Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I secoli XI e XII producono un numero straordinariamente grande di poemi epici. Tutti i generi della poesia eroica sono praticati e aumenta notevolmente la quantità di opere di ampio respiro. Accanto all’epica panegiristica prodotta in ambito imperiale, prospera l’epos politico nazionale e cittadino e nasce la poesia di crociata. Non mancano neppure i poemi di argomento anticheggiante o sviluppati da fonti folkloriche, mentre riscuotono largo successo gli epos biblici, didascalici e agiografici.
Ruodlieb riferisce al proprio re l’esito dell’ambasceria da lui condotta
Ruodlieb (con gli epigrammi del Codex Latinus Monacensis 19486)
“Dimmi, dove e quando è stato stabilito che avvengano le trattative?”. “Al termine di tre settimane, le trattative avranno luogo in quel piano in cui prima combattemmo, [180] liberammo i nostri e riducemmo i nemici in catene, perché essi ritrovino la gioia nel luogo in cui trovarono il dolore. Questo ho garantito al re in tuo nome, quando discussi la tregua”. Il re disse: “Approvo questa promessa e non verrò meno alla parola data. Ma dimmi, cos’hai dovuto fare, quando eri laggiù?”. [185] Rispose: “Il supremo maestro di palazzo fu gentile con me, adoperandosi grandemente perché io non soffrissi la mancanza di nulla. Cercò più volte di battermi al gioco degli scacchi, ma non vi riuscì, se non in una sola partita, che gli lasciai vincere di proposito. E così per cinque giorni non mi permise di presentarmi al cospetto del re: [190] voleva cercare di conoscere il motivo del mio arrivo laggiù. Dal momento che egli non riuscì a scoprirlo con nessun artificio, il re mi mandò a chiamare e ascoltò attentamente ciò che gli dissi. Dopo aver differito la risposta, come ho già detto, al giorno dopo, il re chiese un tavolo da gioco, ordinò di collocargli davanti una sedia [195] e mi comandò di prendere posto sullo sgabello di fronte, per giocare con lui. Io rifiutai decisamente questo invito dicendo: ‘È terribile per un miserabile giocare con un re’. Ma quando non mi sembrò più opportuno osare opporglisi, accettai di giocare, desiderando di essere battuto da lui: [200] ‘Che male c’è per un miserabile come me’, dicevo, ‘a essere sconfitto da un re? Però io temo, signore, che tu subito ti adireresti con me, se la fortuna mi aiutasse a ottenere la vittoria’. Il re, sorridendo, disse come se stesse scherzando: ‘Non hai nulla da temere per questo, mio caro: [205] non monterò affatto in collera, nemmeno se non vincessi mai. Voglio invece che tu giochi con me quanto più abilmente tu sappia fare, perché voglio imparare le nuove mosse che tu fai’. Sia il re che io muovemmo subito con impegno e, grazie a Dio, la vittoria mi arrise tre volte, [210] con grande meraviglia dei suoi molti ottimati. Egli faceva delle puntate, ma non voleva che io puntassi nulla, poi pagò le sue scommesse fino all’ultimo centesimo. Parecchi gli subentrarono: volevano prendere una rivincita per lui. Ponevano una posta e rifiutavano la mia: [215] erano certi di non perdere nulla, contando decisamente sull’incerta sorte. Si aiutavano tra loro, ma, aiutandosi, si danneggiavano gravemente: siccome ognuno dava consigli diversi, si intralciavano a vicenda. Perciò io, in mezzo a questa loro controversia, vinsi altre tre volte con rapidità, poiché non volli giocare più a lungo. [220] Essi volevano pagarmi subito le scommesse fatte. In un primo momento non le accettai, perché giudicavo scorretto il fatto che io mi arricchissi in quel modo e loro si impoverissero per causa mia. Dissi: ‘Non sono abituato a guadagnare alcunché col gioco’. Risposero: ‘Finché tu sei tra noi, vivi come noi; [225] quando tornerai a casa tua, laggiù potrai vivere come vorrai’. Allora ruppi del tutto gli indugi e accettai ciò che mi offrivano, giacché la fortuna mi concedeva profitti e lodi”. Il re disse: “Credo che tu debba sempre amare questo gioco, grazie al quale ti sei fatto risuolare così bene le scarpe. [230] Ora ti sia resa grazia, perché hai curato bene i nostri interessi”.
Testo originale:
“Inducię quô sunt laudate quandove, dic, sunt?”
