Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La poesia religiosa del Medioevo è un patrimonio letterario rimasto largamente sconosciuto, salvo l’utilizzo liturgico e musicale, perché a lungo considerato di interesse puramente devozionale. L’unica storia di questo patrimonio è stata scritta da F.J.E. Raby all’inizio degli anni Cinquanta. Fra i generi più praticati l’inno e la sequenza, i planctus, l’epica biblica e agiografica.
Paolo Diacono (attr.)
Natività San Giovanni Battista
Ut queant laxis
Ut queant laxis resonare fibris
Mira gestorum famuli tuorum,
Solve polluti labii reatum
Sancte Iohannes!
Perché alle corde lente i servi tuoi
della tua storia la grandezza suonino
libera, san Giovanni, dal peccato
queste mie labbra.
Nuntius celso veniens Olympo
Te patri magnum fore nasciturum,
nomen et vitae seriem gerendae
ordine promit.
Un messaggero dell’eccelso Olimpo
annuncia il nascituro insigne al padre,
e il nome e della vita che farai
tutta la storia.
F. Stella, La poesia carolingia, con trad. it. di F. Stella, Firenze, Le Lettere, 1995
Pietro Abelardo
Signore, il tuo pensiero è un abisso
Planctus, 1a, 1b, 3c
1a.
Abyssus vere multa
iuditia, Deus, tua:
eo plus formidanda
quo magis sunt occulta
et quo plus est ad illa
quelibet vis infirma.
1b.
Virorum fortissimum
Nuntiatum per angelum,
Nazareum inclitum,
Israelis clipeum –
Cuius cor vel saxeum
Non fleat perditum?
Signore, il tuo pensiero è un abisso: più tremendo
Perché occulto, e ogni forza crolla al suo confronto.
L’uomo più forte, annunciato da un angelo, il nobile
Naziero, lo scudo d’Israele – quale cuore è tanto duro da
Non piangerlo, così perduto?
3c.
Sinum aspidi
Vel igni prius aperi,
quisquis sapis,
quam femineis
te conmittas illecebri
nisi malis
ad exitium
properare certissimum
cum predictis!
Tu aprirai la veste ad una serpe o al fuoco, piuttosto
Che cederle: oppure vuoi distruggerti, come – di certo –
questi uomini antichi.
Ildegarda di Bingen
Lo Spirito Santo che tutto protegge
Inno allo Spirito Santo
O Spirito di fuoco, lode a te
che operi nei timpani e nelle cetre.
Le menti degli uomini si infiammano di te
e i tabernacoli delle loro anime racchiudono
le loro forze.
S’innalza perciò la volontà e dà sapore all’anima,
e il desiderio è la sua lampada.
L’intelletto t’invoca con dolcissimo suono,
ti prepara edifici con la mente,
che stilla sudore in auree opere.
Tu hai sempre la spada per recidere
ciò che la mela velenosa offre con funesto omicidio.
Talvolta una nube offusca volontà e desideri,
in cui l’anima svolazza e da ogni parte si aggira.
La mente però lega insieme volontà e desiderio.
Quando l’animo così si erge e pretende
di vedere l’occhio del male ed il volto dell’iniquità,
tu subito lo bruci nel fuoco, quando vuoi.
Ma quando la ragione si abbassa ad opere malvage,
tu quando vuoi, la stringi e l’annienti,
e poi la ripari infondendole esperienza.
Quando il male sfodera la tua spada contro di te,
tu lo colpisci al cuore,
come facesti col primo angelo perduto,
quando scagliasti nell’inferno
la torre della sua superbia.
Ed ivi un’altra torre elevasti
sui pubblicani e i peccatori,
quando a te confessano peccati ed opere.
Per questo tutte le creature che vivono di te,
ti lodano, perché tu sei il farmaco più prezioso
per le fratture e le putride ferite:
tu le trasformi in gemme preziosissime.
Degnati ora di radunarci intorno a te,
e di condurci sulla via della rettitudine. Amen.
