La nascita e l'evoluzione della scrittura
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La scrittura costituisce la prima grande rivoluzione tecnologica dell’umanità nell’ambito dei sistemi di comunicazione. Nonostante la critica platonica contenuta nel Fedro (275a), secondo cui essa avrebbe costretto gli uomini a richiamare le cose alla memoria meccanicamente dall’esterno e non più per introspezione, essa permette all’umanità di fare enormi progressi. Inizialmente, nella sua fase pittografica (prima, poi trasformatasi in stilizzazione ideografica) essa non trascrive il parlato, ma si pone come rappresentazione diretta dell’oggetto e/o del concetto. Così avviene alle origini in Medio Oriente, in Egitto, in Cina e nell’america precolombiana, più o meno contemporaneamente all’incirca nella seconda metà del IV millennio a.C. In seguito i sistemi di tipo pittografico-ideografico mediorientali ed egizi subiscono una evoluzione verso il fonetismo, sganciando i segni dal significato inizialmente iconico, per far loro assumere un valore prevalentemente sillabico, indipendente dal significato primario dei segni stessi. Ma l’evoluzione decisiva verso le attuali forme di rappresentazione grafica si compie, nel XII e XI secolo, nell’area mediterranea delle città fenicie, dove si sviluppano i primi sistemi di scrittura alfabetica, in cui, con un margine tollerabile di approssimazione, ogni singolo suono del parlato viene rappresentato da un singolo segno, sganciato da qualunque significato iconico.
Una delle più grandi conquiste che l’umanità ha fatto è quella della scrittura. Essa si configura come un sistema di traduzione grafica dei significati che si vogliono trasmettere o fissare per la memoria e la registrazione. La caratteristica fondamentale della scrittura consiste nel fatto di trascrivere in uno spazio lineare il flusso delle parole che si succedono nel tempo. Questo processo nelle prime fasi è indipendente dalla realizzazione fonetica delle parole in una singola lingua (fase pittografico-ideografica), mentre in seguito costituisce una riproduzione del parlato (fase fonetica).
Ci sono delle condizioni che permettono la comparsa della scrittura. Le prime scritture hanno la caratteristica di nascere all’interno di società di agricoltori che si sono istallati sulle rive di un fiume o comunque su terreni fertili, il cui sfruttamento intensivo è collegato ad una divisione di compiti e ad una gerarchizzazione sociale, che si realizza in città-stato dominate da una teocrazia. La scrittura compare a partire da circa 5500 anni fa, in quattro continenti, nel corso di tre millenni: in Medio Oriente, in Egitto, in Cina e nell’America precolombiana, seguendo in genere le stesse tappe evolutive (cfr. Henri-Jean Martin, Storia e potere della scrittura, Roma-Bari, 1990).
In Mesopotamia la scrittura compare tra il 3500 e il 3300 a.C. Le preoccupazioni fondamentali all’origine della scrittura nelle regioni del Medio Oriente sono le seguenti: (i) contare o misurare i beni posseduti; (ii) rendere conto delle transazioni eseguite; (iii) predire il futuro.
Le prime testimonianze che ci sono giunte di una forma di registrazione scritta solo in termini molto estesi possono essere definite forme di scrittura, infatti consistono in segni impressi su sigilli cilindrici destinati a convalidare contratti tra contraenti, in tacche e sbarre segnate su contenitori di argilla, effettuati secondo il sistema sessadecimale, che servivano a registrare determinate quantità di derrate, in segni iconici impressi su quegli stessi contenitori.
Un nuovo stadio è testimoniato dalle tavolette d’argilla trovate intorno al luogo dove sorgeva il tempio della dea Inanna a Uruk, risalenti allo stesso periodo, che portano impressi dei pittogrammi destinati a fissare e memorizzare dei possedimenti o dei movimenti di beni. I pittogrammi rappresentano oggetti molto semplici, come una testa di bue, una parte del corpo umano, una spiga, un giardino ecc. Questo sistema si sarebbe ben presto evoluto nella prima forma di scrittura pittografica, che può essere chiamata tale, elaborata dai Sumeri. Essi per primi mettono a punto un sistema che conta circa 1500 pittogrammi. Ogni pittogramma è dotato di una intrinseca polisemia, in quanto, ad esempio, l’immagine che rappresenta la parte inferiore del volto umano può indicare sia la bocca, sia, per estensione, il parlare e il gridare. Ugualmente il pittogramma del piede può rappresentare anche lo stare in piedi, il camminare o persino lo stare fermi. Inoltre si ricorre ad una tecnica di composizionalità del significato per cui il pittogramma della bocca, associato a quello del pane indica il mangiare; e ugualmente il pittogramma dell’acqua associato a quello dell’occhio indica il piangere.