“Ebdomade cum pretereunt tres, inducię sunt
Hac in planicie, qua concertavimus ante,
180 Solventes nostros in vincla redegimus hostes,
Sunt ubi tristati, quo fiant letificati.
Sic de te regi tunc induciando spopondi.”
Rex ait: “hoc laudo, promissorum neque fraudo.
Dum fueras at ibi, quid agendum, dic, habuisti?”
185 Respondit: “summus mihi clemens fit vicedomnus
Procurans multum, defectum ne paterer quem.
Scachorum ludo temptat me vincere crebro
Nec potuit, ludo ni sponte dato sibi solo.
Quinque dies sic me non siverat ante venire;
190 Explorare cupit, meus adventus quid eô sit.
Investigare nulla quod dum valet arte,
Post me rex misit; sibi que dixi satis audit.
In cras responso, dixi velut, induciato,
Rex poscens tabulam iubet opponi sibi sellam
195 Et me contra se iubet in fulchro residere,
Ut secum ludam, quod ego nimium renuebam
Dicens: ‘terribile, miserum conludere rege’.
Et dum me vidi sibi non audere reniti,
Ludere laudavi cupiens ab eo superari,
200 ‘Vinci de rege’ dicens ‘quid obest miserum me?
Sed timeo, domine, quod mox irasceris in me,
Si fortuna iuvet, mihi quod victoria constet.’
Rex subridendo dixit velut atque iocando:
‘Non opus est, care, super hac re quid vereare:
205 Si numquam vincam, commocior haut ego fiam.
Sed, quam districte noscas, ludas volo cum me;
Nam quos ignotos facies volo discere tractus.’
Statim rex et ego studiose traximus ambo,
Et, sibi gratia sit, mihi ter victoria cessit,
210 Multis principibus nimis id mirantibus eius.
Is mihi deponit, sibi me deponere nil vult,
Et dat que posuit, pisa quod non una remansit.
Plures succedunt, hunc ulcisci voluerunt,
Pignora prebentes, mea pignora despicientes,
215 Perdere nil certi, dubie fisi bene sorti.
Alterutrumque iuvant nimiumque iuvando nocebant.
Prepediebantur, varie dum consiliantur,
Inter litigium cito vincebam quod eorum
Hoc tribus et vicibus, volui nam ludere non plus.
220 Que deponebant, mihi mox donare voleba[nt.]
Primo respueram, vitiosum namque putabam,
Sic me ditari vel eos per me tenuari.
Dixi: ‘non suevi quicquam ludendo lucrari.’
Dicunt: ‘inter nos dum sis, tu vive velut nos;
225 Quando domum venias, ibi vivere quis veluti vis.’
Cum sat lorifregi, que porrexere recepi,
Commoda cum laude mihi fortuna tribuente.”
Rex ait: “hunc ludum tibi censeo semper amandum,
Quo sunt sarcita tua tam bene calciamenta.
230 Nunc grates habeas, causas quod agis bene nostras.”
in La formazione e le avventure del primo eroe cortese, a cura di R. Gamberini, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2003
Goffredo di Monmouth
Le profezie di Merlino
La follia del mago Merlino
“Oh, follia suicida dei Britanni, resi fin troppo superbi dalla smodata ricchezza! non vogliono godere la pace: sono in preda a istinti bestiali, alternano le guerre civili agli scontri fratricidi, lasciano che cada in rovina la Chiesa del Signore e scacciano in regni lontani i vescovi consacrati!
“I discendenti del Cinghiale di Cornovaglia provocano ovunque disordine: si tendono l’un l’altro agguati mortali con lama assassina e non si rassegnano a salire legittimamente al potere, ma usurpano la corona. Il quarto di loro sarà il più crudele e il più duro. Ma il Lupo Marino lo sconfiggerà in guerra e lo metterà in fuga nei regni stranieri oltre il Severn. Stringerà Cirenchester d’assedio e ne raderà al suolo le case e le mura a colpi d’ariete. Assalirà con la flotta le Gallie, ma cadrà ucciso dal colpo di un re.
