese, si erano dedicate con sistematicità all’osservazione del cielo, finalizzata essenzialmente alla formulazione di pronostici e di oroscopi, senza tuttavia giungere mai a concepire una teoria esplicativa dei moti celesti, ad andare cioè oltre l’elaborazione di semplici modelli aritmetici, consistenti in tavole predittive basate sulla periodicità di alcuni fenomeni astronomici. All’inizio del IV secolo a.C., da poco terminato quel periodo straordinariamente fecondo che va talvolta sotto il nome di “età eroica” della matematica greca, Eudosso di Cnido, il maggior matematico del suo tempo, elabora il primo modello geometrico dei moti planetari, che diverrà in seguito noto come il sistema delle sfere omocentriche.
Nonostante i perfezionamenti successivamente introdotti da Callippo di Cizico e l’autorevole avallo di Aristotele, l’ingegnoso ed elegante sistema di Eudosso, incapace di render conto di alcune importanti evidenze empiriche, viene presto soppiantato dalla teoria epiciclica, introdotta da Apollonio di Perga, il matematico celebre per le sue ricerche sulle sezioni coniche, e da Ipparco di Nicea, considerato il massimo astronomo osservativo dell’antichità.
Nel nuovo modello ciascun pianeta si muove su un cerchio, detto epiciclo, il cui centro, a sua volta, si muove attorno alla Terra lungo un cerchio più grande, che, molti secoli dopo, come indica il suo etimo latino, diverrà noto come deferente. Nel II secolo d.C. Claudio Tolomeo introduce alcuni ingegnosi cinematismi che, se da un lato salvaguardano solo formalmente il plurisecolare assunto dell’uniformità dei moti celesti, dall’altro rendono la teoria molto più aderente ai fenomeni osservati. Sarà in questa forma, esposta da Tolomeo nell’Almagesto, che essa giungerà, pressoché immutata, fino a Copernico. Il titolo originale dell’opera, che si compone di 13 libri, è Mathematike syntaxis (“Raccolta matematica”), ma i commentatori successivi, per distinguerla dai trattati minori di argomento astronomico, genericamente raccolti sotto il titolo di Piccola astronomia, erano soliti riferirsi ad essa come Megale syntaxis (“Grande raccolta”, da cui Magna Compositio, titolo frequente nelle edizioni in lingua latina). Per questo motivo presso gli Arabi la Raccolta era comunemente detta al-Magisti, corruzione del greco e Megiste (“la più grande”), da cui appunto Almagesto, titolo con il quale divenne in seguito universalmente nota.
A partire dal III-II secolo a.C. gli astronomi dispongono dunque di un modello teorico dei moti planetari relativamente semplice sotto l’aspetto geometrico (poiché sostanzialmente basato sull’uso di due soli cerchi) e, al contempo, capace di prevedere con inedita esattezza le posizioni degli astri. Per esprimerne tutte le potenzialità, era però necessario elaborare, in una qualche forma, quella branca della matematica che va oggi sotto il nome di trigonometria.
All’epoca di Tolomeo la trigonometria greca, sia piana, sia sferica, ha ormai raggiunto la sua forma matura. Oltre ad aver rappresentato, per un millennio e mezzo, l’indiscusso punto di riferimento per l’intera astronomia, l’Almagesto costituisce infatti anche la più completa e importante opera di trigonometria di tutta l’antichità. Non v’è dubbio però che, sotto questo aspetto, Tolomeo debba molto ai suoi predecessori, anche se la scarsità delle opere sopravvissute e la lacunosità delle altre fonti non consentono di stabilire con esattezza l’entità di tale debito.
Sin dal V secolo a.C., infatti, vari autori hanno approfondito le diverse proprietà del cerchio e della sfera, molte delle quali di immediata applicazione in campo astronomico, e redatto manuali di matematica per l’astronomia. Tra questi Autolico di Pitane, che è il più antico autore greco di cui ci siano pervenute le opere e che, oltre ad un testo intitolato Sulle levate e sui tramonti, scrive un trattato di geometria sferica ad uso astronomico dal titolo Sulla sfera mobile. L’opera, all’epoca largamente utilizzata dagli astronomi (ed è probabilmente questa la ragione principale per i cui lo scritto è giunto sino a noi), non presenta particolari tratti di originalità, ma è interessante sotto il profilo storiografico perché attesta che, oltre un secolo prima degli Elementi di Euclide, la geometria greca aveva già raggiunto quella forma che gli storici della matematica considerano tipica dell’età classica. Simili, per contenuti e forma, alla Sfera di Autolico, anche i Fenomeni dello stesso Euclide, segno evidentemente che entrambi i testi si rifanno a una manualistica di genere, ormai ben consolidata. Tuttavia nessuno di questi autori sembra aver realizzato tavole trigonometriche, un passaggio cruciale – indispensabile per poter risolvere numericamente un qualunque triangolo, dati tre suoi elementi (di cui almeno un lato) – che gli storici della matematica sono unanimemente concordi nell’attribuire a Ipparco.
