La periodizzazione della Grecia antica. Il periodo orientalizzante
Il periodo orientalizzante rappresenta il momento di acquisizione, da parte delle popolazioni di cultura greca, di alcuni motivi della civiltà orientale. Questo avviene non senza traumi e profonde lacerazioni nel tessuto di una civiltà che per 350 anni aveva trovato nella cultura protogeometrica e geometrica intensa autonomia e consuetudini costanti in ogni città e territorio.
Non bisogna credere che la cultura orientale si sia presentata improvvisamente alle popolazioni di lingua greca. Importazioni di manufatti orientali sono documentate, ad esempio ad Atene, sin dall’inizio del IX secolo e si intensificano nel corso di quel secolo. Ma questa assimilazione non aveva scalfito la sostanza della società greca che aveva dimostrato così profonda autonomia da resistere, con compatta omogeneità, a ogni sollecitazione che venisse dall’esterno. Lo stile geometrico era l’unico che permettesse di interpretare figurativamente la realtà. La società di età geometrica aveva acquisito oggetti orientali, ma solo in casi eccezionalissimi aveva recepito consuetudini orientali. Anche per quanto concerne alcune oreficerie, nelle quali i motivi esotici erano implicitamente più forti, le iconografie orientali erano state prese a prestito abbastanza tardivamente, all’inizio dell’VIII secolo; ma nel corso di esso erano state articolate secondo la consuetudine iconografica e stilistica geometrica (i motivi dello stile animalistico, assimilati dall’Oriente, erano stati ben presto riorganizzati e ricomposti, adattati alla natura dello stile ateniese, così da perdere, nel corso di due generazioni, qualsiasi spunto originario).
Una ricerca delle eventuali fonti dello stile orientalizzante in Grecia deve essere sempre articolata, non può ridursi a una formula generica: essa deve tenere presenti motivi diversi e contrastanti, a volte interdipendenti, a volte riassunti in centri culturali caratterizzati da notevole eclettismo. Ma per quanto concerne i rapporti esistenti tra Grecia e Oriente, durante l’VIII e il VII secolo, è indispensabile, preliminarmente, evitare ogni equivoco. Il mondo greco, specialmente alla fine dell’VIII e nel VII secolo, non è un mondo unitario, sia dal punto di vista politico che da quello culturale. Da un punto di vista strettamente formale esso mostra di saper assimilare motivi orientali e di saperli trasformare autonomamente soprattutto in quegli ambienti dove l’esperienza dello stile geometrico era stata più creativa e duratura; in altre aree culturali l’influsso orientale diviene più perentorio e formativo (ad es., a Creta e nella Ionia). Non bisogna inoltre ritenere che il mondo orientale si presenti al mondo greco con tutte le manifestazioni della cultura materiale. Esso viene assimilato dapprima attraverso oggetti preziosi (oreficerie, avori, bronzi, tessuti); solo in un secondo momento investirà con un più complesso patrimonio di forme e di iconografie l’artigianato più consueto e diffuso, come la ceramica (che rimane più a lungo legata a forme e decorazioni geometriche). Bisogna chiarire inoltre cosa è l’Oriente che i Greci assimilano.
Così come la Grecia, il mondo orientale è tutt’altro che unitario: composto da ambienti che, benché sostanzialmente sotto l’egemonia assira tra l’883 e il 626 a.C., hanno precise autonomie culturali. Forme, iconografie, stili orientali appartengono a diversi ambienti: quello assiro, quello babilonese, quello iranico, quello scitico, quello urarteo, quello hittita, quello frigio, quello lidio, quello aramaico, quello siro-fenicio e quello egiziano. Oggetti, iconografie e stili di ambienti eterogenei erano proposti in momenti diversi, attraverso strade diverse. La via di diffusione più settentrionale raccogliendo esperienze scitiche, urartee, forse assire, terminava nel Mar Nero, sulla costa settentrionale della penisola anatolica (i motivi orientali potevano essere diffusi, per via di mare, soprattutto da Mileto e dalle sue colonie). Una via intermedia portava da Gordion a Sardis e poi sulla costa: poteva mediare motivi lidi, frigi, urartei, assiri, hittiti (in particolare assimilati e riproposti dalle città ioniche). La via meridionale dalla Mesopotamia giungeva nel Mediterraneo; nella valle dell’Oronte i Greci avevano scali come al-Mina, forse Posideion (Hdt., III, 91), e i Fenici scali ancor più notevoli sulla costa della Siria e della Palestina e a Ci-pro. Greci e Fenici diffondevano, con la navigazione, motivi assiri, babilonesi, urartei, aramaici, hittiti, siro-fenici.
Il problema dei rapporti artistici tra la Grecia e l’Oriente non può certo prescindere dalle notizie relative alla mediazione fenicia. Erodoto ha coscienza di questo: egli attribuisce origine fenicia a Thera (IV, 148). Il santuario di Afrodite a Citera era di origine fenicia (I, 165). Taso sarebbe stata fondata dai Fenici (II, 46); ancora (VI, 52): “Ho visto miniere con i miei occhi, e le più meravigliose di gran lunga erano quelle scoperte dai Fenici, che al comando del fenicio Taso colonizzarono l’isola, la quale ne ha preso adesso il nome. Si trovano a Taso queste miniere fenicie di fronte a Samotracia... in un grande monte messo sossopra per la ricerca dell’oro”.
