Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del XIII e XIV secolo la Reconquista cristiana è sostenuta dall’intervento della crociata bandita da papa Innocenzo III. Essa porta, da una parte, alla concentrazione della residua popolazione moresca nel Regno di Granada, nel sud della penisola iberica; gli Stati cristiani, dall’altra, ne escono notevolmente rinsaldati sul piano territoriale, per cui i regni di Portogallo, Castiglia e León, nonché la monarchia catalano-aragonese acquistano i caratteri che manterranno fino all’avvio dell’Età moderna. In particolare, in Portogallo e nella Catalogna divengono prevalenti quelle forze cittadine e interessi mercantili che porteranno importanti esiti sul piano delle scelte delle rispettive dinastie regnanti.
Agli inizi del XII secolo, agli Almoravidi-musulmani che nel corso dei secoli si sono relativamente integrati con i nuovi Stati cristiani della penisola iberica, nonostante i ripetuti episodi di Reconquista, che comunque hanno sanzionato l’incontro tra un’evoluta civiltà musulmana e una assai più arretrata civiltà cristiana, si sostituiscono nuovi gruppi islamici, espressione di riformatori musulmani denominati Almohadi. Entro la prima metà del XII secolo, questi ultimi si assicurano il controllo della Spagna musulmana e nel 1195 sconfiggono gli Stati cristiani ad Alarcos.
Papa Innocenzo III, agli inizi del secolo XIII, bandisce una crociata contro i Mori di Spagna, coeva a quella, nota come la quarta crociata (1202-1204), che lo stesso papa avvia contro l’Egitto islamico, ma che ha come obiettivo ultimo la conquista latina dell’impero di Bisanzio. Anche nel caso iberico si tratta di una crociata di semplici cavalieri (borgognoni, provenzali, franchi e di altre regioni) che partecipano numerosi alle varie fasi della lotta cristiano-musulmana, rimanendo in alcuni momenti sorpresi e sdegnati dagli intrighi e dalle manovre fra sovrani cristiano-iberici e musulmani.
Le truppe crociate sono organizzate sotto la guida di tre sovrani: Sancho VII di Navarra, Pietro II d’Aragona e Alfonso VIII di Castiglia. Nella battaglia di Las Navas de Tolosa (1212) le truppe cristiane sconfiggono quelle degli Almohadi. Negli anni successivi, Ferdinando III di Castiglia y León conquista Andujar, Cordova, sottomette il regno di Murcia, Carmona, Siviglia e Medina Simonia, poi ancora Arcos, Cadice, Sanlucar. Nello stesso periodo, Giacomo I d’Aragona si impadronisce dell’arcipelago delle isole Baleari, successivamente conquista il regno di Valencia occupandone la capitale. Tutte queste conquiste avvengono nel decennio che va dal 1228 al 1238.
Alla fine, intorno al 1270, le forze Almohadi sono confinate nel solo Regno di Granada, governato dai Nasridi, originari di Arjona, i quali, per poter resistere e salvarsi dall’avanzata cristiana, si assoggettano a Ferdinando III di Castiglia y León, aiutandolo persino durante le sue imprese militari di Reconquista. Come conseguenza di questa alleanza, il Regno di Granada diventa un punto di riparo di islamici che vi confluiscono numerosi per non abbandonare la penisola iberica, tanto che, nel corso del Duecento, la sua popolazione arriva a superare i tre milioni di abitanti.
Lo sforzo manifestato nell’azione di Reconquista sotto il vessillo cristiano ha certamente ripercussioni profonde, costituendo un momento fondativo e di formazione dell’identità dei popoli ispanici. In quella vicenda si ridefinisce la fisionomia della grande feudalità, che presenta i caratteri di una classe di guerrieri, gelosi e fieri della propria autonomia e della propria peculiarità; di un altro gruppo sociale che si dedica esclusivamente alla carriera delle armi e che è privo di altre risorse economiche; di comunità cristiane, nei Paesi conquistati, che sono destinatarie di particolari privilegi (o fueros) da parte dello Stato e che hanno il compito di impiantare nuovi avamposti cattolici, estirpando le superstiti comunità musulmane che, come conseguenza, sono costrette a convertirsi oppure ad abbandonare la penisola. Queste comunità, che si dispiegano su vaste regioni, difenderanno con forza le proprie prerogative territoriali e giuridiche, collegandosi e associandosi in hermandades e generando delle presenze politiche di rilievo con cui lo Stato, in momenti particolari, dovrà fare i conti.
Se l’identità religiosa sotto le vestigia cristiane garantisce ai popoli della penisola un comune sentimento di uniformità e unità sociale, le forti differenze territoriali e politiche, all’opposto, diversificano e dividono la compagine iberica. Infatti, a metà del XII secolo, nella parte occidentale della penisola si costituisce il Regno del Portogallo, quasi contemporaneamente, nella parte nord-orientale e mediterranea si arriva all’unione dinastico-territoriale fra Aragona e Catalogna (1137), mentre un secolo più tardi (1230) l’ampio altopiano castigliano si collega con i territori nordoccidentali, creando l’amalgama che rappresenta lo Stato di Castiglia y León.
Alla fine dell’XI secolo, Alfonso VI di Castiglia assegna la contea del Portogallo al genero Enrico di Borgogna e il figlio di costui, Alfonso I il Conquistatore, nel 1139, dichiara l’indipendenza della regione rispetto al Regno di Castiglia, anche come conseguenza dell’ampliamento della contea, in seguito alle vittorie riportate sui musulmani presenti nel territorio portoghese.
Per rafforzare l’indipendenza e l’autonomia, il Portogallo si pone sotto la diretta protezione del pontefice, al quale versa un tributo annuo in segno di vassallaggio. Re Alfonso II partecipa, sotto il vessillo cristiano, alla battaglia di Las Navas de Tolosa. Il suo successore Alfonso III, a metà del Duecento, occupa la regione dell’Algarve e quindi si annette la parte meridionale del Portogallo, così da stabilire e delimitare definitivamente l’attuale confine statale. Questa acquisizione territoriale porta lo Stato a nuovi contrasti con la Castiglia e il re portoghese, per cercare di placare la manifestata ostilità di Alfonso X, sovrano dello Stato confinante, ne sposa la figlia Beatrice (1242-1303). Poiché Alfonso III è già sposato, viene accusato di bigamia ed è costretto a rompere i rapporti con la Chiesa cattolica e a trovare appoggio nella nuova forza della borghesia urbana, consentendo che essa venga inserita nelle Cortes (1254) come una delle componenti sociali privilegiate, accanto alla feudalità e al clero.
Il ruolo dinamico della monarchia si manifesta durante tutto il secolo attraverso i frequenti interventi e le concessioni di privilegi alle città portoghesi, indirizzati, in particolare, a incentivarne le attività commerciali e industriali. A tal proposito, re Dionigi avvia la creazione di una flotta che possa garantire protezione e difesa, per offrire uno sbocco alle complesse attività urbane, e prende al proprio servizio esperti di navigazione di origine genovese. Nel 1291 fonda l’università di Lisbona. Nel corso del secolo successivo la monarchia portoghese prosegue in politica interna la strategia volta a ostacolare il preponderante ruolo della feudalità e del clero, anche per gli atteggiamenti rigidi, finalizzati a garantire il rispetto della legalità, assunti da un sovrano come Pietro I.
In politica estera i Lusitani continuano l’azione difensiva nei confronti della Castiglia, in particolare, nella seconda metà del Trecento, sotto il sovrano Ferdinando I, che deve a lungo combattere contro il Paese confinante. Alla sua morte la dinastia ha come unica erede la principessa Beatrice, sposata con Giovanni I di Castiglia, a sua volta alleato con la Francia nella guerra contro gli Inglesi.
A parte le storiche ostilità nei confronti della monarchia castigliana, il Portogallo persegue, nel corso della guerra dei Cent’anni, un atteggiamento di vicinanza nei confronti dell’Inghilterra, per il ruolo di potenza marittima che i Lusitani hanno acquisito nel corso del Trecento. Da qui un duro contrasto sul problema della successione, con la feudalità che è favorevole alla successione castigliana, mentre le città e i ceti borghesi si dichiarano per una soluzione nazionale, individuata nella figura di Giovanni I di Aviz (1357-1433) Gran Maestro dell’ordine omonimo, fratellastro di Ferdinando I e di Beatrice, designato come re dalle Cortes di Coimbra nel 1385. Poco dopo l’avvento al trono di Giovanni I, il suo esercito, comandato da Nuño Alvarez Pereira, e integrato da un forte contingente di arcieri inglesi, sconfigge nella battaglia di Aljubarrota (1385) l’esercito del pretendente castigliano. Il nuovo e più saldo rapporto con l’Inghilterra viene sanzionato dal trattato di Windsor (1386).
La vicina Castiglia ha avuto una genesi più complessa rispetto al Portogallo. Essa è divisa in Vecchia Castiglia a nord (Burgos, Santander e Segovia), già sottoposta al regno di León e a quello di Navarra, e in Nuova Castiglia a sud, una regione conquistata grazie a una lunga lotta contro i Saraceni, acquisendo Madrid, Toledo e Cuenca, a partire dalla promozione a Regno della Vecchia Castiglia, col nome, appunto, di Castiglia, da parte di Sancho III di Navarra, che l’affida, nel 1035, al figlio Ferdinando (1016 ca. - 1065). La lotta contro i Mori continua anche dopo che Castiglia e León ritrovano la loro antica unità e lo spirito di Reconquista della sua classe dirigente feudale rende possibili nuovi ampliamenti territoriali, conquistando città di grande importanza come Cordova, Siviglia e Cadice.
Il rafforzamento delle forze feudali, conseguenti a questi successi militari, crea delle difficoltà alla monarchia castigliana, tanto che l’anarchia che dilaga nel regno si protrae dall’avvio del Trecento fino all’ascesa al trono di Enrico II Trastamara, culminando e trovando conclusione in una guerra civile, dal 1350 al 1369, tra Pietro il Crudele e lo stesso Enrico. Questa lunga fase di disordini intestini è anche il risultato della fine dell’età della Reconquista, poiché la monarchia castigliana, che più delle altre ha operato contro i Mori, si trova ad amministrare una condizione di normalità statale che si rivela complessa e ingestibile a causa della debolezza del potere monarchico.
È in questo dato che si può ricavare la spiegazione del mancato controllo verso il ceto feudale svincolatosi dagli schematismi statali; allo stesso modo si comportano gli hidalgos, ai quali la pace ha tolto gli strumenti di sopravvivenza economica. Nella stessa direzione agisce l’eterogeneità delle province che sono state accorpate nella compagine castigliana: esse in passato hanno goduto di una larga autonomia e, sotto i Mori, di giurisdizioni autosufficienti. Un ulteriore elemento di debolezza del potere monarchico è costituito dalle hermandades, le associazioni tra città e contado, formatesi come momento di autodifesa per contrastare il brigantaggio, l’oppressione e i soprusi dell’aristocrazia feudale, ma anche contro le pretese del monarca quando queste unioni territoriali avvertono il rischio per la loro stessa esistenza e per quella dei fueros loro concessi.
Sulla costa orientale, anche la monarchia catalano-aragonese è travagliata da lotte civili che presentano le stesse motivazioni, conseguenti al periodo post bellico successivo alla Reconquista. Inoltre, l’aristocrazia aragonese mostra un’organizzazione più efficace rispetto a quella castigliana. La ripartizione dei domini indirizzata ai suoi figli da parte del sovrano Giacomo I, crea due monarchie distinte e contrastanti, la prima che comprende l’Aragona, la Catalogna e Valencia; l’altra Maiorca e le Baleari. È a quest’ultima che vengono assegnati i possedimenti francesi mantenuti dalla dinastia aragonese. Quando, nel 1343, l’unità fra i due rami della dinastia si ricompatta, vengono perduti proprio i territori francesi.
Il regno ormai unito intraprende un programma politico di forte presenza nel Mediterraneo. Pietro III, figlio di Giacomo, si impegna nella guerra per assicurarsi il possesso della Sicilia, dove si sta svolgendo la lotta autonomista dei Vespri contro gli Angiò. Spinto da necessità finanziarie, il sovrano è costretto a cedere alle richieste della componente feudale delle Cortes ed emana il Privilegio general, con il quale quest’ordine si vede riconosciuti antichi privilegi presenti nelle diverse province. Tutto ciò lo rinsalda e lo compatta, così da essere spinto a chiedere e ottenere il Privilegio de la Unión e cioè il diritto a contestare la monarchia senza che il sovrano possa procedere contro i componenti l’unione.
Per circa un cinquantennio l’Unione aragonese e quella di Valencia dilaniano la vita dello Stato e solo nel 1348 re Pietro IV riesce a smembrare l’esercito delle due Unioni. Nella lotta contro la feudalità il sovrano aragonese può servirsi dell’aiuto delle organizzazioni urbane, in particolare di quelle della Catalogna: città governate da un ceto borghese di commercianti e industriali. Già all’epoca la più potente fra esse è Barcellona: essa controlla un vasto territorio, è destinataria di privilegi estesissimi, tra i quali quello di battere moneta, di nominare suoi rappresentanti all’estero, di poter costituire una propria milizia armata, nonché del diritto ad esercitare giurisdizione sull’attività mercantile attraverso due consoli del mare.
Tra la fine del Trecento e l’avvio del Quattrocento, le varie componenti della monarchia catalano-aragonese entrano, ancora una volta, in contrasto. Questa volta, però, i termini del contrasto sono sia dinastici che di prospettiva politica. Alla morte senza eredi di re Martino I, la soluzione alla crisi dinastica porta sul trono aragonese un principe castigliano. La scelta è il risultato del rifiuto di Barcellona e della Catalogna di offrire il proprio sostegno finanziario all’azione militare della monarchia aragonese nelle complesse vicende siculo-napoletane, dove da più di un secolo è invischiata l’azione militare aragonese. Da qui la decisione delle Cortes aragonesi di scegliere una dinastia castigliana.