Da Teone di Alessandria, un commentatore di Tolomeo attivo sul finire del IV secolo, sappiamo infatti che Ipparco scrive un trattato in 12 libri, andato perduto, intitolato Sulle corde sottese a un cerchio, nel quale, con ogni probabilità, erano esposti molti dei teoremi e dei metodi contenuti nell’Almagesto. D’altronde che Ipparco utilizzi già tecniche trigonometriche piuttosto sofisticate è attestato sia da un passo dell’unica sua opera sopravvissuta, il Commentario ai Fenomeni di Arato e Eudosso, nel quale fornisce la lunghezza dell’arco diurno descritto da una stella di declinazione nota, sia da alcuni calcoli numerici che, secondo la testimonianza di Pappo, erano contenuti nel suo trattato Sulla levata dei dodici segni dello Zodiaco. Non possiamo tuttavia escludere che già Apollonio, cui, come si è detto, spetta la paternità della teoria epiciclica, avesse elaborato delle tavole trigonometriche. In questo caso, il contributo di Ipparco si sarebbe tutt’al più limitato alla compilazione di tavole migliori, ovvero calcolate per intervalli degli archi di minor ampiezza
Non va infine dimenticato che tra Ipparco e Tolomeo si colloca l’opera di Menelao di Alessandria, attivo intorno al 100 d.C., al quale i commentatori alessandrini e arabi attribuiscono numerose opere di argomento matematico e astronomico, tra cui gli Elementi di geometria e un trattato in sei libri dal titolo Sulle corde in un cerchio. L’unica opera di Menelao giunta sino a noi, sia pure solo attraverso una traduzione araba, è la Sphaerica, in tre libri. Nel primo di essi, analogamente a quanto fatto da Euclide negli Elementi per quelli piani, l’autore illustra i teoremi fondamentali sui triangoli sferici, dimostrando, fra l’altro, che per questi la somma degli angoli interni è maggiore di 180°. Di grande interesse è il terzo e ultimo libro (il secondo tratta delle applicazioni della geometria sferica ai problemi astronomici), che contiene il teorema oggi noto come teorema di Menelao, secondo cui se i lati AB, BC e CA di un triangolo (o i loro prolungamenti) vengono intersecati dalla retta r, rispettivamente nei punti D, E e F, vale la relazione:
AF · BE · CD = BF · CE · AD
In realtà già noto all’epoca di Menelao e da questo esteso ai triangoli sferici, esso costituisce uno dei teoremi fondamentali della trigonometria sferica.
La matematica greca non elaborerà mai le funzioni circolari oggi utilizzate (seno, coseno, tangente ecc.), che saranno introdotte molti secoli dopo dai matematici indiani e arabi. In questa sua forma primigenia, la trigonometria si fonda esclusivamente sul computo delle corde. In una circonferenza di raggio noto è infatti possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra un dato angolo al centro (compreso tra 0° e 180°) e la lunghezza della corda ad esso sottesa. È facile dimostrare l’esistenza di una precisa relazione tra la “funzione corda”, adottata dai matematici alessandrini, e la funzione seno. Data la circonferenza di centro O e raggio r, e detto α l’angolo al centro AÔB, si tracci il raggio OC, passante per M, punto medio della corda AB. Poiché, per un ben noto teorema della geometria elementare, il raggio passante per il punto medio di una corda è perpendicolare alla corda stessa e dimezza l’arco e l’angolo al centro che insistono su di essa, utilizzando il formalismo della moderna trigonometria, si ha che:
e, moltiplicando per 2 il numeratore e il denominatore dell’ultimo membro dell’uguaglianza
Questa eguaglianza mostra che, in una circonferenza, il seno della metà di un dato angolo al centro è uguale alla lunghezza della corda dell’angolo dato, espressa in unità del diametro.
In altri termini, la tavola delle corde degli archi compresi tra 0° e 180° per intervalli di ½°, come quella utilizzata da Tolomeo nell’Almagesto, è equivalente alla tavola dei seni nell’intervallo tra 0° e 90° calcolata per intervalli di ¼°.
Per costruire una tavola delle corde è necessario assegnare una lunghezza al diametro della circonferenza (la moderna circonferenza goniometrica, cui si riferiscono i valori del seno e delle altre funzioni trigonometriche, ha raggio unitario) e scegliere un metodo di misura degli angoli. Per quanto riguarda quest’ultimo, Tolomeo adotta la suddivisione dell’angolo giro in 360° (un metodo alternativo è rappresentato dalla misura in radianti), una convenzione, assai probabilmente di origine astronomica, poi giunta sino a noi e che sembra essere stata introdotta in Grecia nel II secolo a.C. da Ipsicle, a cui è attribuito un trattato Sulle ascensioni. Poiché il metodo di esprimere le frazioni, basato sulla notazione posizionale a base sessagesimale introdotta dai Babilonesi all’inizio del secondo millennio a.C., è enormemente superiore sia a quello egizio, sia a quello greco, Tolomeo adotta la suddivisione in 60 parti, ciascuna di esse divisa a sua volta in sessantesimi. Anche questa convenzione è giunta sino ai nostri giorni, non solo nella misura degli angoli, ma anche in quella del tempo. Del resto i moderni termini minuto d’arco e secondo d’arco, e minuto (primo) e (minuto) secondo, derivano dalle espressioni latine partes minutae primae e partes minutae secundae con cui venivano indicati, rispettivamente, i sessantesimi e i sessantesimi di sessantesimo del grado e dell’ora.
Sempre a motivo della netta superiorità della notazione babilonese, Tolomeo assume una lunghezza del diametro del cerchio di 120 parti (anch’esso suddiviso poi in sessantesimi e in sessantesimi di sessantesimo), che corrispondono a un raggio di 60 parti, una lunghezza, cioè, uguale alla base del sistema di numerazione adottato