Nel 2015, la politica estera italiana si è confrontata con gli stessi problemi e gli stessi rischi con cui aveva fatto i conti nel 2014. Parimenti, non dissimili sono stati i modelli di azione e reazione della nostra diplomazia, a conferma che questa riflette la storia, il retaggio socio-culturale e le dinamiche politiche del paese. Nel 2015, tutti i fattori di crisi e di rischio nel Medio Oriente e nel sud Mediterraneo si sono aggravati.
L’accordo sul nucleare iraniano, sul piano regionale, si sta rivelando una ragione di tensione, creando difficoltà anche alla alleanza tra Stati Uniti ed Arabia Saudita, caposaldo della tradizionale stabilità dell’area.
In un contesto così fragile e pericoloso, l’Italia, cui va il merito di aver fatto sì che le questioni mediterranee figurassero in testa all’agenda europea, ha riservato i maggiori sforzi diplomatici alla crisi libica, ove sono stati individuati i nostri maggiori interessi diretti. Negli altri scacchieri, abbiamo continuato a fornire contributi anche con l’impiego delle Forze Armate, ma senza nascondere la sfiducia verso un impiego dello strumento militare svincolato da una strategia di ampio respiro.
La debolezza dell’azione collettiva dell’Unione Europea e le incertezze della diplomazia Usa, tradizionali riferimenti ed ancoraggi della nostra politica estera, non ci hanno aiutato.
Oggetto di controversie e polemiche è stato il nostro atteggiamento sulla Siria e la lotta all’Is, in particolare dopo gli attentati di Parigi.
Forse anche per il modo in cui è stato comunicato, questo atteggiamento ci ha esposto a sospetti e accuse di una radicata riluttanza, iscritta nei geni della nostra cultura civile e politica, a corroborare l’azione di politica estera con l’uso della forza.
È un problema serio, ed il governo farebbe bene a tenerne maggior conto per evitare che posizioni valide in principio nei fatti siano interpretate come rinunciatarie e deboli. È un prezzo che l’Italia ha pagato anche in passato, conseguenza di errori e condizionamenti di una fase storica ormai alle nostre spalle.
Un test importante sarà la Libia, sempre che nel 2016 le fazioni riescano a trovare l’intesa sfuggita nel 2015. L’Italia sarà chiamata a svolgere un ruolo guida, del resto rivendicato, e sarebbe illusorio pensare che la prevista operazione di garanzia militare dell’accordo sarà una passeggiata. È probabile che in alcuni momenti e zone del paese si alzerà al livello di peace enforcing, con i rischi collegati. Le nostre Forze armate, che hanno dimostrato in questo campo una assoluta eccellenza, dovranno essere adeguatamente confortate e sostenute sul piano interno.
A marcare il profilo del nostro paese, di significativo impatto e valenza politica è stata la prima edizione dei ‘Dialoghi Mediterranei’, svoltasi a Roma a metà dicembre 2015. Affidata per l’organizzazione all’Ispi, è stata voluta e sostenuta dal ministro degli Esteri e dalla Farnesina per farne, nella capitale italiana, un momento di confronto e dialogo tra governi, operatori economici, esponenti della cultura dei paesi europei e dell’area.
Altra crisi di nostro immediato interesse investe l’Ucraina, con le correlate tensioni con la Russia.
Anche nel 2015, il ruolo italiano in questa crisi è apparso defilato, salvo qualche incursione a carattere di disturbo, ad esempio prima del Consiglio Europeo di dicembre, quando l’Italia ha avanzato riserve tecniche sulle modalità di rinnovo delle sanzioni a Mosca. La chiara percezione è stata che la partita Ucraina e dei rapporti con la Russia sia diretta principalmente da altri, in testa la Germania, con a rimorchio la Francia, e in parte gli Stati Uniti, questi ultimi condizionati, aldilà del ragionevole, da Polonia e paesi baltici.
L’Italia poteva fare meglio e di più ma pesa sulla nostra credibilità e capacità di incidere il sospetto di eccessive simpatie per la Russia, alimentato talvolta da dichiarazioni e comportamenti disinvolti di esponenti politici, anche di governo.
Un altro banco di prova, in effetti il più delicato, della politica estera italiana è stato, anche nel 2015, il rapporto con l’Unione Europea.
Non è esagerato affermare che questo rapporto è entrato in crisi, condito da un inusitato nervosismo nelle relazioni con la Germania. Siamo in una fase in cui sembra che il perseguimento degli obiettivi nazionali comporti polemiche continue nei confronti della Commissione e di Berlino, considerata l’ispiratrice delle politiche di Bruxelles.
È una impostazione, nella quale si era già avventurato il governo Berlusconi, che prevedibilmente porterà pochi frutti.
L’Italia, aldilà della retorica di maniera, ha un interesse nazionale vitale e concreto a salvaguardare l’Unione Europea, specificamente l’euro ed il Trattato di Schengen, così come ha pieno ed indiscutibile diritto a perseguire i propri obiettivi. A questo riguardo, nel 2015 sono già stati conseguiti degli apprezzabili risultati. Ancor più sarà possibile raggiungerne, quanto più il nostro governo – in primo luogo il presidente del consiglio – si mostrerà attento al quadro effettivo di alleanze che potranno coagulare attorno all’Italia, individuerà priorità precise e realistiche e, importante, si conformerà con maggior grazia alle tecniche relazionali e negoziali, per quanto frustranti, che caratterizzano l’Unione.
Non si può chiudere la panoramica sul 2015 senza un accenno alla insoluta questione dei Marò.
Il governo ha intrapreso nel 2015 la strada dell’arbitrato internazionale. Solo il tempo dirà se questa sarà stata la via giusta per una felice soluzione del caso. Visti gli scogli su cui si erano incagliati precedenti tentativi alternativi, la scelta era da considerarsi inevitabile. Sarà importante che la dolorosa vicenda venga tenuta al riparo dalla polemica politica in Italia. Ne soffrirebbe gravemente l’immagine del paese.