L’alfabeto greco sarebbe derivato da quello dei Fenici della Beozia (Hdt., V, 63 s). Stanziamenti, o comunque dediche fenicie, sono documentati per Lindo (Diod. Sic., V, 8, 3); confermati anche da testi epigrafici. Ma se tanta è l’insistenza sui Fenici, e sulla loro mediazione tra Oriente e Occidente, non bisogna mai dimenticare il problema inverso: quello degli stanziamenti Greci in Oriente.
Oltre ai Fenici, i rapporti tra Oriente e Occidente dovevano giovarsi di altre mediazioni. Tucidide (1, 8) afferma, ad esempio: “Gli isolani, che erano Cari o Fenici: poiché questi abitavano la maggior parte delle isole. Ed eccone la prova: quando durante questa guerra (426 a.C.) gli Ateniesi fecero le lustrazioni a Delo e tolsero tutte le tombe dell’isola, oltre metà delle salme apparvero Cari, riconosciuti dall’armatura sepolta con essi e dal sistema col quale seppelliscono ancor adesso”. Il commercio fenicio è più volte esaltato da Omero che (Il., XXIII, 740 ss.) ricorda, ad esempio: “... un cratere di argento sbalzato, che sei misure / teneva e per bellezza vinceva ogni altro su tutta la terra / e molto, perché l’avevan fatto con arte gli esperti Sidoni; / genti fenice l’avevan portato sul mare nebbioso, / l’avevan esposto nei porti...”.
Padroni del mare tra l’825 e il 750 a.C., i Fenici furono un formidabile strumento di diffusione culturale. Oltre a mediare le esperienze culturali mesopotamiche, essi furono mediatori di quelle egiziane con oggetti fabbricati nelle colonie della costa della Siria, della Fenicia, della Palestina, di Cipro, di Rodi. Bronzi lavorati, conchiglie (tridacne) lavorate in forma di uccelli, pietre lavorate (steatiti), avori, ori, paste vitree, tessuti furono commerciati dai Fenici (o dai Greci) e dedicati come oggetti particolarmente notevoli, più raramente nelle tombe, più spesso nei santuari. Accanto ai Greci e ai Fenici dobbiamo inoltre immaginare intere famiglie che dall’Oriente, in seguito alla pressione assira, emigrarono, portando il proprio patrimonio di conoscenze artigiane, in alcune regioni della Grecia. Orafi e bronzisti nord-siriani emigrarono a Creta, forse coroplasti nord-siriani a Corinto. Famiglie greche d’altra parte si stabilivano a loro volta in Oriente o in Egitto (i Nassi sembra che per primi, nel VII sec. a.C., si stabilissero sul Delta e qui assimilassero il canone monumentale della scultura egiziana, assieme agli Ioni asiatici).
Volendo pertanto evitare esemplificazioni apodittiche, sarà opportuno ricordare alcuni punti fermi, fondamentali per comprendere i rapporti tra Oriente e Occidente. I Greci assimilarono dai Fenici l’alfabeto: nel IX secolo, forse a Posideion. Alcune parole usate in Grecia hanno origine orientale: esse indicano funzioni artigiane, come obryza (coppellazione dell’oro) di origine hittita; oggetti di abbigliamento (come chitòn di origine sumera, trasmessa dagli Aramei, adottata anche dai Cari); cariche civili, come tyrannos (di origine lidia). Dall’Oriente vengono assimilate precise consuetudini. Le stoffe pieghettate dei chitoni; la forma di alcune cinture e fibule; quella di determinati copricapi, soprattutto femminili (come la mitra lidia); l’uso della parrucca e delle corone d’oro, di origine siriana; il tipo di alcuni elmi; la forma di alcuni strumenti come la lira a sette corde (da modello lidio: elaborato da Terpandro di Lesbo).
Innumerevoli leggende, comuni in Oriente, vengono adattate per il mondo greco: almeno tre delle saghe di Eracle, quella del Minotauro, di Edipo e la Sfinge. Divinità, già in origine greche, assimilano caratteri o attributi orientali: Artemide, signora delle belve; Atena, signora dei cavalli; l’Apollo Philesios di Mileto. Alcune raffigurazioni risalgono all’oriente: quella dell’unione di Zeus a Hera, (cfr. Il., XIV, 150 ss.; con Zeus a destra di Hera: secondo una consuetudine hittita); quella della signora delle belve; le sirene; i grifi; i centauri; le gorgoni; le chimere; Pegaso. L’iconografia del leone assimila quella hittita. Minuti motivi decorativi (che arricchiscono e sostituiscono quelli geometrici) sono orientali: trecce, rosette, spirali. Oggetti molto umili, ad esempio, in Attica, alcuni vasi funerari, riprendono forme orientali: spesso imitando modelli lavorati in materiale più nobile (metalli, forse preziosi). I più antichi motivi dell’architettura ionica (basi e capitelli) sono di derivazione hittita, urartea, aramaica, forse fenicia.