in Rivelazioni divine, a cura di S. Di Meglio, Padova, Edizioni Messaggero, 1993
Il genere di maggiore sviluppo per dimensioni è certamente quello degli inni, composizioni liriche a struttura strofica spesso accompagnate dalla musica, di cui restano circa 16 mila testi, pubblicati nei 55 volumi degli Analecta Hymnica. Dopo la stagione creativa legata al nome di sant’Ambrogio l’inno vive un nuovo impulso a Roma sotto Gregorio Magno, nel VII-VIII secolo in Spagna (innodia mozarabica) e Irlanda (Liber hymnorum, Antifonario di Bangor) in età carolingia, con la formazione di un nuovo innario, detto franco-romano, che sarà alla base della liturgia cattolica fino all’età moderna. Sul piano degli stili poetici l’età carolingia privilegia gli inni meditativi – le confessioni di Paolino d’Aquileia e Gotescalco –, producendo gioielli come l’Ut queant laxis per san Giovanni (forse di Paolo Diacono) e il Veni creator Spiritus. Ma soprattutto la liturgia monastica carolingia favorisce con Notker il Balbuziente la nascita della sequenza, una sorta di inno per coro doppio in strofe parallele di struttura speculare, con versi dello stesso numero di sillabe, precedute e concluse da una strofa senza antistrofa, cantata dai cori all’unisono; la rima vocalica è frequente e costante, inizialmente in a perché attaccata allo iubilus (vocalizzo musicale) dell’Alleluia: Psallat ecclesia, / mater illibata / et virgo sine ruga, / honorem huius ecclesiae (“Canti la Chiesa / madre illibata / e vergine senza ruga / l’onore di questa Chiesa”). Con dinamica analoga si crea il tropo, una “farcitura” poetico-musicale inserita come sviluppo, adattamento, inquadramento, complemento o sostituzione di un vocalizzo preesistente: ad esempio ALLE - Pater - LU - Filius - IA Spiritus Almus ecc.
Nel Medioevo centrale la sequenza passa da una prima fase di forme relativamente libere, con San Gallo e San Marziale di Limoges come centri propulsori, a una seconda fase in cui la forma tende a regolarizzarsi sempre di più. In quest’epoca il genere trova i suoi piccoli capolavori nella sequenza Victimae paschali, probabilmente opera di Wipone di Borgogna, cappellano di Corrado II il Salico, nel Veni Sancte Spiritus, attribuito a Gerberto di Aurillac o a Stefano Langton, mentre il rappresentante più raffinato dell’inno come opera poetica è Adamo di San Vittore a Parigi, le cui composizioni recuperano il connubio ambrosiano di leggerezza lirica e ispirazione teologica in un contesto di maggiore complessità simbolica e brillante musicalità ritmica.
Molto diffusi sono anche gli inni di Pier Damiani, ricordato sul piano poetico per alcuni efficaci ritmi di confessione a carattere penitenziale ma anche per inni a Gregorio, Benedetto e altri santi, composti per culti locali di cui si interpretava la necessità di contestualizzazione liturgica adeguata alle esigenze delle comunità. Nello stesso periodo e sempre in Italia centrale compone inni agiografici di solenne raffinatezza il monaco benedettino Alfano, poi arcivescovo di Salerno, la cui opera poetica comprende anche odi politiche prima per il principe Gisulfo II poi per i dominatori normanni, e molti carmi d’occasione caratterizzati da una brillante varietà metrica, ispirata alla polimetria di Orazio. Sul piano letterario un esempio di estrema raffinatezza sono gli inni di Abelardo per il monastero di Eloisa, il Paracleto, come In montibus hic saliens per l’Ascensione, basato sul Cantico dei Cantici, e Est in Rama, per la festa degli Innocenti, in martellanti versi quaternari. Nel secolo successivo la sequenza subisce un processo di drammatizzazione, specie nella cultura francescana, che toccherà i vertici dello Stabat mater di Iacopone da Todi e del Dies irae di Tommaso da Celano. Un innario particolarmente esteso e partecipato producono nel XII e XIII secolo gli autori dell’ordine cistercense, fra i quali san Bernardo e, fra XIII e XIV secolo, Cristiano di Lilienfeld.
All’interno del genere innodico si specificano ulteriori tipologie come i processionali, o versus, dotati di ritornello (corrispondente alle “stazioni” della processione), il tractus (canto monodico “continuato” dalla stessa voce, successivo al graduale, che nei tempi penitenziali sostituisce l’Alleluia), il conductus (canto a una o più voci per le processioni che portano il lezionario all’ambone) o i planctus, anch’essi nati da esigenze di tipo comunitario come il compianto pubblico e corale per un personaggio defunto (secondo l’esempio del Planctus Karoli dell’814 per Carlo Magno), e divenuto nel XII secolo un genere liturgico ad alta stilizzazione letteraria sia in latino sia in provenzale (planh): lo dimostrano gli esperimenti dell’Archipoeta che varia lo schema compiangendo se stesso o esprimendosi a nome di Maria Vergine e Maria Maddalena, ma soprattutto i planctus biblici, che colgono le potenzialità drammatiche delle rispettive storie.
Uno dei cicli più importanti del genere è composto da Abelardo, che dedica a Sansone una lirica nella quale il crollo del tempio è trattato come atto di disperazione per la caduta sociale e morale dell’eroe più che come gesto di vendetta, e quindi come simbolo del dolore dell’uomo che ha perso la felicità. Altri esempi celebri del genere sono composti per eroine del mito come Didone, ma soprattutto per la Madonna, e sono caratterizzati dalla struttura spesso dialogica, che nel giro di pochi decenni contribuisce in misura rilevante agli officia sepulcri, recitazioni pasquali all’origine del dramma sacro: fra questi ricordiamo il Planctus ante nescia di Goffredo di Breteuil, espressione della “spiritualità mistica e colta dei canonici di San Vittore” a Parigi (Cremascoli) e il Flete fideles animae, usato nei processionali.
Un caso di innovazione negli schemi del genere letterario è offerto dalla personalità eccezionale di Ildegarda di Bingen, badessa riformatrice dotata di dono profetico (Scivias) e per questo in rapporto continuo con le autorità civili ed ecclesiastiche, ma afflitta da malattie che la inducono a occuparsi di medicina. Lascia un ciclo di 70 componimenti in versi, intitolato Symphonia armoniae celestium revelationum, con inni, sequenze, antifone e responsori caratterizzati da scarso rispetto per strutture metriche e strofiche, ma concentrazione assoluta sulla densità del senso, che a partire da un’invocazione iniziale si sviluppa collegando a catena i significanti con concisione finemente allusiva (Bourgain): nell’antifona per gli apostoli O cohors dall’immagine di coorte nasce quella di milizia, dalla milizia il capo, dall’unicità del capo l’unicità della sua essenza floreale, dal fiore lo stelo di Jesse, dallo stelo senza spine la Vergine senza peccato, mentre la coorte degli apostoli diventa un valore musicale in rapporti di proporzione con il cosmo, fino al finale trionfante e improvviso che irride chi crede di essersi imposto su Cristo ma non lo troverà al mattino di Pasqua né mai.
Uno dei generi più diffusi ma meno conosciuti e studiati di poesia religiosa è quella esegetica, anello di collegamento fra la poesia biblica e la teologia. Un esempio “scolastico”, probabilmente incompleto, è l’Enarratio Genesis di Donizone di Canossa autore della biografia poetica di Matilde di Canossa, che rifonde le interpretazioni patristiche da Ambrogio, Agostino, Gregorio a Isidoro, Beda e Rabano Mauro, con scarsa sensibilità alle novità teologiche del suo tempo, in 378 esametri di complessa intelaiatura allegorica e retorica che si occupano esclusivamente della prima parte del libro biblico fino alla storia di Agar (cap. 20). Coevo a Donizone è Enrico di Aquileia, canonico a Augsburg nel 1077, che scrive il Planctus Evae in cui racconta anch’egli l’inizio della Genesi con particolare attenzione al peccato originale e alla relativa esegesi allegorica, accompagnata da pesanti esortazioni morali per un totale di 2167 esametri leonini (cioè a rima interna).
Alla Genesi sono dedicati anche il De operibus sex dierum e il De ordine mundi attribuiti a Ildeberto di Lavardin – considerato il maggiore poeta dell’epoca – o a Odone di Cambrai, poemetti nei quali l’esegesi è ridotta a elemento esornativo, in analogia alla similitudine classica e con la medesima funzione di collegamento fra dimensioni diverse della realtà. Una forte novità introduce il cosiddetto Eupolemius, il cui Messias racconta in 1464 esametri la storia sacra come lotta fra Caco (Lucifero) e suoi cavalieri Apolidi contro Agato (Dio), suo figlio Messia e i suoi Agatidi: un’epica allegorica che ha attirato molte attenzioni critiche negli ultimi anni e che sostituisce i personaggi biblici con analoghi dal nome parzialmente diverso, ispirato a una semantica morale: Antropo, Ofite, Amartigene, Ethnis. Una soluzione originale è anche quella di Fulcoio di Beauvais, che nel De nuptiis Christi et Ecclesiae (4736 esametri in sette libri) mette a dialogo l’Uomo e lo Spirito.
Ma le riscritture bibliche sono diffuse come sottogenere nei corpora di quasi tutti i maggiori poeti dell’epoca, da Marbodo di Rennes a Bernardo di Cluny a Froumundo di Tegernsee a poemetti anonimi e poemi scolastici, che in questo periodo sembrano particolarmente interessati a due filoni tematici: la Genesi, che offre un campo vivo di intersezione con gli studi cosmologici della scuola neoplatonica di Chartres, e i libri storici (Re, Maccabei e loro reinterpretazioni), che trattano gli argomenti politici particolarmente sentiti nell’epoca dello scontro fra impero e papato. A cavallo tra XI e XII secolo le composizioni neoparafrastiche dei poeti del cosiddetto “circolo della Loira” (gli epigrammi, il De ornatu mundi e le parafrasi sui Re di Ildeberto di Lavardin, il De Iona e il De Macchabaeis di Marbodo e più tardi l’interpretazione cavalleresca del Tobias di Matteo di Vendôme) affiancano altri monumenti dell’esegesi in versi come il Carmen in Reges di Bernardo di Cluny, l’Hypognosticon di Lorenzo di Durham, la Brevissima comprehensio Historiarum di Alessandro di Ashby e soprattutto l’immensa Aurora di Pietro Riga, diffusa in molte versioni, spesso commentate, che versifica e spiega in esametri tutta la Bibbia.
Analoga esplosione accompagna il fenomeno nelle letterature vernacolari: la Wiener Genesis, la Millstätter Genesis, la Bibbia rimata in francone, la Vita di Maria e la Genesi di Ermanno di Valenciennes, nello stile delle chansons de geste, e in Inghilterra il grandioso Ormulum di cui sono rimasti 12 mila versi da un originale otto volte più esteso, fino ai 30 mila versi del Cursor mundi, enciclopedia biblica in distici rimati fondata, come altre opere analoghe, non più direttamente sulla Bibbia ma sulle sintesi didattiche come l’Historia scholastica di Pietro Comestore. Una particolare categoria di poesia esegetica, dominata da esigenze pratiche, è quella dei tituli biblici, iscrizioni per dipinti o sculture o miniature, che in misure minime, intorno al distico (coppia di versi), descrivono l’episodio rappresentato nel dipinto o nella miniatura e fanno cenno al suo significato teologico. Una loro evoluzione è rappresentata dagli Epigrammata biblica di Ildeberto e da Eccheardo IV di San Gallo, di cui ci è giunto tutto un ciclo di iscrizioni metriche preparate (ma mai eseguite) per il Duomo di Mainz.
Una dimostrazione dell’importanza culturale che assume l’esegesi nei processi letterari dell’epoca è il De doctrina spirituali di Otloh di Sankt-Emmeram: celebre per aver scritto una delle prime confessioni-autobiografie del Medioevo (il Liber de tentationibus cuiusdam monachi, ovvero “Libro delle tentazioni di un monaco”) e un Liber visionum, dedica ai procedimenti e ai metodi dell’ermeneutica biblica il capitolo XII della sua prima opera, il De doctrina spirituali, affrontando in polemica con i dialettici il problema della corretta fruizione della Bibbia: contro l’esegesi aridamente letterale Otlone sostiene la pervasività del senso spirituale, che si estende dalla Scrittura alla realtà tutta: “Tutto ciò che serve il mondo ha un significato ulteriore, sia i segni dei libri che tutta la creazione”.
Il modello formale di questi processi semiotici si trova nella sermocinazione per parabole di Cristo – un argomento che si ritroverà in intellettuali contemporanei come Paul Ricoeur –: l’esegesi mistica del visibile – come l’ha definita Helga Schauwecker – porta Otlone a considerare la Bibbia, generatrice di tutti i contenuti possibili, come alternativa intellettuale al sistema delle arti liberali, formula mortis, che invece in quel periodo, seguendo una traccia carolingia, divengono definitivamente base linguistica, dialettica e retorica dell’analisi scritturale. Un’analoga contrapposizione polemica si trova nell’inno di Alano di Lilla Exceptivam actionem, dove in ognuna delle sette strofe l’Incarnazione contraddice le premesse di una delle arti liberali.
Un’i ntersezione fra poesia religiosa e poesia epica è costituita dalle numerose vite di santi in versi che, in continuità con le molte riscritture metriche di età carolingia, suscitano attenzione nei secoli XI e XII. Fra gli esempi di maggior spicco ricordiamo la Vita sancti Malchi di Reginaldo di Canterbury (XI secolo), basata su quella in prosa di Girolamo, in cui il poeta si assume la responsabilità letteraria di arricchire la storia con episodi o elementi non presenti nel modello biografico, distinguendo nettamente la fruizione storico-documentaria, per la quale rinvia al solo Girolamo, da quella poetica che il suo testo (sei libri per 3344 esametri) propone; e la Vita sancte Marie Egyptiace, storia dell’ascesi di una prostituta pentita, è versificata in 902 esametri da Ildeberto di Lavardin con enorme successo, attestato da numerosi manoscritti e successive versioni della leggenda.