Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo stile comico è fruito in molteplici esperienze letterarie, satiriche, parodiche e realistiche. Nell’ambito della poesia narrativa lo spazio comico è coperto soprattutto dai fabliaux di area francese. Anche la poesia lirica presenta generi comici, in cui si cantano amori per donne di condizione sociale inferiore oppure si esprime un intento satirico. Nella Toscana del Duecento si sviluppa un’importante poesia comicorealistica i cui massimi rappresentanti sono Rustico Filippi e Cecco Angiolieri.
Rutebeuf
La donna che fece tre giri intorno alla chiesa
I fablieux
Chi si mettesse in testa d’ingannare
una donna, io lo faccio accorto
che ingannerebbe prima il Nemico,
dico il demonio, a battaglia campale.
Chi a una donna vuol mettere le briglie,
anche la copra ogni giorno di botte,
lei l’indomani è sana di nuovo,
pronta a subire il castigo da capo.
Ma se il marito è un bonaccione sciocco,
niente che la moglie attacchi briga,
sa raccontargli tante e tante frottole,
tante fandonie, tante fanfaluche,
che riesce per forza a fargli credere
che l’indomani il cielo sarà in cenere,
e così ha la meglio nello scontro.
Dico questo per una giovinetta
andata sposa ad uno scudiero,
non so se del Chartrese o del Berry.
In realtà, la giovin signora
s’era fatta amica d’un prete;
questi l’amava molto, ed ella lui,
e nessuno le avrebbe impedito
di mandare ad effetto la sua voglia,
chiunque avesse a sentir pena in cuore.
Un giorno, all’uscita dalla chiesa,
il prete, finito il suo offizio,
lasciati i paramenti da piegare,
s’avvicinò alla donna e le chiese
di venire la sera in un boschetto:
le vuol parlare d’una sua bisogna
(e io, che guadagno ci farei
a dirvi la bisogna col suo nome?)
La donna gli rispose: – Signor mio,
eccome, vedete, sono pronta,
l’ora e il momento sono quelli giusti,
e lui, inoltre, è lontano da casa.
Rutebeuf, I fablieux, a cura di A. Limentani, Roma, Carocci, 2007
Rustico Filippi
Quando Dio messer Messerino fece,
ben si credette far gran maraviglia,
ch’uccello e bestia ed uom ne sodisfece,
ch’a ciascheduna natura s’apiglia:
ché nel gozzo anigrottol contrafece,
e ne le ren’ giraffa m’asomiglia,
ed uom sembia, secondo che si dice,
ne la piagente sua cera vermiglia.
Ancor risembra corbo nel cantare,
ed è diritta bestia nel savere,
ed uomo è sumigliato al vestimento.
Quando Dio il fece, poco avea che fare,
ma volle dimostrar lo Suo potere:
sì strana cosa fare ebbe in talento.
in Letteratura italiana delle origini, a cura di G. Contini, Sansoni, Firenze, 1970
Cecco Angiolieri
Tre cose solamente m’ènno in grado,
le quali posso non ben ben fornire,
cioè la donna, la taverna e ’l dado:
queste mi fanno ’l cuor lieto sentire.
Ma sì•mme le convene usar di rado,
ché la mie borsa mi mett’ al mentire;
e quando mi sovien, tutto mi sbrado,
ch’i’ perdo per moneta ’l mie disire.
E dico: “Dato li sia d’una lancia!”
ciò a mi’ padre, che•mmi tien sì magro,
che tornare’ senza logro di Francia.
Ché fora a tôrli un dinaro più agro,
la man di Pasqua che•ssi dà la mancia,
che far pigliar la gru ad un bozzagro.
Cecco Angiolieri, Sonetti, a cura di M. Stanghellini, Monteriggioni, Il Leccio, 2003
Cecco Angiolieri
S’i’ fosse fuoco, ardereï ’l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo;
s’i’ fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristïani imbrigarei;
s’i’ fosse ’mperator, ben lo farei:
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei a mi’ padre;
s’i’ fosse vita, non starei con lui:
similemente faria da mi’ madre.