Purtroppo i dettagli di questa assimilazione ci sfuggono: spesso essa avvenne in modo confuso. Disegni di stoffe orientali furono ripresi dai Greci per la decorazione dei vasi, motivi sbalzati su lamine di rame furono ripetuti su ceramiche. La decorazione a intarsio di alcuni legni, caratteristica della Lidia, fu fonte di ispirazione, in Grecia, per bronzi e ceramiche. Si potrebbe certo giudicare meglio questo processo se si fossero conservati gli oggetti più comuni e deperibili sia in Grecia che in Oriente: stoffe, legni, vimini. La ceramica, prodotto dell’artigianato più modesto, per la sua diffusione, può forse meglio chiarire quanto dové verificarsi.
I rapporti con l’Oriente sono testimoniati, per quanto concerne alcune eccezionali opere d’arte (che per essere esposte nei santuari possono aver particolarmente influenzato l’artigianato greco), dalle fonti antiche: soprattutto da Erodoto. A Delfi, Mida re di Frigia avrebbe dedicato, forse attorno all’inizio del VII secolo, il proprio trono regale; Gige, re di Lidia (685-657 a.C. ca.), una grande quantità di argento e di oro: tra l’altro sei crateri (Hdt., I, 14). Aliatte di Lidia avrebbe offerto un cratere d’argento su un sostegno saldato in ferro, opera di Glaukos di Chio, attorno al 600 (Hdt., I, 25). Nel santuario di Apollo a Mileto il faraone Necho II avrebbe dedicato “la veste nella quale si trovava ad aver compiuto quest’impresa, mandandola ai Branchidi”: la vittoria sui Siriani del 608 a.C. (Hdt., II, 159). Queste notizie trovano una conferma nel materiale orientale rinvenuto soprattutto nei santuari: a Dodona, Delfi, Olimpia, Perachora, Argo, Atene, Samo, Efeso, Rodi, Creta, Cirene. Nell’Heraion di Samo, durante il VII secolo, furono dedicati bronzi egiziani, ciprioti, frigi, hittiti, siriani, assiri, del Luristan, urartei, caucasici. Un totale di ben 316 pezzi (tra i quali 129 egiziani, 44 ciprioti, 31 frigi, 46 hittiti, 9 siriani, 10 assiri, 6 del Luristan, 11 urartei, 16 caucasici) databili in gran parte tra la fine dell’VIII secolo e il VII secolo.
II patrimonio formale dei ceti commerciali del Mediterraneo orientale entrò a far parte della cultura figurativa di alcune popolazioni della Grecia. Esso divenne tipico delle classi imprenditoriali che si erano andate formando in contrapposizione ai più antichi ceppi familiari. Quando la civiltà geometrica giunse a maniera, nel terzo venticinquennio dell’VIII secolo, gli spunti dello stile orientale iniziarono a essere rielaborati in tutta la loro complessità (determinando la crisi profonda dello stile geometrico, proponendo soprattutto temi naturalistici ben diversi da quelli geometrici). Il sopravvento dei motivi orientalizzanti sui motivi geometrici avvenne in modo diverso. In Attica lo stile geometrico mostra una maggiore durevolezza (in quanto prerogativa di classi egemoni per censo, consuetudine e privilegi) e continuò con insistenza su moduli ormai superati (così in altri ambienti ancora più legati alle convenzioni del passato, come la Beozia). In altre regioni, o in altre città, lo stile geometrico cedette molto rapidamente di fronte ai motivi orientalizzanti. La difesa oltranzista dello stile geometrico era peraltro assolutamente impossibile nel momento in cui, nel terzo venticinquennio dell’VIII secolo, era iniziata, come fenomeno di massa, la colonizzazione. L’emigrazione di larga parte della mano d’opera subalterna, degli artigiani più umili, aveva segnato la fine del privilegio della rendita fondiaria. La colonizzazione, specialmente in Occidente (anche se controllata in particolare da Corinto, da alcune città del Peloponneso, dalle città dell’Eubea, da Megara, da Sparta, da Rodi e da Creta), aveva investito per contraccolpo tutta la Grecia: nessun territorio si era sottratto al mito della conquista delle terre in Occidente. Questa corsa verso l’emancipazione, verso una speranza di benessere, di maggiore indipendenza, aveva scatenato contraddizioni dalle quali era impossibile sottrarsi.
Certo la ricerca di una maggiore libertà, ottenuta attraverso prezzi elevatissimi, l’abbandono delle proprie consuetudini e della propria terra, avevano portato ricchezza non tanto alle città che favorivano le emigrazioni o agli stessi coloni (che solo attraverso ferree legislazioni riuscivano a imporsi una sopravvivenza) quanto alle città commerciali, fornite di flotte potenti, che ricavavano benefici dai noli, dalla vendita o dalla mediazione di beni di prima necessità (indispensabili prima che la terra, dissodata, permettesse la completa emancipazione economica dei coloni). La fortuna dello stile orientalizzante è anche dovuta a un fattore psicologico: dovendo proporre temi nuovi, una nuova dimensione culturale agli emigranti, questa dimensione non poteva essere quella della cultura geometrica, legata al ricordo di una situazione subalterna. I Greci cercavano modelli ai quali rifarsi, li trovarono nei Fenici: quei Fenici che avevano dato prove mature di iniziativa imprenditoriale soprattutto nelle colonie. La colonizzazione greca ha preso a modello, almeno in parte, quella fenicia.
