La penisola arabica e le vie del commercio
A lungo nascosta dalle vicende dei grandi imperi dell’area siro-mesopotamica, la fisionomia storica e culturale della penisola arabica fra II e I millennio a.C. è stata a lungo trascurata. Solo negli ultimi decenni, grazie a una rilettura delle fonti e a nuove campagne di scavo, si è inziato a colmare la più vistosa lacuna nella conoscenza dell’antico Oriente.
Rimasta a lungo all’ombra delle vicende dei grandi imperi e stati dell’area siro-mesopotamica, la ricerca sulla fisionomia storica e culturale della penisola arabica fra II e I millennio a.C. paga ancor oggi il prezzo di essere stata a lungo trascurata. Solo negli ultimi decenni, grazie a una mirata lettura delle fonti e a una serie di campagne di scavo archeologico, è stato possibile iniziare a coprire, seppure ancora in minima parte, quella che fino a poco tempo fa era una vistosa lacuna nella conoscenza dell’antico Oriente: riuscendo a documentare, ad esempio, il sorgere della cultura sudarabica dalla metà del II alla fine del I millennio a.C.
La penisola arabica presenta caratteristiche e clima tali da impedire il fiorire di un’urbanizzazione comparabile a quella delle zone più settentrionali. In gran parte desertica, con precipitazioni minime e tali da rendere possibile la disponibilità di pastura solo nel periodo invernale, presenta una percorribilità subordinata a una conoscenza, non facilmente condivisa, dell’ubicazione delle oasi e dei pozzi. Anche per queste ragioni, in tutta l’estensione della penisola arabica, si afferma storicamente un numero piuttosto ridotto di percorsi che collegano il meridione – l’area più produttiva del Paese – alle aree di consumo quali la Siria, l’Asia minore e la Mesopotamia, il cui snodo principale è comunque Yathrib (la futura Medina) o le vicine oasi di Khaybar, Tayma e Dedan (al-’Ula). Un’antica via di terra per il trasporto dei prodotti di lusso provenienti dall’Arabia meridionale si assesta da Eilat (Ayla) a Damasco tramite il territorio transgiordano, e da lì il suo percorso prosegue in diversi rivoli verso l’Asia minore e i paesi mediterranei o, con ulteriori snodi, verso la Mesopotamia. Sull’arteria Eilat-Damasco, sono le città costiere di Gaza e Tiro a trarre il maggior profitto dal passaggio delle carovane, ma dall’inizio del I millennio a.C. sono soprattutto i sovrani aramei che si adoperano più intensamente per il controllo di questo importante settore. La documentazione diretta è tuttavia ancora troppo scarsa per stabilire un quadro attendibile della situazione.
Nelle fonti assire gli Arabi (kurA-ri-bi, lúA-ra-bu ecc.) fanno la loro prima apparizione nel IX secolo a.C., e precisamente nell’iscrizione sulla stele di Salmanassar III sulla battaglia di Qarqar, rinvenuta a Kurkh (attuale Üçtepe, Turchia), in cui fra i capi delle forze in campo sono menzionati “Gindibu, re degli Arabi” e i suoi 1000 cammelli. In questo, negli altri testi cuneiformi successivi e specialmente nelle iscrizioni reali assire, per “Arabi” s’intendono generalmente polazioni nomadiche provenienti dal deserto, “abitatori delle tende”, più spesso appartenenti a tribù o genti talora meglio specificate come Qedar, Sumu’ilu, Idiba’ilu, o Thamud, ma anche a gruppi minori, o di luoghi lontani, come nel caso delle genti arabe di Tayma e Saba. Ma “Arabi” sembra essere, almeno per un certo periodo, un termine che le fonti mesopotamiche riferiscono principalmente a quei nomadi provenienti dal deserto nord-arabico con cui vengono più facilmente in contatto le popolazioni sedentarie della Mezzaluna Fertile; solo molto più tardi sarebbe stato applicato a tutti gli abitanti della penisola, indipendentemente dal carattere nomadico, seminomadico o sedentario della popolazione in esame. Un’altra definizione per i nomadi del deserto siro-arabico in voga nel periodo più antico, almeno sin dall’egiziana Storia di Sinuhe (XVIII sec. a.C. ca.), risulta essere “figli dell’Est”, che per le stesse genti si ritrova impiegata anche nel testo biblico, nelle storie dei patriarchi e in vari testi profetici (Is 11:14; Ger 49:28; Ez 25:4,10); non è infrequente rinvenire l’associazione fra gli Arabi e gli Aramei. Nello stesso bacino letterario si fa, inoltre, più volte riferimento alla tradizione gnomica e sapienziale proveniente dall’Arabia.