“Muore Ryderch, dopo una lunga tensione tra il Cumberland e la Scozia, finché il Cumberland riconoscerà il più forte. Le genti del Galles muoveranno guerra a quelle del Gwent e poi a quelle di Cornovaglia, e nessun patto potrà placarle. Il Galles si rallegrerà sempre del sangue versato: popolo nemico di Dio, perché sei felice di spargere il sangue? A causa del Galles i fratelli si combatteranno, condannando i propri discendenti a una morte delittuosa. Più frequenti saranno le incursioni degli Scoti oltre l’Humber, e chi si opporrà loro verrà eliminato senza pietà. Ma non impunemente: il loro capo cadrà ucciso da colui che avrà il nome di un cavallo, e il suo successore verrà espulso dalle nostre terre. Scoti, riponete nel fodero le spade sguainate con troppa fretta! La vostra forza non varrà contro il popolo fiero!
“Andrà in rovina la città di Acelud e nessun re la farà ricostruire, finché gli Scoti saranno sottomessi in guerra. Piangono la città di Sigen, le sue torri, i grandi palazzi diroccati, finché i Gallesi torneranno agli antichi confini. Porchester vedrà le sue mura crollate nel porto, finché il ricco la rimetterà sul retto cammino con il dente della Volpe. La città di Loel, depredata, rimarrà priva del vescovo, finché glielo restituirà lo scettro del Leone. La città di Rodope giacerà distrutta sulle rive del porto e la ricostruirà un Ruteno, giunto con una nave da guerra. Il quinto dopo di lui restaurerà le mura di Mynyw e le restituirà la dignità vescovile persa per anni. Nel tuo seno, Severn, sprofonderà Caerleon, la Città delle Legioni, e a lungo perderà i suoi cittadini: le verranno restituiti quando l’Orso giungerà sull’Agnello.
“Dispersi i cittadini, i sovrani dei Sassoni a lungo domineranno su città, campi e case. Tra loro nove draghi cingeranno la corona; duecento monaci saranno massacrati nella città di Leir e, scacciatone il capo, il Sassone la spopolerà. Il primo degli Angli che cingerà la corona di Bruto ricostruirà la città, resa un deserto dalle stragi. Quel popolo barbaro impedirà di consacrare sacerdoti nella nostra patria e collocherà le immagini degli dei nelle dimore del Signore. Roma in seguito ci restituirà Dio per mezzo di un monaco incappucciato, e di nuovo il sacerdote benedirà le chiese, che ricostruirà con nuovi pastori. Essi garantiranno l’adempimento della volontà di Dio e molti riceveranno la legge da loro e dal cielo.
“Tutto ciò il popolo empio e velenoso violerà di nuovo, e confonderà con violenza l’illecito e il lecito. Venderà i figli e i congiunti in terre oltre il mare ai confini del mondo, e incorrerà nell’ira di Dio. Mostruoso delitto! L’uomo, che il Signore dell’universo si degnò di creare a onore del cielo dotato di libertà, portato in giro, legato e venduto alla stregua di un bue! Ma Dio avrà pietà, e avrai fine anche tu, che un tempo ti levasti a tradimento contro il tuo signore. Per mare arriveranno i Danesi, dopo aver sottomesso il popolo governeranno il regno per breve tempo e se ne andranno scacciati. A loro daranno due leggi, e il Serpente li ferirà con il pungiglione della coda, dimentico del patto per l’onore della corona.
“E quindi i Normanni, trasportati sui legni per mare, recando un volto davanti e uno dietro, assaliranno gli Angli con tuniche di ferro e spade acuminate, li sbaraglieranno e resteranno padroni del campo. Sottometteranno molti regni e a lungo domineranno genti straniere, finché l’Erinni, svolazzando dovunque, seminerà tra loro il veleno della discordia. Allora se ne andrà la pace, la fede e ogni virtù, in ogni angolo della patria scoppieranno guerre civili, l’uomo tradirà l’uomo, non si toverà più un amico. Trascurando la moglie, lo sposo andrà alla ricerca delle prostitute e la sposa, trascurando il marito, si concederà a chi vorrà. Non verrà rispettato il decoro nelle chiese, l’ordine scomparirà. E i vescovi porteranno le armi, e si uniranno agli eserciti, e leveranno mura sulla terra consacrata, e pagheranno il soldo a soldati straccioni. Travolti dalla bramosia di ricchezze, correranno nel mondo e sottrarranno a Dio ciò che l’abito talare vieterà.
“Tre cingeranno la corona e dopo di loro salirà al potere un quarto, favorevole alla novità, al quale sarà dannosa una pietà fuori luogo, finché trarrà il proprio abito dal padre al fine di attraversare, cinto dei denti del cinghiale, l’ombra di colui che porta l’elmo. Quattro saranno unti a loro volta, aspirando a rovesciare i vertici, e a succedere saranno due, che faranno rotolare la corona al punto di spingere i Galli a muovere feroci guerre contro di loro. Il sesto abbatterà gli Irlandesi e le loro mura: egli, religioso e assennato, rinnoverà i popoli e le città.