La colonia più antica, almeno per quanto concerne le prove archeologiche, è Pithecusa, nell’Isola di Ischia, la cui fondazione sembra risalire al 780 a.C.; quasi testa di ponte verso il Nord, su un’isola facilmente difendibile, protesa verso un mondo invalicabile per la presenza di popolazioni indigene, come gli Etruschi (che immediatamente reagivano alle fondazioni organizzandosi in ben precise unità statali, assimilando i modi stessi della civiltà greca coloniale). Attraverso le tappe fondamentali, rappresentate dalla fondazione di Siracusa (733) e di Taranto (708), la colonizzazione è tesa a tessere una rete intermedia di città tra il Golfo di Taranto e la Sicilia occidentale e al controllo degli stretti con Zankle (Messana) e Rhegion (730-720 a.C. ca.).
Accanto alla colonizzazione in Occidente non bisogna trascurare quella nell’Egeo settentrionale e nel Mar di Marmara, del VII secolo. A essa partecipò Corinto (che fondò Potidaia in Calcidica), Atene (con Sigeion, all’ingresso dell’Ellesponto), Samo (con Perinthos in Tracia), Megara (forse con Byzantion e Chalkedon). I Pari conquistarono l’“isola brumosa” di Taso e la vicina costa del continente con più spedizioni. Archiloco stesso, nell’isola “a forma di dorso d’asino coperta di foreste selvagge”, lì dove famelici avventurieri portavano “la miseria di tutta la Grecia”, forse doveva osservare un’eclisse di sole. La colonizzazione si estese nel Mar Nero, specialmente a opera di Mileto; in Cilicia a opera di Samo e Rodi. I Sami superavano verso la fine del VII secolo le Colonne d’Ercole, riportando in patria prodotti ricchissimi (Hdt., IV, 153). I Focesi fondavano Massalia nel 600 a.C. Merce-nari cari e ioni sono attestati in Egitto già nella seconda metà del VII secolo (Hdt., II, 152); ad Abu Simbel, in Nubia, sono state rinvenute iscrizioni di Greci che combattevano agli ordini di Psammetico II (595-589 a.C.). Nella seconda metà del VII secolo i Greci fondarono gli empori di Naukratis e di Daphne, sul Delta del Nilo. Attorno al 630 coloni venuti da Thera fondavano Cirene.
In Grecia si assiste d’altra parte alla concentrazione di territori, più o meno sottomessi a singole città: l’Etolia, l’Acarnania, Corfù, Siracusa sono nella sfera d’influenza corinzia. La Messenia è conquistata da Sparta. Atene domina su Salamina e poi su Egina. Thera su Cirene e parte della Cirenaica. Nasso è egemone su tutte le Cicladi, poi assieme a Paro. Dati molto utili per la ricostruzione della vita culturale in Grecia, nell’VIII e VII sec. a.C. possono essere ricavati interpretando le liste dei vincitori dei giochi olimpici. Le fonti sono concordi nell’affermare che la I Olimpiade si sarebbe tenuta nel 776 a.C. I primi vincitori sono cittadini dell’Elide, della Messenia, dell’Acaia; ma già nella seconda metà dell’VIII secolo compaiono tra essi cittadini di Kleonai, di Corinto, di Sparta, di Epidauro, di Sikyon, di Megara. Nella prima metà del VII secolo compaiono anche gli Ateniesi, i Tessali, gli Smirnioti, i Beoti; nel 672 a.C. è attestato un Crotoniate. I Siracusani si affermano nel 648, i Sibariti nel 616. Alla fine del VII secolo tutti i Greci (gli Ioni con minore frequenza) partecipavano ai giochi olimpici. Le liste forniscono solo indicazioni generiche; ma esse, se confrontate con gli altri dati storici, sono di notevole utilità: Sparta, ad esempio, è egemone nella vita del santuario durante tutto il VII secolo.
La struttura cittadina si modifica, nel corso del VII secolo, in tutta la Grecia. Una nuova classe sociale, di estrazione commerciale, prende il potere. I Bacchiadi sono rovesciati da Kypselos e dai suoi figli a Corinto; Thrasyboulos diviene tiranno di Mileto. Le due città entrano ben presto in contatto tra di loro. Leggi nuove si rendono necessarie per l’amministrazione dello stato: come quelle proposte da Solone. Le città hanno contatti politici con i barbari: Corinto con Aliatte di Lidia, Psammetichos d’Egitto; Mileto con Aliatte. Un maggiore cosmopolitismo caratterizza la vita cittadina: Alcmane, a Sparta, è di origine lidia. Sparta avrà sempre ottimi rapporti con l’Oriente (nel secolo successivo in particolare con Creso di Lidia). Un licio, Olen, era, a detta di Erodoto (IV, 35), l’autore dei più antichi canti in onore di Apollo a Delo.