Dopo la stele di Kurkh, per ulteriori informazioni sul IX-VIII secolo a.C. si deve ugualmente dipendere dal testo biblico e in particolare dal Libro delle Cronache (per esempio 2Cr 21:16-17, 26:6-8), in cui sono riportate varie tradizioni che, tuttavia, appaiono contaminate dal periodo di composizione relativamente recente del testo e non sono del tutto concordanti fra le varie versioni. Il riferimento più importante sembra essere quello relativo a un gruppo chiamato Meuniti (me’unim) che risulta tributario del re Uzzia di Giuda e in cui sono stati riconosciuti, anche se non unanimemente, i Minei. Piuttosto stranamente, dal IX secolo a.C. fino al 738 a.C., nelle iscrizioni assire non affiora più alcuna menzione degli Arabi, che riemergono solo al tempo di Tiglat-pileser III. Questo sovrano deve infatti fronteggiare armate guidate, in entrambi i casi, da regine. Negli annali e in un’iscrizione è menzionata dapprima Zabibe, probabilmente regina di Qedar, tributaria del re insieme a vari altri capi e sovrani dell’Anatolia e dell’area siro-cananaica; dal momento che il suo territorio non risulta sottomesso agli Assiri, è da credere che il pagamento del tributo fosse dovuto per il transito di questi arabi o delle loro merci in aree più settentrionali. Lo stesso Tiglat-pileser III si ritrova tuttavia pochi anni dopo, nel 733 a.C., a fronteggiare un’altra sovrana, Samsi “regina degli Arabi” (shar-rat kurA-ri-bi), che forse appoggia le ribellioni antiassire dei sovrani dell’area siro-cananaici e per questo “ha violato il patto”. Nel corso di una battaglia presso una località indicata come Sa-qu-ur-ri (forse nella Siria meridionale) Samsi viene sconfitta e depredata di tutti i suoi beni in uomini, animali e aromi, e accettando infine di tornare tributaria del sovrano assiro, resta così al suo posto.
In generale, le testimonianze del periodo di Tiglat-pileser III e Sargon II mostrano chiaramente il tentativo di inserire sotto il controllo assiro anche i vari gruppi nomadi – e ne sono ricordati diversi – gravitanti specialmente nell’area siriana e transgiordana. All’occorrenza, tuttavia, lo scontro è inevitabile. Così Sargon II affronta e sconfigge varie tribù dell’area nord-arabica, anch’esse sottoposte, almeno secondo il suo annalista, a deportazione. La documentazione del periodo compreso fra Sennacherib e Assurbanipal riguarda principalmente il confine sud-occidentale della Mesopotamia. Sennacherib fu forse il primo sovrano assiro ad occuparsi attivamente delle tribù arabe attive in questa regione, sollecitato dal sostegno da loro prestato ai Babilonesi, avviando una serie di campagne contro la gente di Duma (uruA-du-um-ma-tue varianti), ricordate in varie iscrizioni. In una di queste riappare una regina, Te’elkhenu; sotto Esarhaddon appare come monarca di Qedar Yauta’ e viene nominata regina Tabua, a suo tempo deportata da Sennacherib a Ninive, ove resta alcuni anni e viene infine rilasciata; al tempo di Assurbanipal, re dei Qedariti risulta Hazael. Considerata la novità di questo sconfinamento territoriale, non appare senza significato il fatto che Erodoto (II:14) ricordi Sennacherib come “re degli Arabi e degli Assiri”.
Il nome di Duma, sotto varie forme, ricorrerà spesso nella documentazione del Vicino Oriente antico: principale oasi dell’area di al-Jof, nello Wadi Sirhan in Arabia nord-occidentale, è infatti un punto cruciale nelle comunicazioni fra Yathrib e Damasco e manterrà la sua importanza di avamposto, ricordata più volte anche nelle fonti classiche, per secoli.