“Ho già cantato questi fatti più diffusamente un tempo a Re Vortigern, spiegandogli il significato allegorico del combattimento tra i due draghi, quando insieme sedemmo in riva alla palude prosciugata. Ma tu, sorella carissima, torna a casa ad assistere il re moribondo e fai venire qui Taliesin: infatti desidero parlare a lungo con lui. È appena tornato dalle terre di Bretagna, dove ha appreso le soavi dottrine del sapiente Gildas”.
Testo originale:
Rorabitque domos sacro sacer imbre sacerdos,
Quas renovabit item pastoribus intro locatis.
Legis divinae servabunt jussa subinde,
640 Plures ex illis et caelo jure fruentur.
Id violabit item gens impia plena veneno
Miscebitque simul violenter fasque nefasque;
Vendet in extremos fines trans aequora natos
Cognatosque iramque Tonantis inibit.
645 O scelus infandum! Quem Conditor orbis honore
Caeli dignatus cum libertate creavit,
Illum more bovis vendi ducique ligatum!
Cessabit, miserande Deo, qui proditor olim
In dominum fueras, cum primum regna subisti.
650 Classe supervenient Daci populoque subacto
Regnabunt breviter, propulsatique redibunt.
His duo iura dabunt quos laedet acumine caudae
Foederis oblitus pro sceptri stemate serpens.
Indeque Neustrenses ligno trans aequora vecti,
655 Vultus ante suos et vultus retro ferentes,
Ferratis tunicis et acutis ensibus Anglos
Acriter invadent, periment, campoque fruentur.
Plurima regna sibi submittent atque domabunt
Externas gentes per tempora donec Erinus
660 Circumquaque volans virus diffundet in ipsos.
Tum pax atque fides et uirtus omnis abibit,
Undique per patrias committent proelia cives,
Virque virum prodet; non invenietur amicus;
Conjuge despecta, meretrices sponsus adibit
665 Sponsaque, cui cupiet, despecto conjuge, nubet.
Non honor ecclesiis servabitur, ordo peribit;
Pontifices tunc arma ferent, tunc castra sequentur,
In tellure sacra tunc et moenia ponent,
Militibusque dabunt quod deberetur egenis;
670 Divitiis rapti mundano tramite current,
Eripientque Deo quod sacra tyara vetabit.
Tres diadema ferent, post quos favor ille novorum
Quartus erit sceptris, pietas cui laeva nocebit,
Donec sit genitore suo vestitus, ut apri
675 Dentibus accinctus galeati transeat umbram.
Quatuor ungentur vice, versa summa petentes
Et duo succedent, qui sic diadema rotabunt,
Ut moveant Gallos in se fera bella movere.
Sextus Hibernenses et eorum moenia vertet:
680 Qui pius et prudens populos renovabit et urbes.
Hec Vortigerno cecini prolixius olim
Exponendo duum sibi mystica bella draconum,
In ripa stagni quando consedimus hausti.
At tu, vade domum morientem visere regem,
685 O dilecta soror, Thelgesinoque venire
Praecipe: namque loqui desidero plurima secum.
Venit enim noviter de partibus Armoricanis,
Dulcia quo didicit sapientis dogmata Gildae.”
Goffredo di Monmouth, La follia del mago Merlino, a cura di A. Magnani, Palermo, Sellerio, 1993
Nei secoli XI e XII si assiste a una straordinaria fioritura dell’epica latina. In questo periodo vengono prodotti più testi che in tutto l’alto Medioevo. Aumenta anche l’estensione media dei poemi, che si avvicinano così maggiormente all’impianto dei grandi poemi classici, piuttosto che alla struttura breve del canto di vittoria che aveva prevalso nell’epoca immediatamente precedente. Si amplia e si differenzia il pubblico, che non è più limitato ai membri delle corti secolari ed ecclesiastiche o agli allievi delle scuole cattedrali e monastiche, ma si estende come naturale conseguenza dell’influenza sempre maggiore esercitata dalle università sulla vita pubblica.