A una religiosità come quella di età geometrica, caratterizzata da un Pantheon gerarchicamente compatto, si sostituiscono divinità ben diverse. Queste divinità sembrano partecipare e incombere sugli avvenimenti di tutti gli uomini, non sono più le divinità dei soli eroi. I culti si differenziano, a volte si contrappongono, in base alle esigenze di classi diverse. Le divinità e i loro culti si modificano nel tempo: per appagare le esigenze di chi partecipava a riti diffusi in ogni classe, non più monopolio di singole stirpi. Si crea una classe di sacerdoti, intermediari delle divinità, che in qualche caso si sottrae ai privilegi dell’aristocrazia per interpretare le esigenze di tutta la popolazione.
La consuetudine ai viaggi, a sempre maggiori commerci, alimenta i santuari più vicini alle rotte commerciali. Accanto a Olimpia, Delfi accresce enormemente il proprio prestigio; soprattutto Delo e Samo divengono sede di culti fondamentali. Nei santuari le offerte si moltiplicano: sia quelle di singole città (offerte spesso prodigiose per dimensioni e valore; quasi per orgoglio di una raggiunta ricchezza), sia le offerte individuali. Accanto ai vasi, le statue, i rilievi votivi, gli scudi e le corazze (a volte in miniatura), tutta una miriade di oggetti minori dimostra l’intensità del rito. Ciascuno, con propria sensibilità, può manifestare con le proprie offerte il proprio censo. È un panorama estremamente confuso e incerto che non può prestarsi a banalizzazioni e che deve essere inteso in tutta la sua contraddittoria complessità. Per questo ci si può rendere conto perché sia praticamente impossibile anticipare una classificazione in periodi dell’arte orientalizzante. Essa non ha uno svolgimento ordinato come quello di età geometrica. Dalla metà dell’VIII secolo e durante il primo venticinquennio del VII, nel momento cioè della massima espansione coloniale, l’intrico delle varie tendenze è quasi insolubile. Si assiste alla distruzione di una difesa, rappresentata dalla normativa geometrica, e al diffondersi di orientamenti diversi che cozzano tra loro e prendono il sopravvento (a volte per un arco di tempo brevissimo).
Il controllo critico delle varie culture è estremamente arduo, se non impossibile. Questa situazione, che si protrasse in pratica tra il 750 e il 650 a.C., della quale il cinquantennio 725-675 rappresenta il momento più intenso, portò alla luce contraddizioni implacabili tra città della Grecia, lacerazioni profonde tra ceti economici, tra componenti di stesse famiglie. Tutto quanto il mondo di età geometrica aveva saputo proporre come necessità di ordine, articolazione di valori, sembrò travolto dalle esigenze delle nuove generazioni che contestavano ogni esperienza del passato e ne rinnegavano ogni valore. Si affacciarono allora sulla scena del mondo della Grecia i motivi di una irrazionalità, a volte mostruosa, come in ogni momento di crisi profonda. Il mondo orientale suggeriva un modo di vivere completamente diverso da quello del passato. Le classi ordinate sulle quali basava il potere la civiltà di età geometrica erano travolte quanto ad autonomia rappresentativa. La tradizione, ogni tradizione, subì un tracollo, sembrò perdersi. Ma ogni rivoluzione che si manifesti in un momento di pienezza economica e culturale, che nasca da contraddizioni interne, esigenza di superamento di una fase di ristagno, desiderio di modificare dinamicamente l’immobilismo di classi privilegiate, ha sempre, pur con alterne vicende, la possibilità di prevalere.
Attorno al 675 a.C. la situazione di crisi poté dirsi già in parte superata; in modo diverso nei vari ambienti del mondo greco. A Corinto la crisi fu risolta con formule più mature, data la preminenza economica e culturale assunta dalla città: lo stesso può dirsi per le città delle Cicladi; nelle città di Creta l’assimilazione fu più intensa (si ebbe una ricezione così profonda di motivi orientali che sembrarono fare dell’isola una provincia del mondo orientale, la struttura della civiltà geometrica era stata peraltro particolarmente debole a Creta; a Rodi e nel Dodecaneso, così come nelle coste dell’Asia Minore, attraverso la ricezione di motivi orientali si formarono le basi di una cultura completamente nuova). La città che avvertì più intensamente il contraccolpo di questo momento fu Atene. Orgogliosa e indipendente, condizionata dalle proprie classi sociali e dalle consuetudini di quelle, logorata da discordie interne, da guerre esterne, subì una diminuzione immensa del proprio prestigio. Alla civiltà di massa del periodo protogeometrico e geometrico, alle consuetudini di una cultura figurativa che, pur lasciando autonomia a singole personalità artistiche, era interprete di sentimenti comuni a tutta la popolazione (le gesta dei grandi erano patrimonio di tutti), si sostituirono personalità prepotenti, estremamente individualistiche che con esuberanza e disprezzo per la tradizione proposero iconografie e modi stilistici che prescindevano completamente da quelli del passato. All’arte geometrica si contrappose un’arte caratterizzata soprattutto da un impeto narrativo che frantumò qualsiasi esperienza precedente (ma che determinò il completo rinnovamento di una produzione, peraltro sempre particolarmente efficiente come mezzi). Ad Argo e a Sparta la tradizione geometrica, sempre più incapace di riconvertirsi, venne bruscamente e improvvisamente travolta da nuove tendenze: ad Argo il fenomeno fu particolarmente evidente.