S’i’ fosse Cecco, com’ i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.
Cecco Angiolieri, Sonetti, a cura di M. Stanghellini, Monteriggioni, Il Leccio, 2003
Nella letteratura latina medievale lo spazio dello stile comico, medio-basso, è occupato da una serie di esperienze, fra le quali un ruolo rilevante è giocato dalla poesia “goliardica”. Anche i trattati di poetica riconoscono l’importanza dei livelli stilistici mediocre e inferiore: lo stile medio-basso dovrà applicarsi, per convenientia, ad argomenti e personaggi non elevati. Così accanto alla letteratura di lode, su soggetti nobili, ecco una letteratura di vituperio, su argomenti e personaggi inferiori socialmente o moralmente. Talvolta però non si ha la separazione degli stili quanto una loro commistione parodica. Lo spazio della letteratura comica copre dunque varie tipologie: la poesia di scherno, nelle modalità della satira, del vituperio, dell’improperio, di tono giocoso o polemico; la poesia goliardica, con la predilezione per gli amori sensuali, i giochi e le bevute da taverna; la parodia, che riprende linguaggi e situazioni della letteratura alta rovesciandone i valori; la letteratura “realistica”, che tende a una rappresentazione meno idealizzata del reale.
Questa molteplicità di tipologie si riscontra anche nella letteratura volgare, dove la presenza di aspetti comici è attiva già all’interno dei generi letterari elevati. Perfino nei poemi epici francesi trovano spazio intermezzi farseschi, come l’episodio dei cuochi nella Chanson de Roland (vv. 1816-1829), mentre la presenza di elementi comici diviene ampia nelle chansons del ciclo di Guillaume.
Un’aperta parodia del poema epico è il Pèlerinage de Charlemagne (metà del XII secolo), poemetto che racconta del viaggio di Carlo Magno e dei dodici pari a Costantinopoli: lontani dal contesto epico, gli eroi appaiono come una compagnia chiassosa di commensali fanfaroni. Alla fine del XII secolo risale invece un poemetto “eroicomico”, Audigier, in cui la parodia è resa esplicita dalla mescolanza di elementi epici e riferimenti scatologici.
La narrativa breve in antico francese presenta, accanto ai lais fedeli al modello di Maria di Francia, altri che mostrano un intento parodico. In alcuni casi si registra un abbassamento realistico e borghese dell’originaria atmosfera meravigliosa e cortese, come nel Lai de l’Ombre (“Lai dell’ombra”) di Jean Renart. In altri casi si ha la rappresentazione burlesca dei temi della letteratura romanzesca e cortese. Il Lai d’Ignaure (inizi del XIII secolo) presenta una parodia del motivo del cuore mangiato, qui sostituito dal membro virile. Il Lai duTrot (“Lai del trotto”) rovescia il tema della punizione infernale delle donne infedeli mostrando invece la pena riservata a quelle che non si concedono all’amore fisico. Rielabora parodicamente i materiali del ciclo di Alessandro il Lai d’Aristote di Henri d’Andeli, che sbeffeggia il filosofo, mostrandolo sedotto dall’amante di Alessandro e costretto a pratiche umilianti, come quella di venire da lei cavalcato: beffarda dimostrazione dell’onnipotenza dell’amore sensuale. Con modalità più complesse anche la cantafavola Aucassin et Nicolette (fine XII-inizio XIII sec.) presenta la commistione di più generi, e gli elementi tematici del lai e del romanzo sono volti in parodia.
Ma il genere della poesia narrativa breve francese programmaticamente votato alla rappresentazione comica è quello del fabliau (“favolello”), che si sviluppa alla fine del XII e nel XIII secolo. La contrapposizione rispetto al lai può avvenire in due direzioni: la deformazione degli ideali e dei temi cortesi e cavallereschi oppure la rappresentazione di strati sociali medio-bassi. Nel primo caso l’abbassamento parodico viene ottenuto ponendo un eroe cavalleresco in una situazione poco nobile; nel secondo è al contrario un personaggio umile che pretende di assumere comportamenti cavallereschi. Ma il processo di parodizzazione può riguardare anche gli schemi romanzeschi, e in particolare il classico triangolo amoroso: il cavaliere, la moglie del re e il re (si pensi a Lancillotto, Ginevra e re Artù; o a Tristano, Isotta e re Marco). Nel fabliau il marito è invece un borghese o un contadino, mentre al posto del cavaliere figura il prete o lo studente, ma l’amore è sottratto a ogni idealizzazione e ridotto alla pura soddisfazione degli appetiti sessuali. Restano circa 130 fabliaux, per lo più anonimi. Fra quelli di cui è noto l’autore spiccano i fabliaux di Rutebeuf.
Satira sociale e parodia letteraria caratterizzano il Roman de Renart, formato da racconti in versi originariamente autonomi, composti tra il 1175 e il 1250. Vi si narrano le avventure di animali personificati, tra cui la volpe Renart, il lupo Isengrin, il leone Noble. Convergono in quest’opera la favola di tradizione esopica e la favola satirica, ma anche la poesia allegorica. L’intento è di cruda rappresentazione della psicologia umana e dei meccanismi sociali. Attraverso la maschera animale emergono le motivazioni reali dei comportamenti: la fame, il sesso, la violenza, la paura, il potere, messi in scena senza alcuna attenuazione o elevazione idealistica.
Anche nel sistema lirico trovano spazio, accanto alla canzone cortese, esperienze di livello stilistico più basso, con modalità diverse nelle varie realtà linguistiche. Nella poesia provenzale alla lirica amorosa si affianca il sirventese, di argomento politico-sociale, non di rado improntato a un risentito tono satirico.
Nella lirica galego-portoghese hanno spazio le cantigas d’escarnho (“canzoni di scherno”) e le cantigas de maldizer (“canzoni di maldicenza”): poesie satiriche e burlesche fondate sull’effictio in improperium (“ritratto a fini di biasimo”) di singoli personaggi storici o di tipi sociali.
Su un altro piano sono quei generi lirici che svolgono il tema amoroso in tono più basso, in quanto la donna appartiene a un livello sociale inferiore. Il poeta-amante non è più tenuto all’osservanza delle regole cortesi e punta esplicitamente sull’appagamento del desiderio sessuale. Il caso classico è quello della pastorella francese, in cui il poeta incontra in campagna una pastorella con la quale tiene un dialogo solitamente chiuso dalla seduzione, ma talvolta anche dal rifiuto. È evidente la distanza nei confronti del modello cortese, nonché la funzione di parodia nei confronti della fin’amor, fondata sul paradosso dell’inappagabilità del desiderio.
Alla pastorella francese corrisponde nella lirica castigliana del XIII secolo la cántica de serrana (“canzone di montanara”), con un incremento di selvaticità ma anche di disponibilità sessuale da parte della donna. Fra gli autori spicca Juan Ruiz, cui si deve anche il Libro de buen amor (Libro del buon amore). Il “buon amore” è quello divino, cui si contrappone il “loco amor” (il folle amore). Ma con il pretesto di illustrare i pericoli dell’amore sensuale, Juan racconta una lunga serie di avventure erotiche. Il poema è caratterizzato dalla mescolanza dei metri e offre una summa del patrimonio narrativo romanzo riscritto con un sottile gioco parodico.
Anche in area italiana una delle modalità dello stile comico è quella del contrasto, con la messa in scena di un dialogo fra il poeta e la donna. Un esempio è offerto già alla fine del XII secolo dal trovatore Raimbaut de Vaqueiras nel cui contrasto si alternano le parole del poeta in provenzale e quelle della donna in genovese. Il tentativo di seduzione ha lo scopo della conquista sessuale, perciò l’uso del linguaggio cortese si configura come parodia della poesia amorosa elevata. In qualche caso si aggiunge la parodia vernacolare attraverso l’uso di espressioni dialettali. È quanto avviene nella canzone di Castra Fiorentino, Una fermana iscoppai da Cascioli (metà XIII sec.), in cui la donna è una serva della campagna marchigiana, o nel Contrasto della Zerbitana, di area centro-meridionale adriatica.
Il più celebre fra i contrasti di area italiana è quello di Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima, databile fra il 1231 e il 1250. Gli stilemi e il linguaggio della lirica siciliana sono parodiati in questo testo che presenta il dialogo fra il poeta seduttore e la donna, prima ritrosa e sostenuta, poi sempre più cedevole sino alla conclusione in ogni senso “comica”. L’ultima battuta della donna suona infatti: “A lo letto ne gimo [“andiamo”] a la bon’ora”.
Negli stessi decenni in cui si ha in Toscana un importante sviluppo della poesia cortese, sino alla grande stagione dello stil novo, si registra anche una pluralità di esperienze letterarie nell’ambito dello stile medio-basso.
“Comica” quanto a livello stilistico, questa poesia viene definita anche “realistica” per il suo radicamento nella vivace realtà cittadina dei Comuni toscani e per la rappresentazione anche degli aspetti bassi dell’esistenza. Anzi l’intento di satira e vituperio porta proprio a scegliere gli aspetti negativi del reale o a deformare la realtà in chiave caricaturale. Ma questa poesia viene anche definita “giocosa” per l’intento burlesco.
Fra i protagonisti di rilievo è il fiorentino Rustico Filippi, che si divide fra la poesia amorosa aderente ai moduli cortesi e la poesia comica. Nei suoi sonetti giocosi Rustico è soprattutto un maestro del ritratto satirico, effettuato con toni ferocemente caricaturali e linguaggio espressivo: i suoi personaggi sono raffigurati nella loro ripugnante bruttezza fisica e nei loro vizi sordidi e degradanti, anche attraverso allusioni oscene filtrate da un gergo furbesco.
Ancora più rilevante appare il senese Cecco Angiolieri, la cui produzione è varia e complessa. In alcuni testi emerge la ripresa dei temi giocosi della poesia goliardica, in particolare l’esaltazione della triade “la donna, la taverna e ’l dado”. Vi si associa spesso il motivo canonico della mancanza di denaro e la recriminazione contro l’avarizia paterna, ma l’odio antipaterno si carica di una durezza inaudita. I sentimenti antisociali si estendono talvolta sino a una iperbolica e grottesca misantropia universale, come nel celebre sonetto S’io fosse fuoco, ardereï ’l mondo Altri testi presentano la parodia della poesia stilnovista: le donne angelicate sono burlescamente parodiate in poesie che cantano, con linguaggio stilnovistico, l’infelice amore per Becchina, una donna grossolana, sensuale e bisbetica.
Su un piano tematico di realismo sognante si collocano invece i sonetti di Folgore da San Gimignano sui dodici mesi e sui giorni della settimana. Per ogni mese Folgore offre un elenco delle attività più piacevoli, delle vesti più raffinate, dei cibi più squisiti, degli ambienti più confortevoli. La società borghese e cittadina cerca di rivivere gli aspetti superficiali ed esteriori del mondo cortese. Ma tale operazione si presta facilmente alla parodia, compiuta infatti dal giullare Cenne de la Chitarra, che rovescia il sogno in un incubo, elencando le attività più spiacevoli, le compagnie e le ambientazioni più rozze, le situazioni più fastidiose, i cibi più sgradevoli.
Nel Trecento, alla rimeria toscana, che continua con esiti ripetitivi a esercitare anche il genere comico, si affianca un gruppo di poeti perugini, fra i quali spicca Marino Ceccoli, che svolge in chiave comica il tema amoroso. E al Trecento appartiene anche il Detto del villano di Matazone da Caligano, poemetto in volgare lombardo che rappresenta uno dei primi esempi di “satira del villano”.