La nozione di tributo
Con una recente pronuncia della Cassazione (Cass., S.U., ord. 26.1.2011, n. 1782) si è riaperto il dibattito – a lungo ignorato dalla dottrina – sulla nozione di tributo. La controversia che è all’origine di tale dibattito nasce dall’invio, da parte della Equitalia Gerit s.p.a., di un avviso per la riscossione, in favore del Consiglio nazionale forense, del contributo annuale previsto dall’art. 14, d.lgs.lgt. 23.11.1944, n. 382, a carico degli avvocati del Foro di Roma non abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori. Avverso tale avviso viene proposto ricorso dinanzi al giudice di pace di Roma. Il Consiglio nazionale forense ricorre alle Sezioni Unite della Corte di cassazione per regolamento preventivo di giurisdizione in favore del giudice amministrativo o, in subordine, del giudice tributario. Da ciò l’esigenza di giungere ad una qualificazione della natura (tributaria o meno) del contestato «contributo», atteso che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2 d.lgs. 31.12.1992, n. 546, «appartengono alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie». In materia esistono poche certezze, essendo tuttora controverso, in dottrina come in giurisprudenza, il rapporto tra tributi e prestazioni patrimoniali imposte1, nonché, con riferimento ai primi, la rilevanza del dato funzionale e la classificazione delle varie tipologie2. Unanimità di consensi si registra, invece, sulla irrilevanza, ai fini della qualificazione di una prestazione come “tributo”, del nomen juris adoperato dal legislatore (contributo, tariffa, canone, ecc.). Le Sezioni Unite, muovendo da tale dato pacifico, hanno condiviso la tesi tradizionale secondo la quale il “tributo” costituisce una species del genus prestazioni patrimoniali imposte, e hanno individuato nella “doverosità” e nel collegamento alla spesa pubblica con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante i tratti distintivi di una possibile nozione di “tributo”. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha affermato più volte la centralità – a fini qualificatori della prestazione patrimoniale come “tributo” – del carattere coattivo della prestazione3. Nel caso di specie, la coattività viene ravvisata nel fatto che l’iscritto all’Ordine degli avvocati non ha «alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa [annuale e/o di iscrizione nell’albo], al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all’ordine». Se il carattere coattivo rappresenta un elemento essenziale ai fini della qualificazione come “tributo” – comune, peraltro, a qualunque prestazione patrimoniale imposta – esso non può, al tempo stesso, ritenersi sufficiente4, occorrendo aver riguardo al contenuto della prestazione stessa, la quale – secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, cui l’ordinanza si conforma – deve consistere in una obbligazione pecuniaria finalizzata al concorso alla spesa pubblica5, peraltro con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante. Ciò che non sembra ravvisarsi nella semplice iscrizione ad un albo professionale, trattandosi di un fatto neutro sotto il profilo economico e pertanto inidoneo alla configurazione del tributo.
1 Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005; Sacchetto, Tassa, in Enc. dir., XLIV, Milano, 22.
2 Falsitta, Manuale di diritto tributario, pt. gen., 2010, 32 ss.
3 C. cost., 10.2.1982, n. 26, secondo cui «i caratteri distintivi della materia tributaria» sarebbero identificabili «nel prelievo forzoso di risorse economiche dei soggetti a favore dello Stato o di altro ente pubblico per la destinazione a fabbisogni pubblici».
4 Fedele, La nozione di tributo e l’art. 75 Cost., in Giur. cost., 1995, 23 ss.; Manzoni-Vanz, Il diritto tributario, Torino, 2008, 11.
5 C. cost., 12.1.1995, n. 2; in dottrina Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, pt. gen., Torino, 2011, 4.