In questa situazione così incerta è opportuno cercare di vagliare ancora cosa furono in realtà gli apporti della cultura e della mentalità orientale. Le fonti letterarie, se confrontate con quelle archeologiche, ci permettono di articolare meglio il fenomeno orientalizzante nella sua più intima natura. È naturalmente impossibile definire in termini troppo riassuntivi la struttura del mondo orientale, in particolare assiro, tanto più per un arco di tempo così ampio. Certo è che esso si caratterizzava come la somma delle esperienze dell’autocrazia mesopotamica. Un re, disceso dal cielo, basava la sua forza su un’aristocrazia di sacerdoti e di soldati, un feroce e implacabile imperialismo, distruttivo e intollerante; una centralizzazione assoluta del potere retto da imposte forzose sottratte alle popolazioni più povere; la necessità di guerre continue, giustificate dalle imposte stesse, che si manifestavano nell’intolleranza e nella protervia militare. Per quanto concerne la cultura artistica il mondo mesopotamico manifestava nei palazzi e nella decorazione di essi un analogo concetto di potenza: nel simbolo espresso dalle figure dei re e dei sacerdoti, nella narrazione emblematica e carica di ferocia delle guerre e delle cacce.
Arte aulica, classista, dove le figure si articolavano secondo una loro precisa gerarchia di valori: quest’arte non aveva l’esigenza di stabilire un rapporto di oggettività tra i protagonisti e tra questi e la natura stessa: il soggetto della scena aveva dimensione e valore prevalenti, il resto era contorno decorativo, o simbolico. Un irrazionale simbolo di potenza, del bene e del male, sovrastava un mondo logoro e oppresso; si manifestava nei mostri, nei grifi, nelle sfingi, nelle immagini di una fertilità carnale: con iconografie statiche ed emblematiche. Quando questi motivi furono proposti a un mondo come quello greco, il risultato fu però ben diverso da quello dei modelli. Bisogna tenere sempre presente che i Greci nell’assimilare le fonti orientali non si impadronirono direttamente degli archetipi, bensì di interpretazioni di maniera. Le interpretazioni mondane, spesso travisate, espresse su monumenti di artigianato minore: piccoli bronzi, stoffe, avori, intagli, gioielli.
L’arte orientalizzante “internazionale” proponeva quanto a iconografie una mondanità guerresca, una operosità edificatoria, contadina, venatoria. Il simbolismo del mondo orientale rimase sempre sostanzialmente estraneo alla mentalità greca. I Greci che conoscevano da tempo prodotti orientali, li avevano considerati fenomeno di esotismo, si compiacevano della loro rarità e della loro indubbia bellezza, quasi per una necessità di moda. Ma in qualche caso una nuova classe imprenditoriale cercò di trarre dalle mode orientali, dai simboli aggressivi di potere che da esse emanavano, giustificazione della propria condizione. “La forza sarà il diritto e il rispetto cesserà di essere – afferma Esiodo –, non ci sarà aiuto contro il male”. In Esiodo la constatazione è amara, frutto di necessità, non certo di intima convinzione: il suo è l’ultimo e più consapevole limite di una moralità delusa. E con nostalgia il poeta lamenta la perdita dei valori, dei beni, di quanto era stato così faticosamente raggiunto dalle generazioni precedenti. Ma egli invoca Dike: la giustizia, figlia di Zeus.
Archiloco di Paro nella fatica di una vita violenta, consapevole e stanca, ha una sua etica che ricava da avvenimenti negativi: il suo non è pessimismo, ma l’ultima difesa di chi conosce il ritmo che governa la vita degli uomini. Agli eroi omerici, a quelli che sepolti nel cimitero del Dipylon volevano riproporre emblematicamente le proprie imprese e fissarle quasi in eterno, a modello di tutti; a coloro i quali nella esaltazione di una propria dignità si identificavano nelle grandi imprese, egli ripropone una realtà ben più lucida e smagata. Perde lo scudo in battaglia, non se ne cura, pensa potrà farsene uno migliore; non ha ritegno della propria debolezza: ha solo la speranza di poter resistere. All’orgoglio del nobile e della casta oppone la lucida e disperata dignità di chi riconosce che un uomo morto è dimenticato. In questo individualismo pragmatico, mai riferito a modelli di vita, ma alla vita stessa sempre mutevole (una vita che non deve comunque essere sopraffazione, ma rispetto della propria dignità e di quella altrui) è l’enorme carica vitale di Archiloco.
Il realismo, la rinuncia, la malinconia per quello che poteva essere e non è stato, l’aggressività blasfema, il desiderio di potenza, il senso incombente e intimo di un abbandono che può essere l’ultimo, sono gli elementi più tipici della menta-lità degli uomini del VII secolo che solo in se stessi, in un momento di crisi immensa, riuscirono a ritrovare, a prezzo della propria solitudine, una disperata condizione umana. Condizione tanto diversa da quella a volte pletorica e classista di età geometrica. Se i Greci seppero in parte rinunciare alla mentalità omerica, non furono certo in grado di assimilare la mentalità implacabile e disumana caratteristica dell’Oriente. Sovente chi aderisce a una moda combatte il passato, ma solo per far sì che esso si modifichi e si adegui al presente. Il patrimonio degli elementi orientali che si insinua sin nell’intimo della civiltà greca fu presto assimilato e dominato. I mostri, i simboli dell’oscuro, di un cosmo imprecisato come quello orientale (proprio perché a volte profondamente insinuatisi nelle coscienze) furono, tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del VII, esorcizzati, respinti, in qualche caso brutalmente. Alcune maschere da Tirinto e da Sparta rappresentano la pratica di questo esorcismo liberatore, che riscattò le coscienze.
