La periodizzazione della Grecia antica. La ceramica
Tra le innumerevoli classi di materiali che ben si prestano a servire da tracciante storico negli studi archeologici, la ceramica gode certamente di tradizione favorevole. È nozione universalmente riconosciuta che tale manufatto ben costituisca l’indicatore archeologico per eccellenza a causa delle sue componenti formali e funzionali, ma anche per la sua scarsa propensione al decadimento organico, nonché quale veicolo iconografico e di valore economico, infine in quanto la ceramica è senza dubbio il materiale che più comunemente si rinviene nei siti archeologici, dal Neolitico all’età moderna. Si è dunque ritenuto utile qui fornire un sinteticissimo panorama della produzione ceramica del mondo greco, rimandando per gli aspetti archeometrici alla trattazione dettagliata esposta nella sezione dedicata a tale argomento nei volumi precedenti de Il Mondo dell’Archeologia e alle relative voci dell’Enciclopedia dell’Arte Antica per le singole personalità artistiche. *
di Dario Palermo
La ceramica è forse la produzione artigianale più ricca e significativa del mondo greco e accompagna per tutto il suo arco la durata della civiltà ellenica. Le grandi quantità di materiale prodotto, la pluralità delle officine e la diversità degli stili, la qualità artistica spesso elevata e talvolta eccezionale delle ceramiche greche, la capillare diffusione in tutti i territori occupati da genti di stirpe ellenica e la presenza di vasi greci come oggetto di commercio, anche al di fuori del mondo greco vero e proprio, ne fanno un prezioso oggetto di studio per gli archeologi, ai quali forniscono abbondante e vario materiale per la conoscenza della civiltà greca. La ceramica greca si presta a essere studiata dal punto di vista storico-artistico, ma costituisce altresì un significativo indicatore anche per la conoscenza dell’organizzazione delle botteghe artigianali, dei traffici commerciali, dei rapporti fra le diverse parti del mondo greco e fra quest’ultimo e le aree periferiche.
Va distinta la ceramica di uso comune, che si presenta soprattutto sotto forma di contenitori per usi domestici e commerciali, da quella di pregio, che è spesso riccamente ornata. Per la prima sono in via di principio ipotizzabili una circolazione e un uso prevalentemente locali, legati cioè all’area di produzione, anche se in certi casi, soprattutto per quel che riguarda le anfore da trasporto, la loro funzione di contenitori di derrate da esportazione ne consente un’ampia circolazione e il riutilizzo nei luoghi di destinazione. La ceramica di pregio ha invece, per le sue caratteristiche di bene di lusso, una sua propria circolazione, che se nei momenti più antichi è legata soprattutto alla consuetudine dell’ospitalità e del dono, acquista in un secondo momento una valenza di mercato vero e proprio, con una particolare domanda da parte di quelle aree dove consuetudini culturali e presenza di ceti abbienti richiedevano merci di questo tipo. È noto, ad esempio, che fra il VI e il V sec. a.C. le città dell’Etruria meridionale hanno costituito il principale mercato per la ceramica greca. La differenza fra i due tipi di ceramiche si riflette anche sulla loro distribuzione nei diversi contesti archeologici: la ceramica di uso comune è infatti presente soprattutto negli strati urbani, mentre ceramica di pregio si rinviene più facilmente nelle deposizioni in tomba o in ambiti votivi. La facilità di rinvenimento della ceramica negli strati archeologici, anche sotto forma di frammento, e la buona conoscenza dello sviluppo delle diverse fabbriche ne fanno un prezioso elemento di cronologia.
La presenza sui vasi greci di rappresentazioni figurate, con un repertorio tratto soprattutto dal mito, fa inoltre della ceramica una delle principali fonti iconografiche della civiltà e della religione greca. Nella ceramica figurata è possibile talvolta identificare delle personalità di pittori, i quali vengono indicati con il vero nome, laddove esso è testimoniato da una iscrizione, o con nomi convenzionali. L’identificazione avviene per mezzo dei cosiddetti “motivi-firma”, cioè di uno o più dettagli della raffigurazione che il pittore tenderebbe a ripetere sempre uguali nelle sue diverse opere. Questo metodo attribuzionistico, che deriva dalle ricerche di G. Morelli sulla pittura del Quattrocento, è stato estensivamente applicato da J. Beazley alla ceramica attica e ha dato buoni frutti anche nel campo delle ceramiche dell’Italia meridionale, a opera di A.D. Trendall. Il metodo dà risultati meno significativi nel caso di produzioni di massa o quando non siano presenti personalità di pittori particolarmente evidenti.
Le prime manifestazioni di produzione ceramica nel mondo greco appartengono al periodo protogeometrico e nascono su un sottofondo di tradizione artigianale che è quello delle botteghe ceramiche micenee; si differenziano dalla ceramica del periodo precedente per la presenza di motivi di carattere geometrico, soprattutto gruppi di cerchi o semicerchi concentrici e per una sintassi decorativa più semplice e più rigida. Già a partire da questo momento è possibile notare la diversificazione dei diversi ambienti produttivi, che è una costante che accompagna tutto il successivo sviluppo della ceramica greca: numerose, infatti, e diffuse in tutte le regioni del mondo greco sono le fabbriche ceramiche protogeometriche. La principale è quella attica, ben conosciuta nel suo sviluppo attraverso le deposizioni della necropoli del Ceramico; essa è anche la più innovativa e nei suoi prodotti compaiono per la prima volta quelle forme e quei motivi decorativi che caratterizzano il periodo; a partire dalla sequenza ateniese vengono stabiliti gli inizi dello stile protogeometrico e la successione stilistica nelle altre fabbriche.
Da ricordare a questo proposito è il caso della ceramica protogeometrica cretese, nella quale solamente il comparire di forme e motivi attici consente di distinguere da quella precedente la produzione del periodo, ancora fortemente impregnata di motivi tardominoici e micenei. Le botteghe ateniesi sono prevalenti anche durante il periodo geometrico, nell’ultima parte del quale si colloca l’attività del Pittore del Dipylon, il quale introduce sui suoi vasi (grandi anfore o crateri posti come segnacolo sulle tombe della necropoli ateniese da cui prende il nome) scene figurate di carattere funerario; accanto a quelle attiche sono attive altre fabbriche, fra le quali la corinzia e la euboica, i cui prodotti si rinvengono, a partire dalla metà dell’VIII sec. a.C., anche nelle colonie greche in Sicilia e Magna Grecia; la data di fondazione di queste ultime costituisce un punto di riferimento per la cronologia dei vasi dell’VIII e della prima metà del VII sec. a.C.
Molto articolato è il quadro della produzione ceramica in età orientalizzante. Le fabbriche più importanti sono quelle di Corinto, chiamate protocorinzie, i cui prodotti sono ampiamente diffusi in tutto il mondo greco e in Etruria; fabbriche di ceramica sono altresì presenti nel Peloponneso, ad Argo e Sparta, nella Grecia centrale, in Beozia e in Eubea; nelle Cicladi, a Paro, a Milo, a Nasso, a Thera, a Creta. Nelle isole del Dodecaneso e nella Ionia è diffuso lo stile della Capra Selvatica, un tempo attribuito a Rodi e ora ricercato nelle città dell’Asia Minore, forse a Mileto; fabbriche locali di ceramica figurata sono presenti inoltre nelle colonie greche di Occidente. Nella ceramica protocorinzia compare uno stile figurato basato sull’uso di figure nere piene sul fondo più chiaro della superficie del vaso, nelle quali i dettagli sono realizzati mediante l’uso dell’incisione; in questo stile sono decorati i vasi più significativi della produzione protocorinzia, fra i quali l’Olpe Chigi di Cerveteri. L’uso delle figure nere caratterizza anche il successivo stile detto “corinzio”, che si sviluppa tra l’ultimo quarto del VII e il VI sec. a.C. Su influsso corinzio questo modo di realizzare la figura passa in Attica, dove in età orientalizzante è diffuso lo stile detto “protoattico”, di ricca tradizione figurativa ma limitato solo ad Atene e al suo circondario.
L’acquisizione della tecnica a figure nere nella ceramografia attica costituisce un vero e proprio salto di qualità per le officine ateniesi, i cui prodotti a partire dalla prima metà del VI sec. a.C. vengono esportati in tutto il mondo greco in diretta concorrenza con le ceramiche delle officine corinzie. Queste ultime però non riescono a rinnovarsi nelle loro componenti iconografiche e ripetono stancamente un repertorio decorativo che si basa soprattutto sull’uso di fregi orizzontali nei quali ricorrono, uguali, numerose figure di animali; la produzione attica, al contrario, si caratterizza per un ricorso sempre più diffuso al figurativo e riesce a esprimere significative personalità di pittori e ceramisti, i quali cominciano adesso a firmare le loro opere. I vasi attici acquistano così un predominio sui mercati della ceramica che dura per circa 150 anni. Accanto a essi, nel VI sec. a.C., sono presenti anche prodotti di altre fabbriche, quali la laconica, la chiota, la rodia e la calcidese, le quali, pur raggiungendo talvolta notevole qualità artistica, hanno diffusione assai più modesta.
Verso il 530 a.C. si verifica nella ceramografia attica un cambiamento di fondamentale importanza, il passaggio dalle figure nere alle figure rosse. Si realizza cioè una inversione nel modo di rappresentare le figure, le quali vengono ora realizzate nel colore rosso dell’argilla su di un fondo uniforme nero lucido. Il passaggio è graduale e la vecchia tecnica non viene del tutto abbandonata: alcuni vasi sono dipinti nelle due tecniche e vasi a figure nere, seppure di modesta qualità, continuano a essere prodotti fino al 480 a.C. Il cambiamento nasce da esigenze di carattere formale e certamente in questo la ceramica segue gli orientamenti della grande pittura, esprimendo figure di artisti di grande rilievo; ai vasi realizzati nella nuova tecnica si affiancano verso la metà del V secolo ceramiche, soprattutto lekythoi, con figure disegnate su un fondo bianco, in una tecnica che deriva anch’essa dalla pittura murale. La produzione di ceramica ad Atene subisce un declino nella parte finale del V secolo, forse a seguito della guerra del Peloponneso; si interrompono i rapporti con i mercati dell’Occidente e la ceramica attica viene ora, e per tutta la prima metà del IV sec. a.C., esportata solo nelle colonie greche del Mar Nero, da cui deriva il nome di “stile di Kerã” dato a questi ultimi prodotti della ceramografia ateniese.
Accanto ai vasi figurati, in Attica viene prodotto in grandi quantitativi un tipo di ceramica di uso quotidiano ricoperta semplicemente di vernice nera e talvolta decorata con motivi impressi. Nel IV sec. a.C. e in età ellenistica, nella ceramica detta West Slope, al fondo nero si accompagnano decorazioni in bianco e in oro. Anche in Italia meridionale e in Sicilia si sviluppa, a partire dalle forme attiche, una vasta produzione di ceramiche a vernice nera, chiamate a volte “campane” a causa dell’abbondanza in quella regione di fabbriche la cui attività prosegue fino a età tardoellenistica. Tra il IV e il III secolo la superficie nera viene arricchita da sovradipinture in bianco e in giallo nella ceramica del tipo detto “di Gnathia”.
La ceramica di età ellenistica è meno conosciuta rispetto a quella dei periodi precedenti. Una importante fabbrica ceramica è localizzata ad Alessandria d’Egitto; essa produce le hydriai funerarie della necropoli di Hadra, decorate a fogliami. Molto diffusa è in questo periodo anche la ceramica de-corata a rilievo, con l’uso di matrici, che imita la tecnica metallica dello sbalzo; a questa categoria appartengono le coppe di tipo megarese e la ceramica pergamena. Decorazioni a rilievo sono applicate con esuberanza di motivi insieme a una dipintura a colori vivaci e in oro nella già ricordata ceramica di Centuripe e nei vasi di Canosa.
In generale:
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Per lo stile, le officine e i ceramografi:
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Per alcune fondamentali raccolte:
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Per le imitazioni della ceramica corinzia:
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