La politica egiziana in Siria-Palestina
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
Durante il Tardo Bronzo la regione siro-palestinese è contesa tra tre delle grandi potenze dell’epoca – Egitto, Mittani e Khatti. L’influenza egiziana sui territori conquistati dal faraone è particolarmente forte e determina profondi cambiamenti sul tessuto politico, sociale ed economico della regione.
Il dominio egiziano in Siria e Palestina inizia nel XVI secolo a.C. con i faraoni della XVIII Dinastia e si conclude a metà del XII secolo a.C., durante la XX Dinastia. Gli eventi storici sono documentati principalmente dai resoconti ufficiali fatti iscrivere sulle pareti dei templi e su stele innalzate su tutto il territorio del regno, ma altrettanto utili sono le narrazioni di campagne militari che decorano le tombe di ufficiali dell’esercito che vi avevano preso parte. Questi resoconti sono spesso accompagnati da rilievi e pitture murali che mostrano scene di battaglie, assedi, cattura di prigionieri, pagamenti di tributi ecc. e che offrono un complemento visivo di inestimabile valore. Alle fonti egiziane si devono aggiungere poi le informazioni provenienti dai territori che entrarono in contatto con l’Egitto durante questo periodo, in particolare i testi ed il materiale archeologico rinvenuti nei siti dell’area siro-palestinese e nella capitale ittita Khattusha.
L’atteggiamento egiziano nei confronti del Levante è caratterizzato in un primo momento da campagne militari di carattere principalmente aggressivo e distruttivo, che si datano al periodo tra Ahmose I e Hatshepsut (XVI-XV sec. a.C.). Una vera e propria politica espansionistica, finalizzata alla metodica e progressiva sottomissione della regione, viene inaugurata solo all’epoca di Thutmosi III. Durante il regno di questo faraone e quelli dei suoi successori Amenhotep II e Thutmosi IV vengono annesse la Palestina e la Siria meridionale e i confini dell’area sotto controllo egiziano stabiliti in quest’epoca rimarranno grosso modo invariati fino alla fine del Tardo Bronzo. Le devastazioni inflitte dall’esercito egiziano e la politica di deportazione di grossi gruppi di popolazione attuata dai Thutmosisdi determinano un profondo mutamento nella distribuzione demografica della zona siro-palestinese: si assiste da un lato al declino o all’abbandono di numerosi insediamenti, soprattutto nell’area palestinese, dove più forte era la presenza dell’autorità egiziana, mentre parallelamente si rileva una tendenza ad abbandonare le zone più interne a favore della costa e delle vallate fluviali, che corrispondevano anche alle rotte commerciali più intensamente trafficate.
Questa fase di imposizione e consolidamento dell’autorità egiziana in Siria e Palestina registra una costante presenza sul campo del faraone e dell’esercito, resa necessaria a causa sia della resistenza opposta dai re locali, sia dell’ostilità del regno di Mittani, che in questo periodo domina la Siria settentrionale e tenta di frenare l’espansione egiziana verso nord. Dopo una fase iniziale in cui le due potenze si combattono per la supremazia sulla regione, Mittani ed Egitto scelgono infine la via dell’alleanza diplomatica, che viene sancita da una serie di matrimoni tra principesse mittaniche e sovrani egiziani.
All’epoca di Amenhotep III e Amenhotep IV la presenza militare egiziana nei territori controllati si riduce notevolmente e la gestione del territorio viene affidata principalmente ai governatori egiziani di stanza nei capoluoghi delle tre zone amministrative in cui esso è suddiviso: Gaza sulla costa palestinese funge da centro per la zona di Canaan, Kumidi (attuale Kamid-el-Loz) nella valle della Beqa’ funge da centro per la zona di Ube e infine Sumura (attuale Tell Kazel) sulla costa siriana funge da centro per la provincia di Amurru, che in età amarniana viene poi annessa dagli Ittiti. In ognuno di questi centri risiede un governatore egiziano che, affiancato da una guarnigione di entità spesso piuttosto ridotta, è responsabile del controllo e della gestione del territorio. Esistono poi alcuni porti e zone di diretto sfruttamento economico da parte egiziana, come per esempio quella di Yarimuta, la cui produzione cerealicola è interamente destinata all’amministrazione egiziana. Il resto del territorio viene lasciato ad esponenti delle dinastie locali, legati al faraone da un giuramento di fedeltà. Nei loro confronti il dominio faraonico si manifesta principalmente con un giro annuale di riscossione del tributo e l’obbligo di rifornire e assistere le truppe egiziane di passaggio nei loro territori. Le lettere dei “piccoli re” ritrovate ad el-Amarna, sebbene limitate ad un arco cronologico piuttosto breve, sono la fonte principale per comprendere la situazione del territorio siro-palestinese all’epoca della dominazione egiziana e la natura dei rapporti tra faraone e vassallo. È inoltre interessante notare che, provenendo da oltre cinquanta siti diversi localizzati nell’area siro-palestinese, le lettere dei vassalli egiziani testimoniano della diffusione della scrittura cuneiforme anche in centri decisamente minori e marginali, immagine in alcuni casi ampliata dal ritrovamento in loco di piccoli archivi e lotti di tavolette, fra cui spesso compaiono testi scolastici che confermano l’esistenza di scuole scribali.
Quanto alla situazione politica, i vassalli egiziani sembrano essere in costante conflitto tra loro: questa condizione di ostilità reciproca può essere considerata in un certo senso endemica, dovuta a fattori interni quali lotte dinastiche e contese per il trono, ma viene sicuramente esacerbata in età amarniana da fattori esterni quali l’indebolimento e poi la caduta di Mittani per mano ittita, che rompe l’equilibrio tra i due blocchi settentrionale e meridionale, e la politica particolarmente aggressiva portata avanti dal regno di Amurru. Ogni piccolo re si rivolge al faraone perché intervenga in suo favore, ma le richieste di aiuto da parte dei vassalli sembrano essere puntualmente ignorate, o almeno questa è l’impressione che si ricava dalle continue lamentele espresse nelle loro lettere.
In effetti l’approccio egiziano nei confronti dei territori sottomessi non prevede un impegno da parte del faraone a schierarsi con i propri vassalli in caso di conflitti interni e limita l’intervento militare a situazioni in cui gli interessi egiziani sono in pericolo. In sostanza, dal punto di vista dei vassalli egiziani il rapporto di sudditanza è basato sul principio del do ut des, in cui fedeltà, tributo e assistenza militare sono dati in cambio di protezione. Questa concezione entra inevitabilmente in conflitto con quella faraonica, in base alla quale la supremazia dell’Egitto sull’intero universo fa parte del normale stato delle cose, dunque il faraone non ritiene di essere tenuto a dare alcunché in cambio della totale sottomissione alla sua autorità. Forse anche per ovviare a questo tipo di conflitti ideologici, principi asiatici vengono portati alla corte del faraone e educati alla maniera egiziana, in attesa di insediarli sul trono alla morte dei loro padri. Diverso è per esempio il sistema ittita, in cui i rapporti tra sovrano e vassallo venivano definiti con dei trattati, che prevedevano principalmente obblighi per il vassallo, ma anche l’impegno da parte del sovrano a garantire la regolare successione al trono dell’erede designato dal vassallo. In generale i sovrani ittiti sembrano essere più direttamente coinvolti nelle faccende relative alla gestione dei territori sottomessi e intervengono spesso con decreti ed editti volti a risolvere conflitti tra i vassalli. Inoltre la distanza tra sovrano e vassallo, pur restando invalicabile, viene in un certo senso ridotta attraverso la politica matrimoniale.
La situazione di equilibrio garantita dall’alleanza egizio-mittanica viene stravolta in età amarniana dall’intervento ittita in Siria, che causa il crollo di Mittani e rappresenta un rinnovato pericolo per la supremazia egiziana sui territori asiatici. Il conflitto vero e proprio tra Egitto e Khatti esplode solo alla fine dell’età amarniana, con le campagne militari condotte da Horemheb, Sethi I e Ramesse II in territorio ittita. Lo scontro campale avviene in occasione della battaglia di Qadesh, ma una serie di stele commemorative fatte erigere in vari siti del Levante, così come le iscrizioni celebrative sulle pareti del tempio di Amun e del Ramesseum attestano ulteriori spedizioni condotte da Ramesse II in Palestina e Siria meridionale negli anni immediatamente successivi alla battaglia, il cui esito incerto aveva indebolito l’autorità egiziana nell’intera regione. Il faraone è avvantaggiato nelle sue manovre dal fatto che il regno ittita sia da un lato dilaniato dalla lotta dinastica che si scatena negli anni successivi alla morte di Muwattalli II, con cui Ramesse si era scontrato a Qadesh, dall’altro minacciato sul fronte orientale dalla politica espansionistica dell’Assiria, che preme sui territori ittiti in Siria settentrionale e Anatolia sud-orientale. Non sono però noti scontri significativi tra Khatti ed Egitto risalenti a questo periodo e lo status quo raggiunto con la battaglia di Qadesh viene sostanzialmente confermato con la conclusione del trattato di pace tra Khattushili III e Ramesse II: il confine tra l’area sotto controllo egiziano e quella sotto controllo ittita si assesta infine lungo la linea che va da Tripoli sulla costa fino alle sorgenti del fiume Oronte nella valle della Beqa’ e resterà tale fino alla fine dell’età del Bronzo, quando l’intero scacchiere politico internazionale viene sconvolto dal collasso del sistema regionale.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia