Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La recente rivalutazione critica della poesia e dei poeti del Seicento, con le figure dominanti, tra i moltissimi, di Marino, Achillini, Chiabrera, permette una più sottile identificazione di qualità linguistiche e immaginative e di tematiche figurative che il rigetto totale dei decenni passati aveva occultato. Il desiderio di proporre qualcosa di nuovo e di più libero rispetto alla precettistica cinquecentesca, se porta ad accentuare a volte smodatamente la vena metaforica, consente un ampliamento della facoltà introspettiva e descrittiva dei personaggi – già presente in Tasso e in Guarini – e permette di raggiungere, nei casi migliori, una più libera contabilità del verso.
La rivendicazione dei moderni
A lungo considerata espressione di una poesia deteriore, moralmente e ideologicamente povera e piegata al solo gusto della sensualità illanguidita e del gioco concettoso fine a se stesso (si pensi solo alla irrisione nei Promessi sposi del sonetto di Claudio Achillini, Sudate o fochi a prepara metalli per la conquista di Casale), e perciò spesso confinata nelle storie letterarie e nelle antologie a un ruolo del tutto marginale, la poesia del Seicento è stata in questo ultimo cinquantennio oggetto di una crescente attenzione che ha provveduto a delineare un panorama molto più ricco e frastagliato, e soprattutto non soltanto edonistico e encomiastico. In particolare gli studi recenti hanno liquidato insieme la visione di una produzione barocca tutta all’insegna dell’imitazione mariniana (dimostrando come invece il Marino sia l’esponente, certo più sapiente, di un filone concettoso ricco di altre voci e sfumature), e la rigida contrapposizione tra questa linea e una corrente classicistica che avrebbe costituito l’argine al barocco in difesa di una poesia più equilibrata e impegnata, erede della nobile tradizione poetica rinascimentale. Oggi insomma si tende a non schematizzare e a leggere invece le singole posizioni come risposte diverse, ma immerse nello stesso orizzonte culturale, della trasformazione poetica cui si assiste a partire dalla metà del Cinquecento. Comune infatti ai due schieramenti è il desiderio di proporre qualcosa di nuovo e di più libero rispetto alla precettistica cinquecentesca, i modernisti con l’intento di superare la Maniera e la sua norma in nome di una poetica della “meraviglia”, i classicisti con la volontà di restaurare e rinnovare il passato di cui si sente forte la frattura e la distanza: il nuovo deve insomma riverberare dall’eterna giovinezza dell’antico, ma in nome della novità la poesia può abbandonare i suoi modelli rileggendoli alla luce della sensibilità moderna.
I principali modelli: Tasso e Guarini
A monte dello sperimentalismo della poesia seicentesca, in entrambe le sue declinazioni, sta certamente il Tasso, la cui opera, tanto le rime quanto la Gerusalemme liberata, costituiscono il modello al centro del dibattito di fine Cinquecento. La sua stessa drammatica biografia dalla quale egli appare vittima della fragilità della posizione cortigiana dei letterati, contribuisce all’enorme successo della sua poesia che si diffonde soprattutto negli anni di reclusione del poeta nel manicomio ferrarese di Sant’Anna, pur attraverso edizioni scorrette e incontrollate. Il poema in particolare diviene da subito l’elemento centrale della querelle antichi-moderni tanto dal punto di vista della costruzione, che oppone alle regole rigide aristoteliche una struttura più libera e variata, quanto da quello ideologico che rivendica alla poesia il fine principale del diletto contro l’imperativo etico-didattico controriformistico. Fondamentali infine lo stile e la lingua, che si smarcano sia dalla aderenza univoca al modello petrarchesco e al canone “fiorentino centrico” proposto dai cruscanti (che rimprovereranno al Tasso soprattutto l’eccesso di latinismi e di ricercatezze) sia dalla rigida demarcazione tra generi, promuovendo l’adozione di un linguaggio aperto alla contaminazione e caratterizzato da una forte sensualità fonico-musicale. Parimenti innovativo appare nel Tasso l’orizzonte tematico e linguistico delle rime, soprattutto di quelle amorose, che allargano la “predicazione” del femminile alla intimità quotidiana, con una rassegna di situazioni e di oggetti inediti nella lirica petrarchistica: dalla donna allo specchio, al bagno, al cagnolino, agli oggetti di toeletta. Il tutto fuso in una vena malinconica ed elegiaca che predilige il frequente ricorso a fonti della classicità decadente. Ancora al Tasso e con lui al Guarini, che in specie nella produzione dei madrigali appare ancor più sbilanciato verso lo sviluppo musicale del linguaggio poetico, si deve il definitivo abbandono della struttura del Canzoniere come organizzazione e recensione, su modello petrarchesco, della biografia spirituale dei poeti. Si impone da qui in avanti una aggregazione di rime di tipo tematico, quale sarà portata a perfezione dal Marino che suddividerà i suoi sonetti del 1602 in Amorosi, Marittimi, Boscherecci, Eroici, Lugubri, Morali e Sacri (e ancora i sonetti e madrigali della Lira del 1614 in Amori, Lodi, Lagrime e Capricci), secondo un gioco di ripresa e variazione, dd simmetria nella metamorfosi, che diventerà canonico nella lirica seicentesca.
Il concettismo
Eredi e continuatori dei modelli di Tasso e Guarini sono alla fine del Cinquecento numerosi poeti appartenenti a varie aree geografiche che, pure molto diversi tra loro, privilegiano tutti, all’interno del discorso poetico, la tensione verso l’argutezza, la sentenziosità, l’estrema ricchezza tematica. Oltre allo sviluppo intimistico e quotidiano della fenomenologia amorosa ci si apre qui anche a settori paralleli della cultura intellettuale: dalle rappresentazioni paesaggistiche e umane (rispetto alle quali non di rado si innesta una specie di simbiosi o di sfida verso la raffigurazione pittorica, drammatica e chiaroscurale), alle scoperte scientifiche (i numerosi sonetti dedicati all’orologio, o al microscopio e al cannocchiale per esempio), in una ricerca di totale adesione agli aspetti del reale. Parallelo all’allargamento tematico è lo sperimentalismo linguistico: vengono così accolti termini tecnici, forestierismi e neologismi, spesso per una ricerca di sorpresa e di meraviglia, che viene a sua volta amplificata dalla tessitura altamente retorica del testo. Questo è infatti interamente giocato giocato su effetti di duplicazione e di antitesi e affidato, nel suo svolgimento sillogistico, a similitudini eccezionali che uniscono fra loro ambiti figurali anche lontanissimi e da serie metaforiche che finiscono, nel loro sviluppo abnorme, per sostituirsi al soggetto dichiarato del testo. Oltre all’area napoletana, dove la poesia barocca (che si alimenta di un retroterra cinquecentesco già fortemente orientato in senso concettistico), particolarmente fervida di iniziative a cavallo tra Cinquecento e Seicento si dimostra un’area settentrionale tra Bologna (dove opera la famosa Accademia dei Gelati e figure come Cesare Rinaldi, Girolamo Preti e Claudio Achillini), il veneto (Guido Casoni) e Genova (Gian Vincenzo Imperiali, Angelo Grillo, Anton Giulio Brignole Sale). Fino a oggi sommariamente rubricati come “marinisti” questi autori sono stati invece, grazie agli studi di Giovanni Pozzi, Ottavio Besomi e Alessandro Martini, meglio identificati e interpretati come precursori di molte delle novità della lirica di Giambattista Marino, rispetto al quale presentano spesso esiti più estremistici. Particolarmente significativa può essere considerata per esempio la figura del Grillo, uno degli autori più in voga, con i suoi Pietosi affetti a inizio Seicento dove i temi sacri e della meditazione mistica vengono tradotti in vorticose immagini metaforiche e sinestetiche, tutte incentrate sul tema delle piaghe e del sangue. Né si sottraggono a questa poetica gli oppositori del Marino, a partire da Tommaso Stigliani che se ne satireggerà gli eccessi metaforici nei propri Amori giocosi (editi nel Canzoniere del 1623) dimostrando nelle restanti rime di appartenere alla stessa area concettistica, all’interno della quale anzi si distingue per l’abbondanza di temi peregrini (spesso sviluppati dallo stesso Marino) e per l’arditezza retorica. Fondamentali a rendere il clima poetico di questi anni sono anche, accanto al concreto esercizio poetico, i trattati e i repertori che celebrano e consolidano la tassonomia dei temi e delle principali forme retoriche tipiche del repertorio barocco, come il Giardino de gli epiteti, traslati, et aggiunti poetici italiani (1647) del piacentino Giovan Battista Spada o Il Canocchiale aristotelico (1654) del gesuita torinese Emanuele Tesauro, vera summa dei principi basilari del concettismo e celebrazione della potenza speculativa della metafora.
Chiabrera e la linea classicistica
Non meno animata dall’ansia del nuovo è la linea cosiddetta classicistica, che oppone allo sbilanciamento arguto del testo la ricerca di una poesia vicina alla sensibilità antica ma tradotta in un linguaggio moderno arricchito a sua volta, soprattutto dal punto di vista lessicale, da neologismi spesso ricavati per calco dalle lingue classiche. Caratteristica in questo senso è l’esperienza del savonese Gabriello Chiabrera, la cui enorme produzione poetica (accompagnata e giustificata in una serie di trattati e dialoghi teorici) si esprime in molteplici registri: da quello melico di ispirazione anacreontica e fortemente influenzato dai modelli della lirica francese e spagnola (in particolare nelle Maniere e negli Scherzi, legati a doppio filo al rinnovamento in campo musicale promosso da Giulio Caccini e dalla Camerata fiorentina dei Bardi), a quello eroico di ispirata tensione pindarica, a quello morale di pacata impronta oraziana, a quello infine epico e mitologico. La libera contaminazione dei modelli, tutti piegati al gusto della limpidezza e dell’immagine preziosa, rappresenta qui insieme all’ardita sperimentalità metrica un elemento di forte rottura dalla tradizione petrarchesca. Su questa linea, pur con importanti differenze si collocano anche i poeti della cerchia formatasi intorno a Maffeo Barberini (il papa Urbano VIII) dove l’ispirazione religiosa e la celebrazione dei fasti romani si affida al sublime delle odi pindariche. Ne sono esempio le liriche dello stesso Urbano, come quelle di Virginio Cesarini e di Giovanni Ciampoli, come ancora sulla linea classicistica si colloca la produzione del modenese Fulvio Testi, autore di fastosa poesia celebrativa e insieme di una lirica amorosa e morale di tono più colloquiale, e più avanti quella di Francesco Redi e di Vincenzo Filicaia che saranno eletti a iniziale modello della riforma arcadica in chiave anticoncettista. Al Redi in particolare e al suo Bacco in Toscana si lega anche un filone sperimentale nuovo, quello della poesia ditirambica dove, partendo dall’esempio delle anacreontiche del Chabrera, si svolge una celebrazione del vino e dei convivi, alternata alle lodi di amici e personaggi celebri, tutto all’interno di un’amabile cornice di giochi e raffinatezze che si denotano per una certa indole classificatoria, certo dovuta alla sua formazione di scienziato, e per l’uso impreziosito e virtuosistico della lingua, legata alla sua appartenenza all’Accademia della Crusca.
Poesia dialettale e poema eroicomico
La forte determinazione sperimentale del XVII secolo conosce anche altre importanti esperienze, che saranno poi gravide di sviluppi nel secolo successivo e che rispondono anch’esse a un desiderio di rinnovamento rispetto al codice rinascimentale. Da un lato infatti nasce in questi anni una linea dialettale ricca di spunti realistici e popolareschi, che Benedetto Croce ha battezzato come “riflessa”, per sottolineare la sua volontaria e consapevole adesione a una lingua rivendicata come più naturale e non contaminata dall’artificio, e a valori alternativi rispetto alla letteratura in lingua (a Napoli con Giulio Cesare Croce e Giambattista Basile, in Lombardia con Carlo Maria Maggi e Francesco De Lemene, autori non a caso di testi teatrali); dall’altra si sviluppa il poema eroicomico, parodia del genere epico in chiave burlesca, della cui invenzione si contendono la priorità Lo scherno degli dei di Francesco Bracciolini e La secchia rapita del modenese Alessandro Tassoni: opera quest’ultima che godette in ogni caso di una molto maggior fortuna e che non fu priva di influenze anche in campo europeo (si pensi in particolare al Riccio rapito di Alexander Pope). Al di là dell’impianto strutturale, che si appoggia in forma rovesciata e parodica ai canoni epici, il poema del Tassoni innesta sull’esile trama della guerra fra Bolognesi e Modenesi una congerie di episodi e spunti polemici spesso rivolti a personaggi contemporanei con il ricorso a temi stili e linguaggi appartenenti a tutti i registri letterari e popolari, accompagnati, a loro volta, da glosse erudite retorico-grammaticali in esplicita parodia nei confronti del canone e del linguaggio cruscante.
Bartolomeo Dotti
Le formiche
Poesie
Fissa l’occhio, mortal, qui dove impressa
par di punti animati esser la terra.
D’atomi vivi qua turba indefessa,
sorge, va, passa, torna, e scorre, ed erra.
Cumuletti di grano, in schiera spessa,
per lunga striscia strascinando afferra,
Vi s’affatica intorno, e poi se stessa
con la raccolta messe al fin sotterra.
Dunque specchiati in lor, tu, che persisti
ne l’accoglier ricchezze, alma inquieta,
e qual formica in cumular ti attristi.
Ne l’avarizie tue vanne pur lieta,
che son dei sudor tuoi meta gli acquisti:
ma degli acquisti poi la tomba è meta.
in Lirici marinisti, a cura di G. Getto, Torino, UTET, 1954
Giovan Leone Sempronio
Quid est homo?
La Selva Poetica
Oh Dio, che cosa è l’uom? L’uom è pittura
di fugaci colori ornata e cinta,
che in poca tela e in fragil lin dipinta
tosto si rompe, e tosto fassi oscura.
Oh Dio, che cosa è l’uom? L’uom è figura
dal tempo e da l’età corrotta e vinta,
che in debil vetro effigiata e finta,
con un lieve colpo altrui cade e non dura.
È strale, che da l’arco esce e sen passa;
è nebbia, che dal suol sorge e sparisce;
è spuma che dal mar s’erge e s’abbassa.
È fior, che nell’april nasce e languisce;
è balen, che nell’aria arde e trapassa;
è fumo, che nel ciel s’alza e svanisce.
in Lirici marinisti, a cura di G. Getto, Torino, UTET, 1954
Anche l’edonismo e la sensualità che pervadono i versi dei poeti vengono spesso percepiti dalla tragica prospettiva della morte, alimentata in modo determinante dalla religiosità oscura e fastosa sviluppatasi con la Controriforma.
Il sonno della ragione
L’aspetto sensuale che percorre tutta la poesia seicentesca e la sua stessa estrema disponibilità all’apprensione dei vari aspetti del reale, che porta di volta in volta, a seconda del genere e della sensibilità dell’autore, ad avvicinarsi alle tematiche scientifiche o alle manifestazioni artistiche parallele, o infine a una maggior attenzione agli aspetti più intimi e domestici dell’esperienza amorosa, non va disgiunta da una parallela attrazione verso gli aspetti della reverie e dell’abbandono all’irrazionale spesso evocato nelle sue diverse gradazioni, dalla solitudine alla malinconia alla vera e propria follia, come strumento di difesa di un’identità personale, quella dell’artista, minacciata dalla sua fragilità sociale e economica. Nello stesso modo alla fastosità e al gusto lussurioso e sensuale si accompagna il sentimento doloroso della fuga del tempo e del ruolo incombente della morte che diviene centrale nella poesia di molti autori barocchi, come nelle Scintille poetiche del gesuita Giacomo Lubrano o nelle Poesie del friulano Ciro di Pers.
Giovan Battista Marino
Avean lite di pregio e bellezza
Pianto e riso
Avean lite di pregio e di bellezza,
in quel volto gentil, gli occhi e la bocca.
“Da noi” gli occhi dicean “primier si scocca
l’acuto stral, ch’ogni diamante spezza”.
La bocca poi: “Da me l’alta dolcezza
del parlar, del baciar piove e trabocca”.
Allor gli occhi, piangendo: “E da noi fiocca
di vive perle oriental ricchezza”.
Rise la bocca, e, disserrando quelle
porte d’un bel rubino in duo diviso,
disse ridente a l’umidette stelle:
“Or sia giudice Amor, dove il bel viso
discopra al paragon perle più belle:
ne le lagrime vostre o nel mio riso”.
Marino e i marinisti, a cura di G.G. Ferrero, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954