Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del Seicento giunge a maturazione il processo di rafforzamento dell’autorità regia cominciato nei secoli precedenti. Ciò dà luogo a forme sempre più radicali di opposizione da parte di molti segmenti importanti delle nobiltà europee. Malgrado i numerosi conflitti che segnano il secolo, il ceto nobiliare si rivela in grado di superare la difficile congiuntura politica ed economica, sia pure rinunciando – in Europa occidentale – a quote significative di potere in cambio del mantenimento del suo primato sociale.
Dalla campagna in città...
Nel corso del Seicento si porta a compimento il trasferimento dalla campagna in città di gran parte della nobiltà europea. Ad attirare i nobili nelle grandi capitali europee – Madrid, Londra, Praga e Parigi – è soprattutto il desiderio di frequentare le corti regie e di attingere alle risorse e agli onori che il sovrano e i suoi più stretti collaboratori distribuiscono. La presenza di una folla di grandi, medi e piccoli nobili ansiosi di mostrare il loro prestigio spiega perché nelle grandi città europee si registri un cospicuo afflusso di capitali destinati all’edilizia. Cresce così il tessuto urbano, arricchito di nuovi eleganti quartieri. In città i nobili animano un’intensa vita sociale fatta di intrattenimenti: il teatro in primo luogo, le passeggiate in carrozza nelle vie principali, i fastosi rituali religiosi nell’Europa cattolica, le cerimonie civili in occasione di vittorie militari, nascite, matrimoni, incoronazioni e così via.
Per spiccare all’interno del panorama cortigiano è necessario che i nobili maschi, fino al pieno Cinquecento istruiti essenzialmente nell’uso delle armi, padroneggino ben altre conoscenze: buone maniere, danza, lingue straniere, arte, musica. Si vengono così diffondendo, in tutta Europa, a partire dalla Penisola italiana, le accademie cavalleresche, veri e propri centri di istruzione dove i nobili apprendono sia le nozioni basilari di tattica e strategia militare loro utili nei campi di battaglia, sia le discipline necessarie alla vita cortigiana. Improntata allo stesso modello è anche l’educazione che viene fornita nei collegi della Compagnia di Gesù, frequentati dai nobili cattolici. Il fascino dell’Europa meridionale e il peso del classicismo traspaiono dal fatto che i giovani delle famiglie nobili dell’Europa settentrionale coronano la propria educazione con un viaggio che li porta in Italia, il Grand Tour , che spesso ha come mete privilegiate città come Venezia e Roma, ricche di testimonianze artistiche del passato. Le gentildonne sono, invece, educate nella casa avita o nei conventi e affinano a corte, dove giungono per dedicarsi al servizio personale di sovrane e principesse, le proprie maniere e le proprie conoscenze.
… di nuovo alla campagna e infine di nuovo in città
Dotati di istruzione e di modi estremamente raffinati, i nobili contribuiscono in maniera fondamentale all’edificazione di una corte in sintonia con il modello dettato da Baldassare Castiglione. Un’ulteriore spinta a ricreare le aspirazioni dell’autore de Il cortegiano viene dalla propensione a trasferire in campagna la corte regia. Precursore di tale tendenza è, a metà Seicento, il sovrano di Francia Luigi XIV, il Re Sole. Questi decide di costruire a Versailles, a una trentina di chilometri da Parigi, una nuova reggia con grandi giardini disseminati di specchi d’acqua, fontane e statue, magnifico scenario di una corte che intende vivere armoniosamente, separata e lontana dall’affannosa realtà urbana. L’ambiente cortigiano raggiunge vette di colta eleganza, poiché vi sono chiamati a dar prova del loro talento musicisti, drammaturghi, pittori. La vita quotidiana è modellata dal cerimoniale borgognone, che regola rigidamente tempi e modi della quotidianità, i divertimenti e le preghiere, l’abbigliamento e i pasti, assegnando a ciascuno un grado nella scala gerarchica interna alla corte. Sull’esempio dettato dal Re Sole, in tutta Europa vengono costruite regge elegantissime fuori città, mentre gli stessi nobili dedicano inedite fatiche alla sistemazione delle loro residenze di campagna destinate ad accoglierli per brevi periodi di villeggiatura.
Negli ultimi anni del Seicento, la corte sembra perdere splendore quale polo culturale, nuovamente a favore degli ambienti aristocratici urbani. Nei salotti cittadini, gentiluomini e gentildonne amano conversare senza gli obblighi derivanti dal rispetto delle complicate regole cerimoniali, promuovendo così un nuovo modello culturale, caratterizzato da una maggiore libertà. È l’avvio di una nuova sociabilità che trionferà nel Settecento.