Le rappresentazioni nel secondo venticinquennio del VII secolo articolano in particolare la narrazione di lotte contro l’inconscio: esso viene, per essere respinto, personificato. Zeus combatte i Giganti, Achille Pentesilea o Memnon, Bellerofonte la Chimera, Eracle i Centauri, Odisseo Polifemo, Perseo la Gorgone, Teseo il Minotauro. A questi avvenimenti partecipano gli eroi – personificazioni di tutti gli uomini, più che gli dei; anche quando gli dei appaiono, combattono anch’essi l’inconscio: i giganti e i mostri – tutto quanto esisteva prima dell’ordine da essi stessi stabilito, che ora cerca di rinascere.
Il desiderio di rappresentare il male, non come simbolo autonomo, ma come una forza che può essere dominata, comporta la necessità di riconoscere il limite delle azioni umane. I cicli epici non furono rappresentati più solo attraverso avvenimenti gloriosi, ma attraverso quelli tragici (attraverso la rappresentazione del male, per emanciparsi da esso): la morte di Achille, il suicidio di Aiace – con il suo tema di solitudine –, l’uccisione di Troilo, il ratto di Elena, la morte di Priamo e la distruzione di Troia, l’assassinio di Egisto, Teseo e Arianna, Chelidon e Itys, Medea e Giasone, Aiace e Cassandra, Clitemnestra e Cassandra. Gli stessi dei non sembrano avere benevolenza: se in Omero essi intervenivano a danno dei mortali, ma conservavano una dimensione che li differenziava dagli uomini, nel VII secolo furono oggetto di attenzione quasi rancorosa: spietati e aggressivi ci appaiono Apollo e Artemide, indifferenti all’adulterio Ares e Afrodite.
Alla metà circa del VII secolo il processo di assimilazione poté dirsi definito, la situazione più stabile e controllata. La tradizione della cultura geometrica, l’ordine che essa manifestava, il senso gerarchico dei valori per le cose e le persone ricompare con assoluta fermezza. Tutto quanto era eccessivo, nel primo Orientalizzante, fu ridimensionato in uno stile nuovo: sul modello proposto proprio dalla cultura di età geometrica. Le saghe trovano iconografie precise e costanti: gli animali, estrapolati da più complesse scene di caccia, sono rappresentati in processione, l’uno dietro l’altro. Animali feroci seguono o precedono tranquilli animali domestici; essi sono solo uno spunto decorativo: corrispettivo delle sigle geometriche, ormai irrimediabilmente sostituite da quelle animalistiche. La figura, sia vegetale, che animale, che umana, fu protagonista di ogni scena. La tempestosità espressiva che era alla base delle figure del primo periodo orientalizzante (tutte linee di forza, volutamente aggressive nei profili e nelle funzioni, tese in uno sforzo senza risparmio nelle azioni) divenne organicità, potenza d’impianto. La scoperta dell’individuo, che caratterizzò l’età orientalizzante e la poesia di questo momento, è fenomeno fondamentale in tutto il mondo greco. La crisi dell’età geometrica, di una civiltà di massa, aveva messo per sempre allo scoperto i lati individuali della natura dell’uomo. Ciascuno si sentì irripetibile nella propria sostanza individuale: nella solitudine l’individuo non ebbe l’orgoglio che caratterizzava i personaggi di Omero.
L’età orientalizzante fu anche l’età dei sentimenti, dello scuotimento individuale: rappresentò la necessità di comprendere l’uomo singolo in quanto interprete della propria natura e di ciò che la circonda. Questa scoperta della natura, tutta fisica, materiale, dell’uomo, della sua complessità e ambivalenza, portò anche al riconoscimento definitivo della sua più intima struttura mortale. La religiosità di età geometrica, basata sul culto dei potenti, sull’esaltazione delle gesta, sulla presenza nelle azioni, si andò lentamente rarefacendo. Attraverso la rivoluzione proposta dal periodo orientalizzante il senso di compattezza di tutta la grecità si frantumò. Ognuno comprese di avere in sé la radice e il limite delle proprie possibilità; il caso e le situazioni potevano esaltare e abbattere; nulla fu certo: solo la ricerca faticosa del proprio essere individuale, in una condizione umana sempre incerta e mutevole.
Per l’età orientalizzante in generale si veda ora:
The Cambridge Ancient History, III, 3. The Expansion of the Greek World. Eighth to Sixth Century B.C., Cambridge 1982.
