La politica dei papi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei secoli della crescita della società e dell’economia europea, sul versante ecclesiastico si assiste all’affermazione dei progetti teocratici dei papi. Tale processo viene favorito dalla coscienza cristiana europea che in questi secoli raggiunge il culmine. Sollecitato dall’esigenza di un rinnovamento religioso, il papato porta avanti una politica tesa a realizzare un primato sia sul versante spirituale che su quello temporale anche attraverso la definizione di un apparato amministrativo e fiscale centralizzato.
In un momento di profonda crisi per l’emergere di tendenze autonomistiche, il soglio pontificio è controllato da potenti famiglie romane, come i Conti di Tuscolo. La situazione degenera quando, per le rivalità scatenatesi fra gli esponenti delle fazioni aristocratiche di Roma, vengono eletti ben tre papi: decisivo è l’intervento dell’imperatore Enrico III il quale, dopo aver deposto tutti e tre, fa eleggere un vescovo tedesco, Clemente II. L’ingerenza degli imperatori tedeschi, interessati, già dal tempo di Ottone I di Sassonia, al corretto funzionamento dell’ordinamento ecclesiastico, sia per motivi religiosi sia per il desiderio di ottenere il sostegno dell’élite della Chiesa (vescovi, abati, rettori delle chiese), apre la strada all’avvento di papi impegnati nella riforma ecclesiastica, ma capaci, allo stesso tempo, di sconvolgere l’ordine politico.
Tale processo ha una prima tappa fondamentale: il conferimento della tiara, nel 1049, a un altro vescovo tedesco, ancora una volta su indicazione imperiale, il quale assume il nome di Leone IX. Con il nuovo pontefice si inizia a prospettare un programma di riforma “che arriverà a ribaltare il rapporto del papato con l’impero, nel nome della libertas ecclesiae (libertà della Chiesa)” (Alfonso Marini, Storia della Chiesa medievale, 1991). Leone IX intraprende una serie di iniziative orientate verso l’indipendenza ecclesiastica e la supremazia del papato. Riuniti i maggiori esponenti del movimento riformatore, organizza diversi sinodi e, nel 1049, nel concilio di Reims, fa approvare anche due canoni fondamentali: “Nessuno può arrogarsi il governo di una chiesa se non è stato eletto clero e dal popolo”; “il pontefice romano è il solo primate apostolico della Chiesa universale”. Con quest’ultima disposizione scatena l’opposizione della Chiesa greca, forte antagonista della supremazia del papa, avviando lo scisma che, per i successivi sviluppi in senso monarchico della Chiesa di Roma si conclude con la separazione fra greci e latini. La sua politica di rinnovamento ecclesiastico e accentramento del potere passa attraverso una serie di misure, tese a conferire maggiore autorità al papa e ai suoi collaboratori: Leone IX presiede i concili e, in caso di sua assenza, nomina speciali legati, che da allora diventano un importante strumento nell’opera di controllo sulla gerarchia ecclesiastica.
Il processo di affermazione politica ha due punti fondamentali: la delicata e controversa questione dell’elezione papale e l’alleanza con i Normanni. Per quanto riguarda il primo aspetto è con l’elezione, nel 1058, di Niccolò II che la riforma viene avviata: per la prima volta sono i cardinali vescovi a nominare il papa; all’imperatrice Agnese, madre di Enrico IV ancora minorenne, rimane l’assenso dell’importante atto.