Nuove ricchezze
La vita in città e a corte si rivela estremamente dispendiosa. I nobili vi fanno fronte tentando di ricavare i maggiori proventi possibili dal patrimonio familiare e di ampliare le loro entrate. Si protrae così per tutto il Seicento la tendenza a mettere a frutto nel miglior modo possibile la proprietà terriera, utilizzando al massimo i poteri signorili e ricorrendo a ogni tipo di sopruso. In Inghilterra, il fenomeno dell’appropriazione da parte dei nobili delle terre fino a quel momento di proprietà delle comunità rurali o destinate a usi civici attraverso le recinzioni (enclosures) raggiunge dimensioni notevoli e si qualifica per l’attitudine imprenditoriale dei proprietari aristocratici, che non esitano ad adottare inediti metodi di sfruttamento delle risorse naturali e umane. Al di là della Manica, infatti, accanto alla cerealicoltura, ancora remunerativa malgrado la popolazione cresca a tassi ridotti rispetto al Cinquecento, si affermano coltivazioni a più alto valore aggiunto, integrate con l’allevamento bovino. Modifiche gestionali in tal senso si registrano anche in altre regioni del continente europeo. Qui, però, la nobiltà non deroga alle proprie prerogative giurisdizionali e fiscali, né a quelle sociali che impongono l’astensione da attività imprenditoriali, pena la perdita di status. Pertanto la gestione dei patrimoni rurali è per lo più lasciata a medi e grandi fittavoli, che si possono dedicare alla produzione per il mercato.
Il trasferimento in città, in ogni caso, apre alla nobiltà cortigiana altre possibilità di reperire risorse. In primo luogo, naturalmente, la speculazione edilizia. Nel momento in cui la presenza della corte tende a far rimodellare l’impianto urbano grazie alla forza di attrazione che esercita su tutti i gruppi sociali, i nobili possono investire le proprie risorse nel settore immobiliare, traendone lauti guadagni. Possibilità vantaggiose offrono anche i titoli di debito pubblico consolidato, malgrado i sovrani non nutrano molti scrupoli nel dichiarare bancarotta. Allo stesso modo, gli aristocratici partecipano all’incipiente attività speculativa delle prime forme di mercato azionario. Infine, particolarmente remunerativi restano incarichi, prebende, donativi e pensioni dispensati dal sovrano.
La nobiltà di toga
Mentre nella maggior parte delle monarchie europee i particolari meriti maturati al servizio del sovrano possono condurre alla concessione di un titolo e quindi all’ingresso di colui che lo ha ricevuto nel corpo nobiliare senza alcuna distinzione se non quella dettata dai natali, dal rango e dall’antichità del titolo, in Francia nel Seicento si delinea con precisione una nobiltà che, per le sue caratteristiche, viene definita “di toga”, eminentemente diversa e in contrapposizione con quella “di spada”: una nobiltà che vede nell’esercizio di un ufficio amministrativo, finanziario o giudiziario la sua caratteristica principale.
Alla radice della costituzione di tale ceto vi è la venalità delle cariche, promossa dai sovrani francesi a partire dalla fine del Cinquecento: la possibilità di lasciare a un erede la carica acquistata conduce, infatti, alla costruzione di autentiche dinastie, basate sul passaggio degli uffici di generazione in generazione. Un editto del marzo 1600 chiarisce che per entrare di diritto nei ranghi della nobiltà di toga è necessario aver ricoperto per due generazioni successive il ruolo di membro del Gran Consiglio, di referendario del Consiglio di Stato (maître de requêtes), di componente del Parlamento (una delle maggiori corti di giustizia), di membro dei dipartimenti finanziari, di funzionario delle Camere dei conti, dei tribunali dei sussidi (Cours des aides) e dei tribunali delle monete (Cours des monnaies). Spesso, però, il denaro non basta per arrivare a tali uffici: finanzieri o figli di finanzieri, ritenuti inadeguati in virtù della loro provenienza sociale, non vengono ben visti da coloro che occupano cariche generalmente tramandate di padre in figlio o di zio in nipote all’interno di una ristrettissima cerchia.
Il sogno di un riconquistato potere politico
Nei primi anni del Seicento la capacità di presa dei sovrani europei, fino a quel momento decisi a controllare rigidamente la vita politica all’interno dei loro regni, sembra registrare un rallentamento. Un primo esempio è dato dal re di Spagna Filippo III, che concede inediti poteri a un favorito. L’aristocratico valido Francisco Gómez de Sandoval, duca di Lerma, sostanzialmente governa al posto del re, amministrando in sua vece il patronage (pensioni, onorificenze, grazie e così via). Questa pratica di governo viene guardata con estremo interesse da gran parte degli esponenti dell’aristocrazia, che vi leggono la possibilità di riprendere il ruolo prestigioso esercitato prima che il rafforzamento monarchico cinquecentesco privasse la grande nobiltà di molti poteri. Le speranze si diffondono in tutta Europa poiché in molte monarchie europee tale sistema di governo viene presto imitato. In Inghilterra, favorito di Giacomo I è George Villiers, che viene insignito del titolo di duca di Buckingham e che esercita il medesimo ruolo anche sotto Carlo I. In Francia, Maria de’ Medici, reggente data la minore età del futuro re Luigi XIII, è affiancata dal fiorentino Concino Concini. Il ruolo di quest’ultimo viene poi rilevato da Armand-Jean du Plessis, che diviene cardinale e duca di Richelieu, nonché principale consigliere di Luigi XIII. Richelieu passa il testimone al cardinale Giulio Mazzarino, consigliere di Anna d’Austria, vedova di Luigi XIII e reggente per il figlio minorenne Luigi XIV.
Ben presto, però, emergono tutti i limiti dell’azione di governo di tali ministri fiduciari che controllano le risorse della corona e governano l’intera macchina burocratica. Costoro, infatti, tendono a favorire esclusivamente le carriere di amici e clienti, uomini che devono interamente a loro occasioni e fortune, escludendo quanti, nobili e non, non rientrino nelle loro grazie. Mentre in precedenza il sistema politico cortigiano era direttamente governato dal re che cercava di equiparare, nel ripartire le sue grazie, i gruppi nobiliari antagonisti, ora la struttura di governo è in larghissima parte dominata dal favorito. Alla corte di Madrid, la tensione nobiliare esplode quando alla morte di Filippo III, il re Filippo IV sceglie come suo favorito Gaspar de Guzmán, conte di Olivares, insignito poi del titolo di duca di Sanlúcar. Il Conte-duca, come viene chiamato, punta a ripristinare la supremazia europea della monarchia asburgica. A tale fine promuove un piano, dal significativo nome di Unión de armas, per una più efficiente distribuzione di tributi in tutto il territorio della corona: i proventi sono destinati a finanziare gli eserciti, impegnati nei Paesi Bassi e in Germania durante la guerra dei Trent’anni, e la flotta. Tale progetto, tuttavia, è destinato a naufragare.
Il ricorso a mezzi che esulano dall’ordinaria procedura, il desautoramento di quanti non siano immediatamente riconducibili all’entourage del favorito, la messa a punto di sistemi che, eludendo ogni controllo da parte delle istituzioni tradizionali, introducono nuove tasse, coagulano il malcontento nobiliare. Gli stessi aristocratici che avevano salutato in Lerma una promessa di condivisione del potere, ravvisano nel Conte-duca l’esempio di un potere dispotico.
Tale malcontento si manifesta anche in Inghilterra e in Francia. Buckingham è additato come usurpatore del potere sovrano e accusato di voler introdurre dispotiche pratiche di potere: per questo viene assassinato. Su Mazzarino si appuntano critiche di ogni sorta, che trovano voce nelle mazarinades, componimenti satirici, prima di sfociare – come nel resto d’Europa – in aperta rivolta.
Gli anni Quaranta del Seicento in Europa sono contraddistinti da una serie di gravi rivolte in Catalogna, Portogallo, Sicilia, Regno di Napoli, Francia e Inghilterra. Obiettivo comune, pur nella diversità delle condizioni politiche delle diverse zone, è l’abbattimento di un potere, come quello del favorito, ritenuto arbitrario e illegittimo. Ruolo centrale nella promozione dei moti di rivolta appartiene alle élite aristocratiche che i favoriti hanno escluso dalla “grazia” sovrana e dalle decisioni politiche. Tuttavia, la via della ribellione risulta sostanzialmente controproducente per i nobili che, pur essendo capaci di dare inizio ai moti, non ne controllano le dinamiche rivoluzionarie, come accade in Inghilterra, oppure, non riuscendo a imporsi politicamente e militarmente, sono costretti a scendere a patti con la corona, come accade in Francia con la rivolta della Fronda.