Le gesta dell’imperatore Federico I hanno trovato più di un cantore: l’anonimo, di origine bergamasca, autore del Carmen de gestis Frederici I imperatoris in Lombardia, che descrive in 3343 esametri la prime due discese in Italia del Barbarossa, dal 1054 fino alla battaglia di Carcano del 1160; il poeta Gunther, che nel Ligurinus mette in versi i racconti storici di Ottone di Frisinga e Rahewino e narra le vicende fino alla caduta di Crema (1160); Goffredo da Viterbo, che scrive i Gesta Friderici sulle imprese compiute tra il 1155 e il 1180 e, forse, compone anche i Gesta Heinrici VI, in 192 versi ritmici. Anche Pietro da Eboli scrive un poema su Federico I (i Gesta Federici), oggi perduto, e continua la produzione nell’ambito della casa imperiale con il De rebus Siculis carmen (o Liber ad honorem Augusti) dedicato a Enrico VI, dove viene celebrata la vittoria dell’imperatore contro Tancredi, conte di Lecce, nella guerra che si concluse nel 1194 con la conquista della Sicilia.
Il Carmen de Hastingae proelio, attribuito a Guido di Amiens, descrive non solo la battaglia di Hastings, ma tutta la storia dell’invasione dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore fino al giorno di Natale del 1066. Sul fronte tedesco i tre libri del Carmen de bello Saxonico narrano la guerra negli anni 1073-1075 di Enrico IV contro i Sassoni.
Guglielmo il Pugliese, su invito di papa Urbano II, compone i Gesta Roberti Wiscardi, celebrando vita, imprese e morte del duca normanno Roberto il Guiscardo. Egidio di Parigi nel Karolinus (scritto tra il 1195 e il 1196) riprende la storia di Carlo Magno per presentarla come esempio al principe Luigi, figlio di Filippo II Augusto, che più tardi sarà Luigi VIII, re di Francia. Stefano di Rouen, scrive il Draco Normannicus, che in tre libri e circa 2200 distici elegiaci racconta le battaglie di Enrico II d’Inghilterra contro i Normanni dal 1154 alla pace di Poissy del 1169; tra i numerosi excursus meritano di essere ricordati le lodi della città di Rouen, la storia dei Normanni fino al secolo XI, la storia più remota del popolo franco, la storia dello scisma alessandrino degli anni 1159-1168.
I poemi che hanno per argomento le crociate costituiscono uno spinoso problema filologico per via delle attribuzioni incerte e delle contaminazioni tra fonti diverse. Dalla Historia Hierosolimitana in prosa di Roberto, monaco di San Remigio di Reims, sulla prima crociata, derivano almeno tre rielaborazioni poetiche: la versificazione di Metello di Tegernsee, che descrive gli antefatti diplomatici e politici, l’imbarco e il viaggio dei crociati, gli assedi e le battaglie fino alla presa di Gerusalemme; il Solimarius di Gunther (autore del Ligurinus), redatto in uno stile poetico originale, ma conservato soltanto in parte; e l’Historia gestorum viae nostri temporis Hierosolimitanae di Gilone di Parigi, che inizia con l’assedio di Nicea e si chiude, nel sesto libro, con l’acclamazione di Goffredo di Buglione come principe di Gerusalemme.
Dalla narrazione orale di uno dei protagonisti della prima crociata, Tancredi d’Altavilla, derivano invece i Gesta Tancredi di Rodolfo di Caen, che faceva parte del suo seguito e lo aveva accompagnato sui campi di battaglia; l’opera, che descrive i fatti fino al 1105, è un prosimetro di modello boeziano, di stile epico classicheggiante ed estremamente elaborato dal punto di vista retorico.
Sulla conquista di Antiochia del 1098 va ricordata anche l’Antiochieis (o Bellum Antiochienum) di Giuseppe di Exeter. La terza crociata è raccontata dall’anonimo Rithmus de expeditione Ierosolimitana, in passato attribuito ad Aimaro Monaco Fiorentino, che in 224 strofe vaganti racconta l’assedio e la conquista di Acri.
Col crescere dell’autonomia delle città si moltiplicano le celebrazioni eroiche della loro storia recente e remota. Tra queste opere si ricordano il Carmen in victoria Pisanorum e il Liber Maiolichinus, sulle lotte tra la repubblica pisana e i Saraceni; il Liber Cumanus, nel quale un anonimo poeta comasco racconta con fedeltà storica e con animo dolorosamente commosso la sconfitta della propria città nella guerra tra Milano e Como degli anni 1118-1127; il Liber Pergaminus, opera di Mosé del Brolo, che narra le origini leggendarie e la storia antica della città di Bergamo, facendone risalire la fondazione al condottiero gallico Brenno; il breve Poemetto piacentino, ringraziamento per la vittoria e descrizione della guerra del 1187 che vide i Piacentini prevalere sui Parmigiani; il narrativamente efficace e drammaticamente appassionato Ritmo sulla battaglia di Rudiano (detta anche “di Malamorte”), vinta nel 1191 dai Bresciani contro una lega di tredici comuni capeggiati da Bergamo e Cremona.