Non è chiara l’origine dei cardinali, ossia i chierici cardini della Chiesa di Roma che coadiuvano il papa nelle funzioni ecclesiastiche, certo è che le loro funzioni si precisano nel corso dell’XI secolo. Ai sette cardinali vescovi (ossia i vescovi delle sette diocesi suburbicarie) è riservata l’elezione papale, da tenersi a Roma, ed è affidata la Chiesa durante la sede vacante. Il nuovo sistema elettorale viene formalizzato con il concilio Lateranense del 13 aprile 1059. Alla fine dell’XI secolo, a questo primo nucleo di elettori vengono aggiunti i 28 cardinali preti, titolari delle principali parrocchie romane, e 14 cardinali diaconi responsabili delle circoscrizioni assistenziali di Roma, mentre al clero e al popolo viene riservato il diritto di approvare per acclamazione il nuovo eletto. Si tratta di un passo decisivo per liberare il papa dalla tutela imperiale e dal controllo dell’aristocrazia romana.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, Niccolò II, approfittando della minore età dell’imperatore Enrico IV, prosegue il processo di affermazione riprendendo le trattative con i Normanni, avviate dal suo predecessore: stipula con il più potente, Roberto il Guiscardo, un accordo a Melfi nel 1059. Un atto questo che rafforza politicamente il papa: Roberto, riconoscendosi vassallo del papa, in cambio del riconoscimento della dominazione normanna nell’Italia Meridionale, con l’investitura di alcuni principati, si impegna a rispettare e sostenere con le armi la Chiesa romana. Tale appoggio rivela subito la sua importanza: alla morte di Niccolò, infatti, consente l’elezione del nuovo papa, il vescovo di Lucca, che prende il nome di Alessandro II. Esponente del movimento riformatore italiano, egli continua lungo il percorso di costruzione di una solida e indipendente gerarchia ecclesiastica, avviato dai suoi predecessori, mantenendo, fra l’altro, il personale sistemato nella corte pontificia da Leone IX.
Le ripercussioni provocate sul piano politico dalle disposizioni papali sono gravi, tanto più che, venendo meno l’appoggio fondamentale di vescovi e abati, l’imperatore si trova indebolito di fronte allo strapotere dell’aristocrazia laica. Uscito dalla minore età Enrico IV e divenuto papa Gregorio VII, il dissidio fra imperatori e pontefice si fa più acuto mentre il processo di autonomia papale aumenta.
Monaco, fautore della riforma della Chiesa e ispiratore della politica dei suoi predecessori, Gregorio VII introduce un elemento di novità: il papa è il vicario di Cristo in terra e, non più, il successore o il vicario di Pietro; in virtù di questo gli uomini, sia laici che ecclesiastici, gli sono sottoposti. Tale concezione, la cui base teorica viene esposta nel Dictatus papae (dettato o disposizione papale) del 1075, porta all’affermazione del primato della Chiesa di Roma, ossia dell’autorità suprema del papa, identificando “l’assoluta obbedienza a Dio con quella dovuta a lui in quanto papa” (Uta-Renate Blumenthal, La lotta per le investiture, 1990). La supremazia papale investe anche l’ambito giurisdizionale e politico: al papa è concesso di deporre non solo i vescovi ma anche gli imperatori.
Dalla teoria alla pratica il passo è breve: nel 1075 Gregorio VII condanna l’intromissione dei laici nel conferimento dei beni ecclesiastici. Alla risposta di Enrico IV, non disposto a rinunciare all’investitura laica che gli avrebbe tolto un’arma efficace nel controllo dei grandi signori ecclesiastici (vescovi, abati), forze da tempo indispensabili all’esercizio stesso del potere regio, segue la scomunica dell’imperatore. La mossa del pontefice di deporre un imperatore suscita una forte impressione in tutto l’impero, dove mai era accaduto un fatto simile, e legittima l’opposizione dei grandi feudatari tedeschi, che colgono l’occasione per aumentare la loro autonomia. Il periodo, contrassegnato da forti contrasti per il susseguirsi di scomuniche anche da parte imperiale, si chiude con la morte del papa in esilio, che se da un lato pone fine a un’epoca di grandi tensioni e contraddizioni, dall’altro ne apre una nuova, in seguito alla quale “clero e laicato avrebbero cominciato ad acquistare una coscienza delle loro differenze assai maggiore di quella che, per secoli, avevano potuto avere” (Ovidio Capitani, Storia dell’Italia medievale, 1988).
La questione delle investiture rimane un nodo centrale nel processo di affrancamento della Chiesa dall’impero. Con i successori, Vittore III e Urbano II, il mondo ecclesiastico si avvia verso un accordo con il potere laico. Tale indirizzo passa per un più stretto legame fra papa e vescovi, dei quali viene rafforzata l’autorità all’interno delle diocesi. La nuova politica dà presto i suoi frutti: i vescovi della Germania e della Lombardia (tra i quali anche l’arcivescovo di Milano), alleati dell’imperatore, riconoscono l’autorità del papa di Roma. Il papa viaggia di continuo attraverso l’Italia e la Francia per tenere concili e richiamare le autorità politiche al rispetto delle leggi della Chiesa.
La politica vincente di Urbano II trova un’efficace espressione nell’appello rivolto ai cristiani per porre fine alle lotte fratricide, acuitesi nella società occidentale, esortandoli a intraprendere un pellegrinaggio in Terrasanta come strumento di purificazione dai peccati e per portare aiuto alla Chiesa orientale, minacciata dagli infedeli (concilio di Clermont-Ferrand, 1095). Il successo della crociata, sotto l’egida del solo papa, senza l’intervento di altri monarchi, aggiunge prestigio e rafforza la posizione di Urbano II che muore pochi giorni dopo l’ingresso dei crociati a Gerusalemme. Nel corso del XII secolo prosegue la decisa evoluzione del papato in senso monarchico che neppure il conflitto con Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, riesce a bloccare. Al contrario la mediazione tra Comuni e impero condotta da papa Alessandro III, il quale ricorre alla famosa visione della luna (il potere regio), che brilla grazie alla luce riflessa dal sole (l’autorità papale), per spiegare la supremazia del potere spirituale su quello temporale, contribuisce a evidenziare il ruolo politico del pontefice quale garante della giustizia e della pace.
Il processo di accentramento del governo papale va di pari passo con l’attuazione di una precisa organizzazione gerarchica e un notevole accrescimento dell’apparato burocratico: la Curia romana, con gli uffici di cancelleria, e la Camera apostolica, per l’amministrazione finanziaria. Si ricorre, quindi, a una serie di imposte (decime, annate, obolo di S. Pietro, servitia), per poter mantenere la complessa struttura.
Per trattare questioni particolari sono designati i legati. Dapprima si tratta di rappresentanti papali inviati temporaneamente, i quali, ben presto, vengono affiancati dai legati permanenti, per lo più gli arcivescovi locali. In tutti i casi, essi sono dotati di poteri assai ampi: dalla composizione di controversie fra vescovi e monasteri, o vescovi e capitoli, alla consacrazione e deposizione di vescovi. Specie nel Regno di Sicilia, dove la Chiesa gode di un diritto di sovranità, i legati assumono tutti i poteri configurandosi come veri e propri governatori. Per le missioni più importanti i compiti di legato sono affidati ai cardinali, che costituiscono il collegio dei consiglieri e dei più stretti collaboratori del papa, una ventina di persone appartenenti soprattutto al gruppo di famiglie dell’aristocrazia romana.
Nel corso del XII il papato riesce a realizzare una forma così avanzata di centralismo monarchico da essere presa a modello dagli stati europei. La politica vincente di Alessandro III, proseguita da papa Lucio III, indica ormai chiaramente che l’impero è costretto a passare per Roma per poter esercitare una qualche forma di pressione sulle gerarchie ecclesiastiche.
La realtà di una piena supremazia papale sia in ambito ecclesiastico che politico, che gli storici moderni chiamano ierocrazia, termine di origine greca che indica la preminenza del potere sacerdotale su quello temporale, si sta avviando alla sua massima espressione e il Papato è ormai il punto di riferimento di tutta la politica europea.