La nullità d’ufficio
Siccome nelle azioni di impugnativa negoziale oggetto del giudizio è il rapporto giuridico sostanziale che origina dal titolo dedotto nel processo, la validità o la nullità del suddetto rapporto rientra, come in quelle di esecuzione, nell’attività di necessario accertamento giudiziale: così, ampliando per conseguenza lo spettro dell’art. 1421 c.c., hanno deciso le S.U., con uno storico grand arrêt che, attraverso la specola del processo ed il correttivo della cd. ragione più liquida (art. 187, co. 2, c.p.c.), prova a “risistematizzare” la multiforme categoria delle nullità contrattuali (assolute e di protezione).
Quando sia dedotto nel processo come valido ed efficace un contratto per converso nullo, siccome si dà allora un fatto certificante l’assenza del titolo impugnato, il giudice deve rilevare d’ufficio la nullità. Ridotto all’essenziale, è questo il principio di diritto che le S.U., archiviando una querelle protrattasi per quasi mezzo secolo1, hanno sentenziato, riconoscendo che risoluzione e annullamento, rescissione e recesso ex art. 72 l. fall., ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 1421 c.c., pari sono in quanto la quaestio validitatis fa parte della causa petendi2.
Non è, dopo il revirement parziale del 20123, il classico grand arrêt completante additivamente il discorso bensì un autentico restatement a tutto tondo sul perimetro operativo dell’art. 1421 c.c. Nell’ordine, questa coppia di sentenze quasi gemelle ha infatti innovativamente statuito:
a) che il giudice, salvo non abbia disposto il rigetto per una diversa ragione “più liquida” (prescrizione, adempimento, inesigibilità della prestazione)4, può in motivazione dichiarare la nullità incidenter tantum, rigettando così l’impugnativa proposta perché il contratto è nullo, con effetto di cd. giudicato in assenza di impugnazione;
b) che, se per effetto della rilevata nullità nelle forme di cui agli artt. 183, co. 4, e 101, co. 2 c.p.c.5, ne viene domandato l’accertamento, il giudice, anziché rigettare l’impugnativa principale a motivo di una non validità del titolo dedotto, deve dichiarare la nullità del contratto in sede di dispositivo; per converso
c) che, quando la nullità non sia stata rilevata ex officio ed il giudice di prime cure abbia invece accolto la domanda di impugnativa, si avrà di riflesso un giudicato implicito sulla validità del titolo dedotto, incontrante per altro il limite di una rilevabilità officiosa in appello (con remissione in termini ex art. 153 c.p.c.); viceversa
d) nell’ipotesi opposta di un rigetto della domanda, ma con art. 1421 c.c. che non sia venuto in gioco, il giudicato implicito sulla non nullità si darà soltanto se la Corte in motivazione si sarà espressa inequivocamente sulla validità del titolo. Naturalmente nessun giudicato – sulla validità del contratto – potrà esservi quando di nuovo sia valsa da ratio decidendi del rigetto una ragione più liquida. Dunque, e già provando a ricapitolare il fitto decalogo delle S.U., allo stato (persuasivamente) si ha:
• una rilevabilità officiosa come quid consustanziale a tutte le situazioni di risolubilità degli effetti contrattuali, nell’ottica di un’interpretazione storicizzata dell’art. 1421 c.c. quale norma ove alligna un paradigma valoriale sovraordinato che ora copre pure un motivo di nullità diverso da quello opposto (in quanto il petitum è unico);
• un nesso di strumentalità tra il rilevare ed il dichiarare6, perché la prima serve in realtà a rigettare una domanda (di impugnativa o di esecuzione del contratto) infondata nel merito7;
• rigetto, a motivo di nullità del titolo prodotto in giudizio, che rappresenta così, in dottrina lo si è colto da subito8, una dichiarazione accertativa della nullità. Si radica qui quella che forse è la principale novitas di queste pronunce, una generale rilevabilità officiosa abbinata ad una specie di giudicato implicito esterno, calibrato alla cd. zeuneriana maniera9: in sintesi, un vincolo al motivo portante della precedente decisione di rigetto, valevole tra le parti in tutti i successivi processi nei quali tornasse a farsi questione sulla validità della fattispecie controversa. Per le S.U., sulla premessa di una rechtliche Sinnzusammenhang, il rigetto di una qualche domanda di impugnativa negoziale, per la nullità incidenter tantum del contratto allegato, funge da preclusione (extraprocessuale) di merito scongiurante il rischio che l’attore soccombente, nella successiva veste di convenuto per l’adempimento, si trovi a venire condannato ad un’esecuzione fondata sullo stesso titolo già reputato nullo. Il che, detto di passata, non fa una grinza sulla scorta della ragione (materiale) ineccepibile che, quando si fa questione di un rapporto sinallagmatico, il rigetto incrina «tutti gli effetti del contratto» e non il solo diritto dedotto in giudizio10. Ergo, in assenza di specifica impugnazione, spazio ad un cd. giudicato implicito sulla nullità del contratto se questa, ancorché non vi sia stata una domanda di accertamento incidentale, è stata la ratio decidendi del rigetto. Per inciso viene fatto però di osservare che, probabilmente, la maggiore latitudine della cosa giudicata si deve, nel periodare delle S.U., pure ad una seconda ragione sostanziale (inespressa).
Se infatti la ratio della rilevabilità officiosa è tutt’uno col motivo per cui la nullità è comminata, siccome per la Corte tutte le cause di nullità sono eguali in quanto ognuna di loro è tutela in atto di interessi generali11, è conseguente, onde evitare un discontinuo nello svolgersi della sanzione, che le regole processuali sul giudicato si adattino, a mo’ di un loro scorrimento: dalla singola coppia effettuale dedotta in giudizio al rapporto complesso12.
In un contesto siffatto, ritornando al dispositivo delle due sentenze, la classe variegata delle nullità cd. di protezione, oggetto di un lungo obiter iniziale, decampa solo un po’ dall’ordito principale, essenzialmente per quel marcatore di identità che è l’interesse del consumatore, ragione per una declaratoria della nullità, quantunque la si debba sempre rilevare, che non si potrà mai avere invece senza il concorso di una domanda di accertamento (principale o incidentale) del contraente protetto. Evidente l’influenza esercitata, al riguardo, dal paradigma ermeneutico di una Corte di giustizia alla quale si deve il modello di un rilievo officioso obbligatorio associato ad un diritto di interpello schermante la disapplicazione della clausola sospetta di abusività13: i dubbi, come si vedrà, si addensano sulla circostanza che le S.U. dilatino impropriamente lo spettro applicativo di questo canovaccio, facendolo sporgere in una maniera sistemicamente distorsiva.