Nel XII secolo si assiste a un recupero della mitologia classica. Simone Aurea Capra scrive una Ylias in due parti: la prima sulla guerra di Troia, la seconda sulla storia di Enea. Poco più tardi Giuseppe di Exeter scrive la Frigii Daretis Ylias, rielaborazione versificata della De excidio Troiae historia di Darete Frigio. Nello stesso periodo la leggenda irlandese della Navigatio sancti Brandani, che narra il viaggio avventuroso di Brandano e di diciassette suoi compagni dal monastero di Clonfert verso un’isola paradisiaca in mezzo all’Atlantico, viene trasposta in versi latini, forse attribuibili a Gualtiero di Châtillon, autore, tra l’altro, di uno dei più raffinati poemi epici della sua epoca, l’Alexandreis, che in dieci libri riprende la storia di Alessandro Magno di Curzio Rufo e la riscrive nello stile dell’epica classica non senza ampliamenti e rielaborazioni del materiale narrativo. Attinge invece direttamente alle saghe britanniche Goffredo di Monmouth, che nella Vita Merlini racconta l’antica storia di Merlino, profeta e mago che perde la ragione e si rifugia nei boschi vivendo come un uomo selvatico.
L’anonimo autore del Ruodlieb, probabilmente un monaco del monastero bavarese di Tegernsee vissuto intorno alla metà del secolo XI, è certamente uno dei poeti che con maggiore efficacia, freschezza narrativa e imprevedibile originalità reimpiegano i motivi della tradizione folclorica. Il suo poema, il primo dei romanzi epico-cavallereschi del Medioevo, ha come protagonista un eroe cortese di nome Ruodlieb, modello del cavaliere cristiano che, per sfuggire alle faide che lo minacciano, è costretto a lasciare la patria e a chiedere asilo a un re di un paese lontano. Passa dieci anni in esilio servendo il re e dando prova di grande valore nella caccia, come comandante dell’esercito e come ambasciatore, poi un messo inatteso gli recapita due lettere: una dei signori della sua terra, che gli annunciano l’annientamento dei suoi nemici e gli chiedono di tornare, l’altra della madre ormai anziana, che ha bisogno di lui.
Ruodlieb chiede il permesso di partire e il re glielo accorda, offrendogli in dono dodici insegnamenti che gli saranno utili durante il viaggio di ritorno. Il cavaliere inizia il suo viaggio avventuroso nel quale farà molti incontri, tra i quali un uomo dai capelli rossi che si macchierà di un omicidio; il proprio nipote, che dovrà sottrarre alle braccia di una prostituta; una castellana e la sua bellissima figlia, che si innamorerà del nipote del cavaliere e lo sposerà. Giunto a casa dalla propria madre, Ruodlieb festeggia e si accorge di un tesoro donatogli a sorpresa dal re che aveva servito. La madre dell’eroe desidera che il figlio si sposi, ma la ricerca di una possibile consorte non va a buon fine, poiché conduce a una donna di falsa virtù. Un sogno della madre a questo punto rivela il futuro dell’eroe: la battaglia contro due re, la conquista del loro tesoro, della principessa loro figlia (che diverrà sua moglie) e del loro regno.
Il genere dell’epica biblica prosegue nel XII secolo con opere che riscuotono un notevole successo come l’Hypognosticon de Veteri et Novo Testamento di Lorenzo di Durham e l’Aurora di Pietro Riga, che tuttavia ha un’impostazione decisamente didascalica ed esegetica. Al genere epico-didascalico appartengono la Cosmographia di Bernardo Silvestre, che in due libri tratta della creazione dell’universo e dell’uomo per opera della natura e dell’intelletto divino, e l’Anticlaudianus de Antirufino di Alano di Lilla, articolata allegoria filosofico-teologica. Più decisamente eroica è invece la Vita Malchi di Reginaldo di Canterbury, che trasforma in un poema epico ricco di battaglie e di digressioni l’opera agiografica di Girolamo.