La composizione della spesa pubblica secondo i dati del ministero del Tesoro britannico per il periodo 2014-15 vedeva la difesa al terzo posto (10,5%), seguita da sanità (33%) ed educazione (16%). Le spese per lo sviluppo internazionale erano il 2,1 % del totale, mentre solo lo 0,56% quelle per il ministero degli Esteri. Anche i dati sulle proiezioni di spesa 2015-2020 del governo Cameron disegnano un trend abbastanza chiaro sulla direzione che prenderà la politica estera inglese, qui intesa in senso ampio, dei prossimi cinque anni. Sarà soprattutto una politica incentrata sulla difesa, sul controterrorismo e sulla sicurezza interna, sarà probabilmente sempre meno una politica estera con una proiezione internazionale intesa nel senso del dispiego del suo corpo diplomatico nel mondo. La proiezione internazionale del paese resterà invece protetta dagli investimenti in termini di aiuti allo sviluppo che riservano al suo dipartimento una capacità di spesa in aumento da 8,5 a 11 miliardi di euro nei prossimi cinque anni. Il governo investirà, invece, 34 milioni di sterline nel 2016-17 e 85 milioni di sterline all’anno dal 2017-18 su uno dei suoi asset più importanti di influenza globale di tipo soft, la Bbc World Service. Questi soldi serviranno ad incrementare la presenza della Bbc in aree come Russia, Corea del Nord, Medio Oriente e Africa, e saranno volti a raggiungere, secondo quanto dichiarato, circa mezzo miliardo di persone nel mondo.
Nel documento di spending review pubblicato alla fine di novembre 2015 le decisioni di investimento del governo in materia di sicurezza nazionale occupano una posizione di primo piano. Viene, in particolare, sottolineato che il paese continuerà ad essere protetto da un apparato militare all’avanguardia, un sicurezza interna e una difesa cibernetica solide. In effetti, nel documento le intenzioni del governo sono quelle di aumentare la capacità di spesa degli apparati di difesa e di sicurezza nel periodo compreso tra il 2015-16 e il 2020-21, contribuendo con il 2% del pil alla difesa e lo 0,7% del reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo. Inoltre, per finanziare le spese di difesa e sicurezza viene annunciata un’ulteriore disponibilità di 3,5 miliardi di sterline (decisamente più alto degli 1,5 miliardi annunciati a luglio 2015) da reperire tramite un fondo, il Joint Security Fund, sui prossimi 5 anni. Questo fondo è una novità assoluta e, sembra, dovrà essere suddiviso tra il ministero della Difesa e le tre agenzie di intelligence (Mi5, Mi6 e Gchq). A questo proposito, nelle intenzioni del governo le agenzie di intelligence avranno a disposizione un aumento del budget di spesa pari al 18% in termini reali, mentre il ministero degli Interni avrà a disposizione 500 milioni di sterline per nuovi investimenti in attività legate al controterrorismo.
Resta invece decisamente invariata e compressa l’attività del ministero degli Esteri (il Foreign and Commonwealth Office, Fco), che già con la revisione della spesa complessiva avvenuta nel 2010, aveva sofferto di uno dei tagli più ingenti alla sua capacità di spesa, rispetto ad altri dipartimenti governativi. A cinque anni di distanza, il governo sta nuovamente chiedendo ulteriori sforzi di riduzione della spesa al suo ministero degli Esteri, il cui limite di spesa resta invariato e pari a 1 miliardo di sterline nel periodo 2015-2020. Secondo quanto riportato dal Financial Times, dal 2010 è stato tagliato più di un quarto del budget a disposizione dell’Fco. Questi tagli hanno causato la chiusura di tre ambasciate e tredici consolati, oltre ad un rimpiazzamento di parte del personale diplomatico britannico con staff locale. In particolare, nel marzo 2011 il personale dell’Fco era pari a 5045 cosiddetti civil servants e a 8500 persone assunte direttamente nei paesi dove l’Fco opera. Nel 2014 questo trend si è consolidato, con una diminuzione degli impiegati britannici (che scendono a 4609 in totale) e un aumento di personale locale (che sale a 9200 unità). I detrattori di questo modo di agire già suggeriscono che le conseguenze sulle nuove generazioni di civil servants saranno irrimediabili, soprattutto in termini di conoscenze perse, sia strategico-operative che linguistiche. Secondo l’ex ambasciatore in Afghanistan, Arabia Saudita e Iraq, Sir William Patey, l’abilità di accumulare conoscenze profonde sul campo e avere il tempo necessario da dedicare all’analisi di situazioni complesse sta gradualmente diminuendo. Naturalmente la linea politica perseguita da Cameron dal 2010 in poi ha provocato un certo malcontento non solo tra i diplomatici, ma anche nella comunità accademica e nei think tanks di politica estera inglesi, che collegava questi tagli ad una mancanza di visione e pensiero strategico, oltreché a tendenze decisamente più isolazioniste del Regno Unito, già alle prese con la questione dell’uscita dell’Unione Europea, nota come Brexit. Charles Grant, il direttore del Center for European Reform di Londra ha, ad esempio, ricordato recentemente che il Regno Unito avrebbe più amici se fosse preparata ad assumere più spesso un ruolo di guida nelle aree dove ha più esperienza, come, appunto, la politica estera, la difesa, l’energia, il clima, il commercio ed il mercato unico. Alla luce degli ultimi attacchi terroristici di Parigi nel novembre 2015, la visione governativa si conferma certamente improntata ad un maggiore pragmatismo in politica estera e sarà forse meno rivolta meno ad occuparsi di discutere la posizione globale del Regno Unito, ma più concretamente indirizzata a rispondere alle prossime sfide che il terrorismo porrà agli apparati di sicurezza e di difesa.