Detto questo, quantunque venga così a profilarsi da subito la differentia specifica dell’assenza ivi di un giudicato implicito, il gemellaggio tra nullità assolute e nuove non soffre, secondo la Corte, di una qualche marcata distonia: le nullità di protezione hanno una natura ancipite in quanto la tutela seriale dei consumatori è prima di tutto una forma di protezione delle corrette regole di funzionamento del mercato, coll’emersione per conseguenza di un interesse generale che si vuole tra l’altro costituzionalizzato ex artt. 3 e 41 Cost. Non solo, quella di protezione è una vera “nullità”, sinonimo per conseguenza di una clausola o, seppur meno frequentemente, di un contratto, come pattuizioni, quando ne siano afflitti, che nascono inefficaci ab origine, colla sola variabile di una convalidabilità il cui statuto normativo, per chi lo ammetta14, non potrà però e di rimando stilizzarsi sullo schema dell’art. 1444 c.c., dovendosi qui validare irretroattivamente e non stabilizzare degli effetti precariamente prodottisi.
La motivazione delle S.U. è improntata ad un doppio regime argomentativo, esempio sintomatico di un decidere per fattispecie e per valori.
La prima metrica, condensabile nell’idea di un’effettività della nullità quale “sanzione civile automatica”, è riassumibile così: siccome la nullità, nel senso pregnante di un’impossibilità genetica del contratto in sé di produrre effetti, è una sanzione «attuata dallo stesso legislatore…, infallibile ed effettiva» perché tutt’uno colla sua comminatoria15, sarebbe un non sense declinare restrittivamente l’art. 1421 c.c., precludendo così al giudice, nonostante processualmente sia postulata la validità del titolo controverso, di rilevare che il contratto in realtà manca. Gli è infatti che una nullità irrilevabile compromette, nel senso di un suo opacizzarsi, la stessa effettività di legge della nullità quale sanzione che non abbisogna, per attuarsi, di una «garanzia coercitiva»16. Insomma, se la nullità è radicale rifiuto ex lege di protezione, perché le parti hanno contravvenuto al come la norma vincolativamente subordina sia esercitato il loro potere di autonomia, la rilevabilità, quale rappresentazione operativa di questa totale denegazione di effetti giuridici, non è frantumabile in una sequenza di eccezioni che ne delimitino il perimetro, se non si vuole mettere a repentaglio l’effettività di una sanzione pensata dal legislatore come disgiunta da un’attuazione coattiva. Nella prospettiva delle S.U., che vede un giudice in funzione tutoria di interessi generali, la nullità ha bisogno della rilevabilità quando in qualche modo se ne faccia questione in un giudizio, altrimenti l’apparenza di effetti dati come prodottisi irragionevolmente si consoliderebbe. Una concezione normativistica della nullità, la si potrebbe definire, in chiave rigorosamente strutturalistica.
Orbene, sono molti i luoghi nei quali il decisum della Corte riecheggia questa concezione esaltante, per così dire, un “automatismo normativo” della nullità. A volerne censire alcuni, scorrono in rapida successione:
a) il rilievo ex officio di una causa di nullità diversa da quella opposta, sulla premessa di una domanda autodeterminata, evitante per inciso il formarsi processualmente di sanatorie oblique17;
b) il rigetto della domanda di annullamento, di rescissione o risoluzione quando, nonostante il giudice abbia rilevato una nullità provocando il contraddittorio tra le parti ex art. 183, co. 4 c.p.c., queste comunque chiedano alla Corte di sentenziare soltanto sulla domanda originaria, perché – § 3.7 – il giudice non può pronunciare dando «attuazione a un contratto nullo»;
c) rilevata una nullità totale ex art. 1419, co. 1, c.c., il rigetto torna allorché la parte domandante od opponente la nullità perduri nel fare questione di un vizio parziale del contratto, secondo un canone argomentativo che vedrà allora il giudice obbligato a motivare il diniego proprio a motivo del vizio essenziale (o dell’illiceità) emergenti ex actis;
d) quando non operi, a mo’ di temperamento, il disposto dell’art. 187, co. 2, c.p.c., è spia implicita della precomprensione esposta, il giudicato implicito sulla nullità del contratto, per il fatto che la quaestio nullitatis ha costituito, come si diceva, il motivo portante di una precedente decisione di rigetto.
Nell’ipotesi di una convertibilità ex art. 1424 c.c., l’irrilevabilità torna viceversa sovrana: ma qui il tutto ben si comprende perché questa forma di recupero legale chiama in causa una dimensione lecita endopattizia, non l’espunzione dal sistema della circolazione di atti vietati o rifiutati in quanto disapprovati ex lege. Per inciso, effettività della sanzione, come le S.U. più volte statuiscono, è sintagma provvisto di un senso compiuto se abbinato ad un’effettività delle decisioni dei giudici: orbene se, complice un uso parcellizzato della rilevabilità, un (non contratto) può atteggiarsi a contratto, si avvalora una verità processuale che contravviene ad un’evidenza empirica stante la circostanza che il contratto nullo è pur sempre un fatto che può essere accertato oggettivamente18.
Altre due precomprensioni, rispettivamente il contratto nullo come un “puro agire” che non intacca la realtà giuridica19, sicché la rilevabilità officiosa non è declassabile ad una variabile intermittente, e l’imprevedibilità di decisioni che dessero tutela a diritti inesistenti perché mai sorti20, completano questa angolazione di un discorso rigoroso che trova innegabilmente la sua sponda nell’idea di una nullità come situazione che si dà oggettivamente in quanto sussiste, secondo la famosa immagine bettiana, «di diritto … in virtù del solo precetto della legge»21. Il che è vero, pur se parimenti esatto è che, detto a mo’ di piccola chiosa, poteva pure linearmente battersi, al fine trasformare l’art. 1421 c.c. in una norma materiale, un percorso, come dire … assiologicamente meno sofisticato: se il giudice è chiamato ad accertare la fondatezza della domanda, i fatti (impeditivi dell’efficacia) pregiudiziali rispetto alla fattispecie estintiva domandata sono rilevabili officiosamente22, nonostante le cause di nullità non siano tutte eguali e si diano gradi differenti di questa (Stufen der Nichtigkeit)23. Le parti infatti vengono spogliate del potere di domandare una diversa estinzione del contratto non perché incomba sempre l’indisponibilità di un interesse (sovra)individuale da proteggere ma in quanto la loro domanda si rivela nel merito infondata. Il principio dispositivo non c’entra, se è un problema di fatti impeditivi allegati24: quando attore e convenuto asseriscano di essere vincolati da un rapporto che trova titolo in un contratto, il vaglio giudiziale sulla validità del suddetto dipende dal potere di accertamento giudiziale di un fatto impeditivo, alla stessa guisa di ciò che accade quando l’accertamento involga «un (fatto) illecito»25. Per l’esservi una pregiudiziale di merito26, visto che la validità è parte integrante della fattispecie costitutiva, la rilevabilità attualizza un motivo di rigetto della domanda in quanto infondata. Per le S.U. la rilevabilità si lega viceversa pure al quid pluris dell’accertamento di un disvalore perché a monte la nullità è percepita come una tecnica di controllo legale. Ecco la ragione di un trasformarsi dell’art. 1421 c.c. in una specie di norma materiale.
2.1 L’art. 1421 c.c. nel prisma dei principi
La seconda metrica argomentativa, il decidere per principi, è formulata scopertamente dalla Corte al § 4.3, una densa sezione ov’è contemplata una mappa dei valori funzionali del processo, come le S.U. li etichettano, che danno ragione di una rilevabilità d’ufficio ad ampio spettro. A titolo esemplificativo all’interprete non viene poi così difficile provare ad abbinare la reinterpretazione finalistica dell’art. 1421 c.c. a questo o a quel principio, stilizzando un abbozzo che vede:
a) il “canone della soluzione più adeguata (in quanto meno problematica)” fondare il rilievo ex officio quando penda una domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, nonostante l’automatismo dell’effetto estintivo/liberatorio. Per la Corte l’art. 1421 c.c. vince sull’art. 1463 c.c. perché evita la vischiosità di un accertamento spesso complesso del fatto causativo (dell’impossibilità), bypassa la regola sul trasferimento del rischio, assicura, nel caso vi sia un affidamento meritevole ex art. 1338 c.c., una più appropriata modulazione delle vicende risarcitorie e restitutorie;
b) il “canone della decisione giusta”, già figurante per la verità nei due precedenti a S.U. nn. 14828/2012 e 10531/201327, reggere a sua volta l’ipotesi specifica di un art. 1421 c.c. come tecnica di contrasto alla variabile, ben nota alla dottrina28, di un art. 1450 c.c. il quale, facoltizzando il convenuto ad una riconduzione ad equità, produrrebbe l’effetto di attribuire ex post al contratto una vincolatività difettante ab initio; a seguire
c) il “canone dell’interpretazione tendenzialmente complessiva” fare nitidamente da sfondo alla questione di un accertamento incidentale della nullità che non giova all’attore rispetto ai terzi aventi causa dal convenuto, quand’anche costoro abbiano trascritto il loro titolo dopo la trascrizione della domanda originaria, perché un accertamento espresso (ma incidenter tantum) notoriamente è soltanto annotabile ex art. 2655 c.c., con effetto per di più a far data dal momento della formalità. Secondo il canovaccio di un’argomentazione orientata alle conseguenze, per le S.U. la strategia processuale di un accertamento in via principale, e dunque con efficacia subito di giudicato, è di gran lunga potiore: il formarsi di un titolo immediatamente trascrivibile ex art. 2652, n. 1, c.c. evita infatti il risultato perverso di un attore che dovrebbe altrimenti agire di nuovo in accertamento deducendo il giudicato implicito formatosi anteriormente, con un’opponibilità nei limiti però di cui al n. 6 dell’art. 2652 c.c. Ergo il binomio rilevabilità officiosa/giudicato – e qui aleggia scopertamente ma ex adverso il precedente di Cass. n. 6170/200529 – diventa allora espressione, sulla scia per la verità di Cass. n. 11356/200630, non di un empirismo bensì della scelta più efficiente per il sistema; sullo sfondo
d) il “canone di un’effettività della tutela”, nell’accezione “materializzata” del diritto ad un rimedio effettivo, fa infine da collante a più luoghi topici della motivazione, con una concretizzazione che diviene però pregnante quando il rilievo officioso è occasionato da un’impugnativa di annullamento. È vero infatti, come notano le S.U., che per l’esiguità delle prove addotte o la complessità degli accertamenti da eseguire, il processo può celare per il circuito l’insidia di un rigetto della domanda di annullamento. Una cognizione d’ufficio ha perciò dalla sua il vantaggio di evitare che l’ingannato si risolva obtorto collo a convalidare il contratto piuttosto che a proseguire il processo. L’art. 1421 c.c. qui diventa insomma l’esternazione di un valore applicato in sé, per il disvalore che altrimenti si avrebbe nella prassi del diritto vivente. Il principio vince così sull’argomento contrario al rilievo officioso, l’impugnativa di annullamento è pur sempre una domanda di annientamento del contratto visto che si fa valere un altro vizio originario, oltrepassando così la logica della fattispecie, secondo un’intonazione complessiva del discorso che vede tutti i principi, nessuno escluso, catturare il decisum giudiziale quando assicurino alla controversia un maggior coefficiente di certezza e di giustezza. Onde evitare, questo il succo del discorso, che la stessa sentenza divenga un “problema”. Nessun rischio perciò, benché lo si sia invece paventato, di uno smaccato interventismo giudiziale o di un dottrinarismo autoreferenziale: queste sentenze sono, in realtà, un raffinato esercizio di come si debba motivare quando una Corte sia chiamata a decidere per valori, sul presupposto che, depennando questo o quel paradosso dell’irrilevabilità, l’art. 1421 c.c. torni ad essere una disposizione “giusta”. La cifra, insomma, sembra piuttosto essere quella di una motivazione intrisa di una ragione pragmatica31.
Salutata con vivo apprezzamento dalla maggior parte della dottrina32, non sono tuttavia mancate delle chiose critiche, incistate principalmente su due profili, il regime processuale asimmetrico delle nullità protettive e la vischiosità applicativa sottesa al principio della (pregiudiziale di merito) più liquida. Quanto al primo aspetto, la critica, appuntatasi da subito sulla figura di una rilevabilità officiosa sì obbligatoria epperò associata ad una declaratoria rimessa viceversa ad una manifestazione di interesse del contraente protetto, si è nella sostanza fatta trina.
In prima battuta si è opposto che la clausola «di riserva» di un manifesto interesse del contraente protetto di fatto prelude ad un downgrade del «plafond di tutela …, fino ad azzerarla nel caso in cui il consumatore convenuto … rimanga contumace … per via dell’effetto disincentivante dei costi e dei rischi legati al giudizio»33. Ergo, e qui starebbe la vistosa aporia delle S.U., c’è un palese scollamento, viene fatto notare, tra il rilevare officiosamente e poi subordinare la declaratoria alla non interposizione della parte protetta, prodromo ad un imprinting di validità a quanto, clausola o contratto che poi sia, andrebbe viceversa bollato collo «stigma della nullità»34. Il che, seppur intrigante, non colpisce tuttavia nel segno. Lo schema binario, come prima si diceva, origina da Pannon, colla quale la Corte di giustizia ha però riconosciuto un’efficacia preclusiva al solo diniego “qualificato” e non anche a quello “per svista”, un diniego perciò nel contraddittorio delle parti e sottoposto al vaglio, perché sia una decisione consapevolmente responsabile, del giudice. Dunque nessun problema di contumacia e soprattutto un’opposizione sì preclusiva ma a regime controllato. Ora, una manifestazione di interesse, è vero, non equivale ad un’opposizione: ma l’impressione è che sia la massima ufficiale, non la motivazione delle S.U., a discostarsi da Pannon. È emblematico, al riguardo, il fatto che le S.U. discorrano di un contraente protetto che ha valutato la clausola sospetta «in termini di maggior convenienza» (§ 3.15, lett a). Dunque oculatamente.
Al netto di ciò, giova per altro evidenziare come la critica riferita non bocci paternalisticamente la convalidabilità di una nullità protettiva quanto e piuttosto problematizzi i termini entro i quali è legittimo prospettarla. Il che, ecco il secondo appunto mosso alle S.U., rimanda d’emblée alla notazione del processualista il quale, sulla premessa che le S.U. fanno questione di una nullità scansata non perché il giudice l’abbia esclusa ma in quanto la parte legittimata «non l’ha voluta sentir dichiarare (“in dispositivo”)», ne deduce che una nullità protettiva “soltanto rilevata” è sintomo di una questione che rimane impregiudicata, deragliando così non poco, viene osservato, dal leitmotiv delle S.U., palesemente inclini ad intendere la nullità come una pregiudiziale tendenzialmente da trattarsi nel processo «una volta soltanto»35. Nel «silenzio della motivazione»36, si è notato, dal diniego della parte protetta non può dedursi un rigetto che fondi una preclusione di non nullità, col risultato che il consumatore convenuto, il quale seppur resone edotto ex art. 183, co. 4, c.p.c. non abbia fatto domanda di accertamento, potrebbe successivamente far valere quella stessa nullità prima messa in non cale. Il diniego iniziale, in quest’ottica, non consuma la sua facoltà di ripensamento. E tuttavia, ecco la replica, perché escludere, nel caso abbia le sembianze di una responsabile consapevolezza, che questa opposizione possa valere come una convalida, per lo meno nelle fattispecie di testuale legittimazione relativa (artt. 36, co. 3, 67 octiesdecies, co. 1, 134, co. 1, c. cons. ed art. 127 t.u.b.)? Il discorso, non foss’altro in termini di linearità complessiva, ne trarrebbe un sicuro giovamento: da un lato si avrebbe un giudice, che accoglie o rigetta, come se la nullità non vi fosse perché questa … non c’è più stante la validazione sopravvenuta; dall’altra una convalida ex art. 1423 c.c. (o per effetto dell’art. 36, co. 3, c. cons.) avrebbe dalla sua il sicuro vantaggio di anestetizzare gli effetti perversi di una condotta speculativa, del cliente o del consumatore, altrimenti paralizzabile solo ricorrendo alla discussa teorica dell’abuso del diritto. Esemplificando, se il consumatore, citato in giudizio per inadempimento, nonostante l’interpello non fa valere la vessatorietà della caparra confirmatoria, iniqua poniamo quanto al suo ammontare (art. 33, co. 2, lett. e, c. cons.), perché nel frattempo è riuscito ad ottenere quel finanziamento indispensabile a saldare la quota parte del prezzo dovuto al professionista venditore, qualificando il suo diniego semplicemente come un’omessa domanda di accertamento, vien fatto di pensare che, se medio tempore gli dovesse allora pervenire in eredità un immobile idoneo a soddisfare il suo interesse abitativo, costui impugnerà la clausola… Il quadro, dunque, è assai vischioso e già potrebbe mostrarsi d’ausilio non incespicare in una Inversion-Methode: soltanto da un’inconvalidabilità a monte può infatti dedursi che il diniego della parte protetta non fonda a valle una rinunzia o una sanatoria, non certo il suo contrario. E se, come sembra a molti37, una siffatta convalida è prospettabile stragiudizialmente, perché dovrebbe essere preclusa la sua variante endoprocessuale?
Non meno sofisticato, venendo così al terzo motivo di critica, il discorso condotto da chi, sulla premessa inconfutabile che il diritto di interpello è tarato dalla Corte di giustizia sul canovaccio di una nullità della singola clausola, imputa alle S. U., che invece non mostrano di voler distinguere tra nullità parziale ed una “del contratto”, il cortocircuito sistematico di stilizzare, per l’intera classe delle nullità protettive, una comminatoria di rilievo officioso «pienamente disponibile»38. Il valore sovraordinato dell’interesse generale, se dovesse convenirsi sulla parabola argomentativa descritta, ne uscirebbe dimidiato a tacer della circostanza, si fa notare39, che l’interpello della Corte europea non inequivocamente si presta ad una declinazione nell’ottica binaria di una rinunzia (all’azione) o di una convalida.
Ora, è vero che edittalmente si danno casi di nullità di protezione del contratto, formali (artt. 117, co. 3, t.u.b., 23, co. 3, t.u.f. e 2, co. 1, d.lgs. 20.6.2005, n. 122) ma non solo (art. 67 septiesdecies, co. 4, c. cons., art. 30, co. 2, t.u.f. ed art. 36, co. 1, c. cons. in via interpretativa). Quanto però ad una preclusione del contraente protetto che faccia da ostacolo alla declaratoria di una nullità totale, in realtà, il dictum delle S.U. sul punto tace: e, visto l’(apparente) ammanco argomentativo della sentenza, niente esclude che il suo periodare si presti pure ad un’altra lettura, sul presupposto che il potere del giudice di rigettare a motivo di una nullità del contratto vada invece ritenuto “implicito” nella domanda di impugnativa quando, si pensi ad un contratto asimmetrico formale stipulato verbalmente, manchi il “fatto costitutivo” della pretesa. Per inciso, la nullità protettiva che le S.U. declinano in termini di asimmetria processuale involge nominativamente sempre e solo ipotesi di abuso, non anche quelle di un vizio importante un difetto strutturale: ma financo rispetto alle prime potrebbe forse plausibilmente sostenersi che la declaratoria di nullità (totale) è implicita in quella inerente alla vessatorietà delle singole clausole quando queste siano essenziali e non si dia un’interpolazione dispositiva che compensi la lacuna.
A titolo di completezza espositiva, andrebbe casomai fatto notare che le criticità della pronuncia sono ben altre, nell’ordine: a)il perimetro di questa opposizione, quale che sia la sua natura, ingloba tutta l’area dei contratti b2c (business to consumer) oppure le fattispecie di irrinunciabilità e di non vincolatività (artt. 143 e 66 ter c. cons.) sono oltre?
b)ammesso che il diritto di interpello abbia una valenza generale nel comparto consumeristico, è da intendere come pure corredato di un’efficienza transistematica, per intendersi dal consumatore al professionista debole e da questo al cliente?
c) la preclusione alla declaratoria vale pure per le fattispecie ricalcanti una vicenda di sostituzione automatica ex art. 1419, co. 2, c.c. (v. per es. art. 125 bis, co. 6, t.u.b.) o deve circoscriversi ai soli casi, seppur numericamente corposi, di deroga abusiva al diritto dispositivo?
Non proprio questioni di dettaglio, come si può notare.
Poche battute, e questa volta adesive, merita invece l’argomento sulla complessa maneggiabilità di un canone, quello della ragione più liquida, tutt’altro che incontrastato.
Si è fatto invero notare che, se l’oggetto del giudizio è il rapporto contrattuale40, il principio della ragione più liquida, pur se non fa giudicato sulla validità del contratto (art. 187, co. 2, c.p.c.), qualche guasto comunque è destinato crearlo. Gli è infatti che il rigetto, al cospetto poniamo di un adempimento parziale o tardivo, della domanda di risoluzione perché l’inadempimento opposto non è grave (art. 1455 c.c.), ove il convenuto vittorioso dovesse successivamente domandare la condanna della controparte all’adempimento, è sì compensabile con un rilievo officioso della nullità per mano del secondo giudice, epperò questa finirà per alterare indirettamente «i nessi funzionali tra diritti»41. L’impressione, alle corte, è infatti che il criterio della ragione più liquida per il rigetto, pur se assicura in quanto assorbente una più celere e piana definizione della lite, stinga comunque in una species facti sviante, se è vero che, nell’ipotesi sunteggiata, il rigetto di rimando crea un’(incongrua) apparenza affidante sulla validità del contratto, col risultato di un convenuto che, allertato ex art. 183, co. 4, c.p.c., si troverà a dover domandare l’accertamento della nullità ed annessa restituzione, quando il tutto poteva evitarsi rilevando la nullità già nel primo giudizio. Vero che l’oggetto del giudicato di rigetto, essendo qui limitato al motivo specifico di diniego, ha uno spettro più circoscritto dell’oggetto del processo42, il che spiega l’ammissione di un successivo agire in nullità, epperò il tutto processualmente si tradurrà nel succedersi di «decisioni a contenuto variabile»43. La deduzione, una rilevabilità officiosa come tecnica di disciplina prevalente in dubio sul canone della ragione più liquida, sembra allora imporsi da sé in quanto espressiva di un approccio assiologico più meritevole di tutela. Diversamente l’esigenza di una maggiore economia processuale (§ 5.14.7) potrebbe trasformarsi, per un’eterogenesi dei fini e nonostante Cass. n. 9943/201344, nel suo opposto45.
3.1 Tassonomia di problemi in bianco
Di seguito, nonostante l’innegabile «ampiezza di visione sistematica» permeante il decisum46, un primo catalogo di questioni rimaste, per l’accavallarsi di profili connessi, lasche o comunque impregiudicate.
i) Con un art. 1421 c.c. che copre ogni questione di risolubilità degli effetti negoziali, la cognizione d’ufficio involge pure il caso della simulazione visto che pure qui la concorrente questione di nullità del contratto dedotto in giudizio funge da pregiudiziale del decidere sulla domanda principale?47 Si pensi ad una domanda di accertamento della simulazione per interposizione fittizia: ipotesi nella quale, stando almeno a Cass. n. 4645/198748, incorre nel vizio di ultrapetizione la sentenza che fosse di accoglimento ma rilevando un’interposizione reale, dictum poi rinnovato da Cass. n. 9505/2005 per il caso sintomatico di una simulazione pronunziata pendente una domanda di risoluzione o di nullità del contratto49. Epperò pare piuttosto evidente che, se la ratio del rilievo officioso è impedire l’esecuzione giudiziale di contratti nulli (§ 3.7), nella fattispecie illustrata per prima, di una simulazione assoluta difettante nella sostanza perché dovrebbe piuttosto farsi questione di un’interposizione reale, la preclusione a rilevare la nullità del contratto importerebbe il risultato di dare giuridicità ad un obbligo, quello dell’intestatario dell’immobile di trasferirlo al beneficiario, in realtà mai sorto. E lo schema è destinato a riprodursi quando la domanda di simulazione assoluta, infondata perché le parti hanno inteso piuttosto dissimulare, è da rigettarsi nel merito a motivo della sua nullità in quanto il contratto integra un mutuo commissorio50.
ii) Con una generale rilevabilità ex officio, basculante tra una preclusione extraprocessuale inter partes ed un giudicato in senso proprio, è più che fondato pensare che l’interesse a domandare un accertamento incidentale della nullità (art. 34 c.p.c.) sia destinato per riflesso a rarefarsi, con una tassonomia di casi topici tendenzialmente confinata all’ipotesi di un attore che intenda munirsi di un titolo opponibile ai terzi. Non è detto, per altro che il rigetto della domanda di annullamento, perché il contratto è nullo, tornerà sempre utile all’attore. Se costui infatti, stante l’esecuzione interinale del contratto impugnato, avesse unitamente domandato la restituzione dell’immobile, il rigetto per nullità gli tornerà utile ove il convenuto non abbia provveduto nel frattempo ad alienare a terzi. In questa seconda ipotesi infatti, se la domanda di annullamento risulterà in data anteriore alla trascrizione dell’avente causa dal convenuto, finanche «l’attore formuli prudenzialmente domanda di accertamento incidentale e la trascriva»51, non è da scartare il rischio ch’egli finisca comunque per risultare soccombente, complice la circostanza che la trascrizione del terzo tendenzialmente risulterà sì posteriore alla domanda di annullamento ma precedente a quella di nullità.
iii) Per le S.U. la domanda di accertamento della nullità è autodeterminata, donde la rilevabilità di una causa diversa da quella addotta. Viene però da chiedersi se i diversi motivi di nullità debbano iscriversi tutti nel medesimo tipo normativo o se possa transitarsi da una nullità assoluta ad una di protezione e viceversa. Può farsi il caso di un consumatore che eccepisce l’usurarietà del tasso di interesse praticato, donde una nullità ex art. 1815, co. 2, c.c., quando invece il giudice constata l’esistenza di una vessatorietà della clausola di modifica unilaterale del suddetto tasso52, dunque una nullità di protezione. Orbene, stante la circostanza che la nullità, nel nuovo canone delle S.U., è sempre rilevabile, niente dovrebbe impedirne il vicendevole mutare, senza per ciò stesso incorrere in una sostituzione officiosa del petitum della domanda proposta, con una dichiarabilità modellata viceversa sul tipo, assoluta o relativa, di nullità in oggetto.
iv) Nullità di protezione virtuale, recitano le S.U. (§ 3.13.3), mentre mai compare il sintagma nullità virtuale di protezione, senza così uno scostamento dalle sentenze Cass., S.U., 19.12.2007, nn. 26724 e 26725: il che, condensando tutto in una battuta, significa notoriamente iscrivere nel co. 3 dell’art. 1418 c.c., e non nel primo, le fattispecie documentanti una nullità per violazione del principio di buona fede. Nullità testuale, perciò, non virtuale (naturalmente entro i limiti, ricorrendone i presupposti, dell’integrazione analogica)53. Epperò qualche corposo dubbio che non tutto scivoli via così pianamente, in filigrana pure qui traspare. L’inghippo è nel § 3.12.1, laddove la natura ancipite delle nullità di protezione vede l’interesse privato tutt’uno colle regole di un mercato concorrenziale, regole per le S.U. costituzionalizzate (artt. 3 e 41 Cost.). Se infatti la finalità di protezione è per così dire “collettivizzata”, in quanto tutelando l’interesse del singolo consumatore, poniamo, è garantita la protezione di un interesse generale costituzionalmente rilevante, si instilla il sospetto che una nullità virtuale di protezione ex art. 1418, co. 1, c.c. abbia più di una (risorgente) ragione d’essere54. Un ordine pubblico di protezione, punto di convergenza tra valori di efficienza del mercato e quelli di stampo personal/solidaristico “riqualifica” invero la sanzione ogni qual volta l’abuso o l’omissione del contraente forte venga a produrre serialmente una decisione negoziale irrazionale. E la ragione è elementare: il giudice che commina la nullità, in quest’ordine di idee, persegue interessi di rango costituzionale e frena il prodursi di un danno all’integrità ed efficienza del mercato55;
v) Il costituzionalizzarsi, per le S.U., dell’interesse protetto fa sì da un lato che la classe delle nullità protettive non intacchi (od elida) l’essenza «della categoria della nullità stessa», dando nel contempo ragione dall’altro di un rilievo d’ufficio necessario per un’effettività della lotta all’abuso del professionista, in linea d’altronde con un canovaccio, non a caso già declinato de plano, in precedenza, dalla stessa Corte56. Epperò, non è forse vero che l’“istituzionalizzarsi” di un regime processuale asimmetrico opacizza fortemente il rapporto di genere a specie che si vorrebbe esistente tra nullità assoluta e relativa? Sono cinque suggestioni, come si può notare, nulla più, sufficienti però a riassumere la cifra coerente di una decisione che, coll’intuizione di legare, nelle azioni di impugnativa, l’oggetto del giudizio non artificiosamente al diritto potestativo bensì ad un rapporto sostanziale del quale il giudice, onde appurare la substantia della situazione invocata, deve vagliare il suo esserci oppure no, ritematizza il ruolo della “fattispecie”57, non più figura che vale in sé ma in ragione del “valore” che il processo le fa esprimere. Nessuna “fuga” nei principi dunque: depennando questo o quel paradosso dell’irriilevabilità, si prosegue in un’opera di riconcettualizzazione processuale del contratto58, facendo tornare ad essere l’art. 1421 c.c. una disposizione “giusta”. Cass. n. 2040/201559, sull’ammissione per la prima volta in Cassazione di un motivo di nullità, se non si sia formato in precedenza un giudicato implicito sulla validità del contratto, lo attesta inequivocamente.
1 V., almeno, Cass., 18.4.1970, n. 1127, in Foro pad., 1971, I, 742 ss., con nota di Irti,N., Risoluzione di un contratto nullo? e già, però, Stolfi, G., Sopra un caso di modificazione della domanda in corso di giudizio, in Giur. it., 19148, I, 2, 151 ss. Per un quadro, Pagliantini, S., sub art. 1421, in Dei contratti in generale, a cura di Navarretta ed Orestano, III, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 2012, 672 ss.
2 Dando per presupposto naturalmente, e così svolgendo il discorso, che l’oggetto del giudizio, quando penda una domanda di impugnativa negoziale, verta non (artificiosamente) sul diritto potestativo bensì sulle situazioni giuridiche finali trovanti titolo nel contratto dedotto, da cui poi la doverosità di un accertamento giudiziale per compulsare la «totale ed effettiva consistenza sostanziale [di queste]»: così Cass., S.U., 12.12.2014, n. 26242 e Cass., S.U., 12.12.2014, n. 26243, per il cui commento v. intanto Pagliantini, S., Rilevabilità officiosa e risolubilità degli effetti: la doppia motivazione della Cassazione … a mo’ di bussola per rivedere Itaca, in Contratti, 2015, 113 ss., e Carbone, V., “Porte aperte” delle Sezioni unite alla rilevabilità d’ufficio del giudice della nullità del contratto, in Corr. giur., 2015, 88 ss. Le due ordinanze di rimessione, Cass., 27.11.2012, n. 21083 e Cass. 3.7.2013, n. 16630, si leggono, rispettivamente, in Corr. giur., 2013, 174 ss., con nota di Pagliantini, S., A proposito dell’ordinanza interlocutoria 21083/12 e dintorni: rilievo d’ufficio della nullità all’ultimo atto? e Consolo,C., Postilla di completamento: il giudicato ed il rilievo officioso della nullità del contratto: quanto e come devono essere ampi?, ed in Guida dir., 2013, fasc. 36, 96.
3 V. Cass., S.U., 4.9.2012, n. 14828, in Contratti, 2012, 869 ss., con nota di Pagliantini,S., La rilevabilità officiosa della nullità secondo il canone delle sezioni unite:"eppur si muove"?
4 Escludente, per la sua evidenza assorbente di ogni altro motivo, una (financo) sommaria cognizione officiosa.
5 A pena di nullità della sentenza cd. della terza via: v., per tutti, Comoglio, L.P., Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio, in Il Libro dell’anno del Diritto 2012, Roma, 2012, 621 ss. e Costantino,G., Questioni processuali tra poteri del giudice e facoltà delle parti, in Riv. dir. proc., 2010, 1012 ss.
6 Un «rapporto di collegamento (i.e. di inclusione)» nel recitativo delle S.U.
7 Lucidamente Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, Torino, 2014, I, 153.
8 Così Consolo, C.Godio, F., Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, in Corr. giur., 2015, 225 ss.
9 V. Consolo, C., Poteri processuali e contratto invalido, in Europa e dir. priv., 2010, spec. 972 ss. L’uso del cd. nasce dal fatto che, almeno per questa dottrina, qui più che un giudicato, non essendo ampliato l’oggetto del giudizio, v’è una preclusione extraprocessuale – per le parti – fondata sul principio di buona fede, nell’ottica, direbbe il civilista, del divieto di un venire contra factum proprium.
10 Cfr. Consolo,C., op. cit., 976 e la monografia – testo classico sull’argomento – di Menchini, S., I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1087, 48 ss., 185 ss. e 281 ss.
11 Cioè la raffigurazione classica che Di Majo, A., Il contratto in generale. La nullità, in Tratt. Bessone, XIII, 7, Torino, 2002, 153, bollandola come un argomento che prova «anche troppo», traduce criticamente nell’immagine di giudici «tutori degli interessi generali connessi alle contrattazioni tra privati».
12 V. Proto Pisani, A., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 69 s.
13 Il leading case è C. giust., 4.6.2009, causa C243/08, Pannon GSM Zrt, consultabile in Rass. dir. civ., 2010, 491 ss. Una diversa interpretazione dell’interpello, più organica senza dubbio ad un presidio giudiziale dell’interesse generale, è prospettata di recente da Alessi, R., “Nullità di protezione” e poteri del giudice tra Corte di Giustizia e Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in Eur. e dir. priv., 2014, 1172 e 1178, incline a ritenere che la Corte di giustizia non dia credito all’idea di una disponibilità dell’interesse protetto ex artt. 3 e 6 dir. 93/13/CEE. Il che, di là comunque dalla marcata ambivalenza dei dicta europei, rischia però di far virare il tutto quasi in un problema di gusto giuridico, stante la circostanza che l’alternativa ad una convalida endoprocessuale sarebbe una valutazione giudiziale della vessatorietà, ove il consumatore si opponga alla disapplicazione della clausola abusiva, attestante «l’irrintracciabilità, in concreto, dello squilibrio» ovvero l’individuazione di «una positiva volizione della clausola, confermativa o equivalente ad una “trattativa individuale”». Ergo sarebbe una questione che refluisce in toto nel perimetro dell’art. 34, co. 1 e 4, c. cons.
14 V. D’Amico, G., Nullità non testuale, in Enc. dir., Annali, IV, Milano, 2011, 826 s. e Pagliantini, S., Una nullità virtuale di protezione ? A proposito degli artt. 28 e 34 del c.d. Cresci Italia, in Oss. dir. civ. comm., 2012, 73 ss.
15 Così Irti, N., La nullità come sanzione civile, in Contr. e impr., 1987, 543.
16 Cfr. Irti, N., op. loc. ultt. citt.
17 Implicite nel giudicato sulla validità ed efficacia del titolo che, per conseguenza, si verrebbe a formare dopo il rigetto della domanda per l’insussistenza della causa di nullità opposta. Qui infatti la sentenza di rigetto accerterà l’esistenza del rapporto contrattuale, escludendo in pari tempo la rilevanza di quelle diverse cause di nullità deducibili ma non dedotte. Ergo il giudicato coprirebbe il dedotto ed il deducibile stante la concorrente circostanza che uno stato di buona fede scusabile non è accreditabile di un qualche valore impeditivo.
18 Il giudice che rileva incidenter non fa altro «che rispecchiare l’assetto di interessi determinatosi al di fuori del processo»: v. Oriani, R., Eccezioni rilevabili (e non rilevabili) d’ufficio. Profili generali, in Corr. giur., 2005, 1011 ss.
19 V. Irti, N., Concetto giuridico di comportamento e invalidità dell’atto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 1054.
20 In un’ottica che si direbbe di calcolabilità weberiana: v. Irti, N., Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, 988.
21 Teoria generale del negozio giuridico, rist. Napoli, 1994, 470 s. (e nt. 20, c.vo nel testo).
22 V. Ricci, E.F., Un’importante decisione sulla nullità del contratto come questione pregiudiziale nelle cause di impugnativa contrattuale, in Riv. dir. proc., 2006, 1470 s., se il titolo dedotto in giudizio è nullo, «la domanda diretta alla sua eliminazione [è] priva di base giuridica e quindi infondata».
23 Con una Intensität che rende così ragione tanto dei casi nei quali difetta una qualsiasi conseguenza giuridica quanto delle ipotesi, e sono notoriamente molte (artt. 2126, 2652, n. 6, c.c. ecc.), ove la nullità viceversa si lega alla produzione di effetti negoziali veri e propri. V. Pawlowski, H.M., Rechtsgeschäftliche Folgen nichtiger Willenserklärungen, 1966, 4, 37 ss., 101 ss. e, volendo, Pagliantini,S., Struttura e funzione dell’azione di nullità contrattuale, in Riv. dir. civ., 2011, I, 753 ss.
24 V. Proto Pisani, A., La tutela c.d. costitutiva, ora in Id., I diritti e le tutele, Napoli, 2008, 155.
25 Col fatto qui «rappresentato dal negozio»: così Di Majo, A., La nullità, cit., 154 e, non dissimile, Filanti, G., La rilevabilità d’ufficio della nullità e la mancanza degli elementi costitutivi del contratto, in Persona e mercato, 2014, 107 e 110.
26 V. Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, I, cit., 154.
27 Cass., S.U., n. 14828/2012, cit. e Cass., S.U., 7.5.2013, n. 10531, in Giusto proc. civ., 2013, 1025 ss.
28 V. Scognamiglio, C., Il giudice e le nullità: punti fermi e problemi aperti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 35.
29 Perché Cass., 22.3.2005, n. 6170, in Corr. giur., 2005, 970 ss., con nota di Mariconda, V., La Cassazione rilegge l’art. 1421 c.c. e si corregge: è vera svolta?, seguendo la linea della pregiudizialità logica, amplia l’oggetto del giudizio, col risultato che la decisione su uno degli effetti del rapporto complesso avrebbe sì qui l’efficacia di un giudicato.
30 V. Cass., 16.5.2006, n. 11356, in Corr. giur., 2006, 1418 ss., con nota di Consolo, C., La Cassazione prosegue nel suo dialogo con l’art. 1421 c. c. e trova la soluzione più proporzionata (la nullità va sempre rilevata, ma non si forma “ad ogni effetto” il giudicato).
31 V. pure, meditatamente, Scognamiglio, C., Il pragmatismo dei principi: le Sezioni Unite ed il rilievo officioso delle nullità, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 197.
32 V., in special modo, Proto Pisani,A., Una decisione storica delle sezioni unite, in Foro it., 2015, I, 944; Pagni, I., Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it., 2015, 70 ss.; Verde, G., Sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali, in Riv. dir. proc., 2015, 747 ss.; Pagliantini, S., Spigolando a margine di Cass. 26242 e 26243/2014: le nullità tra sanzione e protezione nel prisma delle prime precomprensioni interpretative, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 185 ss.; Scognamiglio, C., Il pragmatismo dei principi, cit., 197199; Di Ciommo, F., La rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. secondo le Sezioni Unite: la nullità presa (quasi) sul serio, in Foro it., 2015, I, 921 ss. (seppur con qualche velatura critica di troppo) e Rizzo,F., Il rilievo d’ufficio della nullità preso sul serio, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 315.
33 Così Palmieri, A.Pardolesi, R., Il “long essay” delle Sezioni Unite sull’esercizio dei poteri officiosi ex art. 1421 c.c.: la seconda puntata sarà davvero l’ultima?, in Foro it., 2015, I, 916.
34 Cfr. Palmieri, A.Pardolesi, R., op. loc. ultt. citt.
35 Così Consolo, C.Godio, F., Patologia del contratto, cit., 225.
36 Cfr. Consolo, C.Godio, F., op. loc. ultt. citt.
37 V. Polidori,S., Nullità relativa e potere di convalida, in Rass. dir. civ., 2003, 931 ss. e Girolami, M., Le nullità dell’art. 127 T.U.B. (con l’obiter delle Sezioni Unite), in Banca borsa, 2015, I, 172 ss.
38 Così Alessi, R., “Nullità di protezione” e poteri del giudice, cit., 1158 ss.
39 Cfr. Alessi, R., op. cit., 1160.
40 V., in special modo, Pagni,I., Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, cit., 7073.
41 Così Menchini, S., Le Sezioni Unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto, in Nuovi quaderni del Foro italiano, 2015, 22.
42 Cfr. Proto Pisani, A., Una decisione storica delle sezioni unite, cit., 945.
43 V. Menchini, S., op. cit., 21.
44 Cass., 24.4.2013, n. 9943, inedita.
45 Rischio paventato pure da Scognamiglio, C., Il pragmatismo dei principi, cit., 198 s., incline ad escludere una rilevabilità officiosa della nullità di protezione quando il giudice abbia escluso l’esistenza di una nullità strutturale di diritto comune.
46 Così Proto Pisani, Una decisione storica delle sezioni unite, cit., 944.
47 Questione già problematizzata da Carratta, A., Sub art. 112 c.p.c., in Carratta, A.Taruffo, M., Dei poteri del giudice, in Comm. c.p.c. Chiarloni, Bologna, 2011, 182 ss.
48 V. Cass., 22.5.1987, n. 4645, in Foro it. Rep., 1987, voce Sentenza civile, n. 21.
49 V. Cass., 6.5.2005, n. 9505, in Guida dir., 2005, fasc. 24, 80.
50 V. Cass, 22.3.2007, n. 6961, in Foro it. Rep., 2007, voce Appello civile, n. 55.
51 Così Consolo, C. Godio, F., Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, cit., 230 s.
52 V. Cass., 12.8.2013, n. 17257, in Contratti, 2014, 18 ss.
53 Per tutti D’Amico, G., Nullità virtuale, nullità di protezione (variazioni sulla nullità), in Le forme della nullità, a cura di S. Pagliantini, Torino, 2009, 12 ss.
54 A fortiori se dovesse poi preferirsi quell’elegante approccio dottrinale che vede la nullità codicistica come una figura basculante da sempre fra protezione e sanzione: v. Gentili,A., La “nullità di protezione”, in Europa e dir. priv., 2011, 105 s.
55 Non a caso le S.U. sembrano qui ispirarsi al periodare di quella dottrina, v. Scalisi,V., Autonomia privata e regole di validità: le nullità conformative, ora in Id., Il contratto in trasformazione, Milano, 2013, 389 s. e 400, apertamente propensa ad ammettere una nullità virtuale in conseguenza della violazione di una regola di comportamento.
56 Cass., 21.3.2014, n. 6784, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 727 ss., sulla clausola di esclusione della garanzia per vizi occulti in un contratto b2c.
57 V. pure, acutamente, Verde,G., Sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali, cit., 749.
58 V. da ultimo la pregevole Cass., S.U., 3.6.2015, n. 11377, in Contratti, 2015, 645 ss.
59 V. Cass., 4.2.2015, n. 2040, inedita.