Una caratteristica di tale sistema di notazione grafica è che esso è indipendente dalla particolarità delle diverse lingue e di fatto ogni pittogramma può ricevere una realizzazione fonetica in ciascuna delle varie lingue del Medio Oriente (Cfr. Jean Bottero, Mésopotamie. L’écriture, la raison et les dieux, Paris, 1987)
Tale sistema subisce un’evoluzione innanzitutto di tipo grafico, consistente in una semplificazione e astrazione dei segni pittografici fino a creare una ideografia che conserva solo pochi tratti della rappresentazione iconica di ciascun pittogramma. Ma, soprattutto, il sistema ideografico costituisce la base per un passaggio verso il fonetismo, grazie al presupposto che la lingua sumerica è in larga misura costituita da parole monosillabiche. I vari ideogrammi ricevono una interpretazione fonetica sillabica, che nella composizione sintagmatica può risultare indipendente dal significato iconico. Ad esempio, l’ideogramma che significa sia “cielo” sia “dio”, poiché la parola per dio è an, viene ad assumere il valore fonetico an anche nella rappresentazione di quella sillaba contenuta in altre parole. Questa evoluzione permette di ridurre notevolmente il numero di ideogrammi, che scende fino a 800 unità, le quali traducono altrettante composizioni sillabiche.
La scrittura sumerica è adottata dagli Accadi, popolo di origine semitica che diventano maggioranza nella regione medio-orientale e che perfezionano il sistema aggiungendo degli ideogrammi che non hanno alcun significato iconico. Inoltre gli Accadi introducono (verso il 2850) quella particolare schematizzazione che è la scrittura cuneiforme, composta da segni impressi con uno stilo su una tavoletta d’argilla lievemente rotondeggiante, grande come il palmo di una mano. La tavoletta poi viene fatta seccare al sole o in un forno. Il sistema di scrittura cuneiforme si diffonde in tutto il Medio Oriente e rimane in vigore per circa 3000 anni, permettendo di trascrivere lingue diverse come l’eblaitico (Siria, III millennio), l’elamitico (II e I millennio), l’urrita (nord della Mesopotamia, soprattutto II millennio), la lingua urartea (Armenia del I millennio), il palaico (dialetto indoeuropeo, Turchia, I millennio), l’ittita (Anatolia, metà del II millennio). Inoltre ha un importanza nella costituzione dell’alfabeto ugaritico (Siria, XIV-XIII secolo) e dell’alfabeto sillabico dell’antico persiano (Iran del sud-ovest, tra i secoli V e III).
In Egitto il sistema di rappresentazione grafica della lingua è testimoniato verso il 3150 (come è attestato dalla tavolozza di Narmer), uno o due secoli dopo la sua comparsa presso i Sumeri. Dati gli stretti rapporti tra i due paesi, talvolta è stata ipotizzata una dipendenza della scrittura egizia da quella sumerica. Sembra che il sistema di notazione egiziano abbia messo a punto molto presto un sistema di scrittura basato sul fonetismo. Vi sono dei segni che rappresentano dei valori consonantici, sia gruppi di tre o due consonanti, come pure casi di una sola consonante. Come nel caso dei segni della scrittura cuneiforme, i geroglifici possono assumere valore di ideogrammi, di fonogrammi, di determinativi grammaticali. Il sistema di scrittura egiziano comprende sotto il Medio Regno 760 segni, di cui 220 di uso comune. I segni sono distribuiti in piccoli quadrati ideali, uguali tra loro e che possono contenere ciascuno due segni larghi o due segni alti, oppure quattro segni piccoli o una combinazione tra questi.
Nel corso del II millennio sorgono forme nuove di scrittura ai margini dei paesi assiro-babilonesi e nel bacino del Mediterraneo. A Creta tra il 2000 e il 1200 a.C. si susseguono tre tipi di scrittura. Il primo è un sistema di scrittura geroglifica, usato, per scopi contabili, tra il 2000 e il 1650, conosciuto attraverso sigilli di pietra, barre e tavolette di argilla cruda scoperti a Cnosso e a Mallia. Il secondo sistema è rappresentato dalla cosiddetta “lineare A”, non ancora decifrata, comprendente 85 segni e vari ideogrammi, nonché alcuni segni che sembrano indicare cifre. Infine la “lineare B”, riferibile al periodo che va dal 1450 al 1200, comprendente tra gli 85 e i 90 segni, a cui si aggiungono un centinaio di ideogrammi. I due studiosi britannici Michael Ventris e John Chadwick hanno dimostrato, nella seconda metà del secolo scorso, che si tratta di una scrittura sillabica che serve a trascrivere il primo dialetto greco noto, il miceneo. Se ne trovano testimonianze, oltre che a Creta, anche nella Grecia continentale, a Pilo e a Micene.
I primi alfabeti fonetici si sviluppano nell’area delle città fenicie o comunque sulla costa orientale del Mediterraneo. Un alfabeto a carattere consonantico si fa risalire ad un periodo tra il XII e l’XI secolo a.C. nella città fenicia di Biblos. Tuttavia ricerche recenti hanno mostrato la presenza di un alfabeto più antico contenente una trentina di caratteri nella città siriana di Ugarit risalente al XIV secolo a.C. Un altro alfabeto contenente 35 segni di aspetto pittografico o geometrico (con notazione acrofonica) si fa risalire al XV secolo a.C. nelle iscrizioni trovate nel Sinai nella località di Serabit el-Khadem.
La scrittura consonantica ha un’ampia diffusione in tutta l’area medio-orientale e si trova alla base delle scritture aramaiche ed ebraiche. Dalla scrittura aramaica sarebbero derivate in seguito varie forme di scrittura come il siriaco, certe scritture indiane, il palmireno (simile alla scrittura quadrata ebraica), il nabateo (da cui si sarebbe poi sviluppata la scrittura araba).
L’alfabeto greco, che si trova, tra l’altro, alla base dei moderni sistemi di scrittura, si sviluppa tra IX e VIII secolo a.C. partendo dalla base dell’alfabeto fenicio. Ma, per adattare quest’ultimo alla lingua greca, le cui parole contenevano molte vocali, si ricorse all’espediente di usare per i suoni vocalici i segni di fonemi della lingua fenicia non presenti in greco. Così per le vocali alpha, omicron e epsilon, i Greci ricorrono ai segni che indicano le consonanti laringali semitiche alep, ayn ed he. Le semivocali w e y forniscono i segni per le vocali greche ypilon e iota. Il segno greco per la e lunga (eta) viene ripreso da un segno che indica un’aspirazione. Il suono della u viene infine reso con il dittongo ou. Il segno per la o lunga (omega) viene creato ex novo. La x (xsi) deriva dalla lettera semita samek, mentre il phi, il chi e lo psi costituiscono nuove creazioni. Le prime testimonianze di una scrittura greca risalgono all’VIII secolo a.C. e vari documenti attestano la presenza di alfabeti locali diversi, ma con amplissime coincidenze. Una unificazione ufficiale della scrittura greca è relizzata soltanto alla fine del V secolo a.C. con l’alfabeto ionico di Mileto, che viene adottato ufficialmente ad Atene nel 403 a.C. Caratteristica fondamentale dell’alfabeto greco è quella di scomporre la catena parlata fino alle unità di seconda articolazione, i fonemi, anche se esso rimane imperfetto rispetto al principio moderno (dell’alfabeto fonetico internazionale) che prevede la corrispondenza tra un unico suono e un unico segno. Tuttavia il suo vantaggio, nonostante l’imperfezione e l’ampio grado di approssimazione, è quello di dimostrarsi in grado, più di qualunque altro alfabeto antico (sillabico o consonantico), di trascrivere qualunque lingua (cfr. “Le origini dell’alfabeto, la sua diffusione in Occidente e la nascita della scrittura araba” in Origini della scrittura. Genealogie di un’invenzione, a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti, Milano, 2002).