Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il sacco di Bisanzio sconvolge la frammentata articolazione della penisola balcanica. Il vuoto di potere è ben presto colmato dall’ascesa delle dinastie bulgara e serba, che assumono un’incontrastata egemonia nella regione. La supremazia faticosamente conquistata dalla Grande Serbia di Stefano Dušan si dimostra subito effimera. L’indipendenza dell’intera penisola è poi compromessa negli ultimi decenni del XIV secolo dall’inarrestabile avanzata delle armate ottomane.
La devastazione e il saccheggio dell’antica città di Bisanzio, per mano dei crociati d’Occidente nel 1204, sconvolgono sensibilmente il già incerto equilibrio della penisola balcanica. Il crollo dell’Impero d’Oriente, la cui autorità sarà ripristinata soltanto oltre mezzo secolo più tardi da Michele VIII Paleologo (1223-1282) nel 1261, rimuove definitivamente ogni influenza imperiale dal quadro dell’articolazione politica della regione.
La non sempre luminosa eredità di Bisanzio, che da secoli esercitava un ruolo guida per i popoli della penisola, viene ora raccolta dalle potenze limitrofe, in particolare da Venezia e dal regno di Ungheria. Esse non sono in grado, però, di evitare lo smembramento della regione in numerose formazioni statuali locali. Ma soprattutto non possono impedire il progressivo rafforzamento dei principati balcanici, conseguente all’ascesa delle dinastie serba e bulgara, Nemanjia e Asen.
Nel 1204, il sovrano bulgaro Kalojan (1168-1207) è incoronato imperatore da Innocenzo III (1160-1216) nella capitale Tarnovo, che da allora diventerà un centro culturale e artistico di rara ricchezza. Kalojan investe le risorse del proprio rinnovato impero, il cosiddetto secondo impero bulgaro, nella contesa per la conquista di Bisanzio e dei territori prima ad essa soggetti, caduti, in seguito al saccheggio della capitale, in un profondo stato di anarchia e di miseria.
Esaltato dalla vittoria riportata contro Baldovino I (1171-1205) nel 1205 ad Adrianopoli, persegue audacemente le sue ambizioni, finendo per indebolire il regno (già provato dalle esorbitanti spese militari), che alla sua morte è scosso da aspre lotte per la successione e per la diffusione del movimento bogomilo, già condannato come eretico dal concilio di Tarnovo nel 1211.
A risollevare le sorti del regno è Giovanni II Asen (?-1241) che realizza finalmente le aspirazioni espansionistiche del suo predecessore, estendendo i confini del regno alla Macedonia centrale e meridionale e a parti dell’Albania. È il periodo di massimo fulgore dell’impero bulgaro, la cui egemonia su gran parte della penisola balcanica sopravvive però soltanto pochi anni alla morte di Giovanni. Le devastanti incursioni mongole, tra il 1241 il 1242, e l’estinzione della dinastia regnante nel 1257 producono, in seguito a incessanti lotte per la successione, lo sbriciolamento dell’impero in innumerevoli signorie locali.
La distanza delle regioni serbe dal teatro in cui si svolge la contesa per la conquista di Bisanzio e dei suoi territori, nonché la posizione periferica che il regno inizialmente assume rispetto al vuoto di potere creato dal crollo dell’impero, consentono al giovane principato serbo di superare senza difficoltà un lungo periodo di instabilità seguito all’abdicazione di Stefano Nemanjia (1117-1199) alle soglie del Trecento.
Il processo di consolidamento dell’organizzazione del regno è portato gradualmente a compimento entro la fine del secolo. Stefano II (1176-1228) è incoronato re di Serbia e di Dalmazia da Onorio III (?-1226) già nel 1217. L’estensione dei confini del regno verso la Macedonia e l’Albania rinsaldano il potere serbo nella regione, la cui capitale dal 1282 diviene Skopje. Stefano Uroš II (1253-1321) allarga ulteriormente i territori del regno, annettendo parte della Bosnia e l’intera costa adriatica albanese nei decenni a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento. Decisiva per la definitiva affermazione serba è la vittoria sulle armate bulgare (che fino a quel momento avevano minacciato l’egemonia del regno nella penisola) a Velbužd nel 1330, conquistata grazie al formidabile sviluppo dell’industria mineraria, fonte di ricchezza economica e risorsa inesauribile per la formazione di un efficiente esercito mercenario.
Ormai libera dalla presenza ingombrante dei Bulgari, peraltro divisi da perduranti conflitti interni tra i potentati locali, la potenza della Serbia raggiunge il suo apice nel secondo quarto del secolo. Stefano Dušan (1308-1355) completa la conquista della Macedonia e annette le regioni greche della Tessaglia, dell’Epiro e dell’odierno Montenegro. Incoronato imperatore nel 1346 a Skopje, Stefano dichiara le proprie ambizioni imperialistiche per la conquista di Bisanzio, città verso cui dimostra un orgoglioso rispetto, emanando nel 1349 un codice di leggi in cui fonde la grande tradizione giuridica dell’Impero d’Oriente con le consuetudini del popolo serbo.
La folgorante ascesa della Grande Serbia volge però ben presto al termine della sua parabola. Il regno si sfalda alla morte di Stefano e si frantuma in tante signorie, l’una dall’altra indipendenti, secondo gli interessi particolaristici dell’alta aristocrazia del principato. Della disgregazione politica della regione cerca di approfittare il piccolo regno di Bosnia, autonomo sin dal 1180. Nella prima metà del XIV secolo, sotto la reggenza di Stefano II Kotromanic (?-1353), aveva ottenuto importanti conquiste territoriali, finanziate mediante i proventi dell’industria mineraria, in quel periodo in grande sviluppo anche in Bosnia. Con la dissoluzione della supremazia serba nella penisola, il successore di Stefano, Tvrtko I (1338-1391), estende i confini del regno inglobando parte della Serbia, la Croazia e la Dalmazia. L’unificazione tra questi territori è però impedita dalla morte del sovrano e soprattutto dall’inarrestabile avanzata ottomana nella penisola.
Con la conquista turca, che si conclude nel giro di pochi decenni, “vengono imposte ai popoli balcanici, ancora una volta dall’esterno, le forme di un’organizzazione politica unitaria, costringendoli a subordinare nuovamente i loro interessi particolari a una compagine imperiale precostituita” (Edgar Hosch, Storia dei Paesi balcanici, 2005). La rapida conquista ottomana è favorita dal crollo del regno di Serbia e dall’estrema inconsistenza dell’autorità bizantina. Quando i Turchi oltrepassano lo stretto dei Dardanelli e mettono piede in Europa, conquistando Gallipoli nel 1354, la loro avanzata procede inarrestabile nei decenni successivi senza mai incontrare seri ostacoli al suo passaggio.
Tra il 1361 e il 1362, i Turchi occupano la Tracia e Adrianopoli, dove Murad I (1326-1389) trasferisce la capitale dell’impero. Un primo tentativo di resistenza da parte dei popoli balcanici, serbi e bulgari, organizzati sotto la guida di Vukašin (1320 ca.-1371 ca.), principe dei territori serbi meridionali, viene sopraffatto lungo la linea del fiume Mariza dieci anni più tardi, consentendo ai Turchi di sottomettere alla propria autorità anche la Macedonia. Un ultimo sforzo congiunto dei popoli balcanici contro l’invasore turco si consuma poi senza successo nel 1389 nella leggendaria battaglia di Kosovo polje (letteralmente “piana dei merli”): qui un’ampia alleanza, composta da Bulgari, Bosniaci, Albanesi e Serbi, viene sconfitta, minando definitivamente la speranza di una riscossa balcanica contro il sultano Murad, che perde la vita nel corso della battaglia.
Decisiva per la sconfitta di Kosovo polje è la resa del regno bulgaro agli Ottomani, che un anno prima della battaglia solleva i Turchi da un altro fronte militare gravoso. La capitale del secondo impero bulgaro cade nelle mani del Sultano nel 1393, aprendo la via alla conquista di Nicopoli nel 1396, che segna il fallimento della crociata organizzata da Sigismondo I di Ungheria (1368-1437). Entro la prima metà del XV secolo l’intera penisola balcanica cadrà, regione dopo regione, sotto il giogo della Mezzaluna, che occuperà anche l’antica capitale dell’Impero d’Oriente, Costantinopoli, nel 1453.