Le campagne contro gli Arabi, benché vittoriose, non fruttano però alcun beneficio territoriale agli Assiri che infatti si limitano, in genere, a patteggiare la resa delle immagini sacre e dei sovrani sequestrati durante le battaglie, in cambio di fedeltà e tributi. I registri delle tassazioni, dei tributi e anche dei doni inviati ai sovrani assiri dai capi arabi forniscono informazioni molto utili sui beni che, già in quel periodo, caratterizzano l’economia e il flusso mercantile proveniente dall’Arabia meridionale. Nel dono (namurtu) inviato dal sovrano arabo-meridionale Karib’il (Karibilu) di Saba a Sennacherib, depositato ritualmente nelle fondazioni della Bit-Akitu a Babilonia, figurano pietre preziose, spezie e aromi. Questo re è generalmente identificato con l’omonimo mukarrib Karib’il Watar che ha lasciato due lunghe iscrizioni nel tempio del dio Almaqah a Sirwah, con descrizione di otto campagne militari – più importanti quelle contro i regni di Awsan e Nashshan, quest’ultimo già suo alleato contro il primo – in cui il re sabeo appare come guerriero, sacerdote e costruttore.
Fra le richieste assire più pressanti di tributi da parte degli Arabi figurano, oltre ovviamente all’oro, anche i cammelli: Esarhaddon ne richiede ben 65 a Hazael e la loro importanza nell’armata assira diviene particolarmente sentita al momento di affrontare l’Egitto specialmente nella seconda campagna del 671 a.C., alla quale gli Arabi partecipano con un ingente numero di truppe cammellate. Il flusso o l’importanza di questi beni è tale che, in questo periodo, una delle porte di Ninive è registrata come “Porta del Deserto, attraverso cui arrivano i doni delle genti di Te-e-me (Tayma) e Su-mu-’-AN” – nome, quest’ultimo, d’identificazione incerta e da alcuni posto in rapporto con kurSumu(’)il, “Paese dei Sumu’ilu” (a loro volta posti in relazione con la definizione, attestata posteriormente, di “Ismaeliti” per le tribù nord-arabiche in genere).
I rapporti fra Arabi e Assiri si fanno comunque molto più tumultuosi al tempo di Assurbanipal, le cui iscrizioni contengono minuziosi e numerosi riferimenti a scontri – almeno due le battaglie principali – con genti arabe su almeno tre fronti diversi: il confine siro-transgiordano, contro i Qedariti di Yauta’, (almeno dal 652 a.C.); a sud dell’area babilonese, contro le truppe alleate di Shamash-shumu-ukin (651-650 a.C.); nella Siria orientale, nella regione di Tadmor (Palmira), contro una federazione di tribù nomadi (verso il 645 a.C.); un po’ dopo sembra essere avvenuto lo scontro, forse nell’area del Wadi Sirhan, contro il re Natnu dei Nabaiati (i Nebayot della Bibbia), i cui accampamenti vengono totalmente distrutti. Una reazione particolarmente dura sembra essere stata, secondo le cronache assire, quella seguita alle battaglie contro Yauta’, la cui gente, ridotta alla fame, sarebbe stata costretta a mangiare, secondo un ben noto tòpos, “i suoi stessi figli”.
Appartengono allo stesso periodo alcune piccole ma significative testimonianze epigrafiche sui contatti fra l’Arabia meridionale e la Giudea, allora sotto il re Manasse: si tratta di tre ostraka in scrittura sud-arabica con i nomi Hallal, Hali e Dad, rinvenuti presso la Città di David. Ma altre iscrizioni dello stesso genere sono state rinvenute anche a Betel nel nord e, più a sud, a Tell Jemmeh (nel Negev) e Tell el-Kheleifeh (presso Eilat), indicando quindi una possibile rete di mercanti o avamposti commerciali sud-arabici legati probabilmente al commercio degli aromi, ma su cui non è da escludere la relazione – almeno per le testimonianze più settentrionali – con le tribù arabe che, al tempo di Sargon II, furono collocate in Samaria.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia