La nuova commedia italiana
Il box office cinematografico del 2011 presenta, per quanto riguarda l’Italia, uno scenario assolutamente inedito. Primo posto della classifica degli incassi: Che bella giornata di Gennaro Nunziante, interpretato da Checco Zalone (45 milioni di euro). Secondo posto: Immaturi di Paolo Genovese (17 milioni). Terzo posto: Qualunquemente di Giulio Manfredonia, con Antonio Albanese (16 milioni). Quinto posto: Femmine contro maschi di Fausto Brizzi (12 milioni). Una presenza italiana così massiccia ai vertici della classifica è un dato del tutto nuovo, che prosegue un trend molto positivo già iniziato nel secondo semestre del 2010 con i successi clamorosi di altri film italiani quali Benvenuti al Sud di Luca Miniero, Maschi contro femmine di Fausto Brizzi e La banda dei Babbi Natale, di Paolo Genovese, con il trio comico composto da Aldo, Giovanni & Giacomo. Il dato nuovo non è solo nella capacità di riconquistare fette di mercato che negli anni precedenti andavano quasi sempre e solo ai blockbusters hollywoodiani, ma anche e soprattutto nell’affermazione di un tipo di commedia che decreta il tramonto probabilmente irreversibile del modello dei cosiddetti cinepanettoni. Qualcuno ha detto e scritto che lo scarto più evidente fra la nuova commedia e i vecchi cinepanettoni è la vistosa riduzione della volgarità.
È un’affermazione discutibile.
La volgarità non è di per sé un disvalore. La questione è piuttosto un’altra: la nuova commedia italiana è più interessante della vecchia perché – a differenza di quanto è accaduto per almeno tre lustri con i cinepanettoni – non si fonda più, volgare o no che sia, su un immaginario di matrice televisiva, parassitariamente avvinghiato ai canoni, ai corpi e ai miti del piccolo schermo nostrano. Detto in altri termini: la nuova commedia non appare più infarcita e inturgidita da quel bolo indigesto di gallismo, machismo, vanagloria, omofobia, misoginia, xenofobia e razzismo che caratterizzava, per esempio, buona parte dei personaggi messi in scena da Massimo Boldi. Checco Zalone non è così. Bisio e Siani in Benvenuti al Sud non sono così. Non sono così Rocco Papaleo e gli altri personaggi di Basilicata coast to coast. O quelli di Nessuno mi può giudicare di Massimiliano Bruno. Ma c’è un’altra differenza non da poco fra loro e i vecchi eroi della commedia siliconata spetazzante e velinara: questi – i nuovi – sono per lo più interpreti di personaggi evolutivi e dinamici, mentre i vecchi incarnavano quasi sempre personalità statiche e perennemente identiche a sé stesse. I personaggi dei cinepanettoni, in altre parole, erano e sono degli stereotipi: si ispirano mimeticamente a certi modelli di italiano medio e li ripetono ossessivamente e compulsivamente in qualunque situazione e in qualsiasi contesto si trovino ad agire. Che siano in Egitto o a Miami, a Cortina o a Cefalù, i personaggi di Boldi e Christian De Sica non possono che ripetere il loro trito repertorio di frizzi lazzi peti rutti e deliri fallocratici. Il loro successo sta proprio nell’eterno ritorno dell’identico. Nella loro immodificabilità. Nella ciclica riconferma del risaputo. Perfettamente sinergici e funzionali, in ciò, all’immaginario neotelevisivo e al suo progetto di nientificazione del tempo in vista di un’infinita e immemore messinscena dell’attimo presente. I nuovi comici, invece, mettono in discussione gli stereotipi di cui paiono espressione all’inizio delle storie che ce li rappresentano. Tanto il Bisio di Benvenuti al Sud quanto lo Zalone di Che bella giornata si infilano in meccanismi narrativi che li portano – alla fine della storia – a essere diversi da come erano all’inizio. Incarnano gli stereotipi per poi metterli in discussione. Per incrinare la loro tenuta proprio nell’immaginario collettivo. Da questo punto di vista, rappresentano un indubbio fattore di dinamizzazione in una scena comica che sembrava paralizzata e come chiusa in sé stessa da almeno quindici anni a questa parte.
Le regie dei loro film, certo, sono giudicate severamente da parte della critica, che le accusa di non andare oltre una sintassi elementare basata sullo schema: campo, controcampo, totale. Vero. Ma erano più o meno così anche le regie di Camillo Mastrocinque o di Mario Mattoli quando si trovavano a lavorare – poniamo – con Totò, consapevoli del fatto che di fronte a un corpo comico al lavoro il regista non deve cercare di imbrigliarlo, o di incanalarlo, ma deve lasciarlo libero di scatenarsi e di inoculare un po’ di disordine nel mondo. La nuova commedia italiana si muove più o meno in quella stessa direzione.
Diventare qualunquemente film
Cetto la Qualunque, il personaggio ideato dal comico Antonio Albanese, esordisce nel 2003 sugli schermi RAI all’interno di Non c’è problema, ma la consacrazione giunge con la partecipazione al programma Mai dire domenica della Gialappa’s Band. Dal 2007 diventa ospite fisso di Che tempo che fa di Fabio Fazio (RAI Tre), suscitando la simpatia del pubblico tanto che, nel 2010, Albanese annuncia l’uscita del film Qualunquemente che arriva nelle sale a gennaio 2011. Il passaggio dal piccolo al grande schermo non snatura l’indole tragicomica e fortemente realistica di questo imprenditore ignorante e qualunquista prestato alla politica, che fa campagna elettorale promettendo sesso facile e colate di cemento.