di Paolo Calzini
Confortato dai risultati ottenuti sulla scena internazionale nel corso del 2013 grazie a un’abile azione politico diplomatica Putin appare convinto della validità del corso intrapreso, fondato su flessibilità tattica e determinazione strategica. La linea di politica estera definita ‘affermativa’, indirizzata a proiettare l’immagine di una Russia grande potenza in ascesa, a tutto vantaggio del prestigio del regime russo e del suo presidente, è destinata verosimilmente ad essere portata avanti con controllata fermezza anche nel 2014. Di questa impostazione fa fede l’ultima versione del ‘concetto della politica estera’, il documento ufficiale che stabilisce le direttive dell’azione internazionale, centrato sull’esigenza prioritaria di assicurare alla Russia una condizione di piena indipendenza nella conduzione della propria azione internazionale. Un approccio, si sottolinea, volto a promuovere l’interesse nazionale russo utilizzando la collocazione al centro dell’Eurasia per affermare una presenza adeguata allo status di una grande potenza tornata ad essere attiva sulla scena mondiale.
Le aree oggetto dell’iniziativa russa sono le seguenti. Mosca considera la regione definita lo spazio post-sovietico inclusivo del gruppo degli stati indipendenti non russi, nati dall’implosione dell’URSS e che fanno corona alla Russia, un’area cruciale per la propria sicurezza. Fallito, nonostante la condizione di evidente superiorità nella regione, l’obiettivo di assicurarsi una posizione dominante nell’insieme di questo spazio, si punta all’integrazione di un gruppo selezionato di stati vicini. A dare impulso a una strategia più mirata e equilibrata è stato il varo dell’ambizioso progetto, patrocinato da Putin, di un’Unione economica euroasiatica formata da Russia, Kazakistan e Bielorussia. Aperta all’adesione di altri stati presenti nell’area, l’iniziativa si propone partendo da questo nucleo iniziale di estendere progressivamente il processo di integrazione alla totalità della regione. La crisi scoppiata a Kiev, confrontata al dilemma tra una scelta immediata di associazione all’EU o un’eventuale inclusione nell’Unione euroasiatica, testimonia l’importanza della posta in gioco in quest’area cruciale nei rapporti tra Russia e Europa.
L’Occidente rappresenta, nonostante l’allontanamento da Mosca intervenuto in questi anni, la principale formazione di riferimento con la quale le autorità russe sono destinate a confrontarsi sul piano internazionale. Quale che sia il rilievo dei rapporti stabiliti con le potenze emergenti di Asia, Africa e Sudamerica – emblematica la partecipazione russa ai BRIC – è infatti con le potenze occidentali che si continuerà a giocare la partita politico diplomatica decisiva per il futuro della Russia. Una partita di lungo respiro, che riguarda i diversi scacchieri sede di incontrollata conflittualità che vanno dallo spazio post-sovietico al Medio Oriente e all’Africa settentrionale. I successi diplomatici registrati in Siria e Ucraina hanno dimostrato la capacità russa di operare con un efficace mix di intransigenza e flessibilità, approfittando delle oscillazioni dell’atteggiamento occidentale. L’EU, d’altra parte, per quanto segnata da una evidente perdita di immagine, si conferma un partner di peso, indispensabile al processo di modernizzazione della Russia grazie al volume di investimenti e di tecnologie assicurati all’economia russa in cambio di forniture di idrocarburi. Questa condizione di interdipendenza ha permesso di mantenere un adeguato livello di cooperazione fra le parti. A Mosca, Bruxelles e nelle capitali europee, prevale la consapevolezza che assicurare una condizione di stabilità sul continente costituisce un obiettivo prioritario, dettato dal comune interesse a una convivenza pacifica fra gli stati dello spazio paneuropeo. Su un piano globale caratterizzato da elementi di competizione e contrasto, gli USA, rimasta l’unica superpotenza, sono al centro dell’attenzione di Mosca, preoccupata in primo luogo di garantirsi una condizione di parità strategica nel settore militare. Nonostante l’impegno al mantenimento di un adeguato livello di comunicazione, le relazioni tra Mosca e Washington continuano ad essere ostacolate da una politica alimentata da reciproche recriminazioni. Il rapporto fra le due potenze, non sostenuto da una sostanziosa interazione a livello economico, è marcato dal risentimento di Mosca nei confronti delle critiche americane agli sviluppi della politica interna russa.
L’intenzione russa manifestata di recente di portare avanti una politica estera focalizzata sul Pacifico, riveste finora un carattere più che altro dichiaratorio. La promozione di una strategia diretta a promuovere l’influenza russa nella regione, ispirandosi a una presunta vocazione euroasiatica, sembra dettata sostanzialmente dalla volontà di controbilanciare il rapporto con l’Occidente. Un’effettiva iniziativa su questo fronte comporterebbe, ben al di là del rafforzamento dei legami economico-politici con la Cina, un impegno in grado di far uscire la Siberia e l’Estremo Oriente russo dalle condizioni di arretratezza in cui si trovano attualmente questi territori. Un’arretratezza che, in assenza di uno sforzo diretto al suo superamento, porta all’isolamento nei confronti dell’area adiacente, costituita da uno dei principali poli economici mondiali, rendendo velleitarie le ambizioni russe in questa regione.
L’impegno di Putin al consolidamento della Russia nel ruolo di grande potenza regionale in grado di essere presente a livello globale, è giudicato da molti osservatori insidiato dalle condizioni di debolezza strutturale alla base delle sue fondamenta.
Le condizioni che hanno sostenuto in questi anni una politica internazionale nel segno del dinamismo, tendono a esaurirsi a causa delle contraddizioni inerenti alla configurazione di un regime intento a perpetuare una condizione di stabilità che rischia di tradursi in stagnazione. Considerate le contraddizioni implicite in questa situazione, anche se verosimilmente non sembrano destinate a manifestarsi a breve termine, il compito dell’Occidente è quello di operare con realismo nei confronti di un partner difficile da gestire, ma indispensabile al mantenimento della stabilità in Eurasia.