W. Burkert, The Orientalizing Revolution: Near Eastern Influence on Greek Culture in the Early Age, Cambridge 1992.
Ma sempre:
F. Matz, Geschichte der griechischen Kunst, I, Die geometrische und die früharchaische Form, Frankfurt a.M. 1950.
P. Demargne, Naissance de l’art grec, Paris 1964 (trad. it. Milano 1964).
E. Homann Wedeking, Das archaische Griechenland, Baden-Baden 1966 (trad. it. Milano 1967).
Sui problemi dei rapporti con l’Oriente è sempre fondamentale:
F. Poulsen, Der Orient und die frühgriechische Kunst, Leipzig - Berlin 1912.
Ricerche notevoli in:
The Aegean and the Near East. Studies Presented to Hetty Goldman, New York 1956.
Fondamentale impostazione critica in:
T.J. Dunbabin, The Greeks and Their Eastern Neighbours, London 1957.
Si veda pure:
E. Akurgal, The Early Period and the Golden Age of Ionia, in AJA, 66 (1962), pp. 369-79.
Id., Orient und Okzident. Die Geburt der griechischen Kunst, Baden-Baden 1966 (con bibl. prec. dello stesso autore).
P. Amandry, La Grèce d’Asie et d’Anatolie du VIIIe siècle avant Jésus-Christ, in Anatolica, 2 (1968), pp. 87-102.
Studies Presented to G.M.A. Hanfmann, Mainz a.Rh. 1971 (con bibl. dello stesso Hanfmann: particolarmente importante quella relativa agli scavi di Sardis).
E. Akurgal, Influences orientales sur l’art grec aux VIIIe et VIIe siècles av. J.C., in AnnASyrie, 21 (1971), pp. 5-23.
Per l’aspetto dei materiali dedicati nei santuari:
Chr. Blinkenberg, Lindos, Fouilles de l’Acropole 1902-1914, I. Les petits objets, Berlin 1931.
H.G.G. Payne, Perachora. The Sanctuaries of Hera Akraia and Limenia, II (T.J. Dunbabin ed.), Oxford 1962.
J. Boardman - J. Hayes, Excavations at Tocra, 1963-1965. The Archaic Deposits, I-II, London 1966.
I. Strøm, Evidence from the Sanctuaries, in G. Kopcke - I. Tokumaru (edd.), Greece between East and West. Papers of the Meeting at the Institute of Fine Arts (New York University, March 15th-16th, 1990), XVIII, Mainz a.Rh. 1992, pp. 46-60.
Sulle importazioni orientali:
G. Schmidt, Samos, VII. Kyprische Bildwerke aus dem Heraion von Samos, Bonn 1968.
U. Jantzen, Samos, VIII. Ägyptische und orientalische Bronzen aus dem Heraion von Samos, Bonn 1972.
Fremde Weihungen in griechischen Heiligtümern vom 8. bis zum Beginn des 7. Jahrhunderts v. Chr., in JbZMainz, 32 (1985), pp. 215-54.
Sui centri di produzione bronzistica in Oriente:
E. Akurgal, Urartaische und altiranische Kunstzentren, Ankara 1968.
G. Azarpay, Urartian Art and Artifacts. A Chronological Study, Berkeley - Los Angeles 1968.
Su eventuali prototipi orientali presi a modello dagli artigiani greci:
O.W. Muscarella, A Bronze Vase from Iran and its Greek Connections, in MetrMusJ, 5 (1972), pp. 25-50.
Sulla colonizzazione greca:
J. Boardman, The Greeks Overseas, London 1980.
Su quella in Occidente è fondamentale:
T.J. Dunbabin, The Western Greeks, Oxford 1948.
G. Vallet, Rhégion et Zancle, Paris 1958.
J.P. Descoeudres, Greek Colonists and Native Population, Oxford 1990.
Su Creta:
P. Demargne, La Crète dédalique, Paris 1947.
P. Demargne et al., Dädalische Kunst auf Kreta im 7. Jahrhundert v. Chr., Mainz a.Rh. 1970.
Su Olimpia si veda, in generale:
A. Mallwitz, Olympia und seine Bauten, München 1972.
Sull’Heraion di Argo:
Ch. Waldstein, The Argive Heraeum, I-II, Boston - New York 1902-1905.
Su Sparta:
R.M. Dawkins, The Sanctuary of Artemis Orthia at Sparta, London 1929.
J. Boardman, Arthemis Orthia and Chronology, in BSA, 8 (1963), pp. 1-7.
Su Delfi:
P. De La Coste Messelière, Delphi, Paris 1957.
Su Delo:
H. Gallet De Santerre, Délos primitive et archaïque, Paris 1958.
Su Smyrne:
E. Akurgal, Bayrakli, Ankara 1950.
J.M. Cook et al., Old Smyrna 1948-1951, in BSA, 53-54 (1958-59), pp. 1-34.
E. Akurgal, Alt Smyrna, I. Wohnschichten und Athenatempel, Ankara 1983.
Sulle altre località dell’Asia Minore:
E. Akurgal, Ancient Civilizations and Ruins of Turkey, Istanbul 1978.
Sulla cronologia di età geometrica e orientalizzante:
J. Ducat, L’archaïsme et la recherche de points de repère chronologiques, in BCH, 86 (1962), pp. 165-84.
R.M. Cook, A Note on the Absolute Chronology of the Eight and Seventh Centuries B.C., in BSA, 64 (1969), pp. 13-15.
L. Hannestad, Absolute Chronology: Greece and the Near East c.1000-500 B.C., in ActaArch, 67 (1996), pp. 39-49.