La preistoria e la protostoria dell'Africa
di Rodolfo Fattovich
L'Africa è stata teatro di tutta l'evoluzione biologica e culturale umana, dall'apparizione, quasi 4 milioni di anni fa, dei primi Ominidi nel Corno d'Africa all'emergere dell'uomo moderno (Homo sapiens) nell'Africa orientale e alla sua successiva diffusione verso gli altri continenti negli ultimi 50.000 anni. In Africa, e più precisamente a Hadar, sono state messe in luce le tracce più antiche di manufatti risalenti a circa 2.500.000 anni fa. In particolare, negli ultimi 20.000 anni la storia del popolamento dell'Africa è stata caratterizzata: 1) da una progressiva differenziazione delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene (ca. 20.000-5000 a.C.); 2) dalla comparsa e diffusione di un'economia di sussistenza basata sulla coltivazione di Graminacee e tuberose e sull'allevamento di bovini, caprovini e altri animali domestici, con conseguente accentuarsi di una differenziazione tra agricoltori sedentari lungo la valle del Nilo, nel Sahel e sugli altopiani del Corno d'Africa e dell'Africa orientale, allevatori nelle regioni dell'Africa settentrionale, nord-orientale e orientale e cacciatori in gran parte dell'Africa subsahariana, nell'Olocene iniziale e medio (ca. 7000-1000 a.C.); 3) dall'emergere nell'Africa nord-orientale e successivamente in altre regioni del continente di società gerarchiche sempre più complesse che hanno dato origine a stati autoctoni, tra cui lo Stato faraonico in Egitto che costituisce uno degli stati più antichi della storia dell'umanità, nell'Olocene medio e tardo (ca. 4000 a.C. - 1000 d.C.); 4) dalla diffusione della lavorazione del ferro nell'Africa subsahariana nell'Olocene tardo (ca. 1000 a.C. - 1000 d.C.).
L'Africa, pertanto, vanta la più lunga sequenza culturale del pianeta, con evidenze fossili e archeologiche che coprono tutto il Quaternario e permettono di delineare la storia del suo popolamento dalle primissime origini fino a oggi. La ricostruzione, benché ancora frammentaria, di questo lunghissimo passato è stata possibile utilizzando evidenze archeologiche, dati linguistici, documenti scritti non africani e indigeni e tradizioni orali. La documentazione archeologica è senza dubbio la più completa dal punto di vista cronologico e geografico, in quanto copre lo sviluppo culturale di tutto il continente dalle primissime attestazioni di manufatti attribuibili a Ominidi fino all'epoca moderna. L'insieme dei dati archeologici ha permesso di suddividere la storia culturale dell'Africa in periodi corrispondenti alle grandi fasi di sviluppo tecnologico e socioeconomico, all'interno dei quali sono state ricostruite le sequenze culturali regionali.
I dati linguistici coprono un arco di tempo relativamente breve e comunque non superiore agli ultimi 10.000 anni. Questi dati sono stati utilizzati soprattutto per ricostruire la dinamica del popolamento del continente nel corso dell'Olocene con i metodi della linguistica storica e per stabilire l'epoca approssimativa di separazione delle singole lingue utilizzando il metodo della "glottocronologia", che costituisce un'applicazione particolare della statistica lessicale. Questo metodo, peraltro molto approssimativo, venne introdotto in America negli anni Cinquanta del Novecento ed è stato applicato principalmente all'analisi delle lingue nilo-saheliane e afro-asiatiche. Esso ha permesso di stabilire la probabile cronologia relativa di separazione delle singole lingue, ma le datazioni proposte devono essere considerate con cautela, in quanto richiedono una conferma dai dati archeologici.
La documentazione scritta copre un periodo di tempo molto più limitato, in pratica gli ultimi 4000 anni, e può essere utilizzata solo in alcune regioni del continente. Tralasciando infatti l'Egitto, dove la scrittura fu introdotta alla fine del IV millennio a.C. e dove annali reali cominciarono a essere redatti agli inizi del III millennio a.C., l'uso della scrittura si è diffuso in Africa a partire dal I millennio a.C. e quasi esclusivamente nelle regioni dove si sono sviluppate società di tipo statale (Nubia, Etiopia, costa dell'Africa orientale, Africa occidentale), nonché tra le popolazioni berbere del Sahara. Nell'Africa orientale e occidentale una tradizione scritta cominciò a formarsi solo con la penetrazione dell'Islam, mentre le più antiche descrizioni delle regioni costiere dell'Africa australe risalgono al XVI secolo. Per le regioni interne del continente non esistono fonti documentarie anteriori al XIX secolo. Inoltre la documentazione scritta, sia in fonti non africane sia in testi indigeni, riguarda quasi esclusivamente le regioni maggiormente esposte a contatti con l'esterno: l'Africa mediterranea, la Nubia, il Corno d'Africa, l'Africa orientale, l'Africa occidentale e le regioni costiere dell'Africa australe. Queste fonti hanno fornito indizi utili agli archeologi, benché non sia sempre possibile stabilire una correlazione precisa tra dati storici e dati archeologici.
Le tradizioni orali, usate soprattutto nell'Africa orientale, centrale e occidentale, coprono alcuni secoli, anche se talvolta tradizioni più antiche possono essere riportate in testi scritti e richiedono un'attenta e accurata valutazione critica. Queste fonti si sono dimostrate utili in archeologia, in quanto hanno permesso di localizzare le possibili capitali di regni antichi, di correlare i resti archeologici a determinate popolazioni e di datare approssimativamente tali resti.
In base alla documentazione disponibile, pertanto, lo studio di quasi tutto il passato dell'Africa rientra convenzionalmente nell'ambito della preistoria e deve essere condotto con procedure archeologiche, solo parzialmente integrate da dati linguistici, documenti scritti e tradizioni orali. In Africa (escludendo ovviamente l'Egitto) non è tuttavia sempre possibile stabilire una distinzione precisa tra periodo preistorico e periodo storico. Se da un lato infatti si può facilmente distinguere una preistoria antica, corrispondente all'evoluzione biologica e culturale umana nel continente nel corso del Pleistocene, e una preistoria recente, corrispondente alla diffusione delle popolazioni di cacciatori e raccoglitori e successivamente delle prime comunità produttrici di cibo nel Pleistocene finale e nell'Olocene iniziale e medio, dall'altro lato il passaggio dalla preistoria finale al periodo storico nell'Olocene tardo è molto più sfumato e ambiguo. La storia culturale del continente infatti è stata caratterizzata da fenomeni conservativi, in seguito ai quali popolazioni con tecnologie e strutture sociali ed economiche a un diverso livello di sviluppo possono avere occupato contemporaneamente uno stesso territorio o territori contigui, oppure una popolazione con strutture sociali ed economiche complesse può avere mantenuto tecnologie arcaiche. Si pensi, ad esempio, all'Eritrea, dove siti con industrie litiche, ripari con figure rupestri, insediamenti urbani e iscrizioni possono essere contemporanei tra loro, pur essendo le industrie litiche e l'arte rupestre morfologicamente attribuibili al periodo preistorico e gli insediamenti urbani e le iscrizioni a quello storico. Inoltre, negli insediamenti urbani del I millennio d.C. si possono rilevare abitazioni comparabili alle ville romane, basiliche di tipo paleocristiano, monete, iscrizioni in greco ed etiopico antico, vasellame di produzione locale o importato dall'ambiente romano e bizantino, vetri romani, macine di pietra di tipo neolitico, microliti e raschiatoi di tipo epipaleolitico.
La forte continuità tra passato e presente, per cui società tradizionali hanno mantenuto fino a epoca molto recente e in parte ancora mantengono tecnologie e strutture economiche arcaiche, ha inoltre favorito lo sviluppo nell'ambito dell'archeologia africana dell'etnoarcheologia, ossia dello studio della documentazione etnografica in una prospettiva archeologica per l'elaborazione di modelli interpretativi dei resti archeologici. In particolare, sono state esaminate le evidenze degli ultimi residui di cacciatori e raccoglitori che ancora occupano zone marginali del continente, come, ad esempio, i cosiddetti Boscimani del Kalahari, al fine di ricostruire lo stile di vita delle popolazioni preistoriche. Indagini di questo tipo sono state condotte anche su quelle popolazioni che tuttora producono strumenti litici. Tali studi permettono di avere maggiori informazioni sulla funzione di manufatti simili trovati in siti archeologici, nonché sulla produzione della ceramica e sulla metallurgia tradizionale.
Lo studio della preistoria africana si può far iniziare con la scoperta di strumenti litici nella regione del Capo (Repubblica Sudafricana) da parte dell'inglese Th.H. Bowker verso la metà del XIX secolo. Negli anni successivi i rinvenimenti e le raccolte di manufatti preistorici da parte di amatori furono sempre più frequenti nelle diverse regioni del continente e vennero così create le prime collezioni museografiche che attestavano un'antichità del popolamento dell'Africa non inferiore a quella dell'Europa. Tra le indagini condotte agli inizi del secolo (1901-1902) particolare rilievo ebbe l'esplorazione della valle dell'Omo, tra l'Etiopia e il Kenya, e dell'Etiopia sud-orientale da parte del visconte francese R. de Bourg de Bozas, che raccolse una grande quantità di dati naturalistici e strumenti litici, che vennero studiati negli anni Trenta del Novecento da H. Breuil e permisero di delineare la sequenza cronologica delle più antiche fasi del popolamento dell'Africa orientale. A sua volta, la scoperta alla fine del XIX secolo delle rovine di Great Zimbabwe sull'altopiano tra i bacini dello Zambesi e del Limpopo nell'attuale Zimbabwe da parte di R.N. Hall dette l'avvio allo studio dell'età del Ferro nell'Africa australe. Queste rovine vennero interpretate come i resti di una colonia fenicia nell'Africa meridionale, ma le indagini successive da parte di G. Caton-Thompson hanno permesso di attribuirle a popolazioni indigene.
Contributi molto importanti allo studio della tarda preistoria vennero dati tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX dall'archeologo inglese W.F.M. Petrie, che per primo classificò le culture predinastiche egiziane, e dall'archeologo ed egittologo americano G. Reisner, che definì la sequenza culturale nella Nubia inferiore dalla tarda preistoria all'epoca islamica. Reisner, in particolare, mise in luce a Kerma, nell'Alta Nubia, i resti databili al III-II millennio a.C. della capitale del più antico regno africano a sud dell'Egitto. Negli stessi anni, l'archeologo francese J. de Morgan, cui si deve la prima ricostruzione sistematica della preistoria egiziana, condusse una ricognizione della Tunisia meridionale e segnalò un'industria litica presso l'oasi di Gafsa, da lui denominata Capsiano, datandola erroneamente al Paleolitico superiore. A loro volta, i francesi H. Neuville e successivamente F. Azais investigarono i monumenti megalitici dell'Etiopia orientale, centrale e meridionale.
Le ricerche sulla preistoria africana si intensificarono nella prima metà del XX secolo a opera soprattutto di archeologi francesi e inglesi, interessati allo studio delle industrie litiche più antiche, che attestavano l'evoluzione culturale umana sul continente, e dell'arte rupestre. Tra questi vanno ricordati gli inglesi M. Burkitt, A.J.H. Goodwin, L. Leakey, Th. Shaw e J.D. Clark, i francesi H. Breuil, Th. Monod, R. Vaufray, H. Lothe, H. Alimen e l'italiano P. Graziosi. Un ruolo di grande rilievo ebbe negli anni tra le due guerre mondiali lo studioso sudafricano C. van Riet Lowe, il quale insieme a Goodwin propose la prima suddivisione sistematica della sequenza cronologica e culturale delle industrie litiche africane, distinguendo tre periodi principali definiti Early Stone Age, Middle Stone Age e Late Stone Age in sostituzione della terminologia europea precedentemente adottata anche in Africa e gettando così le basi di una vera preistoria africana. Contemporaneamente, la scoperta nel Transvaal (Repubblica Sudafricana) nel 1924 del più antico (all'epoca) fossile umano, il cosiddetto "bambino di Taung", e la sua identificazione da parte di R. Dart con una specie nuova di Ominide (Australopithecus africanus) dette un forte stimolo allo studio della paleontologia umana, suggerendo che l'Africa fosse stata la culla dell'umanità, e portò alla scoperta di un numero sempre maggiore di fossili di Ominidi databili al Pleistocene inferiore e medio nell'Africa australe e orientale. Nello stesso periodo studiosi francesi, tra cui spiccano R. Vaufray e successivamente L. Balout, affrontarono lo studio sistematico della preistoria del Maghreb introducendo la stessa sequenza di periodi cronologici usata in Francia e nel resto dell'Europa. Questi studiosi dedicarono un'attenzione particolare al problema della collocazione cronologica e culturale del Capsiano.
Nel pieno periodo coloniale, tra gli anni Venti e Quaranta, le ricerche sulla preistoria si estesero progressivamente alle altre regioni del continente. Negli anni Venti e Trenta il belga J. Colette dette inizio allo studio della preistoria nell'Africa centrale conducendo scavi stratigrafici a Kalina Point (Congo). Contemporaneamente, E.J. Wayland definì la sequenza culturale delle industrie litiche dell'Africa orientale, mettendo in evidenza le industrie kafuana (ora non più riconosciuta), sangoana e magosiana. Alla fine degli anni Trenta e negli anni Quaranta, gli inglesi Th. Shaw e O. Davies condussero le prime ricerche sistematiche rispettivamente in Nigeria e nel Ghana, dando un contributo fondamentale alla conoscenza sia dell'età della Pietra sia della protostoria dell'Africa occidentale. A sua volta, lo studio della preistoria e protostoria dell'Africa occidentale francofona ebbe inizio alla fine degli anni Trenta con l'istituzione a Dakar (Senegal) nel 1938 dell'Institut Français d'Afrique Noire (IFAN), dove fino alla fine degli anni Sessanta operarono R. Mauny e G. Szumowski, segnando l'inizio dello studio della preistoria e protostoria. Tra gli anni Trenta e Quaranta, inoltre, P. Graziosi e J.D. Clark avviarono lo studio dell'età della Pietra e dell'arte rupestre in Etiopia e Somalia. Contemporaneamente, A.J. Arkell scoprì nella regione di Khartum le più antiche evidenze di vasellame associato a un'industria litica e precedente l'introduzione della produzione del cibo; lo studioso attribuì tale materiale a una cultura preneolitica da lui definita Mesolitico di Khartum o Early Khartoum, gettando le basi per lo studio della tarda preistoria nel Sudan. Fondamentali furono le ricerche iniziate negli anni Trenta e continuate fino agli anni Sessanta nella valle di Olduvai (Tanzania) da L. e M. Leakey, che misero in luce una delle più antiche industrie litiche umane, l'Olduvaiano, e i resti di un Ominide (Homo habilis) da cui sarebbe disceso l'uomo attuale.
Nella prima metà del XX secolo venne avviata l'esplorazione archeologica del Sahara, soprattutto da parte di esploratori e archeologi francesi, italiani e tedeschi, tra cui Th. Monod, H. Lothe, P. Graziosi e L. Frobenius. Vennero così scoperti e studiati numerosissimi centri di arte rupestre, siti con industrie paleolitiche, siti neolitici e necropoli megalitiche che hanno messo in evidenza la presenza in questa regione di popolazioni con culture spesso molto elaborate. Nei primi decenni del XX secolo Frobenius e H. Breuil segnalarono anche l'esistenza di arte rupestre dell'Africa australe. A Frobenius si deve inoltre la prima segnalazione di incisioni rupestri lungo la catena dell'Etbai (tra il Nilo e il Mar Rosso) e in Eritrea.
Il consolidarsi degli studi di preistoria e paleontologia umana nel periodo tra le due guerre mondiali trovò la sua espressione nell'organizzazione dei Congressi Panafricani di Preistoria e Studi del Quaternario, il primo dei quali si tenne a Nairobi nel 1947. Nella seconda metà del XX secolo le ricerche sulla preistoria e protostoria dell'Africa ebbero un ulteriore sviluppo, estendendosi progressivamente su tutto il continente. Nell'ambito dello studio della preistoria antica vanno ricordate, ad esempio, le ricerche condotte a Kalambo Falls nello Zambia da J.D. Clark negli anni Cinquanta e Sessanta, quelle di una spedizione internazionale franco-americana e kenyota, diretta inizialmente da C. Arambourg e successivamente da Y. Coppens, F. Clark Howell e R. Leakey, nella valle dell'Omo negli anni Sessanta e quelle condotte a partire dalla metà degli anni Sessanta da J. Chavaillon, in collaborazione dall'inizio degli anni Settanta con M. Piperno, a Melka Kunture nell'Etiopia centrale.
Successivamente, la paleontologia umana è diventata un settore dominante di indagine, soprattutto in seguito a scoperte spettacolari come quella di Lucy, un Ominide di oltre 3 milioni di anni fa, nell'Afar (Etiopia) alla metà degli anni Settanta, a opera di D. Johanson. Tra i protagonisti di queste ricerche vanno ricordati l'americano T. White e l'inglese R. Leakey. White condusse, dalla fine degli anni Settanta, con la collaborazione di paleontologi etiopici, indagini sistematiche nella regione dell'Afar (Etiopia orientale), dove portò alla luce i resti più antichi di Ominidi finora noti, contribuendo in modo molto rilevante alla ricostruzione della linea evolutiva dell'uomo. R. Leakey ha condotto invece ricerche presso il Lago Turkana in Kenya, mettendo in luce a Koobi Fora resti ben conservati di Homo habilis.
Un ruolo importante nello sviluppo degli studi sulla preistoria e protostoria africana fu svolto negli anni Sessanta dalla campagna dell'UNESCO per il salvataggio della Nubia. Nel corso di questa campagna infatti vennero rilevati e studiati sistematicamente da numerose spedizioni internazionali tutti i siti lungo la valle del Nilo tra la I e la III Cateratta. Tra queste ricerche vanno ricordate in particolare quelle condotte dalla Combined Prehistoric Expedition, diretta da F. Wendorf, che hanno definito in modo più preciso la preistoria antica della regione, e quelle della Scandinavian Joint Expedition, diretta T. Save-Sodebergh, che ha dato un contributo notevole alla conoscenza della protostoria della Bassa Nubia. I risultati di questa campagna stimolarono quindi lo studio della preistoria nelle regioni circostanti del Deserto Occidentale in Egitto e Sudan, dell'Alta Nubia e del Sudan orientale. Tra le ricerche condotte in queste regioni vanno ricordate quelle di una missione americana diretta da F. Wendorf, in collaborazione con R. Schild, nel Deserto Occidentale egiziano e quelle di una missione tedesca, diretta da R. Kuper nel Deserto Occidentale sudanese, cui va aggiunta l'attività di una missione italiana nell'oasi di Farafra in Egitto, diretta da B.E. Barich. I risultati di queste ricerche hanno contribuito in modo notevole alla ricostruzione della storia del popolamento di queste aree oggi desertiche e soprattutto a una più precisa interpretazione delle origini della produzione del cibo in Africa. Nella Nubia sudanese le indagini di una missione svizzera, diretta da Ch. Bonnet, a Kerma, e francese a Sai, diretta da B. Gratien e successivamente da F. Geus, su siti della cultura di Kerma e l'attività di studiosi francesi (F. Geus, J. Reinolds), italiani (I. Caneva), polacchi (L. Krzyzaniak) e americani (J. Shiner, A.E. Marks) su siti preneolitici e neolitici hanno fornito dati molto rilevanti sulle origini e sulla diffusione della produzione di alimenti in questa regione. Nel Sudan orientale vanno infine ricordate le ricerche condotte da A.E. Marks e R. Fattovich su siti della tarda preistoria lungo il confine eritreo-sudanese, che hanno permesso di ricostruire il processo di formazione dello stato in questa regione.
Nell'Africa settentrionale vanno a loro volta ricordati gli scavi condotti negli anni Cinquanta del Novecento da C.B.M. McBurney nella grotta di Haua Fteah in Cirenaica, i cui risultati gettarono nuova luce sulla diffusione della produzione del cibo in Africa, e le ricerche di G. Camps in Algeria, soprattutto sul fenomeno del megalitismo. A partire dagli anni Cinquanta si intensificarono anche le ricerche nel deserto del Sahara, grazie soprattutto a studiosi italiani quali F. Mori, che esplorò il Tadrart Acacus in Libia con risultati molto importanti per la conoscenza della sequenza culturale dell'arte rupestre, B. Barich e più recentemente S. Di Lernia, che hanno contribuito a una più precisa interpretazione delle origini della produzione del cibo e dello sviluppo di comunità pastorali nella regione.
Nell'Africa occidentale, oltre ai lavori di O. Davies e Th. Shaw, cui si deve la scoperta spettacolare di una tomba reale dell'età del Ferro a Igbo-Ukwu, contributi di rilievo alla conoscenza delle prime fasi di urbanizzazione sono stati dati dagli scavi a Djenné-Djeno nel Mali diretti dagli americani R. McIntosh e S. McIntosh. Nell'Africa centrale ricerche sistematiche vennero condotte a partire dagli anni Cinquanta da J.D. Clark in Angola, R. de Bayle des Hermens nella Repubblica Centrafricana, J. Nenquin nel Congo, Ruanda e Burundi, G. Mortelmans, J. de Heinzelein e H. van Moorsel nel Congo. Queste ricerche hanno permesso di definire la sequenza culturale in questa parte del continente negli ultimi 50.000 anni. Le ricerche condotte nell'Africa orientale negli ultimi trenta anni si sono concentrate soprattutto sullo studio dell'età del Ferro da parte di studiosi inglesi e americani, tra cui vanno ricordati J. Sutton, J. Bower e P. Schmidt. Nell'Africa australe le ricerche si sono orientate su tutti gli aspetti della preistoria e tarda preistoria, con particolare interesse verso la tarda età della Pietra, l'età del Ferro e l'arte rupestre. Tra gli studiosi che hanno contribuito allo studio della preistoria nella regione si possono ricordare D.W. Phillipson, C. Garth Sampson, P. Sinclair, P. Vinniecombe e D. Lewis-Williams.
Nel loro insieme le ricerche sulla preistoria e protostoria in Africa sono state condotte principalmente da studiosi occidentali sia nel periodo coloniale sia in quello postcoloniale. Negli ultimi quaranta anni, tuttavia, un numero sempre maggiore di ricercatori locali si è affermato nello studio dell'archeologia africana, in seguito all'istituzione in numerosi Stati postcoloniali di musei e dipartimenti universitari di archeologia. La maggior parte di questi studiosi si è interessata ai periodi più recenti e soprattutto all'uso dell'archeologia per la ricostruzione dell'etnostoria delle singole popolazioni, integrando il dato archeologico con le tradizioni orali. Si possono comunque ricordare in ambito specificatamente preistorico e paleontologico alcuni studiosi etiopici, quali B. Assefa, che da molti anni collabora alle ricerche di T. White nell'Afar, e Y. Beyene, cui si devono importanti contributi allo studio delle industrie litiche più antiche nell'Etiopia meridionale. Lo studio della preistoria e protostoria africana è stato dominato fino ad anni abbastanza recenti da un'impostazione storico-culturale orientata soprattutto alla classificazione tipologica dei manufatti rinvenuti, all'identificazione di industrie litiche e culture in base alla tipologia dei manufatti e alla definizione delle sequenze cronologiche delle singole industrie e/o culture archeologiche. Ancora alla metà degli anni Sessanta i dibattiti sulle classificazioni tipologiche e sulla terminologia delle sequenze cronologiche erano al centro delle discussioni di un importante convegno di preistoria africana tenuto a Burg Wartenstein in Austria.
A partire dagli anni Cinquanta tuttavia un'impostazione ecologica, che teneva conto non solo delle correlazioni cronologiche tra fossili umani, industrie litiche e fluttuazioni climatiche di lunga durata, ma anche delle possibili forme di adattamento degli Ominidi alle diverse condizioni ambientali, si è affermata nello studio dell'evoluzione umana nel continente. A partire dalla fine degli anni Sessanta questa impostazione delle ricerche si è estesa allo studio della preistoria più recente con l'applicazione di indagini multidisciplinari, anche in seguito all'influsso teorico dell'archeologia processuale americana. Uno dei pionieri dell'indirizzo ecologico nella tarda preistoria africana è stato il geografo americano K.W. Butzer, cui si deve il primo studio sistematico della sequenza delle fasi di crescita ed erosione del Nilo e del loro possibile impatto sullo sviluppo della civiltà egiziana fin da epoca preistorica. L'influsso della scuola processuale americana, di impostazione antropologica, ha inoltre introdotto nuovi problemi nelle indagini condotte sulla tarda preistoria, stimolando le ricerche sui processi che hanno portato all'emergere di società con economie di sussistenza basate sulla produzione del cibo e alla formazione di società complesse e stati nel continente. Minore è stato finora l'influsso teorico della scuola postprocessuale inglese, che ha trovato comunque applicazioni soprattutto nello studio dell'arte rupestre dell'Africa australe.
Data l'imprecisione dei metodi linguistici e la frammentarietà e incertezza delle altre fonti documentarie, la sequenza cronologica e culturale dell'Africa antica è stata ricostruita principalmente con metodi archeologici che hanno permesso di stabilire una cronologia relativa delle culture africane pre- e protostoriche. Negli ultimi cinquanta anni è stato inoltre possibile definire una cronologia assoluta più precisa mediante l'applicazione di metodi di datazione radiometrica (potassio/argon 40K/40Ar per la preistoria più antica; radiocarbonio e, meno frequentemente, termoluminescenza della ceramica per la tarda preistoria e il periodo storico). Non sempre però le datazioni con il radiocarbonio sono considerate sicure. In particolare nella valle del Nilo esse vengono utilizzate con cautela, giacché il confronto tra le datazioni radiometriche e la cronologia storica egiziana, basata su dati astronomici, presenta una differenza media di circa trecento anni e la cronologia storica viene ritenuta più attendibile. Nell'archeologia africana si è fatto anche ampio uso del metodo della datazione incrociata (cross-dating), basato sulla presenza di oggetti importati, per collegare le sequenze cronologiche locali a quelle del mondo mediterraneo e del Vicino e Medio Oriente. A loro volta, le fonti documentarie non africane hanno permesso di stabilire per le culture protostoriche correlazioni abbastanza precise con le cronologie storiche delle regioni circostanti.
La denominazione dei periodi culturali adottata nell'archeologia africana corrisponde solo in parte a quella seguita in Europa e Asia. Inoltre, le denominazioni proposte per l'Africa settentrionale e sahariana differiscono da quelle dell'Africa subsahariana, almeno per i periodi più antichi. Nell'Africa settentrionale la preistoria più antica, databile al Pleistocene, viene suddivisa convenzionalmente in Paleolitico inferiore, Paleolitico medio e Paleolitico superiore in conformità con la terminologia europea. Il termine Epipaleolitico viene invece usato più frequentemente di Mesolitico, cui approssimativamente corrisponde, per indicare le successive industrie microlitiche, databili al Pleistocene finale e all'Olocene iniziale.
Nell'Africa subsahariana è stata adottata una suddivisione in antica età della Pietra (Early Stone Age), media età della Pietra (Middle Stone Age) e tarda età della Pietra (Late Stone Age). Tale suddivisione venne introdotta inizialmente nell'Africa meridionale ed è stata successivamente applicata al resto del continente. La Early Stone Age corrisponde al Paleolitico inferiore e viene datata tra la fine del Pliocene e il Pleistocene inferiore e medio, tra circa 2.600.000 e 100.000 anni fa. La Middle Stone Age corrisponde al Paleolitico medio e viene datata al Pleistocene superiore, tra circa 100.000 e 15.000 anni fa. La Late Stone Age corrisponde approssimativamente al Paleolitico superiore ed Epipaleolitico (o Mesolitico) e in parte al Neolitico ed è datata al Pleistocene finale e all'Olocene, tra circa 15.000 e 2000 anni fa. Numerosi studiosi distinguono anche un'età della Pietra finale (Later Stone Age), cui vengono attribuite tutte le industrie, per lo più microlitiche, databili all'Olocene medio e tardo, tra circa 5000 e 1000 anni fa. Le industrie litiche più recenti, ancora in uso presso alcune popolazioni, quali, ad esempio, i Gurage dell'Etiopia centro-occidentale, rientrano nell'ambito dell'etnografia e sono oggetto di studio degli etnoarcheologi. La suddivisione della sequenza culturale della tarda preistoria è più complessa (e in parte più confusa), per il progressivo affermarsi di tradizioni regionali sempre più diversificate e l'emergere di formazioni protostatali in alcune regioni già nel III millennio a.C. Per lungo tempo si è mantenuta comunque nell'archeologia africana una suddivisione in periodi basata su considerazioni tecnologiche e cronologiche simile a quella della preistoria europea.
Nell'Africa settentrionale e in alcune regioni dell'Africa subsahariana (ad es., il Corno d'Africa) è stato convenzionalmente distinto un periodo neolitico (tra ca. 9000/8000 e 3500/3000 anni fa), caratterizzato dalla presenza di ceramica e di strumenti di pietra levigata e precedente l'introduzione di utensili di metallo. Nell'Africa subsahariana è stata distinta una età del Ferro, caratterizzata dalla manifattura o uso di oggetti di ferro, che succede direttamente alla Late Stone Age e copre approssimativamente gli ultimi 2000 anni.
Questa terminologia tuttavia si è dimostrata inadeguata in quanto tiene conto solo in parte della complessa realtà storica africana. La presenza, ad esempio, di ceramica, macine e macinelli in numerosi siti con industrie litiche della valle del Nilo, Sahara e Sahel, databili all'Olocene iniziale e medio e attribuibili a popolazioni con un'economia di sussistenza basata sullo sfruttamento di risorse fluviali e lacustri, sulla caccia di grandi mammiferi di savana e sulla raccolta e consumo di Graminacee selvatiche, ma che non praticavano ancora forme di produzione del cibo, ha suggerito l'introduzione del termine Acqualitico per distinguerli dai siti neolitici con ceramica attribuibili a popolazioni che già producevano il cibo.
Oggi queste suddivisioni basate su considerazioni tecnologiche proprie della scuola storico-culturale stanno cadendo in disuso e tendono a essere sostituite, almeno per la preistoria più recente, da una sequenza in periodi basati su considerazioni di ordine sociale ed economico e sulla cronologia assoluta ottenuta con metodi radiometrici. Ai termini Late Stone Age, Neolitico ed età del Ferro, che indicano periodi storico-culturali in parte sovrapposti, si preferiscono quelli di "società non produttrici di cibo" (cacciatori, raccoglitori, pescatori, ecc.), "società produttrici di cibo" (agricole, pastorali, agro-pastorali, ecc.), "società che producono il ferro" o "società che usano il ferro". Ugualmente si tende a dare più importanza al livello di organizzazione sociale, distinguendo società prestatali, protostatali e statali. Questa terminologia, benché ancora non codificata in modo preciso, permette infatti di classificare in maniera più adeguata le singole culture antiche mantenendo una chiara distinzione tra società cronologicamente coeve ma a livello di sviluppo tecnologico, sociale ed economico nettamente differenziato.
Infine, per le epoche più tarde, la diffusione in alcune regioni (Africa mediterranea, valle del Nilo e Altopiano Etiopico) in età antica del cristianesimo e successivamente la penetrazione dell'Islam in gran parte del continente hanno suggerito la definizione di periodi cronologici caratterizzati dalla pratica di queste religioni. Sono stati così distinti un periodo cristiano e un periodo islamico. Anche questi periodi risultano comunque del tutto arbitrari. Si pensi, ad esempio, all'Etiopia, dove allo sviluppo ed espansione del regno cristiano sugli altopiani settentrionali tra la metà del I e la metà del II millennio a.C. corrisponde quello di società complesse ancora pienamente preistoriche nelle regioni centrali, occidentali e meridionali del paese.
L'arte rupestre costituisce uno degli aspetti più caratteristici della preistoria dell'Africa. Centri di arte rupestre sono noti infatti in gran parte del continente dalla catena dell'Atlante alle montagne dell'Etbai lungo il Mar Rosso, il Corno d'Africa, l'Africa orientale e l'Africa australe. I centri maggiori si trovano nei massicci centrali del Sahara, nel Corno d'Africa e nell'Africa australe. Essi comprendono incisioni e pitture in vari stili e i temi rappresentati variano dalla grande fauna selvatica a scene di vita pastorale e simboli. Gli studiosi che maggiormente hanno contribuito alla conoscenza di quest'arte sono stati L. Frobenius, H. Lothe, P. Graziosi, F. Mori, P. Cervicek, P. Vinniecombe e D. Lewis-Williams.
La maggior parte degli studi sull'arte rupestre ha avuto carattere descrittivo ed è stata finalizzata all'identificazione dei diversi stili, alla definizione della loro sequenza relativa e a una loro possibile datazione assoluta. La cronologia relativa si è basata sull'analisi delle patine (metodo peraltro oggi ritenuto molto impreciso), sui temi rappresentati e su possibili confronti tra figure rupestri e motivi decorativi su ceramiche o manufatti ben attestati in altri contesti archeologici. La cronologia assoluta, tuttora in gran parte incerta, si è basata invece soprattutto sulla datazione di frammenti di roccia con figure rupestri staccatisi dalle pareti dei ripari e rinvenuti in strati archeologici ben datati con metodi radiometrici. Questi metodi hanno suggerito una datazione delle prime testimonianze di arte rupestre nell'Africa australe e nel Sahara al Pleistocene finale. La maggior parte delle incisioni e pitture rupestri risale all'Olocene ed è attribuibile a popolazioni dedite alla caccia e a popolazioni di allevatori. Il significato simbolico di queste figure è in gran parte incerto, ma il confronto con la documentazione etnografica soprattutto nell'Africa australe ha suggerito un loro valore magico e religioso con riferimento a miti.
Un contributo rilevante allo studio dello sviluppo delle società africane in epoca preistorica e protostorica è stato dato dalla ricostruzione dell'evoluzione paleoambientale del continente nel corso dell'era quaternaria. La storia del popolamento dell'Africa infatti è stata sempre influenzata dalle condizioni ambientali, caratterizzate da deserti, foresta equatoriale, savane e praterie, la cui estensione è dipesa dalle fluttuazioni climatiche che hanno interessato il continente nel corso del tempo. A loro volta questi grandi ecosistemi hanno costituito l'habitat che le singole popolazioni hanno sfruttato, elaborando strategie di adattamento diversificate.
Le indagini geologiche hanno permesso quindi di ricostruire e datare con metodi radiometrici la sequenza dei maggiori cambiamenti climatici nel Pleistocene, portando a un iniziale riconoscimento di alcuni periodi pluviali apparentemente corrispondenti a quelli glaciali sull'emisfero settentrionale, che hanno reso possibile non solo stabilire una correlazione abbastanza precisa tra l'evoluzione culturale e quella ambientale in Africa, ma anche evidenziare sincronismi tra le culture preistoriche africane e quelle degli altri continenti.
Particolare attenzione, infine, è stata data negli ultimi trenta anni a una ricostruzione relativamente precisa delle oscillazioni climatiche e ai processi dinamici di interazione tra le popolazioni umane e il loro ambiente avvenuti nell'Olocene su scala continentale e regionale. A tale scopo sono stati esaminati soprattutto i sedimenti dei laghi del Rift in Africa orientale, nel Corno d'Africa e nel Sahel, le terrazze e i sedimenti alluvionali del Nilo e le sequenze polliniche dell'Africa orientale. Contributi importanti in questo campo sono stati dati, oltre che da K.W. Butzer, da E.M. van Zinderen Bakker, M.A.J. Williams, H. Faures, R. Bonnefille e, in anni più recenti, da M. Cremaschi.
Nonostante le indagini finora svolte abbiano permesso di delineare la storia del popolamento preistorico e protostorico dell'Africa, rimangono ancora grandi vuoti geografici e cronologici che dovranno essere riempiti con ricerche future. Si pensi, ad esempio, al Corno d'Africa, dove solo alcune regioni dell'Eritrea centrale, Etiopia settentrionale, orientale, centrale e meridionale, Somalia settentrionale e meridionale sono state esplorate in modo più sistematico. Inoltre, soltanto l'età della Pietra antica e media (Early Stone Age, Middle Stone Age), databili al Pleistocene, nella Rift Valley e sull'altopiano somalo, e i periodi preaksumita e aksumita (I millennio a.C. - I millennio d.C.) sull'altopiano tigrino (Etiopia settentrionale) sono stati oggetto di ricerche più approfondite. La tarda età della Pietra (Late Stone Age, ca. 10.000-2000 a.C.) e i periodi storici più recenti (ca. 1000-1600 d.C.) sono stati quasi completamente trascurati dagli studiosi, con l'eccezione dell'arte rupestre, dei monumenti megalitici e delle chiese rupestri. Oggi, inoltre, si sta sviluppando un sempre maggiore interesse a collegare l'indagine archeologica, inclusa quella preistorica, allo sviluppo sociale ed economico del continente, soprattutto in relazione alla gestione e presentazione del patrimonio e al suo sfruttamento a fini turistici con la creazione di parchi archeologici e musei all'aria aperta. Un esempio in questo senso è il parco archeologico di Melka Kunture in Etiopia, organizzato da M. Piperno. Sul piano teorico, infine, sta emergendo un nuovo indirizzo di ricerca di tipo paleoecologico orientato verso l'elaborazione di modelli diacronici dei sistemi antichi di interazione tra uomo e ambiente al fine di meglio valutare come le società tradizionali abbiano sviluppato fin dalla preistoria le loro strategie di adattamento all'ambiente naturale e in che modo queste strategie potrebbero essere ancora funzionali nel presente.
Bibliografia
W.W. Bishop - J.D. Clark (edd.), Background to Evolution in Africa, Chicago 1967; M.A.J. Williams - H. Faure (edd.), The Sahara and the Nile, Rotterdam 1980; J. Ki-Zerbo (ed.), General History of Africa, I. Methodology and African Prehistory, Berkeley 1981; G. Mokhtar (ed.), General History of Africa, II. Ancient Civilization of Africa, Berkeley 1981; J.D. Clark (ed.), The Cambridge History of Africa, I, Cambridge 1982; Ch. Ehret - M. Posnansky (edd.), The Archaeological and Linguistic Reconstruction of African History, Berkeley 1982; J.D. Fage (ed.), The Cambridge History of Africa, II, Cambridge 1982; P. Robertshaw (ed.), A History of African Archaeology, London 1990; D.W. Phillipson, African Archaeology, Cambridge 19922; Th. Shaw et al. (edd.), The Archaeology of Africa. Food, Metals and Towns, London 1993; J.O. Vogel (ed.), Encyclopedia of Precolonial Africa, Walnut Creek 1997; F. Hassan (ed.), Droughts, Food and Culture. Ecological Change and Food Security in Africa's Later Prehistory, New York 2002.
di Marcello Piperno
A partire dai primi decenni del Novecento, la preistoria del continente africano è stata tradizionalmente suddivisa in tre grandi "fasi", note col nome di Early, Middle e Late Stone Age, i cui limiti cronologici e il cui significato non sono stati tuttavia mai chiaramente definiti, dal momento che, come è stato osservato da alcuni autori, vi sono diversi elementi di continuità fra tecnocomplessi e tradizioni culturali che si sviluppano nel corso di queste fasi.
Un approccio più attuale per una sintesi della periodizzazione degli eventi culturali della preistoria antica africana tiene conto di alcune grandi suddivisioni geografiche quali l'Africa settentrionale, orientale, centrale e meridionale e la valle del Nilo, nell'ambito delle quali vengono distinte grandi tradizioni culturali o subtradizioni a estensione regionale. I lemmi presentati in questa sede riflettono questo approccio, nel senso che si riferiscono sia a siti sia a raggruppamenti culturali di maggiore estensione, con l'intento di offrire un panorama della complessità del divenire preistorico africano. Per molti aspetti, che attengono alla evoluzione dei primi Ominidi, alle origini del genere Homo, alle prime manifestazioni di attività strumentale, alla prima dispersione degli Ominidi al di fuori del continente africano, alla nascita e alla diffusione di un grande tecnocomplesso quale l'Acheuleano, all'origine dell'uomo anatomicamente moderno e alla precoce comparsa di manifestazioni simboliche, il contributo dell'Africa appare essenziale per le conseguenze che ne deriveranno nel resto del mondo.
Fin dal 1924, anno in cui fu scoperta la prima australopitecina a Taung nella Repubblica Sudafricana, la diffusione degli Ominidi plio-pleistocenici ha indicato la sua crescente complessità.
Nell'arco dei circa 2-3 milioni di anni (m.a.) successivi alla prima ramificazione che separò la linea degli Ominidi da quella delle scimmie africane, il gruppo delle australopitecine si diversifica in almeno 8 o 9 specie diverse: Australopithecus ramidus (4,4 m.a., Etiopia), A. anamanesis (4,2-3,9 m.a., Kenya), A. afarensis (3,9-2,8 m.a., Africa orientale), A. barhelghazali (3,4-3,0 m.a., Ciad), A. aethiopicus (2,7-2,3 m.a., Africa orientale), A. africanus (3,0-2,3 m.a., Repubblica Sudafricana), A. garhi (2,5 m.a., Etiopia), A. robustus (1,8-1,0 m.a., Africa orientale), A. boisei (2,3-1,0 m.a., Africa orientale), che condividono lo stesso ambiente di savana più o meno aperta, ma che sfruttano probabilmente, al suo interno, diverse nicchie ecologiche con adattamenti non competitivi e che perfezionano, in gradi diversi, l'abitudine alla bipedia.
Questo polimorfismo non è un fenomeno esclusivo degli Ominidi, ma costituisce un aspetto frequente nel regno animale: circa 2 m.a., nel continente africano esistevano per lo meno 20 specie di Suidi, rispetto alle 3 attuali, e circa 10 specie di grandi carnivori. È stato osservato che la proliferazione di specie costituisce la "materia prima dell'evoluzione" ed è noto che non vi è alcun orientamento lineare o tendenza nell'evoluzione stessa, ma piuttosto una serie di tentativi, o di improbabili eventi e coincidenze (climatiche, ambientali, comportamentali), che hanno favorito, nello stesso tempo, l'estinzione di molte specie e la sopravvivenza di altre.
Alcune delle australopitecine robuste si caratterizzano per una specializzazione dei denti che suggerisce una dieta vegetariana, basata sulla continua masticazione di sostanze fibrose. In epoca pressappoco contemporanea, intorno a 2,5 m.a. ma forse anche prima, sarà un'altra specializzazione, verso un cervello di maggiori dimensioni, a caratterizzare la successiva evoluzione degli Ominidi, con la comparsa dei primi rappresentanti del genere Homo. La transizione tra le australopitecine plio-pleistoceniche e i primi rappresentanti del genere Homo ha contorni poco definibili, sia per la carenza di documentazione, sia perché una netta distinzione tra i comportamenti ricostruibili per questi due gruppi di Primati è piuttosto sfumata, o forse del tutto inesistente, così come altrettanto tenui sono le distinzioni fra i modelli di comportamento dei primi Ominidi e quelli delle scimmie africane biologicamente a noi più vicine.
Anche il genere Homo è fortemente politipico sin dall'inizio come anche la sua storia (fino alla comparsa dell'uomo anatomicamente moderno in qualche parte del continente africano circa 300.000/150.000 anni fa, o forse molto prima come sembra indicare il cranio rinvenuto a Buia in Eritrea nel 1995) è caratterizzata da tentativi riusciti e fallimenti, nonostante essa sia stata, a un certo punto, in qualche modo corretta, modificata e orientata da una capacità di cultura che si può identificare nella dipendenza sempre più accentuata dalla tecnologia e nell'uso sempre più frequente e avvolgente di simboli.
Risale al 1964, cinque anni dopo la scoperta a Olduvai del primo fossile che verrà attribuito a questo genere, la definizione di Homo habilis proposta da L.S.B. Leakey, Ph.V. Tobias e J.-R. Napier. Accettato per molti anni, anche se alcuni ricercatori ritennero fin dall'inizio che i fossili attribuiti a Homo habilis rappresentassero piuttosto una popolazione di Australopithecus africanus, lo status di Homo habilis e la sua posizione tassonomica cominceranno a essere rimessi in discussione solo una ventina di anni più tardi. Influirà anche, in questa revisione, la scoperta da parte di T.D. White e D.C. Johanson, nella località di Olduvai nota come DDH e databile a 1,8 m.a., di uno scheletro parziale di Homo habilis (OH 62) ricomposto da oltre 300 frammenti riferibili al cranio e alla mandibola, ma anche a numerose ossa lunghe (radio, omero, femore e tibia) che mostrarono per la prima volta le piccole dimensioni di questa specie e i suoi indiscutibili caratteri arcaici.
Nuovi ritrovamenti effettuati in anni più recenti e un riesame di diversi fossili, i primi dei quali (KNM ER 1470) furono scoperti nel 1972 a Koobi Fora, hanno condotto a una più complessa tassonomia dei primi rappresentanti del genere Homo, la cui origine è attualmente documentata, come si è accennato, intorno a 2,5 m.a., in epoca cioè pressappoco corrispondente o immediatamente successiva alla prima comparsa di una attività strumentale (Hadar in Etiopia) e di resti di fauna con tracce di scarnificazioni intenzionalmente prodotte da strumenti litici (Bouri in Etiopia).
Attualmente una parte dei resti inizialmente attribuiti a Homo habilis è riferita a Homo rudolphensis, mentre le forme più antiche di Homo erectus, che compaiono in Africa orientale tra 2 e 1,6 m.a., sono attribuite a Homo ergaster, alla cui specie, ad esempio, è riferito lo scheletro di adolescente (KNM-WT-15000) che venne rinvenuto nel 1984 a Nariokotome, a ovest del Lago Turkana in Kenya, e che è stato datato a 1,6 m.a.
Le prime manifestazioni di attività strumentale archeologicamente riconoscibili risalgono, sulla base dell'evidenza africana, a circa 2,6 m.a., a epoca cioè pressappoco corrispondente alla prima comparsa di fossili attribuiti al genere Homo. Non è certo se esista effettivamente una relazione tra questi due eventi; secondo molti autori, anche se la documentazione archeologica in tal senso non è chiara, diverse specie di Ominidi della fine del Pliocene possono avere posseduto una capacità di cultura e avere pertanto trasformato e utilizzato strumenti di pietra, di legno o di osso. La contemporaneità tra alcune specie di Australopithecus e di Homo, unitamente alla loro lunga coesistenza nella medesima nicchia ecologica fino a un'epoca abbastanza avanzata del Pleistocene inferiore, rendono probabile, ma ancora non documentabile, questa ipotesi.
In conseguenza della dilatazione dell'accezione originale dell'Olduvaiano e del progredire degli studi sull'etologia dei Primati, l'interpretazione dell'Olduvaiano segue attualmente orientamenti in parte tra loro divergenti e opposti. Il primo è basato sui criteri derivati dall'applicazione delle teorie di J. Piaget all'interpretazione della complessità tecnologica dell'Olduvaiano ripresi da T. Wynn, su un certo tipo di analisi tipologica dei materiali di Olduvai e di Koobi Fora, sull'apporto dei risultati delle ricerche sul comportamento dei Primati e su una conseguente attitudine comparativa tra archeologia delle origini ed etologia.
T. Wynn, R. Foley, W.C. McGrew, C.E.G. Tutin e molti altri primatologi, ma anche alcuni archeologi, possono essere considerati i partigiani di questa interpretazione dell'Olduvaiano, come di un insieme di strumenti la cui preparazione e utilizzazione richiederebbero una capacità cognitiva al livello delle scimmie antropomorfe. Un articolo di Wynn e McGrew del 1989, dal significativo titolo An Ape's View of the Oldowan, presenta un'eccellente sintesi di questo tipo di approccio, secondo il quale l'Olduvaiano potrebbe anche essere il risultato di attività di scimmie antropomorfe piuttosto che di Ominidi.
Con un'ottica analoga vengono affrontati i problemi relativi ai processi di formazione dei siti olduvaiani. L'ipotesi alternativa a quella dei "campi base" inizialmente suggerita da G.Ll. Isaac è che questi palinsesti rappresentino piuttosto una sorta di luoghi di "picnic", nei quali gli Ominidi trasportavano parte delle prede acquisite tramite attività di caccia o di predazione di carcasse, per poterle consumare in relativa tranquillità. Il problema dei siti e non-siti nell'evidenza del Plio-Pleistocene ha caratterizzato, almeno negli ultimi trenta anni, il dibattito sul "periodo delle origini".
Studi comparativi sulla tafonomia dei siti archeologici e sugli accumuli di resti nei siti frequentati dagli scimpanzé sembrerebbero confortare questa interpretazione dei siti olduvaiani, mentre recenti ricerche sui processi di formazione dei siti con addensamenti di resti archeologici e paleontologici dimostrerebbero che lunghi periodi di tempo, anche dell'ordine di centinaia e di migliaia di anni, sarebbero una condizione necessaria per giustificare tali paleosuperfici. Studi tafonomici effettuati sui resti di faune conservati in alcuni siti a Olduvai hanno indicato tuttavia che il loro accumulo poteva avere richiesto un periodo variabile da cinque a dieci anni e che nel corso di questo tempo lo stesso sito poteva essere stato visitato ripetutamente e manomesso per quanto riguarda il suo contenuto paleontologico da predatori carnivori. Analoghi episodi sono stati messi in rilievo in un altro sito olduvaiano, FxJj 50 nell'Est Turkana, il cui periodo di formazione è stato calcolato nell'ordine di circa un anno.
Un diverso orientamento vede invece nelle stesse concentrazioni più o meno elevate di strumenti e fauna il risultato principale di un'attività di tipo umano ben controllata, riflesso di una certa complessità di comportamento; recenti modelli sperimentali sembrano del resto confortare questa opinione, che non mette in discussione l'eventualità della concomitanza di fattori diversi da quello umano nella configurazione di questi palinsesti. Questo secondo orientamento, che si potrebbe definire "classico" o "tradizionalista", sostenuto da una parte non trascurabile di archeologi e che segue, talora anche con modificazioni importanti, l'approccio suggerito negli anni Settanta e Ottanta del Novecento soprattutto da G.Ll. Isaac, continua a considerare l'Olduvaiano (stricto sensu), vale a dire il periodo compreso tra circa 1,9 e 1,5 m.a., come una facies archeologica, i cui processi sono suscettibili di analisi esattamente come quelli di periodi successivi.
La produzione litica mostra un controllo sempre più accurato delle conseguenze delle fratture e della morfologia generale degli strumenti, che rivela un'ormai acquisita capacità cognitiva di prevedere sequenze operative, la cui complessità sembra subire un ulteriore incremento verso 1,5 m.a., con la prima diffusione dell'Acheuleano in Africa orientale e meridionale. Contrariamente a quanto è stato affermato da alcuni ricercatori, l'analisi dei manufatti olduvaiani mostra la realizzazione costante e continua di progetti tipologici ormai prefissati nella mente dell'operatore e questa diversificazione dei tipi di strumenti suggerisce differenze di situazioni, di comportamenti e di attività. Intorno a 1,5 m.a. siamo di fronte a un nuovo importante e controverso momento di transizione, con innovazioni tecnologiche da cui prende lentamente origine l'Acheuleano africano.
Nonostante diversi autori considerino questo tecnocomplesso come successivo e distinto dall'Olduvaiano, appare evidente che, per molti aspetti, l'Acheuleano affonda le sue radici nei precedenti complessi olduvaiani e che questi ultimi, nelle loro manifestazioni più tardive, sono in parte contemporanei ai primi siti che possiamo definire chiaramente "acheuleani".
L'Acheuleano si diffonde in Africa durante il Pleistocene inferiore, ma proprio a causa di questa sua presumibile derivazione da complessi olduvaiani è impossibile stabilire con esattezza una chiara cesura tra le due tradizioni tecnologiche. I complessi dell'Olduvaiano e soprattutto quelli della sua parte finale (Olduvaiano evoluto), databili intorno a 1,7-1,4 m.a., già contengono, anche se in percentuali molto limitate, manufatti bifacciali su grandi schegge, sia pure ottenuti con procedimenti tecnici che appaiono sostanzialmente diversi da quelli pienamente acheuleani.
Intorno a 1,5 m.a., siti come Konso Gardula in Etiopia dimostrano l'acquisizione delle sequenze operative che permettono l'ottenimento di grandi schegge e la loro successiva trasformazione in strumenti bifacciali, picchi e triedri. Per quanto è possibile stabilire sulla base delle conoscenze attuali, queste prime manifestazioni dell'Acheuleano sono note in Africa orientale, oltre che nel già citato sito di Konso Gardula, anche nel Lemuta Member del Bed II di Olduvai in Tanzania intorno a 1,4 m.a. e nella Repubblica Sudafricana a Swartkrans e Sterkfontein tra 1,7 e 1,4 m.a. In epoca di poco più recente, tra 1 e 0,7 m.a., l'Acheuleano si diffonde in molte altre aree del continente africano, come a Gadeb e a Melka Kunture in Etiopia (dove i più antichi livelli acheuleani di Simbiro sono datati intorno a 1 m.a. e quelli di Gombore II a 0,8 m.a.), o in diverse altre località come, ad esempio, a Olorgesailie e a Isenya in Kenya.
Pressappoco nella stessa epoca, complessi acheuleani sono noti anche nell'Africa mediterranea come, ad esempio, all'Ain Hanech in Algeria o nella Cava Thomas 1 a Casablanca in Marocco, mentre più rari sono i siti finora segnalati in Africa occidentale. Nel Deserto Occidentale egiziano l'Acheuleano è noto fin dai primi decenni del secolo scorso grazie alle ricerche effettuate da G. Caton-Thompson ed E.W. Gardner nelle oasi di Kharga e Dakhla. Altri siti individuati in anni più recenti sono il sito 8715 di Umm Shagir, Arkin 8 in Nubia, il sito 8817 nell'oasi di Dungul e BS14 nella depressione di Bir Sahara. Piuttosto tarde appaiono le presenze acheuleane lungo l'Atbara in Sudan, mentre gli scavi effettuati nel 1949 ad Abu Anga vicino a Khartum da A.J. Arkell hanno permesso di recuperare manufatti attribuiti da F. Wendorf all'Acheuleano lato sensu.
Alcuni autori hanno proposto una suddivisione dell'Acheuleano in tre principali fasi, la prima delle quali è compresa tra 1,6 e 1 m.a., la seconda tra 1 e 0,5 m.a. e la terza tra 0,5 e 0,2 m.a. Si tratta di una distinzione basata sui pochi siti ben datati in termini di cronologia assoluta o di sequenze stratigrafiche effettivamente controllabili, alla quale tuttavia non corrispondono quasi mai una chiara variabilità tecno-tipologica o evidenti differenze nella struttura dei siti di abitato e del modo di vita. Per gran parte della sua durata, l'Acheuleano africano, come del resto anche quello europeo e quello, finora poco conosciuto, del continente asiatico, appare infatti una tradizione piuttosto omogenea, conservativa e ripetitiva, soprattutto nelle sue principali manifestazioni litiche, la cui datazione, nella maggior parte dei casi, resta pertanto incerta, se non impossibile, qualora effettuata su basi essenzialmente tecno-tipologiche o quantitative (maggiore o minore frequenza di manufatti bifacciali) o metriche (maggiori o minori dimensioni degli stessi). Oltre alla presenza di manufatti su schegge di grandi dimensioni (bifacciali, hachereaux, triedri e picchi), associati a un insieme quantitativamente variabile di schegge più o meno ritoccate, diverse tecniche di messa in forma dei nuclei e di procedimenti di taglio, quali il metodo Kombewa, la tecnica Levallois e una particolare preparazione degli hachereaux nota col nome di "metodo Tabalbalat-Tachengit", compaiono nel corso dell'Acheuleano e si generalizzano nella sua parte terminale. Le apparenti differenze tra la maggior parte dei complessi acheuleani del Pleistocene inferiore e medio sono per lo più riconducibili alle diverse materie prime localmente utilizzate, mentre solo nelle ultime fasi cominciano a essere riconoscibili vere e proprie differenziazioni regionali o stilistiche.
L'Acheuleano africano appare caratterizzato dalla frequentazione di siti all'aperto ai margini di corsi di acqua e di specchi lacustri o ubicati nelle vicinanze della costa, ma alcuni rari insediamenti quali, ad esempio, Montagu Cave, Cave of Hearths, Olieboompoort e Wonderwerk nella Repubblica Sudafricana, sono documentati anche all'interno di cavità naturali. Nonostante la maggior parte dei siti in cui si è conservata la fauna indichi un approvvigionamento di selvaggina basato su un ampio spettro di specie, diversi siti africani quali, ad esempio, Elandsfontein nella Repubblica Sudafricana, Gadeb in Etiopia, Barogali a Gibuti, Mwanganda in Malawi e il sito BK a Olduvai Gorge documentano l'utilizzazione occasionale di singoli animali di grossa taglia, quali ippopotami o elefanti, analogamente a simili evidenze già note durante l'Olduvaiano. Con qualche eccezione come, ad esempio, il sito DE 89/B a Olorgesailie, dove appare ben documentata una caccia specializzata a numerosi babbuini di giovane età, chiare evidenze di attività di caccia non sono facilmente documentabili e l'accesso ad animali di grande e media taglia può essere spesso avvenuto come conseguenza di un'attività di predazione di carcasse abbattute da carnivori.
Diverse ricerche sembrano infine confermare una ricorrente utilizzazione dei bifacciali per il taglio o la lavorazione di materiale ligneo. L'evidenza più antica in questo senso è rappresentata dai microresti di acacia aderenti ai margini di alcuni bifacciali rinvenuti nel sito di Peninj in Tanzania, datato a 1,5 m.a. Microanalisi delle tracce di usura su bifacciali di Wonderwerk Cave nella Repubblica Sudafricana suggeriscono un'analoga utilizzazione di questi manufatti sul legno, confermata dai frammenti di legno lavorati rinvenuti nel sito acheuleano di Amanzi Springs nella Repubblica Sudafricana e nei livelli acheuleani di Kalambo Falls in Zambia, dove sono anche conservati frutti e semi di piante commestibili. Nei livelli inferiori della già citata Wonderwerk Cave, accumuli di ceneri e ossa, insieme a pietre sottoposte a intenso calore, riflettono una delle più antiche testimonianze di una costante utilizzazione del fuoco.
Sia Homo ergaster sia Homo erectus appaiono associati alla fase antica di questo tecnocomplesso, durante la quale, in alcuni siti, è ancora presente la forma robusta delle australopitecine, Australopithecus boisei. I primi rappresentanti di Homo sapiens arcaico sono associati, a partire da poco meno di 500.000 anni fa, a complessi dell'Acheuleano superiore e finale come, ad esempio, Bodo in Etiopia, o di transizione verso la Middle Stone Age come Garba III a Melka Kunture in Etiopia e Elandsfontein nella Repubblica Sudafricana, mentre la stessa specie è frequente nei siti attribuiti alle diverse fasi della Middle Stone Age.
Nei pochi siti in cui l'Acheuleano finale appare in sequenze stratigrafiche continue, come a Cave of Hearths, Olieboompoort, Wonderwerk e Montagu Cave, esso è ricoperto da livelli riferibili alla Middle Stone Age. Una serie di datazioni, ottenute con diversi metodi (racemizzazione degli aminoacidi, risonanza di spin elettronico, potassio-argon 40K/40Ar) in alcuni giacimenti africani, indica un'età intorno a 250.000 anni per la transizione Acheuleano/Middle Stone Age. I livelli acheuleani di Kapturin in Kenya e Isimila in Tanzania sono datati rispettivamente a 230.000 e 260.000 anni (potassio-argon 40K/40Ar), mentre quelli Middle Stone Age di Gademotta in Etiopia, di Malewa Gorge in Kenya, di Twin Rivers in Zambia e di Florisbad nella Repubblica Sudafricana hanno datazioni comprese tra circa 180.000 e 280.000 anni.
Una serie ormai ampia di resti fossili sembra confermare l'origine africana della forma anatomicamente moderna di Homo sapiens. È opportuno ricordare, tuttavia, che l'esatta posizione tassonomica di alcuni fossili, come anche la loro precisa attribuzione cronologica, sono ancora oggetto di discussione. Alcuni tra i più antichi di essi sono associati a tecnocomplessi acheuleani, ma la maggior parte è stata rinvenuta in contesti riferibili alle varie fasi della Middle Stone Age. Importanti particolari anatomici evidenziati nel cranio rinvenuto nel 1995 a Buia, in Eritrea, sembrano tuttavia indicare un'origine assai più antica dei caratteri che diventeranno tipici dell'uomo anatomicamente moderno. Anche in considerazione della cronologia riportata nella tabella, ottenuta in gran parte grazie all'utilizzazione di metodi di datazione recentemente messi a punto, diverse scoperte effettuate per lo più nella Repubblica Sudafricana suggeriscono la necessità di una revisione sostanziale relativamente alle origini del comportamento umano moderno, soprattutto per quanto riguarda le prime manifestazioni di un pensiero simbolico.
Tra le possibili evidenze di una precoce capacità degli Ominidi al riconoscimento di oggetti iconici deve essere ricordato un piccolo ciottolo di diaspro la cui forma naturale può aver suggerito una testa, rinvenuto nel deposito ad australopitecine di Makapansgat, che è stato recentemente interpretato come un indizio dell'esistenza di incipienti strutture neurali capaci di interpretare la relazione tra significante e significato. A tempi più recenti risale una delle più antiche evidenze africane di un uso estensivo e diffuso di sostanze coloranti quali l'ematite rinvenuta nel sito di Wonderwerk Cave nella Repubblica Sudafricana. Nei diversi livelli acheuleani sono stati rinvenuti resti di questo ossido di ferro in associazione con bifacciali e con frammenti di quarzo di provenienza esotica. Un frammento di legno con incisioni lineari è stato segnalato nei livelli della Middle Stone Age di Florisbad nel Free State con datazione ESR (risonanza di spin elettronico) a 270.000 anni. Nelle grotte di Bambata e di Pomongwe (Zimbabwe), la cui datazione si aggira intorno a 125.000 anni, sono state rinvenute alcune tra le più antiche evidenze di utilizzazione dell'ocra.
Gusci di uova di struzzo con incisioni intenzionali provengono dai livelli di Howieson's Poort della grotta Apollo 11 in Namibia, databili a 80.000/70.000 anni, e da quelli Middle Stone Age di Diepkloof Cave, nella Repubblica Sudafricana, datati con il metodo della termoluminescenza a circa 70.000 anni fa.
La migliore evidenza della precoce comparsa di un comportamento moderno in relazione alla produzione e condivisione di simboli iconici proviene da Blombos Cave nella Repubblica Sudafricana. Si tratta di due piccoli frammenti di ocra rinvenuti tra il 1999 e il 2000 da C. Henshilwood nei livelli della Middle Stone Age e datati col metodo della termoluminescenza a oltre 75.000 anni. Entrambi i frammenti sono stati preventivamente raschiati in modo da ottenere una superficie liscia e successivamente incisi con tratti lineari campiti da una serie di rombi contigui. Manifestazioni di arte parietale più recenti e complesse risalgono in Africa a poco meno di 30.000 anni fa, in epoca pressappoco contemporanea allo sviluppo dell'arte parietale nell'Europa occidentale.
Particolarmente significative sono le sette piccole lastre dipinte con carboncino, ocra e pasta bianca scoperte da W. Wendt nel 1969 in un livello datato al 27.000 B.P. nella grotta Apollo 11 nella Namibia meridionale. Su di esse sono raffigurati un rinoceronte, un'antilope, una zebra e un probabile felino con gli arti posteriori umani. Pietre incise con disegni geometrici e raffigurazioni di animali sono state infine rinvenute a Wonderwerk Cave nella Repubblica Sudafricana in contesti datati all'8200 a.C. e in associazione con una tecnologia litica della Late Stone Age.
Bibliografia
P. Beaumont - H. de Villiers - J. Vogel, Modern Man in Sub-Saharan Africa prior to 49.000 B.P.: a Review and Evaluation with Particular Reference to Border Cave, in SouthAfrJSc, 74 (1978), pp. 409-19; J. Chavaillon et al., From the Oldowan to the Middle Stone Age at Melka Kunture (Ethiopia). Understanding Cultural Changes, in Quaternaria, 21 (1979), pp. 87-114; J. Chavaillon - A. Berthelet (edd.), The Use of Tools by Human and Non-Human Primates, Oxford - New York 1993; R. Foley, Humans before Humanity, Oxford 1995; S. Mithen, The Prehistory of Mind, London 1996; R. Klein, Archaeology and the Evolution of Human Behavior, in Evolutionary Anthropology, 9 (2000), pp. 17-36; C.S. Henshilwood et al., Blombos Cave, Southern Cape, South Africa: Preliminary Report on the 1992-1999 Excavations of the Middle Stone Age Levels, in JASc, 28 (2001), pp. 421-48; P. Mitchell, The Archaeology of Southern Africa, Cambridge 2002; T. Wynn, Archaeology and Cognitive Evolution, in Behavioral and Brain Sciences, 25 (2002), pp. 1-31; J. Martinez Moreno - R. Mora Torcal - I. de la Torre Sainz (edd.), Oldowan: rather more than Smashing Stones. First Hominid Technology Workshop (Bellaterra, December 2001), Bellaterra 2003.
di Barbara E. Barich
Il problema di base che l'archeologia africana ha dovuto affrontare sin dai suoi inizi è quello relativo alla matrice colonialista da cui nacquero i primi studi. Nel dibattito scientifico che si è andato sviluppando a partire dai primi decenni del Novecento (che vide in primo piano autori come L.S.B. Leakey, P. van Riet Lowe, J. Goodwin) uno dei punti di principio, una sorta di rivendicazione emblematica dell'autonomia dello sviluppo culturale del continente, fu la scelta di terminologie e definizioni plasmate specificamente per le inedite situazioni africane.
Late Stone Age è, appunto, la definizione dei complessi tecnologici e, più ampiamente, degli ambiti culturali che si sviluppano in Africa a partire dalle ultime fasi del Pleistocene, presentando chiari aspetti innovativi rispetto alle situazioni precedenti. Sancita in forma ufficiale dal Congresso Panafricano di Preistoria tenutosi a Livingstone nel 1955, da allora la definizione Late Stone Age è stata impiegata d'obbligo riguardo ai complessi subsahariani. Per l'Africa del Nord e il Sahara, si osserva tuttora il frequente ricorso a termini applicati anche ai contesti mediterranei, quali Epipaleolitico e Neolitico, benché, come viene detto più avanti, soprattutto quest'ultima definizione debba ritenersi inappropriata ai contesti africani.
Importanti trasformazioni nel tipo di organizzazione sociale e di aggregazione dei gruppi umani hanno luogo in Africa sul finire del Pleistocene. Si può dire che è da qui che le società si avviano ad assumere gli aspetti "moderni", con il cambiamento fondamentale da un'economia di tipo acquisitivo alla produzione di cibo.
Gli studi sullo sviluppo della produzione alimentare, sulla scorta delle acquisizioni delle ricerche multidisciplinari, hanno oggi corretto la concezione tradizionale (vedi la "rivoluzione neolitica" di V.G. Childe), nella quale si guardava al Vicino Oriente come ad area primaria di inizi di domesticazione di specie botaniche o faunistiche. Oggi è stata accantonata l'idea di spostamenti massicci e, soprattutto, quella di un unico centro primario di sviluppo con rapporti prioritari rispetto ad altri territori. Il fenomeno di domesticazione va ricostruito come processo che si svolse mediante lenti meccanismi, impiantatisi in tempi paleolitici. Certe acquisizioni più recenti non si potrebbero spiegare senza la presenza di attività di divisione e organizzazione del lavoro, che si affermano precocemente all'interno delle società di caccia avanzate. È attraverso lunghe pratiche messe a punto gradualmente che la società fu preparata ad accogliere il cambiamento. Ponendosi in questa prospettiva non esiste una frattura nel processo culturale, anche se le più evidenti manifestazioni di nuova organizzazione si colgono nella fase terminale del Pleistocene. L'affermazione di industrie su lama associate a Homo sapiens sapiens e il parallelo accentuarsi delle caratteristiche microlitiche sono fenomeni che interessano tutto il continente africano. Tale generale corrispondenza, pur attuatasi con cadenze cronologiche differenti nelle varie regioni, evidenzia l'importanza del ruolo dell'ambiente riguardo alle decisioni prese dai gruppi umani. La maggiore differenziazione industriale sembra adeguata alle esigenze di massima utilizzazione delle risorse, attraverso l'incremento di piccoli strumenti destinati alle attività della raccolta, della caccia e della pesca.
Un fenomeno che caratterizza la fase finale del Pleistocene, in presenza di condizioni ambientali instabili, è la tendenza ad aumentare l'affidabilità delle risorse, mediante la diversificazione nello sfruttamento. Si utilizzano nicchie in precedenza non ricercate (fenomeno di ampliamento dello spettro di risorse sfruttate) e, parallelamente, si introducono innovazioni tecnologiche. È da pensare che la maggiore efficienza tecnologica rese la raccolta di cibo assai produttiva, forse più produttiva delle strategie precedentemente impiegate. Tale aumento nella produttività fu, da ultimo, scavalcato dallo stesso aumento della popolazione e questo ridusse il numero totale di ore dedicate ad attività di procacciamento. I gruppi furono anche forzati a riesaminare la loro considerazione del valore nutritivo di piccole risorse, quali roditori, semi, lumache, pesci, insetti e conchiglie (Hayden 1981). Probabilmente la cognizione della disponibilità di animali di piccola taglia era di antica data, ma un loro uso effettivo e fortunato si determinò solo in rapporto alla messa a punto di uno strumentario efficace per la loro manipolazione. Inoltre, poiché le nuove risorse utilizzate erano praticamente inesauribili e anche molto produttive, nelle aree dove queste stesse specie dominavano si cominciò a produrre una gerarchia per ricchezza, insieme a una iniziale sedentarietà.
La caratteristica di trasformazione dello strumentario nelle fasi più aride del Pleistocene finale, contemporaneamente alla rarefazione dei Mammiferi di grande taglia, è un fenomeno ben noto e con un'ampia letteratura. Tranne rare eccezioni, esso è sintomatico di una nuova organizzazione dei gruppi umani. La diffusione delle industrie microlitiche, nell'area sahariana e nordafricana in generale, si accompagna a una altrettanto rilevante profondità temporale. Il fenomeno della riduzione degli strumenti e l'abbattimento del bordo fanno la prima comparsa negli ambiti dell'Iberomaurusiano (> 20.000 B.P.) e sono ben documentati dalle importanti sequenze di Tamar Hat, Taforalt, Haua Fteah. Le situazioni attribuite alla sfera iberomaurusiana illustrano efficacemente da quanto lontano questa trasformazione sia iniziata. Anche per l'area subsahariana le ricerche sul terreno modernamente orientate e, soprattutto, il contributo della cronologia assoluta hanno permesso di correggere molte precedenti ipotesi e di leggere più correttamente varie sequenze.
Per tutto il corso del Pleistocene l'uomo visse appropriandosi dei prodotti naturali e la sua sussistenza fu affidata a due fonti complementari: frutti, semi, radici, insetti, uova, conchiglie e grande e piccola selvaggina, pesci, uccellagione. È questo un tipo di economia definito in antropologia come "acquisitiva". È necessario bandire il concetto eccessivamente negativo che si accompagna con questo tipo di economia, come del resto i più recenti studi rivolti alle società di caccia-raccolta hanno fatto, rivalutando lo standard di vita e, anche, di complessità sociale che si accompagnò a questi gruppi (Ingold 1983, 2000; Testart 1982; Woodburn 1988). In generale, ma questo è vero soprattutto per le società di caccia più antiche, i membri delle società di cacciatori vivevano per lunghi periodi dell'anno in piccoli gruppi sparsi su ampi territori, cambiavano molto frequentemente le sedi, erano in possesso di una tecnologia assai semplice, con struttura sociale non stratificata. Una limitazione e il distanziamento delle nascite erano imposti dalle esigenze legate alla disponibilità del cibo. L'attività normale si svolgeva su territori che l'uomo raggiungeva in 1-2 ore di cammino dalla dimora-base. Tuttavia, assai precocemente, si mise in atto la prassi di sfruttare stagionalmente il territorio, andando a occupare nicchie ecologiche alternative, a seconda delle necessità stagionali.
Esempi efficaci di quello che è stato chiamato "uso programmato dell'ambiente" sono stati ricostruiti sulla base di alcuni famosi siti della valle del Nilo, quali Wadi Kubbaniya e Shabona. In passato, abitudini di questo tipo venivano considerate esclusive dei gruppi neolitici, mentre studi più approfonditi, che beneficiano dell'osservazione etnografica, hanno recentemente corretto tale ipotesi. A. Testart ha posto in risalto le diversità negli adattamenti della cultura dei cacciatori-raccoglitori e la coesistenza di gruppi sedentari e mobili con varie modulazioni intermedie, varie specializzazioni tecno-economiche, pratiche di immagazzinamento e strutturazione sociale (Testart 1982). È questo il modello di società che si è affermato alla fine degli anni Sessanta del Novecento sulla scorta delle discussioni introdotte dal testo Man the Hunter (Lee - de Vore 1968). Sono le posizioni teoriche che hanno portato all'affermazione del concetto degli affluent foragers e dei complex foragers, formulazione, quest'ultima, che comporta una complessità di organizzazione socio-economica e tecnologica.
La provincia settentrionale dell'Africa comprende un vasto territorio, dall'Atlantico al Mar Rosso e dal Mediterraneo alla parte sud del Sahara. Approssimativamente, il limite meridionale può farsi coincidere con i 16° Lat. N. L'intera area misura circa 10 milioni di km2 e include varie zone ambientali assai differenti per temperatura, vegetazione, orografia. La presenza dominante del Sahara ha comunque, in ogni tempo, imposto un certo grado di aridità fino alla fascia che costeggia il Mediterraneo. Le piogge, infatti, sono sempre state assai scarse, sia nella distesa sahariana sia nella valle del Nilo, qui regolate da un regime monsonico. Nel Maghreb e nel Nord-Est della Libia assumono invece importanza le piogge invernali. La vegetazione era distribuita in modo differenziato e aggregata in una quantità di tipi: conifere, foresta sempreverde e macchia nelle montagne del Maghreb e della Cirenaica, fino agli arbusti desertici e ai cespugli del Sahara e alla zona di steppa subdesertica, nei margini meridionali. Gli altipiani del Sahara (Tibesti, Ahaggar con altitudine fino a 3400 m s.l.m.) e le due sponde del Nilo conobbero in ogni tempo una maggiore abbondanza di vegetazione, che rappresentò un'anomalia nei confronti del deserto circostante.
È difficile trovare un sistema classificatorio accettabile per ognuna delle subregioni. Date recenti al radiocarbonio hanno convinto la maggior parte degli studiosi che l'intero Ateriano appartenga alla Middle Stone Age, come suggeriscono molti aspetti della tecnologia litica e della tipologia. Tuttavia, poiché la fase terminale di questa cultura non ha una cronologia chiara, si suppone che l'intervallo cronologico che la separa dai più antichi documenti della Late Stone Age non sia eccesivamente ampio. L'aumento del freddo nel tardo Pleistocene è registrato dallo spostamento verso il basso (ca. 1200-1000 m) della cintura vegetazionale in Marocco. In genere, l'ambiente doveva essere abbastanza arido e quasi del tutto privo di vegetazione. Lungo l'arido litorale libico gli aspetti ambientali tardopleistocenici, con l'instaurarsi della glaciazione, sono segnati da una accelerata attività sorgiva e, con il maximum glaciale, da periodici fenomeni torrentizi e da depositi glaciali sui fianchi collinari e nelle grotte.
Nel Sahara, seguendo un periodo di aridità molto accentuata che si sviluppa in questa regione nel tardo Pleistocene, tra il 70.000 e il 12.000 B.P. circa (con una fase massima in corrispondenza con la massima espansione di Würm, definita Kanemiano alle latitudini di Ciad e Niger), il ritorno di condizioni umide permette l'installazione di numerosi laghi. Verso il 12.000-10.000 B.P. si verifica il massimo di umidità con una piovosità superiore all'evaporazione e, probabilmente, piogge ben distanziate durante l'anno (Vernet 1995). Da allora, in tutte le regioni sahariane appaiono adattamenti sempre più differenziati e complessi, che indicano una maggiore interazione dei gruppi umani con l'ambiente circostante. Nel Deserto Occidentale egiziano le sequenze di Nabta e di Bir Kiseiba iniziarono al termine della stessa fase arida. La prima rioccupazione a Bir Kiseiba (denominata fase el-Adam e posta tra 10.000 e 8200 anni B.P.), è importante perché ha restituito alcuni antichi resti di bue, datati tra 10.220 e 9460 anni B.P. e considerati domestici da A. Gautier (1984). Anche se questa ipotesi è stata a lungo contrastata, essa è stata fondamentale per porre nella giusta luce i problemi della fase di produzione neolitica nel Sahara. Altre evidenze di condizioni umide nell'Olocene antico vengono dalle oasi di Selima, Siwa, Farafra, Dakhla e Kharga. Il Neolitico tipo el-Nabta (tra 8100 e 7900 anni B.P.) appare come una ricolonizzazione della stessa regione di Nabta-Kiseiba, al termine di un'oscillazione di estrema aridità e al ristabilimento di una nuova fase umida. Durante questo periodo, piogge più regolari favorirono un tipo di insediamento più stabile e anche la comparsa di un vero villaggio permanente. Nabta E-75-6 presenta due allineamenti di strutture (fondi di capanna, focolari, pozzetti di immagazzinamento) secondo una configurazione che richiama l'insediamento di Ti-n-Torha Est nel Tadrart Acacus in Libia. Le pietre da macina divengono ora molto numerose e resti concreti di grani di cereali selvatici (sorgo e miglio) sono apparsi nei nuovi scavi. Numerosi confronti sono stati stabiliti tra l'industria litica trovata nel sito Nabta E-75-6 con le industrie di altri siti del Deserto Occidentale, quali Wadi Bakht nel Gilf el-Kebir, Abu Ballas e Lobo di fronte al Great Sand Sea, l'orizzonte Masara B a Dakhla e l'orizzonte Olocene antico a Farafra.
Informazioni più precise relative al regime del Nilo sono derivate dai lavori della Combined Prehistoric Expedition diretta da F. Wendorf e R. Schild in Bassa Nubia e alto Nilo. Tali ricerche hanno permesso di riconoscere due principali fasi di deposizione alluvionale durante il tardo Pleistocene. A Wadi Kubbaniya i sedimenti della deposizione tardopaleolitica sono stati identificati a un'altezza di circa 12 m al di sopra dell'attuale letto del wādī e sono datati tra il 20.000 e il 12.400 B.P. Questo periodo vide un'attività ridotta del fiume in rapporto al clima più arido, impoverimento della vegetazione nella zona delle sorgenti, con conseguenti fenomeni di colluviazione delle sponde e di trasporto di ampie masse detritiche, che determinarono una rapida crescita della pianura alluvionale del Nilo (Wendorf - Schild - Close 1989).
L'attività del Nilo è solo parzialmente compatibile con quella dei laghi dell'Africa orientale. Calcoli aggiornati dell'entità dei sedimenti depositati durante l'Olocene iniziale, hanno permesso di correggere alcune assunzioni relative all'entità delle precipitazioni. Agli inizi dell'Olocene il bacino del Kenya avrebbe beneficiato di una quantità di precipitazioni superiore a 140-300 mm rispetto all'attuale. Tale maggiore piovosità avrebbe fatto crescere il livello dei laghi Nakuru-Elmenteita, del Lago Ziway-Shala e del Lago Naivasha. Mentre la fase di più intensa aridità (tra 20.000 e 15.000 anni B.P.), produsse una contrazione della foresta equatoriale in Ghana, Camerun, Gabon, con la ripresa delle piogge alla fine del Pleistocene la foresta pluviale tornò a espandersi. La cintura di vegetazione saharo-saheliana avanzò verso nord di circa 1000 km, incuneandosi all'interno del Sahara, e tutta l'Africa sperimentò una copertura vegetale assai più ricca.
La Repubblica Sudafricana, inclusa la provincia del KwaZulu-Natal, molto arida durante la massima espansione dell'Ultimo Glaciale, divenne assai più umida. Al contrario, la regione del Kalahari, nonostante la presenza di alcune ampie zone d'acqua (depressione di Makgadikgadi), fu nel complesso assai più arida di quanto non lo sia attualmente (Grove 1997).
Non si hanno prove convincenti di uno sviluppo delle industrie su lama direttamente dalle industrie Middle Stone Age in Nord Africa. Lo stesso Dabbano, presente in Libia nel periodo tra 40.000 e 20.000 B.P., sembrerebbe (come il più antico Preaurignaziano libico) una intrusione in Cirenaica. Fino al termine della Middle Stone Age i cambiamenti si susseguirono con una certa lentezza. Anche il Dabbano si presenta come una tradizione molto stabile. Solo posteriormente al 18.000 B.P., sia nella valle del Nilo, sia nei territori del Maghreb, si manifestano numerosi cambiamenti che si susseguono in forma sempre più rapida e continua. Questa radicata continuità tecnologica determinò il convincimento che tutte le industrie che vanno sotto l'ampia definizione di Late Stone Age fossero di età recente. Per questo, riguardo alle regioni ubicate a sud dell'equatore, venne stabilita una continuità tra le industrie Late Stone Age e le tradizioni etnografiche attuali o subattuali.
La maggiore diversificazione regionale, che caratterizza il Pleistocene finale, può essere la conseguenza di una più alta densità di popolazione e sintomo di forme specifiche di maggiore differenziazione negli adattamenti. Inoltre, la specializzazione tecnologica che allora si osserva riflette migliori mezzi di sfruttamento delle risorse. La maggiore efficienza nell'ambito degli strumenti è conseguenza dell'uso della tecnica della percussione indiretta su lama (punch technique). Si tratta dell'innovazione tecnologica, tipica appunto dei tardi tempi pleistocenici, che G. Clark classificò come Modo 4, all'interno di una scala di modi tecnologici (da 1 a 6) che l'autore propose con valenza globale (Clark 1977).
Culture la cui tecnologia è fondata principalmente su strumenti laminari ottenuti con percussione indiretta, presumibilmente adattati a nuove esigenze economiche, si impongono nel momento finale del Pleistocene. Parallelamente, la tecnologia su lama mostra un processo di miniaturizzazione, caratterizzato dalla progressiva riduzione degli elementi laminari (particolarmente lamelle e punte a dorso) e un'enfasi posta sugli strumenti geometrici. In queste industrie che, complessivamente, appartengono al Modo 5 della scala tecnologica proposta da Clark, la possibilità di usare piccoli strumenti immanicati e intercambiabili risponde al cambiamento nelle stesse attitudini di "cura" rivolte alle risorse vegetali. Si ha infatti ragione di credere che nella fase finale del Pleistocene si fosse determinato un crescente sfruttamento di risorse locali di cibo, soprattutto di piante (Smith 1982). L'enfasi su lame e lamelle è accompagnata dall'uso dell'osso nello strumentario e, a partire dall'Olocene antico, dalle prime produzioni ceramiche.
Il Nord Africa e la valle del Nilo - Le culture che interessano l'Africa del Nord, il Sahara e la valle del Nilo sono state classificate in un quadro organico, soddisfacente per i contenuti pertinenti i vari livelli, paleoantropologico, ecologico e di cronologia assoluta. Ne sono derivate ricostruzioni sensibili ai contenuti storico-antropologici delle realtà documentate e all'indagine dei processi fondamentali nello sviluppo socio-economico delle antiche comunità. Questi ambiti, infatti, si presentano come gli ambienti preparatori nei confronti dello sviluppo di attività di produzione alimentare. Per vari aspetti si può fare riferimento a fenomeni correlabili dell'area mediterranea, il che giustifica la terminologia, di ordine culturale e cronologico, adottata per le culture nordafricane e sahariane. Come detto in precedenza, per esse vengono tuttora utilizzati termini quali Epipaleolitico e Neolitico, con un esplicito riferimento alle denominazioni europee (Smith 1982; Sinclair - Shaw - Andah 1993).
Iberomaurusiano e Capsiano sono le due principali sfere culturali in cui si articola la Late Stone Age nordafricana. L'Iberomaurusiano ha una diffusione costiera, nell'entroterra umido del Tell, dal Marocco orientale fino al Golfo di Tunisi, con un ambito cronologico posto tra il 20.000 e il 10.000 B.P. La sua prima classificazione si deve a J. Roche (1963); successivamente J. Tixier (1963), dall'analisi dei vari giacimenti delle regioni maghrebine, creò un sistema che è stato accettato quale modello tipologico per tutte le industrie Late Stone Age/epipaleolitiche nordafricane. È noto che la definizione si è formata nel contesto degli studi nordafricani dei primi del Novecento, tendente a fornire una dimensione storico-geografica specifica agli aspetti archeologici e industriali. Al contrario, l'impostazione odierna individua, piuttosto, un orizzonte tecnologico Pleistocene finale in tutto il Nord Africa (ivi inclusa la valle del Nilo), che rappresenta l'ambito preparatorio di attività di produzione alimentare.
Gli elementi comuni a questi complessi epipaleolitici sono piccole lame e microliti che in certi casi rappresentano anche la metà di tutta la collezione. Pochi sono i bulini o i grattatoi su estremità, mentre il limitato numero di microliti geometrici è dato da triangoli, segmenti di cerchio e occasionali trapezi. La tecnica del microbulino (una tipica tecnica di manifattura degli strumenti geometrici) fu usata per produrre lamelle acute a dorso del tipo La Mouillah. L'armamentario pesante include grattatoi, intaccature, perforatori e macine. Assai interessanti, benché rinvenuti in numero limitato, sono gli strumenti di osso: punteruoli, lisciatoi, coltelli, punte. A Taforalt fu rinvenuto un frammento di arpione e a Tamar Hat un piccolo frammento riferibile a una figurina fittile. Sono stati rinvenuti anche alcuni oggetti di ornamento. L'alta presenza di lamelle nell'industria iberomaurusiana riflette funzioni alquanto complesse negli aspetti "barbati", o taglienti, o perforanti di strumenti compositi, il cui supporto di legno è scomparso.
Il tipo Mechta el-Arbi (o Mechta-Afalou), rappresenta il prototipo dell'uomo anatomicamente moderno nordafricano. Esso è apparso nelle numerose necropoli iberomaurusiane, ma un tipo sostanzialmente simile, denominato "mechtoide", è conosciuto anche nei cimiteri che, in forma assai più limitata (Gebel Sahaba, Tushka, tra i più noti), sono presenti nella valle del Nilo (Wendorf - Schild - Close 1989; Dutour 1997). Il tipo fisico capsiano tende a essere più gracile che non il Mechta el-Arbi, con facce lunghe e strette, piccole mandibole. I Capsiani furono chiamati da G. Camps "protomediterranei", implicando una relazione con gli attuali Berberi (Camps 1982). La cultura capsiana, definita da J. de Morgan (1909), per molti anni ha attratto l'attenzione degli studiosi. Oggi il suo peso si è molto ridotto per tempo e spazio e appare una cultura all'interfaccia Pleistocene/Olocene, il cui sviluppo, anzi, fu prevalentemente olocenico. Geograficamente, fu limitata alla Tunisia e alla provincia nord dell'Algeria. La sua durata può porsi, approssimativamente, tra l'11.000 e l'8000 B.P.
In certo modo il Capsiano è una industria transizionale che si estende dalla fine dell'Iberomaurusiano, industria pleistocenica, agli inizi di culture aventi tratti tecnologici più evoluti, ceramica e produzione di cibo (Lubell - Sheppard 1997; Barich - Conati Barbaro 2003). È verosimile pensare che alcuni gruppi capsiani, già adattati a forme di vita più sedentarie e a strategie di raccolta intensive, possano aver svolto la funzione di tramite per nuove tecniche di sfruttamento delle risorse, anche di provenienza esterna al Maghreb, diffusesi nell'VIII e nel VII millennio B.P. In sostanza questo complesso Late Stone Age/epipaleolitico può aver operato il progressivo passaggio all'economia di produzione pastorale nel Maghreb, il cosiddetto Neolitico di Tradizione Capsiana (Vaufrey 1933).
Nella valle del Nilo le industrie microlitiche della Late Stone Age sono state riconosciute e classificate nell'ambito delle ricerche della Combined Prehistoric Expedition, iniziate come attività di salvataggio dei depositi archeologici per l'innalzamento della diga di Assuan agli inizi degli anni Sessanta del Novecento. Questa attività, successivamente ampliatasi a varie regioni del Deserto Occidentale, ha prodotto un panorama assai articolato, particolarmente per le culture che si collocano tra il 19.000 e il 10.000 B.P. Ciò è valso, in parte, a sfatare la convinzione che la valle del Nilo rappresentasse un'area ultraconservatrice, dove la tecnologia litica sarebbe rimasta ferma a moduli epilevalloisiani.
Le più antiche industrie definibili come tardopaleolitiche sono registrate nell'area di Wadi Halfa. Mentre il Khormusiano è ancora nella tradizione Levallois, l'Halfano in Bassa Nubia e il Kubbaniyano in Alto Egitto, tra il 19.000 e il 17.000 B.P., mostrano una notevole componente microlitica, con microlame e microschegge, con alta incidenza del ritocco Ouchtata nel Kubbaniyano. Entrambe si presentano come industrie di cacciatori di savana dediti alla caccia di selvaggina di ampie dimensioni, quali bovini selvatici e alcelafi, ma anche pescatori nilotici e, a giudicare dall'alta presenza di pietre da macina nei vari complessi, anche raccoglitori di tuberi e erbe spontanee. L'utilizzazione del tubero di una pianta assai comune nell'habitat nilotico (Cyperus rotundus) è ben documentata a Wadi Kubbaniya, che ha fornito esempi di una utilizzazione assai complessa dell'ambiente sin da periodi così antichi. Lo sfruttamento di alte quantità di pesce e di piante selvatiche depone a favore di processi di trattamento e di immagazzinamento per un uso ritardato delle risorse. Aspetto, questo, fortemente innovativo nei confronti del costume di consumo immediato dei raccoglitori semplici.
Le industrie nilotiche della Late Stone Age mostrano elaborazioni e differenziazioni oltremodo complesse a partire dal 16.000 B.P., soprattutto in Alto Egitto. Le principali industrie sono correlabili con il regime alluvionale tardopaleolitico che, nel complesso, si sviluppò in una fase di ridotta portata del Nilo per l'impoverimento delle sorgenti. Ciò, comunque, non interruppe l'occupazione umana che, anzi, è attestata da una serie di siti assai ampi, sintomatici di una certa persistenza d'occupazione, e dallo sviluppo contemporaneo di attività economiche differenziate. Intorno al 12.000 B.P., in rapporto a una crisi di tipo arido, si diffusero pratiche di raccolta intensiva per integrare la dieta proteinica, ma, per il momento, non si determinarono veri insediamenti stabili; anzi, la risposta alle difficoltà climatiche fu una intensificazione delle attività di pesca, che si protrassero a lungo. Emblematico è il sito di el-Kab, nell'Alto Egitto, datato a circa l'8000 B.P. Si tratta di un accampamento di cacciatori e pescatori, che fu occupato per un breve periodo da gruppi umani che impiegavano un'industria altamente microlitica, in cui la maggiore componente è data dalle lamelle a dorso.
Benché manchino segni oggettivi di produzione alimentare, si può pensare che i gruppi nilotici delle fasi finali del Pleistocene fossero preadattati all'allevamento animale, attraverso il controllo di animali da gregge selvatici, come bovini e gazzelle. Tuttavia, qui l'allevamento animale, fondato su pecore e capre di provenienza dal Vicino Oriente, inizia intorno al 6500 B.P. (5000 cal. a.C.), insieme alla coltivazione di orzo e frumento, anch'essi di provenienza orientale. Il più antico esempio di società agricola conosciuto nella valle del Nilo (e in tutto il Nord Africa) è dato dalla depressione del Fayyum, nel Basso Egitto. In quest'area tra l'8000 e il 7000 B.P. si erano stanziati pescatori e cacciatori (Fayyum B/Qaruniano), che utilizzavano strumenti microlitici e arpioni di osso, nell'ambito di un'economia che continuava in pieno la tradizione epipaleolitica. Intorno al 6800 B.P. si insediano al Fayyum i primi gruppi di produttori di cibo (Fayyum A/Fayyumiano). Le caratteristiche di questa cultura, che conosce insediamenti stabili, pratiche di immagazzinamento dei cereali, grande abbondanza di risorse pienamente domesticate, fanno del Fayyum A una vera cultura neolitica che precorre gli insediamenti del successivo periodo predinastico.
L'Africa subsahariana - I contesti microlitici delle regioni subsahariane hanno finora offerto indicazioni assai limitate riguardo a un processo locale di preadattamento alla produzione alimentare, paragonabile con quanto appare nel Nord. Gli studi sono stati influenzati dai lavori pionieristici compiuti nella Repubblica Sudafricana tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento i quali, benché tesi a fornire un plausibile inquadramento dei dati allora identificati per la prima volta, furono ispirati a modelli interpretativi fortemente permeati da idee diffusioniste. Ogni avvenimento al Sud fu considerato come effetto di una diffusione dal Nord.
Notevoli cambiamenti si devono all'azione di ricerca, ai nuovi scavi e alle revisioni di vecchie collezioni, operati a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Numerosi progetti sul terreno, realizzati dall'Africa centrale (a opera di P. de Maret, M.K.H. Eggert, R. Lanfranchi, D. Schwartz) all'Africa meridionale (J. Deacon, R.G. Klein, J.D. Lewis Williams, J.E. Parkington), ispirati a metodi e tecniche aggiornati, forniscono nuove precisazioni e correzioni di prospettiva, rispetto ai vecchi inquadramenti. Il tema della produzione di cibo è stato sviluppato particolarmente in Africa orientale da parte di autori (S. Ambrose, J. Sutton, P.T. Robertshaw, D. Gifford-Gonzalez) direttamente impegnati sul terreno. Qui il fenomeno pastorale (Elmenteitano e Savannah Pastoral Neolithic) ha una rilevanza importante, ma si presenta come fenomeno tardo (IV-III millennio B.P.), dovuto a movimenti su ampia scala di popolazioni immigrate che assorbirono i cacciatori-raccoglitori locali.
I criteri che ispirarono il quadro della Late Stone Age nelle regioni subsahariane furono essenzialmente tecnologici, basati sulla similarità delle industrie scheggiate con quelle delle ultime società etnografiche in possesso di strumentario litico, con particolare riferimento alle piccole lame e all'uso del ritocco a bordo abbattuto. Come è stato più volte sottolineato (Smith 1982), queste industrie non si svilupparono ovunque con i medesimi tempi, anzi, alcune di esse devono essere ritenute assai più antiche di quanto comunemente si creda. Da un punto di vista puramente tecnologico, tuttavia, risulta all'osservazione un alto grado di similarità delle industrie microlitiche che, in linea generale, sembrano insediate nel subcontinente nell'Olocene antico-medio.
Nella Nigeria occidentale, Iwo Eleru è il sito con più ampia sequenza stratigrafica, i cui livelli basali si impiantano intorno all'11.000-10.000 B.P. Le caratteristiche microlitiche dell'industria sono evidenti sin dall'inizio dell'occupazione e constano di semilune, triangoli, tranchets, cui si aggiungono anche strumenti di media taglia, come punteruoli e grattatoi. A partire da circa il 5000 B.P. in tale contesto si inseriscono ceramica e industria di pietra levigata, ma la produzione litica perdura senza variazioni tipologiche di rilievo, fino alla metà del II millennio a.C. Somiglianze con questo sito sono state rilevate in altri insediamenti dell'Africa occidentale, tuttavia a Iwo Eleru è stato possibile isolare un orizzonte immediatamente precedente alla ceramica. Lo stesso si è dato a Kourounkorokale in Mali e ad Adwuku, in Ghana, mentre rimane incerta la posizione di Kakimbon in Guinea. La scoperta dei siti sopracitati, particolarmente quella di Iwo Eleru, al fondo della foresta, è una prova che l'apparente scarsità di industria Modo 5 contro quelle Modo 3, più antiche e documentate in forma più massiccia, non sia dovuta ad altro che a ricerche insufficienti. La penetrazione di industrie microlitiche in questo specifico ambiente di foresta, altrimenti dominato da industria Modo 3, ha suggerito contatti con l'ambiente microlitico del Sudan settentrionale (Phillipson 1982), operato da gruppi limitati che, stante l'ambiente forestale, non ebbero modo di diffondere la cultura in forma più massiccia.
Scarsa visibilità della produzione di cibo si ha in Africa centro-occidentale, territorio in qualche modo chiuso a forme di comunicazione con la parte meridionale e orientale del subcontinente per la presenza della foresta del bacino dello Zaire. Scambi furono pertanto possibili prevalentemente con le aree a nord e a nord-est, attraverso la fascia saheliana. Una delle principali aree di indagine è stata a lungo quella compresa tra l'Angola nord-orientale (area di Dundo-Lunda) e la Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) sud-occidentale (van Noten 1982). Un'area fortemente conservatrice, dove lo sviluppo industriale avvenne a partire dalla tradizione dell'industria sangoana e di quella, successiva, del Lupembo-Tshitoliano. Rinnovate ricerche in Africa centrale disegnano un quadro assai più articolato di quanto sia stato supposto in passato; la discordanza tecnologica esistente fra i vari complessi documentati appare in forma sempre più evidente. Industrie microlitiche Late Stone Age, con strumenti geometrici e a dorso, provengono da sequenze stratigrafiche ben datate della regione orientale (Matupi e Ishango), dal tratto interno della Repubblica Democratica del Congo (Lac Tumba) e, infine, dall'estremo limite occidentale (siti Late Stone Age individuati sulla costa atlantica del Gabon e nella provincia nord-occidentale del Camerun). Sulla base delle nuove date 14C questi ultimi siti sono attribuibili all'Olocene; al contrario la grotta Matupi e il riparo Shum Laka rivelano date tardo-pleistoceniche per le più antiche industrie microlitiche su quarzo (Matupi, > 40.000 B.P.; Shum Laka, ca. 30.000 B.P.). Entrambi questi rinvenimenti, in considerazione della loro alta età, sono stati considerati di transizione tra Middle e Late Stone Age (Cornelissen 1997; Clark 1999).
Nella regione dei Laghi, in Africa orientale, recenti datazioni 14C hanno corretto le ipotesi precedentemente formulate, che postulavano in assoluto un'alta datazione delle industrie Modo 5. Nel bacino del Lago Nakuru (Gregory Rift, Kenya) è diffusa l'industria denominata Capsiano del Kenya, industria su ossidiana la cui alta antichità fu sostenuta per la compresenza di tecniche microlitiche e tecnologia Modo 3. L'aspetto successivo di questa facies, denominato Capsiano Superiore del Kenya, e ultimamente Eburrano (Ambrose 1984), presenta una tecnologia meglio differenziata in cui, accanto alle lame e punte a dorso, si osserva la forte incidenza delle semilune e dei segmenti. Si tratta, in entrambi i casi, di culture di cacciatori evoluti che si collocano nell'ambito dell'Olocene (in base alle nuove date l'Eburrano è datato tra ca. il 10.000 e il 2500 B.P.). Nella sequenza riconosciuta nella Gamble's Cave (a sud del Nakuru) da L.S.B. Leakey (1931) sono state enucleate tre fasi successive (A-C). Nel passaggio tra la fase B e la fase C sono stati raccolti un frammento di arpione uniseriale e un frammento di ceramica. L'industria presenta lamelle a dorso, semilune, bulini, grattatoi su estremità, perline di uovo di struzzo e punte di osso. L'Elmenteitano rappresenta l'ultimo orizzonte di occupazione nella Gamble's Cave ed è associato a forme di produzione pastorale (date 14C nel III e II millennio B.P.).
Un ambiente analogo a quello del Kenya è rappresentato da un gruppo di siti concentrati sulle spiagge del Lago Rutingaze (ex Edoardo) e sulle banchine del Nilo Bianco. Il sito più rilevante è quello di Ishango, posto alla confluenza del fiume Semliki con il Lago Rutingaze, studiato da J. de Heinzelin de Braucourt (1957) e oggetto di nuove ricerche, tuttora in corso, da parte di J.E. Yellen e A.S. Brooks. Il giacimento preistorico è situato a un'altezza di circa 12 m al di sopra dell'attuale livello del lago e mostra una stratificazione in tre livelli, tutti pertinenti alla Late Stone Age. Nel corso dell'intera stratigrafia si osservano armature di arpioni, monoseriali e biseriali, con il passaggio da piccoli arpioni biseriali, nel livello inferiore, a grandi arpioni biseriali e, infine, di nuovo monoseriali al termine della sequenza. I piccoli arpioni biseriali furono forse utilizzati come armi per cacciare pesci, mentre quelli più larghi, sempre biseriali, che li sostituirono e che mostrano intaccature alla base per attaccare la lenza, sono veri e propri arpioni. È inoltre attestata un'industria su osso che comprende punte, punteruoli e aghi. I resti di fauna raccolti indicano un clima assai più umido dell'attuale. Le indicazioni cronologiche più recenti da questo sito hanno consentito di giungere, per le valve di conchiglia, a datazioni stimate tra il 17.000 e il 21.000 B.P. (Brooks et al. 1995; Yellen 1998; Brooks et al. in c.s.).
Rinvenimenti di arpioni dello stesso tipo, ma più recenti, sono stati effettuati lungo le antiche linee di costa del Lago Turkana, in Kenya ed Etiopia. Nella valle dell'Omo i depositi sono in rapporto alla massima estensione del lago nel primo Olocene. Gli arpioni raccolti sono datati al X-VIII millennio B.P. I siti di Lowasera e Lothagam (ca. 8000 B.P.) hanno restituito ceramica contemporanea agli arpioni di osso, decorata con motivi dotted wavy line (Barthelme 1977; Phillipson 1977). Si calcola che il livello del lago fosse allora circa 80 m al di sopra del livello attuale. Si deve supporre una continuità tra arpioni e ceramica del Lago Turkana e quelli del sito, in linea di massima contemporaneo, di Khartum, oltre 1500 km a nord-ovest, dove sono stati raccolti strumenti microlitici dominati da segmenti di quarzo, triangoli e forme trapezoidali insieme a lamelle a dorso rettangolari, accuratamente ritoccate alle estremità per utilizzazione in serie.
Sulla base del lavoro pionieristico di P. van Riet Lowe e J. Goodwin, a partire dal 1929 i complessi Modo 5 della Repubblica Sudafricana vennero classificati all'interno di due contesti fondamentali, Smithfield e Wilton, due entità non definite in base a precise considerazioni di ordine stratigrafico. Le ricerche successive, soprattutto a opera di J. Deacon, nel corso degli anni Ottanta del Novecento, hanno tuttavia portato a una notevole revisione degli schemi interpretativi. Sono stati soprattutto i nuovi scavi di Deacon nel sito eponimo Wilton che hanno consentito di individuare un orizzonte alla base della sequenza (precedentemente definito Smithfield A) tra il 12.000 e l'8000 B.P. e ad assegnarlo, invece, all'industria macrolitica Albany. Parallelamente, il riconoscimento di una ulteriore industria, caratterizzata da microlamelle e definita Robberg (tra il 20.000 e il 12.000 B.P.), ha contribuito a far apparire assai più complessa la successione culturale riconosciuta fino a quel momento. L'approccio utilizzato da Deacon ha tenuto ampiamente in conto la situazione ambientale e il modello di distribuzione degli insediamenti. I cacciatori-pescatori della regione del Capo sembrano utilizzare un sistema articolato di sfruttamento delle risorse marine sulla costa ma, anche, distribuirsi più all'interno, andando a occupare la regione montana per un'utilizzazione semiresidenziale del territorio.
L'Africa nord-orientale ha offerto un complesso di dati essenziali per lo studio dell'origine delle prime forme di allevamento. A questo riguardo i lavori della Combined Prehistoric Expedition, più volte nominata, hanno posto sufficientemente in risalto il ruolo delle comunità del primo Olocene nel Deserto Occidentale egiziano, quale ambito delle prime esperienze di domesticazione che, da questa regione, si sarebbero poi diffuse in larga parte dei territori africani, sia a ovest verso il Sahara centrale, sia a est verso la valle del Nilo. Da questo punto di vista e anche rispetto a pratiche incipienti di coltivazione, gli studi recenti hanno sufficientemente illuminato il ruolo rivestito da questo territorio e, insieme, dal territorio di tutte le oasi egiziane (Farafra, Dakhla e Kharga, in primo luogo), come aree autonome di esperienze protoneolitiche e quello di area di propulsione e intermediazione tra Sahara e valle del Nilo (Barich 2002, 2004).
Il tema della domesticazione locale del bue, a partire da prototipi selvatici di Bos primigenius, è stato dibattuto a lungo nella letteratura africanistica. L'area di Bir Kiseiba ha restituito oltre 10.000 resti faunistici dominati da specie adattate a clima arido (lepri e gazzelle). Alcuni resti, estremamente frammentari, di bue vennero determinati, in forma dubitativa, quali resti domestici o, almeno, in uno stadio incipiente di domesticazione (Gautier 1984). Venne soprattutto osservato che capi selvatici di Bovidi (bue o bufalo) non avrebbero assolutamente potuto sopravvivere con un grado di umidità così basso. Attualmente, le nuove indagini sul DNA mitocondriale del Bos hanno rivelato un'antica separazione (circa 25.000 anni fa) dei capi africani rispetto a quelli eurasiatici e indiani, convalidando l'ipotesi della indipendenza del processo di domesticazione bovina africana (Holl 1998). Il fenomeno si sarebbe sviluppato nella fase più antica dell'Olocene quando, con il ristabilimento del ciclo monsonico e la ripresa delle piogge estive, gruppi provenienti dalla valle del Nilo (da ambiti qadiani, probabilmente) andarono a rioccupare il territorio, rimasto iperarido per millenni. Il possesso di piccole greggi domestiche avrebbe reso più facile l'uso dei territori desertici, fornendo risorse di proteine disponibili durante le ricorrenti crisi climatiche. Questa ipotesi spiega anche la diffusione assai rapida dei capi bovini presso le comunità del Sahara centrale. Infatti, l'intervallo arido rilevato nelle sequenze sahariane tra il 7900 e il 7700 B.P. è da porre in rapporto con il parallelo intensificarsi dei primi esperimenti nella conduzione di greggi da parte dei gruppi presenti nel Sahara centro-occidentale (Barich 2002).
I dati relativi alle comunità oloceniche del Sahara centrale sono stati attribuiti a due categorie di documentazione. La più impressionante consiste nell'ampio repertorio delle figurazioni rupestri, incise o dipinte sulle pareti dei ripari sotto roccia nel Tassili n'Ajjer, nel Tadrart Acacus, nel Messak, nell'Ahaggar (Sansoni 1994; Muzzolini 1995; Mori 1998). Le prime scoperte di opere d'arte vennero effettuate, in modo casuale, da viaggiatori e, anche, da spedizioni militari. A partire dai primi decenni del Novecento, notizie relative alla presenza di arte rupestre venivano citate a proposito di quasi tutte le regioni nordafricane, dall'Algeria all'Egitto. Ben presto vennero elaborate le prime proposte di classificazione in stili e fasi, che mostravano faune di savana e faune domestiche, e stili più tardi che rappresentavano cavalli, carri e cammelli. Altrettanto importante è l'altro complesso di informazioni relative, più specificamente, alla cultura materiale e ai dati archeozoologici che provengono dagli scavi regolari nei principali siti alla frontiera libico-algerina: Ti-n-Hanakaten, il complesso del Ti-n-Torha, Uan Muhuggiag, Fozzigiaren, Uan Tabu, che hanno restituito prova di un'occupazione importante, a partire dalle prime fasi dell'Olocene, nel corso della quale vennero attuate forme di raccolta specializzata su cereali spontanei, insieme ai primi esperimenti di controllo delle greggi, nonché alla prima produzione ceramica. Questa regione svolse un ruolo chiave nel trasferimento di bestiame domestico dal Sahara orientale verso le regioni sud-occidentali. Ulteriori precisazioni circa gli sviluppi più tardi del pastoralismo sahariano sono venute dalle ultime ricerche nell'Acacus (Cremaschi - Di Lernia 1998) che mostrano un'ampia diffusione di siti, dall'Erg Uan Kasa fino al Tanezzuft, tra il 5000 e il 4000 B.P.
In Niger, i primi indizi di un'economia pastorale si rinvengono alla metà del VII millennio B.P., documentati da siti quali Dogomboulo e Rocher Toubeau e, soprattutto, dai siti dell'Adrar Bous. La cultura pastorale per eccellenza, il Tenereano, raggiunge il suo apice intorno al 5000 B.P. ed è particolarmente diffusa lungo il versante orientale dell'Air, tra l'Adrar Bous e Areschima (Roset 1987). L'economia di questi pastori comprendeva allevamento, caccia e abbondante raccolta di Graminacee selvatiche. Gli studi di F. Paris sulle sepolture neolitiche e post-neolitiche della regione dell'Adrar Bous hanno offerto dati originali circa la composizione del popolamento del tardo Olocene (Paris 1996; Paris 1997). Il periodo tra la metà del V e la metà del IV millennio B.P. vide l'immigrazione di gruppi sociali provvisti di una organizzazione strutturata, forse con presenza di élites che costruivano sepolture monumentali e, da un punto di vista paleo-antropologico, erano differenti dal tipo locale. Paris si chiede da dove provengano queste nuove popolazioni. Poiché i monumenti funerari sono destinati soprattutto a maschi, l'autore ritiene che essi siano stati destinati a figure di prestigio, a capi, all'interno di una organizzazione aristocratica assimilabile al chiefdom. La cultura tenereana giunge al suo fine intorno al 3800 B.P., in rapporto con un ulteriore aggravarsi delle condizioni climatiche.
Mentre nel territorio orientale culture agricole (orzo, frumento e lino erano le principali piante, associate a capra, pecora, maiale e cane) sono già ben rappresentate nel Delta del Nilo e al Fayyum da circa il 5000 a.C. (6800-6500 B.P.), nelle regioni costiere occidentali del Nord Africa i tratti di cultura materiale che comunemente vengono chiamati "neolitici" (ceramica, strumenti di pietra levigata e punte di freccia lavorate sulle due facce) sono attestati soltanto in un'area molto ristretta che fronteggia Gibilterra nel Marocco settentrionale (territorio di el-Khril presso Tangeri). Camps (1982) notava, riguardo ai resti bovini e caprovini associati in questi siti con ceramica in stile cardiale: "Parrebbe che in questa area l'introduzione di animali domesticati sia coincisa nel tempo con l'inizio della lavorazione della ceramica".
A Haua Fteah, la grotta posta sulla costa nord della Cirenaica (a 1 km ca. dalla costa), è stata rilevata una sequenza impressionante, documento di una occupazione praticamente continua lungo l'arco degli ultimi 100.000-80.000 anni. La fase F, documentata dai livelli VIII-VII (date dal 6800 al 4800 B.P. - 5000-2700 a.C.), fu attribuita da C.B.M. McBurney (1967), il primo archeologo che lavorò in questo sito, alla sfera del Neolithic of Libyco-Capsian Tradition. Secondo McBurney, la trasformazione culturale attestata dalla fase F non sarebbe da attribuire a vistosi cambiamenti etnici, giacché l'introduzione della ceramica e della tecnica di ritocco a pressione attestata dalle punte di freccia sarebbe occorsa all'interno di un contesto tecnologico pienamente condiviso dal locale orizzonte capsiano. A Haua Fteah si sono rinvenuti soprattutto caprovini (incerta è la presenza di bovini). I caprovini mostrano una notevole riduzione di taglia, tanto più evidente se confrontata con i livelli libico-capsiani (X-IX). Il cambiamento da un livello all'altro sembra piuttosto improvviso e non graduale, per cui E.S. Higgs (autore dello studio archeozoologico) ritenne che la capra fosse stata importata a un livello di domesticazione già avanzato.
Altre informazioni importanti circa l'organizzazione pastorale in queste regioni settentrionali provengono dalla Grotta Capéletti (Khanguet Si Mohammed Tahar), nella catena montuosa dell'Aurès in Algeria orientale (Roubet 1979). La grotta si trova a circa 1500 m s.l.m. e mostra una sequenza stratigrafica continua dovuta a processi di sedimentazione assai lenti che coprono, nel complesso, un periodo di circa 2000 anni nel medio Olocene (dal 6530 al 4300 B.P.). La fase più antica di occupazione (dal 6530 al 5900 B.P.) non mostra presenza di bestiame domestico, successivamente (a partire dal secondo periodo) la grotta fu abitata da pastori in possesso di uno strumentario di derivazione capsiana, cui si aggiunge una ceramica con fondi conici, anche decorata con impressioni, e manufatti in pietra levigata. Per le somiglianze con la sfera capsiana la cultura fu denominata Neolitico di Tradizione Capsiana. I gruppi umani sfruttavano un'ampia gamma di risorse, a parte il bestiame di piccola taglia. Essi infatti si nutrivano di molluschi, terrestri e d'acqua dolce, insieme a grandi quantità di specie botaniche selvatiche. Erano, inoltre, cacciatori di Mammiferi, antilopi e gazzelle soprattutto, e di avifauna. I dati disponibili parlano a favore di un sistema di transumanza tra la pianura, abitata in inverno, e l'altipiano, visitato durante l'estate (Holl 1998). Le dimensioni della Grotta Capéletti inducono a pensare che essa sia stata abitata da gruppi specializzati (task-groups) di giovani maschi addetti a condurre al pascolo il gregge.
C'è un chiaro décalage cronologico nella distribuzione dei siti pastorali al di fuori delle aree descritte finora, sia l'Africa saheliana sia le regioni subsahariane. Un limite obiettivo, come noto, fu dato dalla presenza della mosca tse-tse che infestava le regioni meridionali (poterono agire, però, anche limiti di ordine culturale). Sulla base dei dati disponibili non si conoscono evidenze di bestiame domestico sui margini nord-occidentali del Sahara, nell'area situata tra le aree algerine e marocchine dell'Atlas e Aurès, a nord, e il Tanezrouft a sud, lungo il margine tra Mali e Algeria. Questa area sembra essere stata abitata da gruppi mobili di cacciatori-raccoglitori (cultura di Hassi el-Abiod, cultura di Kobadi). In base a tali evidenze, si può affermare che la porzione nord-occidentale del Sahara non agì come corridoio di passaggio dei movimenti di bestiame domestico dal Nord (Aurès) verso l'Africa occidentale. Al contrario, i primi siti pastorali che datano al periodo 6000-5000 B.P. (come il famoso Adrar Bous in Niger) sono dislocati lungo il versante occidentale del Ténéré e di qui, probabilmente, si diffusero verso sud e sud-ovest, raggiungendo la costa atlantica del Sahara occidentale a Tintan e Chami, il bacino del Taoudenni a Erg-in Sakane nell'Adrar des Ifoghas, la valle del Tilemsi nel Mali, la Dhar Tichitt in Mauretania, la vallata dell'Azawagh nel Niger, spingendosi fino a Kintampo e Ntereso, nel Ghana.
Gli insediamenti della cultura Kintampo trovati a Bosumpra, Momute, Boyasi Hill, Daboya e Ntereso erano ambientati in un habitat foresta/savana. A. Stahl (1993) ha sottolineato il forte aspetto innovativo della cultura rispetto agli altri complessi Late Stone Age, pur evidenziando il perdurare, al suo interno, della locale tradizione Punpun, ritenuta la base da cui si originò la cultura orto-pastorale di Kintampo. Nuove date, provenienti dagli scavi condotti da Stahl nel sito K6, collocano la cultura Kintampo nell'ambito del II millennio a.C. Tra i nuovi elementi culturali è da considerare l'uso di capra e pecora, piante da olio (Canarium schweinfurthii), coltivazione dell'igname e, infine, forme di insediamento stabile. Kintampo offre un importante esempio di forme di coltivazione su specie propriamente africane, uno dei più tipici esempi di agricoltura indigena africana. A questo proposito, è importante sottolineare il ruolo svolto dalla raccolta come attività di base economica: semi, foglie, radici e corteccia di circa 200 specie venivano utilizzati come cibo e per altri usi, anche di tipo medicinale.
Queste forme iniziali vennero seguite da forme di raccolta più sistematica che, con il tempo, portarono alla piantagione intenzionale dell'igname. Riguardo alle specie animali domestiche, il loro arrivo in Africa occidentale viene posto in rapporto con l'aumentata aridità del Sahara e del Sahel e con la conseguente discesa verso sud di gruppi che già allevavano il bue, la capra, la pecora e coltivavano il miglio e il sorgo. Infine, come già ricordato, la cronologia del pastoralismo sudafricano è assai più recente. La pecora, infatti, penetrò nella regione del Capo intorno a 2000 anni fa, muovendo lungo la costa occidentale africana. Il bue domestico, invece, è un fenomeno sensibilmente più recente, in quanto venne introdotto nella Repubblica Sudafricana da gruppi che conoscevano il ferro nel corso del I millennio d.C.
Pur nella varietà degli adattamenti, le società della Late Stone Age conobbero vistose trasformazioni, in parte comuni all'intero continente africano. Tra queste è da porre un modo organizzato (ed elaborato) di utilizzare l'ambiente in rapporto a una tecnologia più versatile. Laddove siano stati impiegati approcci adeguati a rivelare le attitudini delle comunità nei confronti dell'ambiente, questi hanno posto in primo piano l'esistenza delle prime sperimentazioni nei confronti di attività di domesticazione. Da questo punto di vista le società Late Stone Age possono essere viste come società transizionali, nel corso delle quali vengono poste le basi di innovazioni ulteriori che appariranno con evidenza durante l'Olocene. Nel pieno Olocene il Sahara e il Maghreb vedono l'affermazione di una economia pastorale nomade: grande fenomeno di cambiamento che impronterà profondamente le società africane. Dall'area "nucleare", il Sahara orientale, le comunità pastorali muoveranno rapidamente verso il Sahara centrale, per ritornare verso il Nilo, il Sudan e, da qui, spingersi verso le regioni più meridionali. I percorsi seguiti sono segnati da insediamenti tipici, focolari, strutture megalitiche con sepolture, vasti depositi di ceramiche, monumenti funerari e di culto. Nel Sahara orientale, le traiettorie rivelano incroci tra l'area delle oasi egiziane e il Nilo. Intorno a questo nucleo portante di attività pastorali, nella valle del Nilo i focolari di attività agricole, su specie di importazione, hanno notevole rilievo.
In Africa centrale e occidentale le coltivazioni si rivolgono a specie arboree che hanno un carattere esclusivo del continente. Infine, più a sud, il processo di domesticazione iniziò molto più tardi. In alcuni casi esso coincise con l'introduzione della tecnologia del ferro, divenendo un preludio per l'emergere di una organizzazione complessa delle società. Questi sviluppi agricoli divengono, dunque, emblematici per l'origine di una tradizione africana genuina, che precede l'organizzazione degli Stati africani e che è del tutto diversa nei tempi, e modelli, dai processi ricostruibili per l'Europa e il Mediterraneo. In conclusione, sembra sempre più appropriato il concetto secondo cui l'archeologia dovrebbe essere orientata alla ricostruzione dei fenomeni nella loro complessità e originalità anziché essere rivolta alla creazione di entità tipologiche e schemi di successioni culturali, talora plasmati su situazioni estranee a quelle in studio.
Bibliografia
J. de Morgan, Les premières civilisations, Paris 1909; L.S.B. Leakey, The Stone Age Cultures of Kenya Colony, London 1931; R. Vaufrey, Notes sur le Capsien, in Anthropologie, 43 (1933), pp. 457-83; J. Roche, L'Epipaléolithique Marocain, I-II, Lisbonne 1963; J. Tixier, Typologie de l'Epipaléolithique du Maghreb, Paris 1963; C.B.M. McBurney, The Haua Fteah (Cyrenaica) and the Stone Age of the South-East Mediterranean, Cambridge 1967; R.B. Lee - I. de Vore (edd.), Man the Hunter, Chicago 1968; J.W. Barthelme, Holocene Sites North-East of Lake Turkana: a Preliminary Report, in Azania, 12 (1977), pp. 33-41; G. Clark, World Prehistory in New Perspective, London - New York 19773; D.W. Phillipson, Lowasera, in Azania, 12 (1977), pp. 1-32; C. Roubet, Économie pastorale préagricole en Algérie Orientale: le Néolithique de tradition capsienne, exemple: l'Aurès, Paris 1979; B. Hayden, Research and Development in the Stone Age: Technological Transition among Hunter-gatherers, in CurrAnthr, 22 (1981), pp. 519-48; G. Camps, Beginnings of Pastoralism and Cultivation in North-west Africa and the Sahara: Origins of the Berbers, in J.D. Clark (ed.), The Cambridge History of Africa, I. From the Earliest Times to c. 500 B.C., London - New York 1982, pp. 548-623; F. van Noten, The Archaeology of Central Africa, Graz 1982; D.W. Phillipson, The Later Stone Age in Sub-Saharan Africa, in J.D. Clark (ed.), The Cambridge History of Africa, I. From the Earliest Times to c. 500 B.C., London - New York 1982, pp. 410-77; P.E.L. Smith, Late Palaeolithic and Epipalaeolithic of Northern Africa, ibid., pp. 342-409; A. Testart, The Significance of Food Storage among Hunter-gatherers: Residence Patterns, Population Densities, and Social Inequalities, in CurrAnthr, 23 (1982), pp. 523-37; T. Ingold, The Significance of Storage in Hunting Societies, in Man, 18 (1983), pp. 553-71; S.H. Ambrose, The Introduction of Pastoral Adaptations to the Highlands of East Africa, in J.D. Clark - S.A. Brandt (edd.), From Hunters to Farmers, Berkeley 1984, pp. 212-39; A. Gautier, Archaeozoology of the Bir Kiseiba Region, Eastern Sahara, in F. Wendorf - R. Schild - A.E. Close (edd.), Cattle-Keepers of the Eastern Sahara, Dallas 1984, pp. 49-72; J.P. Roset, Néolithisation, néolithique et post-néolithique au Niger nord-oriental, in BAssFrQuat, 32 (1987), pp. 203-14; J. Woodburn, African Hunter-gatherers Social Organization, in T. Ingold - D. Riches - J. Woodburn (edd.), Hunters and Gatherers: History, Evolution and Social Change, I, Oxford 1988, pp. 31-65; F. Wendorf - R. Schild - A.E. Close (edd.), The Prehistory of Wadi Kubbaniya, II. Stratigraphy, Paleoeconomy and Environment, II, Dallas 1989; P. Sinclair - Th. Shaw - B. Andah, Introduction, in Th. Shaw et al. (edd.), The Archaeology of Africa. Food, Metals and Towns, London - New York 1993, pp. 1-31; A.B. Stahl, Intensification in the West African Late Stone Age, ibid., pp. 261-73; U. Sansoni, Le più antiche pitture del Sahara. L'arte delle Teste Rotonde, Milano 1994; A.S. Brooks et al., Dating and Context of Three Middle Stone Age Sites with Bone Points in the Upper Semliki Valley, Zaire, in Science, 268 (1995), pp. 548-53; A. Muzzolini, Les images rupestres du Sahara, Toulouse 1995; R. Vernet, Les paléoenvironnements du Nord de l'Afrique depuis 600,000, in Dossiers et Recherches sur l'Afrique, 3 (1995), pp. 149-271; F. Paris, Les sépultures monumentales d'Iwelen (Niger), in JSocAfr, 60 (1996), pp. 47-74; E. Cornelissen, Central African Transitional Cultures, in J.O. Vogel (ed.), Encyclopedia of Precolonial Africa, Walnut Creek 1997, pp. 312-20; O. Dutour, Peuplement du Sahara au Pleistocène supérieur, in Th. Tillet (ed.), Sahara: Palaeoenvironments and Prehistoric Populations in the Upper Pleistocene, Paris - Montreal 1997, pp. 409-21; A.Th. Grove, Pleistocene and Holocene Climates and Vegetation Zones, in J.O. Vogel (ed.), Encyclopedia of Precolonial Africa, Walnut Creek 1997, pp. 35-39; D. Lubell - P.J. Sheppard, Northern African Advanced Foragers, ibid., pp. 325-30; F. Paris, Burials and the Peopling of the Adrar Bous Region, in B.E. Barich - M.C. Gatto (edd.), Dynamics of Populations, Movements and Responses to Climatic Change in Africa, Rome 1997, pp. 49-61; B.E. Barich, People, Water and Grain. The Beginnings of Domestication in the Sahara and the Nile Valley, Rome 1998; M. Cremaschi - S. Di Lernia (edd.), Wadi Teshuinat. Palaeoenvironment and Prehistory in Southwestern Fezzan (Libyan Sahara), Milan 1998; A.F.C. Holl, The Dawn of African Pastoralism: an Introductory Note, in JAnthrA, 17 (1998), pp. 81-96; F. Mori, The Great Civilisations of the Ancient Sahara, Rome 1998; J.E. Yellen, Barbed Bone Points: Tradition and Continuity in Saharan and Sub-Saharan Africa, in AfrAR, 15 (1998), pp. 173-98; J.D. Clark, Cultural Continuity and Change in Hominid Behaviour in Africa during the Middle to Upper Pleistocene Transition, in U. Ullrich (ed.), Hominid Evolution, London 1999, pp. 277-92; T. Ingold, The Perception of the Environment, London - New York 2000; B.E. Barich, Cultural Responses to Climatic Changes in North Africa: Beginning and Spread of Pastoralism in the Sahara, in F.A. Hassan (ed.), Droughts, Food and Culture, New York - Boston - Dordrecht - London - Moscow 2002, pp. 209-23; B.E. Barich - C. Conati Barbaro, Ras El Wadi (Jebel Garbi): New Data for the Study of the Epipalaeolithic Tradition in Northern Libya, in Origini, 25 (2003), pp. 75-146; B.E. Barich, Archaeological Research in the Farafra Oasis (Egypt): Contribution to the Study of Early Cultivation in the Eastern Sahara, in T. Oestigaard - N. Anfinset - T. Saetersdal (edd.), Combining the Past and the Present, Archaeological Perspectives on Society, Oxford 2004, pp. 143-47; A.S. Brooks et al., Myth or Math. The Historical and Archaeological Background to the Engraved Bone of Ishango, in XIV International Congress of Prehistoric and Protohistoric Sciences (Leuwen, 2-8 September 2001), Section 15, General Session, in c.s.
di Barbara E. Barich
Benché il Sahara abbia restituito prove di un'occupazione assai antica, attestata da industrie della Early e Middle Stone Age (i manufatti acheuleani, quelli di tradizione mustero-Levallois e le industrie ateriane), il principale fenomeno di occupazione della regione si sviluppò durante l'Olocene. Con l'espressione "Neolitico sahariano" (anche definito "saharo-sudanese" da G. Camps) viene in genere indicato un complesso di tratti culturali che si manifestarono tra 10.000 e 5000 anni fa nella fascia centrale del Sahara, posta tra i 15° e i 25° Lat. N. Tra gli aspetti innovativi che caratterizzano queste culture (che comprendono complessivamente vari elementi tecnologici, aspetti artistici e modelli di insediamento), la comparsa di ceramica e la produzione di cibo, nella forma di una economia pastorale, rappresentano indubbiamente gli aspetti più importanti. In realtà, riguardo a processi di coltivazione, si hanno solo prove di forme di utilizzazione di specie appartenenti alla famiglia del miglio e del sorgo e, d'altro canto, manca un'evidenza di vere dimore permanenti.
Per questo sussiste tuttora un dibattito se a queste culture possa correttamente attribuirsi la definizione di Neolitico. Sulla base delle considerazioni portate da V.G. Childe e dalla scuola funzionalista, la comunità scientifica si è infatti accordata sul fatto che il termine Neolitico definisca appropriatamente l'insieme dei cambiamenti che, nel Vicino Oriente, hanno un profondo impatto sulla struttura socioeconomica della società, aprendo la strada all'organizzazione della civiltà urbana. Pertanto, per interpretare correttamente la natura del contesto economico, è necessario analizzare lo sviluppo culturale della regione sahariana per l'intero arco cronologico fra primo e medio Olocene. Questo appare un tipo di approccio assai più appropriato che non quello crono-tipologico, il quale si limita a riconoscere fasi successive (antico, medio e tardo Neolitico sahariano) solo sulla scorta di caratteristiche della cultura materiale.
Nel Sahara l'inizio della trasformazione nei modi di vita coincise con il ritorno delle piogge in questi territori e con la rioccupazione del Sahara, praticamente abbandonato durante la fase di estrema aridità che toccò il suo massimo intorno ai 20.000 anni fa. Nella fase di passaggio tra Pleistocene e Olocene si affermarono situazioni culturali tutte fortemente basate sullo sfruttamento delle risorse acquatiche, uno stile di vita cui l'archeologo J.E.G. Sutton dette il nome di "cultura acqualitica". All'inizio questa definizione suscitò varie critiche, ma oggi può sembrare assai appropriata. In Mali una fase lacustre, tra l'8500 e il 6900 B.P., è visibile nelle sezioni stratigrafiche degli antichi laghi che affiancano le distese dunari. Sedimenti finemente stratificati, al cui interno sono contenuti resti di faune acquatiche, conchiglie e diatomee (piante lacustri), sono chiari segni della antica presenza di laghi permanenti. I vasti cimiteri riconosciuti nell'area del Taoudenni hanno permesso importanti osservazioni riguardo alle caratteristiche paleoantropologiche. In Algeria, le indagini condotte da G. Camps e G. Aumassip nel sito di Ti-n-Hanakaten hanno posto in luce un'importante sequenza culturale. Nel corso degli anni Settanta del Novecento le ricerche condotte dalle équipes francesi e tedesche portarono in luce ulteriori centri di occupazione umana, risalenti all'Olocene antico e medio, sia nel Ciad che nel Tibesti.
Le sequenze più sicure in Egitto, Libia e Niger fanno risalire le prime occupazioni del Sahara al ristabilimento della circolazione monsonica, durante la fase più antica dell'Olocene. Le sequenze di Nabta e di Bir Kiseiba, nel Deserto Occidentale egiziano, ebbero inizio con l'esaurirsi del lungo periodo di aridità successivo alla fase umida ateriana. La prima rioccupazione a Bir Kiseiba (denominata fase el-Adam: tra 10.000 e 8200 anni B.P.) è importante perché ha restituito alcuni resti di bue (datati tra il 10.220 e il 9460 B.P. nel sito E-79-8). L'ipotesi di A. Gautier che questo fosse domestico è stata a lungo contrastata, ma resta comunque fondamentale per mettere correttamente a fuoco i problemi della fase di produzione neolitica nel Sahara. Il Neolitico tipo el-Nabta (tra l'8100 e il 7900 B.P.) appare come una ricolonizzazione della stessa regione al termine di un'oscillazione di estrema aridità con il ristabilimento di una nuova fase umida. Molto frequenti sono infatti, nel corso dei nuovi scavi, i rinvenimenti di pietre da macina e di resti di cereali selvatici, quali sorgo e miglio.
Durante questo periodo una maggiore regolarità nelle precipitazioni piovose facilitò insediamenti più stabili e la comparsa di un villaggio permanente vero e proprio. Nabta E-75-6 presenta due allineamenti di strutture disposte secondo una configurazione che richiama quella di Ti-n-Torha Est nell'Acacus in Libia. Numerosi confronti sono stati stabiliti tra l'industria litica trovata nel sito E-75-6 con le industrie di altri siti del Deserto Occidentale, quali Wadi Bakht nel Gilf el-Kebir, Abu Ballas e Lobo di fronte al Great Sand Sea, l'orizzonte Masara B a Dakhla e l'orizzonte Olocene antico a Farafra. Resti ossei di bovino domestico sono rari nel sito E-75-6 e, inoltre, i caprovini appaiono molto tardivamente nella sequenza di Nabta. Essi sono stati registrati nel sito E-75-8 con date che risalgono a circa 7000 anni fa, una datazione che è comunque una delle più antiche conosciute in Africa.
In Libia, la sequenza di occupazione principale è stata riconosciuta nel massiccio del Tadrart Acacus che, insieme al massiccio algerino del Tassili n'Ajjer, costituisce il complesso di arte rupestre più importante del Sahara. Nel corso degli anni Settanta del Novecento una sequenza esemplare fu messa in luce da chi scrive (Barich 1987) nel Wadi Ti-n-Torha, attraverso tre insediamenti che nel loro insieme illustrano il popolamento locale a partire dalle fasi finali del Pleistocene. Ti-n-Torha Est si presenta come un vero protovillaggio con una serie di fondi di capanna addossati alla parete di roccia del wādī. La lista faunistica, che include faune selvatiche (mufloni, gazzelle e lepri), resti di pesce (Clarias e Tilapia) e uccelli, attesta la presenza di un'economia di caccia-pesca-raccolta. D'altra parte va sottolineata la presenza di resti mal conservati di un Bovide di larga taglia (livelli superiori di Ti-n-Torha Est, che si collocano tra l'8500 e l'8000 B.P.), per il quale fu proposta da Gautier, in forma dubitativa, l'identificazione come bue domestico. Tuttavia la possibile presenza di Bos sin da livelli così antichi della sequenza Acacus non è stata confermata dalle ricerche successive. La serie stratigrafica che si ottiene dai tre siti del Wadi Ti-n-Torha (Riparo Est, Riparo Due Grotte e Riparo Nord) copre l'intero spazio dal primo al medio Olocene. In base a questo requisito, è stato proposto (Barich 1998) un modello autoctono di transizione (cioè uno sviluppo culturale locale, privo di influssi dall'esterno) da uno stato predomestico a forme di domesticazione incipiente. Per spiegare tale transizione la stessa studiosa ha posto in risalto il particolare tipo di relazione stabilitasi tra società e ambiente naturale nel tardo Olocene; un tipo di relazione che poté determinare la riorganizzazione dei gruppi umani durante una fase di crisi delle risorse.
Anche la sequenza del Niger ha mostrato notevoli corrispondenze, stratigrafiche e cronologiche, con la situazione attestata in Libia. Le prime scoperte nella regione dell'Air furono effettuate da J. Desmond Clark negli anni Settanta del Novecento. Sulla base delle ricerche nel Wadi Greboun e sulle antiche spiagge nell'area dell'Adrar Bous, lo studioso sostenne la presenza di un orizzonte pienamente epipaleolitico con riferimento ad alcune tipiche caratteristiche tipologiche (lamelle a bordo abbattuto, punte di Ounan e di Bou Saada). Successivamente, nel corso degli anni Ottanta, le ricerche di J.P. Roset offrirono una base stratigrafica per una adeguata ricostruzione regionale. La serie di siti più o meno contemporanei di Temet 1 (datati tra il 9650 e il 9450 B.P.), Ti-n-Ouaffadene (9360-9080 B.P.) e Adrar Bous 10 (9220-8840 B.P.), è legata all'espansione di laghi durante una fase di intense precipitazioni. Il complesso litico di questi contesti è ben esemplificato da Temet 1, il sito più antico. Si tratta di un complesso epipaleolitico del tipo precedentemente riconosciuto da Clark nel Wadi Greboun. A Temet 1, tuttavia, lo strumentario epipaleolitico è associato a una tradizione ceramica che, pur essendo così antica, mostra una notevole ricchezza di repertori decorativi.
Nei Monti Bagzanes, immediatamente a sud del massiccio Greboun, il sito di Tagalagal ha fornito un'altra serie di antiche date per uno strato con ceramica: dal 9500 fino al 9200 B.P. La ceramica di Tagalagal presenta variabilità di forme e una decorazione ben sviluppata. Fra queste si nota la decorazione con motivo "a onda punteggiata" (dotted wavy line) che è ampiamente diffuso tra tutte le comunità sahariane dell'Olocene. I resti faunistici sono da attribuirsi ad animali selvatici e anche a pesci, mentre la grande abbondanza di materiale da macina attesta l'importanza della raccolta di specie vegetali. Roset, richiamando l'ipotesi avanzata da Clark, tenderebbe a escludere la presenza di un vero orizzonte epipaleolitico. D'altro lato lo studio idrogeologico affidato a Ch. Dubar ha rivelato la presenza di due fasi lacustri. La più antica si verificò probabilmente 13.000 anni fa, alla fine del Pleistocene, mentre l'altra, datata al 9500 B.P., è quella appunto riconosciuta da Roset nei siti da lui portati in luce. La prima fase lacustre potrebbe, quindi, rappresentare una occupazione più antica, con una economia ancora pienamente di caccia, secondo quanto proposto da Clark.
Nel complesso è stato notato che esiste un notevole intervallo cronologico tra i primi rinvenimenti di bue ritenuto domestico del Deserto Occidentale e quelli delle altre regioni, sahariane e nordafricane. In Niger, i siti di Dogomboulo nel settore di Fachi (datati tra 7100 e 6600 anni fa) e di Rocher Toubeau (5650-5500 B.P.) sono i primi esempi di un'occupazione del medio Olocene basata soprattutto sulla pastorizia. Il complesso litico di questo orizzonte (il Tenereano) è caratterizzato da ampi strumenti bifacciali quali gouges (accette scheggiate), dischi, punte di freccia e accette levigate. Uno scheletro quasi intero di bue domestico (Bos taurus), rinvenuto a Agorass n'Tast, è stato datato tra il 6250 e il 5250 B.P. Nella stessa area si hanno prove di attività di raccolta su specie selvatiche attraverso le impronte di Brachiaria e di sorgo nell'argilla dei vasi.
A causa dell'ampio spazio cronologico che intercorre tra i più antichi rinvenimenti di bue in stato incipiente di domesticazione e la vera "esplosione" del pastoralismo nel medio Olocene, molti autori mostrano ancora una certa resistenza ad accettare lo status di domesticità dei bovini di Kiseiba e di Nabta. Essi affermano che sia più verosimile parlare di uno sfruttamento intensivo di risorse animali selvatiche. Al riguardo, la situazione osservata in Libia, nel riparo di Uan Muhuggiag, può offrire vari argomenti chiarificatori. Il modello economico dei livelli basali di Uan Muhuggiag indica economia pastorale, ancora associata con caccia e raccolta di piante selvatiche. È proprio questo aspetto che rende il sito particolarmente importante per capire la transizione verso la piena economia pastorale. Infatti, benché la composizione della lista faunistica di Uan Muhuggiag comprenda ancora specie selvatiche (lepre, procavia, gatto selvatico, facocero, gazzella e muflone) la loro incidenza è molto bassa (4,2%) in confronto ai resti domestici (92,4%). La presenza di bue domestico è accertata sin dall'VIII millennio B.P. Sia la tecnologia che i dati ambientali da Uan Muhuggiag forniscono evidenze chiare di uno sviluppo graduale e indipendente del pastoralismo che dovette svilupparsi localmente e, comunque, si originò del tutto all'interno del sistema sahariano. Pertanto in questo caso il cambiamento di stile di vita non può essere interpretato come effetto di intrusione dall'esterno ma, piuttosto, deve essere spiegato come effetto di una migliore interazione tra gruppo umano e il suo ambiente.
In conclusione, la fioritura del pastoralismo si presenta come un fenomeno autonomo e il principale conseguimento delle culture sahariane. Nel periodo compreso tra il 6000 e il 5000 B.P. la cultura pastorale si diffuse in tutto il Sahara centrale. Dovunque la presenza dei pastori si associò a opere mirabili di arte rupestre che sembrano aver svolto, almeno in parte, la funzione di signacoli di luoghi sacri, dove venivano svolte particolari cerimonie di iniziazione. Anche le culture dell'Alto Nilo hanno rivelato una profonda affinità con le società sahariane associate ad ambiente umido. Infatti, la prima descrizione di questa area culturale come Neolitico di Tradizione Sudanese, data da A.J. Arkell, si basava sulla somiglianza dei motivi decorativi, il motivo con linea a onda semplice (wavy line) e quello a onda punteggiata comuni sia al Sahara che al Sudan. Arkell propose per l'aspetto più antico, il Mesolitico di Khartum, una data intorno all'8000 dal presente. Alcuni centri più estesi (Tagra e Shabona nella regione meridionale e i siti di Khartoum Hospital e Saggai nella regione settentrionale) appaiono aver avuto carattere di siti più stabili, dove attività di pesca potevano essere praticate in forma estensiva anche durante i periodi di magra del fiume. Invece, durante il periodo di piena, siti più piccoli, corrispondenti allo spostamento di settori della comunità residenziale verso i limiti del deserto, venivano abitati stagionalmente su una base di caccia, raccolta e pastorizia. Le prime evidenze di produzione di cibo vengono dal cosiddetto Neolitico di Khartum, definito nel 1949 da Arkell avendo come riferimento il sito di Shaheinab. Le ricerche compiute durante gli anni Ottanta del Novecento hanno fornito notevoli precisazioni di ordine cronologico. In base a queste acquisizioni, la transizione graduale della regione da una economia mesolitica acquisitiva, alla economia di produzione neolitica, così come era stato suggerito da Arkell, è stata rimessa in discussione, confutando l'esistenza in Sudan di un processo autonomo, privo di influssi dall'esterno. Al contrario, oggi si ritiene che la transizione economica in Sudan debba essere attribuita all'arrivo di gruppi esterni in possesso di specie domestiche. La regione di Nabta Playa, a nord, è stata indicata come una delle zone di origine, per il tramite della valle del Nilo, delle specie domestiche.
Bibliografia
A.J. Arkell, Early Khartoum, London 1949; G. Camps, Amekni: Neolithique ancien du Hoggar, Paris 1969; R. Kuper - F. Klees (edd.), New Light on the Northeast African Past, Köln 1982; A.E. Close (ed.), Cattle-keepers of the Eastern Sahara. The Neolithic of Bir Kiseiba, Dallas 1984; B.E. Barich (ed.), Archaeology and Environment in the Libyan Sahara: the Excavations in the Tadrart Acacus, 1978-1983, Oxford 1987; A.E. Close (ed.), Prehistory of Arid North Africa. Essays in Honor of Fred Wendorf, Dallas 1987; A. Gautier, The Archaeozoological Sequence of the Acacus, in B.E. Barich (ed.), Archaeology and Environment in the Libyan Sahara: the Excavations in the Tadrart Acacus, Oxford 1987, pp. 198, 283-312; O. Dutour, Hommes fossiles du Sahara, Paris 1989; B.E. Barich, People, Water and Grain. The Beginnings of Domestication in the Sahara and the Nile Valley, Rome 1998; M. Cremaschi - S. Di Lernia, Wadi Teshuinat, Palaeoenvironment and Prehistory in South-Western Fezzan, Florence 1998; E.A.A. Garcea (ed.), Uan Tabu in the Settlement History of the Libyan Sahara, Florence 2001; F. Wendorf et al., Holocene Settlement of the Egyptian Sahara, I. The Archaeology of Nabta Playa, New York - Boston - Dordrecht - London - Moscow 2001; F.A. Hassan (ed.), Droughts, Food and Culture. Ecological Change and Food Security in Africa's Later Prehistory, New York - Boston - Dordrecht - London - Moscow 2002; Tides of the Desert. Contributions to the Archaeology and Environmental History of Africa in Honour of Rudolf Kuper = Gezeiten der Wüste. Beiträge zu Archäologie und Umweltgeschichte Afrikas zu Ehren von Rudolph Kuper, Köln 2002.
di Rodolfo Fattovich
Industrie tardopaleolitiche o epipaleolitche attestano l'insediamento di popolazioni semisedentarie con industrie litiche differenziate e dedite a uno sfruttamento intensivo delle risorse acquatiche e di piante selvatiche lungo il Nilo nel Pleistocene finale e nell'Olocene iniziale (ca. 20.000-5000 a.C.). Le fasi più recenti sono documentate da resti di villaggi e necropoli, nonché da testimonianze di arte rupestre che attestano la presenza nella valle del Nilo di popolazioni sedentarie nel V millennio a.C. (Neolitico) e successivamente di società protostatali nel IV millennio a.C. Questa ultima fase della tarda preistoria egiziana, che copre tutto il IV millennio a.C., viene convenzionalmente definita "periodo predinastico".
Le tracce più antiche di occupazione umana nella bassa valle del Nilo sono costituite da industrie del Paleolitico inferiore (Pre-Chelleano, Chelleano, Acheuleano, Micocchiano) e medio (Musteriano), rinvenute in terrazze fluviali databili al Pleistocene medio e superiore (ca. 600.000-90.000 a.C.).
Una prima netta diversificazione stilistica delle industrie litiche apparve nel Pleistocene finale (ca. 20.000-8000 a.C.) con la presenza lungo la valle sia di industrie macrolitiche o microlitiche, definite epilevalloisiane per l'uso della tecnica di scheggiatura levalloisiana tipica del Paleolitico medio, sia di industrie microlitiche su lama, spesso caratterizzate da un'alta frequenza di raschiatoi. Entrambi questi gruppi di industrie sembrano avere un'origine nilotica e indicare pertanto la presenza di popolazioni indigene con tradizioni culturali diverse nella regione. Esse perciò potrebbero rappresentare una tradizione paleoafricana tipica dell'Africa nord-orientale. Le industrie di tipo epilevalloisiano comprendono l'Halfano (ca. 18.000-15.000 a.C.) tra la II Cateratta e Kom Ombo, l'Edfuano (ca. 15.800-15.000 a.C.) nella regione di Isna, il Sebiliano (ca. 13.000-9000 a.C.) tra la II Cateratta e Qena, l'Afiano (ca. 12.000 a.C.) nella regione di Kom Ombo. Le industrie su lama comprendono il Fakhuriano (ca. 16.000-15.600 a.C.) nella regione di Isna, il Menchiano (ca. 13.000-9000 a.C.) presso Kom Ombo, l'Isniano (ca. 11.000-10.500 a.C.) presso Isna (Esna), il Sebekiano (ca. 14.000-11.600 a.C.) e il Silsiliano (ca. 13.000 a.C.) presso Kom Ombo. I resti di fauna associati a queste industrie indicano chiaramente uno sfruttamento delle risorse fluviali con pesca, caccia all'ippopotamo e raccolta di molluschi d'acqua dolce e/o caccia ai bovini selvatici delle savane circostanti. I siti sono in genere di piccole dimensioni e sembrano attribuibili a campi riutilizzati stagionalmente da bande di circa 5-40 individui. La presenza di macine e macinelli in siti dell'industria menchiana e isniana suggerisce tuttavia che almeno questi gruppi umani praticassero una raccolta intensiva di Graminacee selvatiche e fossero quindi già preadattati alla produzione del cibo. In particolare l'industria isniana è associata a siti di dimensioni più estese che potrebbero suggerire una semisedentarietà della popolazione.
Nell'Olocene iniziale (ca. 8000-5000 a.C.), popolazioni con industrie litiche riconducibili a tradizioni locali del Pleistocene finale occupavano l'Alto Egitto. Esse sono rappresentate dal Tarifiano (ca. 8000-6000 a.C.) presso Tebe, Elkabiano (ca. 6500-5000 a.C.) nella regione di el-Kab e Qaruniano, inizialmente definito Fayyum B (ca. 6100-5200 a.C.), presso la depressione del Fayyum. L'Elkabiano e il Qaruniano sono associati a resti abbondanti di pesci, che confermano uno sfruttamento intensivo delle risorse acquatiche. Un sito qaruniano con dimensioni di circa 6,5 ha potrebbe indicare una popolazione sedentaria o semisedentaria. All'Olocene iniziale è probabilmente databile anche un'industria microlitica messa in luce presso Helwan nel Basso Egitto. Essa presenta numerose affinità con quella natufiana della Palestina (ca. 10.500-8200 a.C.) e suggerisce una penetrazione di popolazioni dal Levante verso la valle del Nilo in questo periodo. L'industria di Helwan è caratterizzata da lame usate molto probabilmente come elementi di falce e potrebbe indicare uno sfruttamento intensivo di Graminacee.
Le prime evidenze di popolazioni dedite alla produzione del cibo sono rappresentate dalle culture del Fayyum A ed el-Omari nel Basso Egitto e Merimde Beni Salama nel Delta sud-occidentale, e risalgono al V millennio a.C. Le culture del Fayyum A e di Merimde sembrano attribuibili a una stessa popolazione o a due popolazioni fortemente interagenti per le numerose somiglianze nella cultura materiale. Entrambi i contesti culturali sono caratterizzati da punte di freccia a base concava, diritta o raramente peduncolata di tipo sahariano ed elementi di falce bifacciali, macine e vasellame grossolano rosso o nero levigato, talvolta con piede. A Merimde sono attestati anche vasi con una decorazione a spina di pesce lungo l'orlo di possibile influenza palestinese. Nei siti del Fayyum A sono stati scoperti granai scavati nella sabbia con pareti ricoperte di vimini. A Merimde sono state messe in luce abitazioni e tombe ovali. Le evidenze archeologiche indicano che queste popolazioni coltivavano cereali e allevavano caprovini, sfruttando le risorse acquatiche e cacciando i grandi Mammiferi rivieraschi e della savana circostante. Esse inoltre avevano contatti con il Levante e l'Alto Egitto. La cultura di el-Omari, presso Il Cairo, è caratterizzata da un'industria litica con pezzi bifacciali simile a quella del Fayyum A e Merimde, con presenza di numerosi elementi di falce. A questa cultura possono essere attribuite anche alcune sepolture con corpi in posizione contratta e talvolta con un corredo costituito da un unico vaso.
Bibliografia
F.A. Hassan, Prehistoric Settlements along the Main Nile, in M.A.J. Williams - H. Faure (edd.), The Sahara and the Nile, Rotterdam 1980, pp. 421-50; P. Huard - J. Leclant, La culture des chasseurs du Nil et du Sahara, Alger 1980; B. Midant-Reynes, Préhistoire de l'Égypte, Paris 1992; W. Wetterson, Foraging and Farming in Egypt: the Transition from Hunting and Gathering to Horticulture in the Egyptian Nile Valley, in Th. Shaw et al. (edd.), The Archaeology of Africa. Food, Metals and Towns, London 1993, pp. 165-226; B. Midant-Reynes, Aux origines de l'Égypte, Paris 2003.
di Isabella Caneva
Il Sudan è attualmente il più grande Paese dell'Africa, con una estensione nord-sud dal Tropico del Cancro all'equatore. Il territorio è quindi ecologicamente molto diversificato, comprendendo aree estremamente aride a nord, di savana al centro, di massiccio montagnoso a ovest, di costa marina a est, e di foresta equatoriale a sud. Benché questa diversificazione si sia presumibilmente accentuata negli ultimi millenni, gli sviluppi culturali delle varie aree mostrano una marcata differenziazione sin dalle prime documentazioni oloceniche. Le zone più esplorate, per vari motivi contingenti, sono quelle centro-settentrionali della valle del Nilo.
Le ricerche preistoriche cominciarono in Sudan prima che in altri Paesi africani: a seguito della scoperta alla fine dell'Ottocento dei primi cimiteri predinastici in Egitto, sporadiche ricerche vennero estese già all'inizio del Novecento al Sudan meridionale e, più tardi, alla Nubia sudanese. Le ricerche si limitavano peraltro a pochi siti, lungo il Nilo. Il resto del Paese restava sconosciuto dal punto di vista preistorico fino alle ricerche di A.J. Arkell nella provincia di Khartum, alla metà del XX secolo. Malgrado l'assenza di riferimenti tipologici o cronologici per la regione, Arkell arrivò rapidamente alla ricostruzione di una sequenza di culture preistoriche, di cui identificava i caratteri tipologici, economici e sociali (Arkell 1949, 1953). Le tappe di questa evoluzione vennero definite da Arkell sulla base delle loro corrispondenti tipologiche ed economiche in Europa: Paleolitico per i bifacciali isolati di Abu Anga, Mesolitico per la cultura di Khartum, caratterizzata da un'industria microlitica e da un'economia di caccia integrata dalla pesca e dalla raccolta di molluschi; Neolitico per la cultura di Shaheinab, definita anche Gouge Culture dalla sua caratteristica accetta a tranchant obliquo, che indica l'inizio della pratica di allevamento animale; Protodinastico per la cultura della necropoli del ponte di Omdurman, presso Khartum, dove l'emergenza di una stratificazione sociale era testimoniata dalla diversificazione del corredo funerario. Questo quadro coerente comprendeva, inoltre, le prime datazioni al 14C dell'Africa (e tra le prime del mondo), elaborate dal laboratorio di W.F. Libby a Chicago su campioni del sito di Shaheinab, e un'analisi accurata della geomorfologia e dell'ambiente, accompagnata da osservazioni etnografiche sull'uso degli strumenti da pesca e della ceramica: malgrado il riferimento all'Europa preistorica, Arkell era consapevole della necessità di cercare in Africa le risposte alle questioni interpretative, né gli sfuggiva che la presenza della ceramica nel Mesolitico era un elemento assolutamente nuovo, che dava a questa regione una peculiarità importante rispetto all'Europa e all'Asia, e probabilmente un ruolo particolare nello sviluppo delle culture protostoriche in Egitto. Il merito di Arkell, oltre al rigore scientifico della sua analisi interdisciplinare, è nella coscienza che i sistemi economici adattati a specifiche condizioni ambientali costituiscano la base su cui ogni cultura costruisce la sua organizzazione sociale e la sua espressione formale.
Le ricerche successive, durante le campagne di Nubia degli anni Sessanta del Novecento, relative al salvataggio dei monumenti in occasione dell'ampliamento della diga di Assuan, benché numerose e sistematiche, si concentrarono ancora lungo il Nilo, mettendo in evidenza una serie di altri aspetti culturali preistorici, la cui correlazione tra loro e con i territori meridionali restava difficile senza il supporto dei territori interni. Il risultato più significativo delle campagne di Nubia fu il quadro di impressionante frammentazione culturale della valle del Nilo sudanese, che diede probabilmente l'avvio alla ricerca preistorica moderna in Sudan. Un profondo cambiamento nelle ricerche avvenne dunque verso la metà degli anni Settanta, con spedizioni a carattere interdisciplinare e regionale, sostenute da ricerche archeometriche sistematiche e da un approccio teorico che ne dirigeva la strategia. Inoltre, il nuovo dibattito teorico sulle società di caccia e raccolta (Lee - De Vore 1968) spingeva sempre di più archeologi ed etnologi verso l'Africa, con una prospettiva sempre meno elitaria ed egittocentrica. La ricerca sul terreno si estese a territori lontani dalla valle, a ovest (Marks - Shiner - Hays 1968; Kuper 1986) e a est del Nilo (Fattovich - Marks - Mohammed-Ali 1984; Marks - Mohammed-Ali 1991), e anche a sud di Khartum (Haaland 1987; Fernández - Jimeno - Menéndez 1993), con una prospettiva globale del cosiddetto "sistema territorio", che comprendeva la valle, il deserto e i widyān (Caneva - Santucci 2004). L'analisi archeologica si arricchiva, inoltre, di problematiche sociali relative alla gestione dello spazio abitativo (Honegger 2004) e alla ricostruzione della complessità sociale attraverso l'identificazione di lignaggi, parentele e gerarchie nelle necropoli (Krzyzaniak 1991; Reinold 1991).
Accanto a una formidabile moltiplicazione di datazioni assolute, le nuove ricerche videro anche la messa a punto di sistemi di classificazione tipologica, archeometrica e tecnologica dei prodotti litici e, soprattutto, ceramici (Caneva 1988; Caneva - Marks 1990), il che permetteva di differenziare significative sottofasi e aree culturali nell'ambito di quello che era stato considerato fino ad allora un fondo culturale comune esteso a tutta l'Africa settentrionale, come appariva dalle anacronistiche definizioni di Neolitico saharo-sudanese (Camps 1974) o di African Aqualithic (Sutton 1977).
Pochissimo si conosce delle culture più antiche del Sudan. A parte gli sporadici resti paleolitici rinvenuti in superficie o nelle sezioni lungo il Nilo Azzurro ad Abu Anga, le fasi successive, che si collocano tra il Paleolitico e il Mesolitico, non sono finora state identificate in tutto il territorio sudanese, dove le prime culture con ceramica sembrano apparire d'improvviso, senza antecedenti.
Gli ultimi cacciatori-raccoglitori postpaleolitici erano stati definiti "mesolitici" da Arkell a causa del carattere microlitico delle loro industrie e della forte incidenza di risorse acquatiche (pesci e molluschi) nella loro economia. Malgrado le critiche, la definizione sembra tuttora sostenibile anche in considerazione della complessità dell'organizzazione stagionale dello sfruttamento del territorio, che distingue questi gruppi dai cacciatori più antichi. La cultura mesolitica di Khartoum Hospital, la più antica, definita Early Khartoum, considerata tradizionalmente come rivierasca, sembra ora aver avuto nelle zone semidesertiche interne un ampio territorio complementare. Esistevano dunque due zone residenziali, tra il Nilo e le montagne: la zona rivierasca, utilizzata durante la lunga stagione secca, tra ottobre e giugno, e la zona interna, utilizzata nella stagione delle piogge e delle alluvioni, in estate. Le due zone erano integrate da siti a specializzazione stagionale e funzionale, soprattutto stazioni di caccia, installate sulle sommità dei numerosi gebel, in un raggio di 8 km circa intorno ai siti d'abitato. Questi ultimi sono così definiti a causa dei loro depositi stratificati in spessori considerevoli. La presenza di numerose sepolture umane sembra testimoniare la pratica della sepoltura dei morti all'interno del villaggio, accanto all'ingresso delle capanne.
I siti di questa fase antica sono datati nel Sudan centrale tra l'8000 e il 6500 B.P. (Caneva 1983; Caneva - Garcea - Gautier 1993). Sono localizzati sui banchi ghiaiosi che costituivano le rive dell'antico corso del Nilo e, all'interno, lungo i widyān. Sono tutti caratterizzati dalla presenza della ceramica più antica del Sudan, vasellame di varie dimensioni, per lo più grandi, di forma globulare, di impasto fine e ben cotto, a sgrassante litico e superficie decorata a impressione o incisione. Tra i motivi ornamentali il più significativo, presente per il 20% o più nel repertorio, è quello a linee ondulate incise con un pettine, definito wavy line, che dà il nome a questa cultura e costituisce la peculiarità del Sudan rispetto al Sahara contemporaneo.
L'orizzonte successivo, Mesolitico tardo a ceramica dotted wavy line, è definito dall'improvvisa comparsa di una ceramica più omogenea, caratterizzata da impasti più fragili, grossolani e mal cotti, e da una decorazione esclusivamente impressa al pettine con motivi a denti di lupo, che formano spesso linee ondulate puntinate (dotted wavy line). La comparsa di questa ceramica mostra la stessa datazione al 6100 B.P. e la stessa posizione stratigrafica sovrapposta all'orizzonte a ceramica wavy line, in tutti i siti che la documentano, come Shaqadud (Marks - Mohammed-Ali 1991), Kabbashi (Caneva - Garcea - Gautier 1993), el-Qoz (Arkell 1953), Aneibis (Haaland - Magid 1995). I gruppi che la producono, cacciatori come i precedenti, occupano la stessa riva e lo stesso territorio interno, ma in modo meno intenso e articolato, e per un più breve lasso di tempo. Nessuna stazione di caccia sui gebel è loro attribuibile. Tali gruppi non sembrano aver avuto diretti contatti con i loro predecessori, e sembrano mostrare una conoscenza superficiale del territorio. La comparsa simultanea di una ceramica omogenea, identica a quella del Sahara centrale e delle regioni limitrofe del Ciad (Bailloud 1969), suggerisce la provenienza da queste regioni di gruppi di cacciatori sospinti gradualmente verso la valle del Nilo.
Le datazioni al 14C, tutte intorno al 6100 B.P., danno a questo sviluppo una durata brevissima. Solo duecento anni più tardi compariranno nella valle del Nilo, provenienti dalle stesse regioni sahariane, i primi gruppi pastorali, datati tra il 5800 e il 5500 B.P. Se gli animali domestici sono certamente stati importati in Sudan dalle regioni dell'Africa nord-occidentale, le caratteristiche delle prime culture a economia di produzione in Sudan non sono le stesse di quelle sahariane, ma sembrano aver avuto un'evoluzione "itinerante", nel corso di una migrazione più lenta, probabilmente dilazionata e frammentata in più gruppi, rispetto alla precedente (Bailloud 1969): la ceramica neolitica della valle del Nilo, ancora a sgrassante litico, è molto fine e ben cotta, e mostra una decorazione impressa variata, spesso brunita, mentre l'industria litica comprende, accanto ai microliti geometrici di quarzo, anche strumenti macrolitici di selce e riolite, come picchi, asce e punte. Queste culture mostrano un marcato regionalismo, con una cultura definita Neolitico di Shaheinab o Gouge Culture nel Sudan centrale, tra Soba, 25 km a sud di Khartum, e Shaqadud, 80 km a nord, mentre nelle altre regioni, in Nubia e nel Deserto Occidentale (Wadi Howar, Wadi el-Melik, Wadi Shaw), le culture locali hanno caratteri differenti, come se l'adozione dell'economia di produzione avesse prodotto una frammentazione della popolazione del deserto in piccoli gruppi indipendenti.
A partire da questo momento, si può seguire in Sudan uno sviluppo continuo verso il pastoralismo nomadico, tendenza che diventerà la caratteristica del Paese fino all'epoca attuale. Se i primi abitati pastorali, attribuibili al Neolitico antico, erano più rari di quelli del Mesolitico, i successivi, delle fasi tarda e finale, lo saranno ancora di più, dispersi in ambienti diversi, testimoniando la crescente mobilità di questi gruppi. L'ipotesi di uno spopolamento della regione, proposta da alcuni studiosi (Haaland 1987), è invece contraddetta dalla presenza di numerose tombe, spesso vere e proprie necropoli, appartenenti a queste fasi e datate, nei siti di el-Kadada e Kadero, tra il 5000 e il 4500 B.P. (Reinold 1987; Krzyzaniak 1991). La mobilità è confermata dall'ampia estensione territoriale che queste culture assumono, includendo tutta la valle, dalla Nubia alle province a sud di Khartum, e comprendendo un vasto entroterra, con rapporti intensi con le culture sahariane. Ne sono prova l'identità dei tipi ceramici, sia negli impasti, con sgrassante vegetale, sia nella decorazione, con la tecnica dell'impressione alternante e, in particolare, con il motivo cosiddetto dello smocking pattern (Caneva - Marks 1990; Caneva 1987). Malgrado la diffusione di caratteri omogenei, una frammentazione in gruppi di ridotte dimensioni è ancora suggerita da piccole particolarità individuabili nella decorazione ceramica (Caneva - Gautier 1994). Questi gruppi dalle installazioni temporanee hanno lasciato pochissime tracce, per lo più funerarie, ma resti dei loro abitati sono recentemente stati individuati in Nubia (Honegger 2004). In queste regioni settentrionali la documentazione di queste culture neolitiche si mescola con quella dei loro successori, le culture del Gruppo-A di Nubia. Entrambi erano probabilmente coinvolti, direttamente o come mediatori, nei traffici di materie preziose che dal Sud fluivano verso l'Egitto predinastico (Trigger 1976).
La fase del Neolitico finale è ancora più difficile a definirsi, a causa della rarità delle testimonianze. Il solo sito in cui questa fase è documentata è Shaqadud, presso Shendi. La ceramica caratteristica è nera, fine, a impasto con sgrassante vegetale, mal cotto, e presenta una decorazione per lo più incisa.
Le ricerche nel Deserto Occidentale, condotte negli ultimi venti anni da R. Kuper, hanno dimostrato che il deserto era intensamente percorso, piuttosto che abitato, e che la maggioranza dei siti individuati rientrava nelle fasi tarde, post-neolitiche, in particolare in quella definita, per la sua caratteristica decorazione ceramica, la Halbmond Leiterband (4000 B.P.). La stessa situazione si propone nella provincia di Khartum, in cui la recente scoperta di numerose tombe a tumulo monumentali in pietra identifica una frequentazione di gruppi non residenti, attribuibili all'arco cronologico tra la fine del Neolitico tardo del Sudan centrale, intorno al 2000 a.C., e l'inizio dell'occupazione meroitica della regione, 1500 anni più tardi (Caneva 1988). Una data al 14C colloca questi tumuli al centro di tale intervallo (3500 B.P.). Le tombe a tumulo troncoconico di pietra, identificate ora in tutto il territorio della provincia di Khartum, testimoniano un'espansione meridionale dei gruppi nubiani conosciuti come Gruppo-C, contemporanei dei regni storici della Nubia. La maggioranza dei tumuli ha una forma troncoconica, con un diametro che varia tra 1,5 e 5 m e con una pseudo-struttura interna di grandi pietre. Sono spesso concentrati in grandi cimiteri, ma anche isolati. Frammenti di ceramica, con la caratteristica decorazione a linee incise a reticolato, si trovano sotto o intorno alle strutture, mai all'interno della fossa, che peraltro non è sempre presente.
Bibliografia
G.A. Reisner, The Archaeological Survey of Nubia, Cairo 1910; F. Addison, Jebel Moya, Oxford 1949; A.J. Arkell, Early Khartoum, Oxford 1949; Id., Shaheinab, Oxford 1953; A.E. Marks - J. Shiner - T.R. Hays, Surveys and Excavations in the Dongola Reach, Sudan, in CurrAnthr, 9, 4 (1968), pp. 319-20; G. Bailloud, L'évolution des styles céramiques en Ennedi, in Actes du Premier Colloque International d'Archéologie Africaine (Fort-Lamy, 11-16 décembre 1966), Fort Lamy 1969, pp. 226-40; H.Å. Nordstrøm, Neolithic and A-Group Sites, Stockholm 1972; G. Camps, Les civilisations préhistoriques de l'Afrique du Nord et du Sahara, Paris 1974; B. Trigger, Nubia under the Pharaohs, London 1976; J.E.G. Sutton, The African Aqualithic, in Antiquity, 51 (1977), pp. 25-34; A.S. Mohammed-Ali, The Neolithic Period in the Sudan c. 6000-2500 BC., Oxford 1982; I. Caneva (ed.), Pottery Using Gatherers and Hunters at Saggai (Sudan): Preconditions for Food Production, in Origini, 12 (1983), pp. 7-278; R. Fattovich - A.E. Marks - A.S. Mohammed-Ali, The Archaeology of the Eastern Sahel, Sudan, in AfrAR, 2 (1984), pp. 173-88; R. Kuper, Wadi Howar and Laquiya, in M. Krause (ed.), Nubische Studien, Mainz 1986, pp. 129-36; I. Caneva, Pottery Decoration in Prehistoric Sahara and Upper Nile: a New Perspective, in B.E. Barich (ed.), Archaeology and Environment in the Libyan Sahara, Oxford 1987, pp. 231-54; R. Haaland, Socio-Economic Differentiation in the Neolithic Sudan, Oxford 1987; A.E. Marks, Terminal Pleistocene and Holocene Hunters and Gatherers in the Eastern Sudan, in AfrAR, 5 (1987), pp. 79-92; J. Reinold, Radiocarbon Dates from Franco-Sudanese Excavations at el-Kadada, in Nyame Akuma, 29 (1987), p. 61; I. Caneva (ed.), El Geili. The History of a Middle Nile Environment 7000 BC - AD 1500, Oxford 1988; R. Fattovich - K. Sadr - S. Vitagliano, Società e territorio nel Delta del Gash (Sudan) 3000 a.Cr. - 300/400 d.Cr., in Africa, 43 (1988), pp. 394-453; R. Kuper, Neuere Forschungen zur Besiedlung Geschichte der Ost-Sahara, in AKorrBl, 18 (1988), pp. 42-45; I. Caneva - A.E. Marks, More on the Shaqadud Pottery: Evidence for Saharo-Nilotic Connections during the 6th-4th mill. B.C., in ANilMoy, 4 (1990), pp. 11-35; I. Caneva, Prehistoric Hunters, Herders and Tradesmen in Central Sudan: Data from the Geili Region, in W.V. Davies (ed.), Egypt and Africa. Nubia from Prehistory to Islam, London 1991, pp. 6-15; R. Fattovich, At the Periphery of the Empire: the Gash Delta (Eastern Sudan), ibid., pp. 40-47; L. Krzyzaniak, Early Farming in the Middle Nile Basin: Recent Discoveries at Kadero, in Antiquity, 65 (1991), pp. 515-32; A.E. Marks - A.S. Mohammed-Ali, The Late Prehistory of the Eastern Sahel. The Mesolithic and Neolithic from Shaqadud in the Sudanese Butana, Dallas 1991; J. Reinold, Néolithique Soudanais: les coutumes funéraires, in W.V. Davies (ed.), Egypt and Africa. Nubia from Prehistory to Islam, London 1991, pp. 16-29; K. Sadr, The Development of Nomadism in Ancient Northeast Africa, Philadelphia 1991; R. Haaland, Fish, Pots and Grain: Early and Mid-Holocene Adaptations in the Central Sudan, in AfrAR, 10 (1992), pp. 43-64; I. Caneva - E.A.A. Garcea - A. Gautier, Pre-Pastoral Cultures along the Central Sudanese Nile, in Quaternaria Nova, 3 (1993), pp. 177-252; V.M. Fernández - A. Jimeno - M. Menéndez, Modelos de asentamiento del Mesolítico y Neolítico en el Nilo Azul, in Complutum, 4 (1993), pp. 253-64; E.A.A. Garcea, Cultural Dynamics in the Saharo-Sudanese Prehistory, Roma 1993; I. Caneva - A. Gautier, The Desert and the Nile: Sixth Millennium Pastoral Adaptations at Wadi el Kenger (Khartoum), in ANilMoy, 6 (1994), pp. 65-92; M. Menéndez - A. Jimeno - V. Fernández, The Archaeological Survey of the Blue Nile, in Ch. Bonnet (ed.), Nubian Studies, Geneva 1994, pp. 13-18; R. Haaland - A.A. Magid, Aqualithic Sites along the Rivers Nile and Atbara, Sudan, Bergen 1995; I. Caneva, Second Millennium BC Pastoral Cultures in the Nile Valley: The Ghosts of the Khartoum Province?, in Tides of The Desert. Contributions to the Archaeology and Environmental History of Africa in Honour of Rudolf Kuper = Gezeiten der Wüste. Beiträge zu Archäologie und Umweltgeschichte Afrikas zu Ehren von Rudolph Kuper, Köln 2002, pp. 231-38; I. Caneva - E. Santucci, Late Hunter-Gatherers of Central Sudan: Land Use and Settlement Pattern, in A. Roccati - I. Caneva (edd.), Nubica. Proceedings of the X International Conference of International Society for Nubian Studies (Rome, 9-14 September 2002), in c.s.; M. Honegger, Habitats préhistoriques en Nubie entre le 8e et le 3e millénaire av. J.-C.: l'exemple de la région de Kerma, ibid., in c.s.
di Rodolfo Fattovich
La tarda preistoria, fino alla prima diffusione del ferro (ca. 10.000 a.C. - 1000 d.C.), costituisce una fase cruciale nella storia del popolamento dell'Africa subsahariana, purtroppo ancora poco nota. Data la vastità di questa regione, che copre oltre la metà della superficie del continente, e la varietà di contesti ambientali che la costituiscono, lo sviluppo culturale ha seguito traiettorie diverse nelle singole regioni che in questa sede verranno, pertanto, esaminate separatamente.
Le prime evidenze di industrie microlitiche in Africa occidentale risalgono a circa 12.000 anni fa e molto probabilmente hanno origini locali. La diffusione di queste industrie sembra anche indicare un cambiamento nel tipo di insediamento, con una maggiore frequenza di siti in ripari sotto roccia rispetto alle epoche più antiche. Industrie caratterizzate da strumenti di grandi dimensioni (macroliti) continuarono tuttavia a essere prodotte fino a epoca relativamente recente nelle regioni con densa foresta tropicale come la Guinea, la Sierra Leone e la Nigeria orientale. Queste industrie erano caratterizzate da strumenti grossolani su nucleo, forse usati come zappe o asce.
Attualmente si possono distinguere tre fasi di sviluppo della Late Stone Age nell'Africa occidentale. La fase più antica, datata approssimativamente tra 13.000 e 10.000 anni fa, è rappresentata dai siti di Bingerville Highway nella Costa d'Avorio, Iwo Eleru nella Nigeria orientale e Mbi Crater nelle pianure del Camerun, nonché forse a Badoye nella valle del fiume Gambia. In particolare, l'industria messa in luce a Bingerville Highway, datata a circa 13.000 anni fa, è caratterizzata da pezzi non geometrici. L'industria più antica a Iwo Eleru, datata a circa 12.000 anni fa, comprende microliti triangolari, trapezoidali e crescenti. A essa è associata anche una sepoltura con un individuo di tipo negroide. La fase successiva, datata tra 10.000 e 6000 anni fa, è rappresentata da numerosi siti con industrie che comprendono sia microliti sia macroliti, spesso rozzi. Questi ultimi attestano la sopravvivenza di tecniche di lavorazione di tipo levalloisiano nell'Olocene iniziale. Ad esempio, la sequenza messa in luce nel sito di Shum Laka (Camerun occidentale) presenta alla base un'industria microlitica in quarzo associata a grandi bifacciali, usati probabilmente come zappe, e datata a circa 9000 anni fa. I livelli più recenti contengono solo grandi schegge di tipo levalloisiano. Una situazione simile si riscontra anche in altri siti del Camerun occidentale, quali Abéké e Mbi Crater. Ugualmente i livelli databili tra 10.000 e 7000 anni fa a Iwo Eleru presentano una riduzione nella frequenza di microliti e un incremento di pezzi macrolitici con un progressivo aumento di raschiatoi e ceselli.
Strumenti macrolitici costituiscono anche la componente principale delle industrie attribuibili alla fase finale della Late Stone Age, databili approssimativamente tra 5000 e 2000 anni fa, quando si diffuse nella regione l'uso della ceramica. La maggior parte dei siti di questa fase contiene industrie microlitiche associate a numerosi macroliti, per lo più choppers, pestelli, asce, raschiatoi e punte. Gli strumenti macrolitici erano stati inizialmente attribuiti all'industria sangoana, molto più antica, ma oggi questa interpretazione non è più sostenibile. In questa fase sono attestati anche alcuni siti costieri con shell middens (chiocciolai) quali, ad esempio, Kpone nel Ghana e Tchotchoraf, Tiebiessu, Songon Dagbe, Ehussu e Nyamwan nella Costa d'Avorio. Nella fase finale della Late Stone Age si affermò anche uno stile di vita sedentario con la formazione dei primi villaggi relativi a popolazioni in grado di produrre proprie risorse alimentari.
Le origini della produzione del cibo nella regione sono ancora incerte. È possibile che alcune specie selvatiche, quali il riso della Guinea e le Dioscoracee (yam), fossero state domesticate dalle popolazioni indigene in età abbastanza antica e indipendentemente da contatti con altre regioni, ma le evidenze archeologiche sono del tutto assenti. Animali domestici furono sicuramente introdotti dalle regioni sahariane. Le tracce più antiche di vasellame risalgono al V-IV millennio a.C. e sono associate a zappe e asce, anche se non vi sono ancora elementi sufficienti per ritenere che questi strumenti siano già attribuibili a forme iniziali di coltivazione di piante domestiche. Vasellame databile al V millennio a.C. è stato rinvenuto a Iwo Eleru e Afikpo in Nigeria e a Shum Laka nel Camerun. Quest'ultimo sito in particolare ha fornito vasellame con decorazione impressa. Alla metà del IV millennio a.C. risalgono le prime evidenze di ceramica a Bosumpra Cave nel Ghana. Questo vasellame più antico sembra essere una produzione di origine locale, non necessariamente dovuta a influssi esterni.
Comunità con un'economia di sussistenza sicuramente basata sulla produzione del cibo si diffusero progressivamente nella regione nel II millennio a.C., in seguito alla penetrazione di popolazioni provenienti dalle regioni settentrionali del Sahel. Una prima penetrazione di popolazioni settentrionali sarebbe avvenuta verso la metà del III millennio a.C., quando gruppi di pescatori originari dalla media valle del Niger si insediarono nel delta interno del fiume (facies culturale di Kobadi). A essi seguirono gruppi agricolo-pastorali con una cultura materiale ricollegabile a quella di Tichitt in Mauritania (facies di Ndondi-Tossokel), che penetrarono nella regione nel corso del I millennio a.C. Da questi contatti tra popolazioni di origine sahariana e quelle indigene della foresta emerse l'industria di Kintampo (II millennio a.C.), caratterizzata da ceramica decorata a pettine, asce levigate, punte di freccia a ritocco bifacciale, pendenti di pietra biconici e microliti associati a capre, pecore e bovini domestici, leguminose e noci di palma da olio. Queste popolazioni abitavano in villaggi con capanne costruite con canne e fango. Tracce di questa cultura databili alla fine del II millennio a.C. sono state rinvenute anche a Daima (Nigeria nord-orientale) e consistono in insediamenti permanenti e strumenti di osso.
Nel corso del I millennio a.C. l'uso del metallo venne introdotto nella regione dando origine alle culture dell'età del Ferro. Le tracce più antiche sono state segnalate finora ad Agadez nel Niger e Akjoujt in Mauritania e attestano una lavorazione del rame già verso la metà del I millennio a.C., contemporaneamente alle prime evidenze di uso del ferro. In Africa occidentale la produzione di oggetti di ferro sembra essere iniziata verso la metà del I millennio a.C. ed essersi consolidata tra la fine del I millennio a.C. e gli inizi del I millennio d.C. Il ferro comunque è ben documentato nell'area del Sahel dalla fine del I millennio a.C. Nel III sec. a.C. esso apparve nell'Air meridionale (Niger) e nel II-I sec. a.C. a Djenné-Djeno nel delta del Niger (Mali).
Nella fascia a foresta tropicale a sud del Sahel, la lavorazione del ferro è attestata a partire dalla metà del I millennio a.C. Essa è documentata sull'Altopiano di Jos in Nigeria dalla cosiddetta "cultura di Nok", datata tra il VI sec. a.C. e il V sec. d.C. Questa cultura era caratterizzata dalla produzione di figure in terracotta a grandezza naturale, per lo più antropomorfe, che attestano forme di artigianato molto sofisticate. Coltelli e punte di freccia sembrano essere stati invece gli utensili in metallo prodotti più frequentemente. Purtroppo le origini di questa cultura sono ancora incerte. Siti dell'età del Ferro, databili ai primi secoli del I millennio d.C., sono stati segnalati lungo il corso del Niger, nell'area oggi sommersa dal bacino artificiale della diga di Kainji, dove sono state messe in luce le tracce di una popolazione di allevatori che producevano figurine in terracotta simili a quelle della cultura di Nok, ma meno rifinite. Nella Nigeria orientale, a sud di Benue, sembra che il ferro sia ugualmente apparso nel corso del I millennio d.C. Le evidenze più consistenti sono state individuate nel sito di Igbo-Ukwu, datato alla fine del I millennio d.C., dove è stata messa in luce una tomba reale molto ricca, che attesta la presenza di una società complessa. A sua volta, l'uso del ferro sembra essersi diffuso nell'attuale Ghana nel I millennio d.C., come è attestato dal sito di Atwetwebooso dove le tracce più antiche di manifattura del ferro risalgono al II sec. d.C. Tuttavia la presenza di industrie microlitiche e utensili di pietra levigata in ripari sotto roccia, quale, ad esempio, Akyekyema Buor, databili al I millennio d.C., indica una sopravvivenza di tradizioni della Late Stone Age fino a epoca relativamente recente.
La tarda preistoria dell'Africa centrale è per molti aspetti ancora poco nota, poiché la densa foresta equatoriale che ricopre gran parte della regione rende difficile un'esplorazione archeologica sistematica.
Attualmente sembra che le più antiche industrie microlitiche dell'Africa centrale abbiano avuto due origini distinte. Nelle savane dello Zambia e dell'Angola meridionale queste industrie sembrano essere locali e derivare da una precedente tradizione di Bambata-Shangula. Lungo i margini della foresta equatoriale esse sono rappresentate dall'industria tshitoliana, che potrebbe essersi progressivamente sviluppata da una più antica industria lupembiana. In particolare, l'industria tshitoliana, identificata nella Repubblica del Congo sud-occidentale, in Angola nord-orientale e nel Gabon centrale e datata tra circa 13.000 e 3000 anni fa, era caratterizzata da punte di freccia, piccole punte triangolari, asce bifacciali e unifacciali, microliti e altri strumenti più grossolani. I resti di fauna associati a questa industria in siti datati tra il V e la metà del III millennio a.C. comprendevano sia specie selvatiche tipiche di una fauna di foresta sia pesci e conchiglie terrestri. Industrie su osso con una componente importante costituita da arponi, databili approssimativamente tra 12.000 e 3000 anni fa, sono state segnalate nelle regioni nord-occidentali e nord-orientali dell'Africa centrale, soprattutto nei siti di Mbi Crater, Ishango e Matupi. A Ishango, in particolare, sulle rive del Lago Edoardo al confine tra Uganda e Repubblica del Congo, è stata messa in evidenza una fase prolungata di occupazione, databile tra 11.000 e 6000 anni fa, caratterizzata da un'industria litica grossolana con raschiatoi e microliti a dorso ritoccato e da arponi. Questi ultimi hanno suggerito uno sfruttamento intensivo delle risorse acquatiche del lago.
Le evidenze archeologiche relative a popolazioni che eventualmente praticavano la produzione del cibo sono ancora molto scarse. Strumenti in pietra levigata sono stati messi in luce in numerosi siti del Camerun, Gabon, Congo e Repubblica Democratica del Congo. La loro età è tuttavia incerta. È possibile che in quest'ultima regione essi risalgano alla metà del II millennio a.C. La ceramica invece è attestata a partire dal I millennio a.C. La diffusione della produzione del cibo nell'Africa centrale sembra comunque associata all'espansione di popolazioni parlanti lingue Bantu, che si sarebbero progressivamente diffuse dal Camerun occidentale verso est e sud almeno dal III millennio a.C.
Molto probabilmente il ferro apparve in Africa centrale verso la metà del I millennio a.C., anche se alcune datazioni potrebbero anticipare la sua comparsa già nel II millennio a.C. Asce e zappe in pietra levigata continuarono tuttavia a essere utilizzate in questa regione molto a lungo, anche dopo l'introduzione di manufatti di metallo. Finora le più antiche evidenze sicure di lavorazione del ferro nell'Africa centrale sono state segnalate nelle regioni interne del Gabon e sono datate alla metà del I millennio a.C. circa. È interessante notare che in quest'area tale tecnica apparve inizialmente nell'interno e solo successivamente sulla costa, dove è attestata a partire dal I sec. d.C. Nel IV sec. a.C. circa, comunità in grado di lavorare il ferro erano stanziate anche nel Camerun, come attestano alcune scorie dal sito di Obobogo, presso Yaoundé. Quasi contemporaneamente, verso la fine del IV sec. a.C., il ferro apparve lungo la costa della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) settentrionale, come testimoniano alcuni rinvenimenti sul sito di Tchissanga, presso Pointe Noire. Esso invece sembra essere stato introdotto lungo il corso del Congo nei primi secoli della nostra era. Le prime attestazioni finora note in questa regione sono state messe infatti in luce a Sakuzi e sono datate tra la metà del I e il III sec. d.C.
Il popolamento del Corno d'Africa nell'Olocene iniziale (10.000-5000 a.C. ca.) è ancora mal documentato. Le uniche tracce sono costituite da industrie della Late Stone Age segnalate sull'Altopiano Etiopico e in Somalia. Esse sono caratterizzate dalla produzione di strumenti microlitici (lamelle a dorso, crescenti, grattatoi, raramente bulini) e suggeriscono la presenza di popolazioni di cacciatori e raccoglitori con tradizioni litiche diverse nell'Etiopia settentrionale ed Eritrea, Etiopia occidentale, Dancalia, Rift Valley, Somalia settentrionale e Somalia meridionale.
In Etiopia ed Eritrea queste industrie sono attribuibili a tre complessi principali, in parte contemporanei tra loro. Il primo complesso è rappresentato da un'industria scoperta a Logghia, in Dancalia, con lame simili a quelle del Complesso Iberomaurusiano dell'Africa settentrionale (ca. 8000-4000 a.C.). L'economia di sussistenza era basata su caccia, pesca e raccolta e sullo sfruttamento di ambienti acquatici. Il secondo complesso è stato identificato nell'Afar meridionale tra il Lago Besaka e Matahara. Esso è caratterizzato da lame a dorso ritoccato, bulini e raschiatoi ed è datato tra il 9000 e il 1500 a.C. circa. Sono state riconosciute tre fasi di sviluppo, la seconda delle quali presenta affinità con l'industria di Elmenteita del Kenya, mentre la terza (ca. 1500 a.C.) sembra attestare la presenza di bovini domestici. Questo complesso probabilmente rappresenta una tradizione autoctona della Rift Valley. A esso potrebbe essere attribuita anche un'industria simile a quella di Elmenteita del Kenya segnalata a Melka Kunture. Infine, uno sviluppo ulteriore di questo complesso potrebbe essere un'industria identificata a Quiha (Tigrè orientale) databile al I millennio a.C. Il terzo complesso è costituito da numerose industrie di tipo wiltoniano segnalate in Eritrea ed Etiopia. Industrie microlitiche di ossidiana di tipo wiltoniano con crescenti, raschiatoi e lamelle a dorso ritoccato sono state segnalate in numerose località dell'altopiano eritreo e sulle Isole Dahlak di fronte a Massaua; i siti più noti sono Mai Aini, a sud-ovest di Asmara, e Dahlak Kebir. La loro età è incerta, in alcuni casi potrebbero essere relativamente recenti, in quanto microliti sono frequenti in siti con rovine di età storica. In Etiopia tali industrie sono state segnalate nel Tigrè, a Wollo, Begemder, Dancalia, Ogaden, Arsi, Shoa e Sidamo e sembrano risalire a una età relativamente recente, forse non anteriore al III-II millennio a. C., in quanto sono talvolta associate a ceramica, come a Gobedra presso Aksum (Tigrè). A una tradizione tecnologica tipica del Tigrè e dell'Eritrea possono essere attribuite infine alcune industrie grossolane su scheggia di tipo levalloisiano, apparse nella regione verso il 10.000 a.C., ma prodotte fino a epoca storica. Le industrie litiche della Late Stone Age comprendono inoltre l'industria doiana nella Somalia meridionale, caratterizzata dalla produzione di pezzi bifacciali.
Popolazioni che praticavano la produzione del cibo apparvero nel Corno d'Africa tra il 4000 e il 1000 a.C. Bestiame domestico e forse frumento e orzo furono introdotti sull'altopiano dai bassopiani occidentali tra il 3500 e il 1500 a.C. circa. Alcuni elementi di falce rinvenuti nel riparo di Laga Oda presso Harar potrebbero suggerire tuttavia che gruppi stanziati nell'Etiopia orientale fossero preadattati alla produzione del cibo fin dal Pleistocene finale. Non si può escludere inoltre che l'ensete o "falsa banana" sia stata domesticata localmente nell'Etiopia meridionale in epoca molto antica.
Almeno due centri principali di popolamento emersero nel Corno d'Africa in seguito all'introduzione di un'economia basata sulla produzione del cibo. Essi erano localizzati nei bassopiani occidentali eritreo-sudanesi e sull'Altopiano Etiopico orientale. Popolazioni pastorali e agricolo-pastorali, con una tradizione culturale indigena in parte connessa a quelle della media valle del Nilo, si diffusero lungo i bassopiani eritreo-sudanesi tra il III e il I millennio a.C. L'evidenza di queste popolazioni è stata raccolta principalmente nel delta del Gash presso Kassala e nella media valle del Barca presso Agordat. Qui sono state identificate alcune unità culturali (gruppi di Amm Adam, Malawiya, Butana, Gash, Gebel Mokram e Hagiz) attribuibili a un'unica tradizione, databile tra il V millennio a.C. e gli inizi del I millennio d.C. Esse sembrano rappresentare fasi successive di sviluppo di una stessa popolazione, che avrebbe occupato la regione del delta del Gash per quasi 6000 anni. In particolare, il Gruppo del Gash (2700-1400 a.C. ca.) può essere attribuito a una società pastorale che praticava anche la coltivazione dell'orzo ed era inserita in un circuito di interscambio tra l'Egitto, la Nubia, il Corno d'Africa e l'Arabia meridionale, con il conseguente emergere di una società complessa tra il 2500 e il 1500 a.C. Successivamente, popolazioni provenienti dal Deserto Orientale si sarebbero mescolate a quella del Gruppo del Gash, dando origine a una società agricolo-pastorale con coltivazione del sorgo nel II millennio a.C. (Gruppo di Gebel Mokram, 1400-900/800 a.C. ca.). Infine, questa popolazione avrebbe adottato un'economia pastorale nomade nel I millennio a.C. (Gruppo di Hagiz, ca. 700 a.C. - 300/400 d.C.).
Una popolazione pastorale con tradizioni culturali afro-arabe occupò invece l'Altopiano Etiopico orientale dal III millennio a.C., come attestano numerose figure rupestri in stile "etiopico-arabo" segnalate soprattutto nel riparo di Laga Oda presso Harar. Questa popolazione si diffuse progressivamente verso l'Etiopia meridionale, la Somalia settentrionale e l'Eritrea. La presenza di allevatori nomadi o seminomadi nel II-I millennio a.C. sull'altopiano in Eritrea è attestata da numerose pitture e incisioni rupestri di bovini in stile etiopico-arabo, naturalistico e seminaturalistico e figure antropomorfe in stile boscimano e iberico segnalate nell'Akkelè Guzai (Eritrea centrale), in particolare presso Mai Aini, sulle Rore (Eritrea settentrionale) e a Karora sul confine con il Sudan. Infine, sembra che popolazioni sedentarie o semisedentarie fossero stanziate sia in Eritrea sia nell'Etiopia orientale nel II-I millennio a.C.
Tracce di insediamenti (cultura delle Ona), databili tra la fine del II e la metà del I millennio a.C., sono state segnalate sull'altopiano dell'Hamasien presso Asmara (Eritrea), ad Adulis sulla costa del Mar Rosso e forse a Matara nell'Akkelè Guzai. Essi sono attribuibili a popolazioni distinte, ma in contatto reciproco, inserite in una rete di scambi con l'Arabia meridionale e la valle del Nilo. Villaggi fortificati e necropoli con dolmen, ugualmente databili forse alla metà del II millennio a.C., sono stati individuati sull'altopiano di Harar (Etiopia orientale).
La documentazione archeologica indica inoltre che lo sviluppo di un circuito di interscambio tra Corno d'Africa e Arabia si sia verificato a partire dal VII millennio a.C. Tra la metà del III e la metà del II millennio a.C. questo circuito includeva apparentemente tutta la regione tra i bassopiani occidentali eritreo-sudanesi, l'Altopiano Etiopico orientale, Gibuti, Aden e lo Yemen settentrionale. È probabile che forme relativamente semplici di metallurgia fossero note alle popolazioni del Sudan orientale e dell'Altopiano Etiopico settentrionale in età tardopreistorica (II-I millennio a.C.). Scorie di rame sono state messe in luce in strati databili alla fine del II millennio a.C. ad Adulis e ornamenti di rame sono stati rinvenuti ad Agordat nei bassopiani occidentali eritrei, in siti databili alla metà del II millennio a.C. Frammenti di rame sono stati anche raccolti nel sito di Mahal Teglinos, presso Kassala, al confine tra Sudan orientale ed Eritrea, in un contesto databile alla prima metà del II millennio a.C. L'Altopiano Etiopico settentrionale potrebbe essere stato una delle regioni da cui il ferro si diffuse in Africa. Scorie di questo metallo sono state raccolte a Gobedra, presso Aksum nel Tigrè (Etiopia settentrionale) in un contesto datato agli inizi del I millennio a.C.
È probabile che la tecnica di lavorazione del ferro sia stata introdotta sull'Altopiano Etiopico dall'Arabia meridionale, dove manufatti di ferro sono attestati dal X sec. a.C. circa. Del resto contatti intensi tra le due regioni sono documentati fin dal II millennio a.C. In base alla documentazione archeologica finora nota, sembra comunque che oggetti di metallo abbiano avuto una circolazione relativamente limitata sull'Altopiano Etiopico settentrionale almeno fino ai primi secoli del I millennio d.C., nonostante l'emergere di società statali di tipo urbano fin dal VII-VI sec. a.C. Oggetti di bronzo e di ferro sono stati rinvenuti in tombe del regno etiopico-sabeo del Daamat (metà del I millennio a.C. ca.), ma si tratta molto probabilmente di oggetti di prestigio esibiti dall'élite della popolazione. Ornamenti personali di bronzo continuarono a essere usati nel regno di Aksum (I millennio d.C.), ma questo metallo venne quasi completamente sostituito dal ferro nel III-IV sec. d.C. Tra la fine del III e il VII sec. d.C. i re aksumiti coniarono monete di oro, argento, bronzo e rame rifacendosi al modello romano, confermando così un pieno controllo della metallurgia.
La diffusione del metallo (rame/bronzo e ferro) nel corso del I millennio a.C. coincise anche con lo sviluppo delle prime forme di stato nel Corno d'Africa settentrionale, corrispondente alle regioni attuali del Tigrè (Etiopia settentrionale) ed Eritrea. Agli inizi del I millennio a.C., l'altopiano tigrino (Eritrea ed Etiopia settentrionale) fu incluso nell'area di influenza sabea e una cultura di tipo sudarabico fece la sua comparsa nella regione.
Numerose iscrizioni rupestri sudarabiche scoperte nella regione del Qohaito (Akkelè Guzai) in Eritrea indicano un intensificarsi di contatti tra le opposte rive del Mar Rosso agli inizi del I millennio a.C. In seguito a tali contatti una società urbana a livello statale di tipo sudarabico apparve sull'altopiano espandendosi verso le regioni interne del Tigrè (Etiopia settentrionale) alla metà del I millennio a.C. (cultura preaksumita, ca. 700-400 a.C.). Insediamenti di questa cultura sono stati individuati a Kaskasè, Addi Grameten, Feqiya e Matara nell'Akkelè Guzai. Possibili resti di tipo sudarabico sono stati segnalati anche a Enzelal sulle Rore a nord di Asmara. I resti di una diga costruita secondo un modello sudarabico a Safra, nel Qohaito (Akkelè Guzai), fanno supporre che in questo periodo fossero utilizzate forme di irrigazione artificiale. I siti principali di questa cultura nel Tigrè sono Yeha, Haulti e Melazo. Questa cultura è caratterizzata dalla presenza di monumenti e iscrizioni di tipo sudarabico, che attestano un forte legame con il regno di Saba nell'Arabia meridionale. Alcuni sovrani preaksumiti portavano il titolo sabeo di mukarib e adoravano le divinità del Pantheon sabeo. Residenti sabei, inoltre, erano presenti nella regione. Influssi sudarabici sono rilevabili soprattutto nell'architettura monumentale, in alcuni altarini votivi, in alcuni sigilli di bronzo e nelle iscrizioni redatte in grafia sudarabica. La ceramica al contrario sembra essere quasi interamente di origine locale. Le origini di questo stato non sono ancora del tutto chiare. Molto probabilmente esso è sorto in seguito a una penetrazione sull'altopiano di gruppi sudarabici, che si mescolarono alla popolazione locale generando una cultura di tipo etiopico-sabeo. La documentazione archeologica ed epigrafica suggerisce un collasso dello stato preaksumita nel Tigrè dopo il IV sec. a.C. Non è escluso tuttavia che forse una società urbana sia sopravvissuta nell'Akkelè Guzai (Eritrea centrale).
Nel IV sec. a.C nella regione di Aksum (Tigrè settentrionale) comparve un'altra società complessa, di cui sono state messe in luce le evidenze sulla collina di Beta Giyorgis, presso Aksum. Essa si sarebbe consolidata tra il 150 a.C. e il 150 d.C., dando origine al regno di Aksum, che raggiunse il pieno sviluppo tra il IV e il VII sec. d.C. Evento cruciale nella storia di questo regno fu l'introduzione del cristianesimo agli inizi del IV secolo. I resti materiali di questo regno costituiscono la cosiddetta "cultura aksumita". La capitale del regno era localizzata ad Aksum nel Tigrè. Altri centri urbani di rilievo sono stati identificati nell'Akkelè Guzai (Qohaito, Tokonda, Matara), sui monti dei Maria a nord di Asmara (Aratù) e sulle Rore eritree (Nagran). In questo periodo, Adulis divenne il principale porto del regno sul Mar Rosso. Tracce di un insediamento aksumita sono state segnalate anche sull'isola di Dahlak Kebir di fronte a Massaua. Resti di villaggi agricoli sono stati inoltre rilevati nell'Hamasien presso Asmara (Cultura delle Ona a vasellame nero). Il regno declinò progressivamente nei secoli VIII-IX/X, quando la capitale si spostò verso sud da Aksum a Kuban, la cui esatta localizzazione non è stata ancora identificata.
La cultura aksumita si differenzia notevolmente da quella precedente e sembra avere un'origine autoctona, anche se vi sono alcuni elementi di continuità. Essa inoltre presenta evidenti influssi romano-bizantini e siriani. I monumenti più caratteristici di questa cultura sono le grandi stele funerarie, talvolta scolpite a riproduzione simbolica di un palazzo, di età precristiana (I sec. a.C. - IV sec. d.C.), che venivano erette su piattaforme artificiali a copertura delle tombe dei re e dei nobili. Con l'introduzione del cristianesimo nel IV sec. d.C., le chiese di tipo basilicale divennero i monumenti più significativi del regno. Altro elemento caratteristico di questa cultura sono le monete, fatte coniare dai re di Aksum tra il III e il VII secolo su modelli romani e bizantini.
Numerose incisioni rupestri schematiche di bovini, tra cui lo zebù (bue gibboso), nell'Akkelè Guzai, sulle Rore e lungo la valle del Barca indicano comunque che allevatori nomadi o seminomadi si spostavano nella regione anche in età aksumita. Alla fine del I millennio a.C. le regioni costiere del Corno d'Africa furono inserite nel circuito commerciale ellenistico-romano del Mare Eritreo, che lungo il Mar Rosso collegava il Mediterraneo all'India e all'Africa orientale, indicata nelle fonti classiche con il nome di Azania. Ciò è confermato dai resti di numerosi approdi di età romana lungo le coste del Sudan orientale, Eritrea e Somalia, tra i quali è particolarmente rilevante il sito di Ras Hafun, a sud del Capo Guardafui, dove è stata raccolta ceramica tolemaica, sudarabica, partica e romana. Una notevole quantità di monete di rame è stata inoltre raccolta presso Bur Gao nell'Oltre Giuba somalo. Esse comprendevano coni di Tolemeo III, Tolemeo IV, Tolemeo V, Nerone, Traiano, Adriano, Antonino, Massimino II, Licinio I, Costantino, Costantino II e Costante, nonché esemplari delle zecche di Cizico, Nicomedia, Antiochia, Costantinopoli, Tessalonica e Roma.
Industrie microlitiche attribuibili alla Late Stone Age sono già attestate nell'Africa orientale nel Pleistocene tardo e continuarono a essere prodotte fino a epoca relativamente recente, approssimativamente tra 35.000 e 4500 anni fa. Finora sono state riconosciute almeno quattro tradizioni distinte: Nachikufiano nello Zambia, Naserano e Lemutano nella Tanzania settentrionale ed Eburrano nel Kenya. Industrie propriamente microlitiche si diffusero tuttavia in tutta la regione circa 10.000 anni fa. Nonostante ciascuna di queste industrie sia caratterizzata da strumenti diversi, esse testimoniano nel loro insieme la presenza di cacciatori e raccoglitori sempre più specializzati che praticavano la caccia con arco e frecce e usavano lance e arponi di osso. All'Olocene iniziale, in particolare, risale l'industria eburrana del Kenya (ca. 11.000-7000 a.C.), un tempo nota come Capsiano del Kenya. Quest'industria è ben documentata soprattutto nei siti di Gamble's Cave e Nderit Drift, presso il Lago Nakuru, nel Kenya centro-meridionale. Si tratta di un'industria con grandi lame a dorso ritoccato, crescenti, raschiatoi su estremità di lama e grattatoi.
Le evidenze più antiche di ceramica decorata con motivi a linee ondulate, datate tra 8000 e 6000 anni fa, sono state segnalate in numerosi siti lungo le rive orientali e occidentali del Lago Turkana, tra cui vanno ricordati Lothagam e Lowasera. Questa ceramica presenta forti analogie con quella del cosiddetto Orizzonte Stilistico di Khartum, suggerendo pertanto una sua diffusione dal Sudan centrale. La presenza negli stessi siti di arponi d'osso indica un'economia basata sullo sfruttamento intensivo delle risorse lacustri da parte delle popolazioni rivierasche. A Lothagam sono state anche messe in luce alcune tombe con sepolture in posizione contratta sul fianco sinistro e la faccia rivolta a est. La maggior parte delle tombe non conteneva alcun corredo. Soltanto una sepoltura femminile aveva una collana con pendenti di uovo di struzzo e altri due individui erano accompagnati da microliti di ossidiana. Alla Late Stone Age sembrano risalire anche numerose pitture rupestri con figure di animali selvatici e antropomorfe marcate da un contorno rosso, segnalate in numerosi siti presso Kandoa, lungo la Rift Valley (Tanzania centrale). L'età di queste pitture è incerta. Le più antiche potrebbero risalire a circa 8000 anni fa, mentre le più recenti potrebbero essere datate a circa 2000 anni fa.
Le testimonianze più antiche di popolazioni che praticavano la produzione del cibo sono state messe in luce in alcuni siti presso Ileret sulla riva nord-orientale del Lago Turkana e a North Horr, circa 150 km a nord-est del Lago Turkana, nel Kenya settentrionale. Esse sono attribuibili a pastori che praticavano l'allevamento di bovini e caprovini e occupavano questa regione nel III millennio a.C. Manufatti tipici di queste popolazioni erano microliti a dorso ritoccato e, nel II millennio a.C., scodelle di pietra. La ceramica era decorata con motivi impressi. Inoltre, la presenza di macine nel sito di Ele Bor, al confine tra Kenya ed Etiopia, potrebbe suggerire l'esistenza di comunità sedentarie nella regione. Popolazioni dedite all'allevamento sono quindi attestate, a partire dalla fine del II millennio a.C., sugli altopiani del Kenya meridionale e della Tanzania settentrionale. Le evidenze archeologiche di queste popolazioni vengono convenzionalmente attribuite al cosiddetto "Neolitico pastorale", ma non vi sono prove sicure che esse praticassero anche forme di orticultura.
La documentazione archeologica suggerisce l'esistenza di gruppi distinti. Un primo gruppo è rappresentato dall'industria di Elmenteita, localizzata sul versante occidentale della Rift Valley nel Kenya. Essa è caratterizzata da strumenti su lama di ossidiana e da ceramica non decorata, per lo più scodelle, associata a scodelle di pietra. Un secondo gruppo è rappresentato dai siti di Nderit, Narosura, Akira e Maringishu, caratterizzati ciascuno da ceramiche in stili diversi, alcuni dei quali simili a quello della ceramica dei più antichi pastori del Kenya settentrionale. Un terzo gruppo è documentato da alcuni siti presso il Lago Vittoria ed è caratterizzato da vasellame decorato con motivi impressi (Kansyore Ware), datato alla seconda metà del I millennio a.C. Alcune di queste popolazioni di allevatori praticavano la cremazione, come è attestato dalle sepolture scoperte nella Grotta del Fiume Njoro presso Nakuru in Kenya, databili al 1000 a.C. circa. Qui sono state messe in luce numerose sepolture con corpi cremati associati a strumenti in ossidiana di tipo Elmenteita. L'uso della cremazione sembra tuttavia essere stato eccezionale. Normalmente, queste popolazioni seppellivano i defunti in fosse sotto tumuli di pietra, alti fino a 5 m e con un diametro variabile da 1-2 a oltre 20 m, più frequentemente tra 5 e 18 m, con sepolture singole o multiple. Va anche ricordata la presenza di una struttura cerimoniale con 20 pilastri di basalto allineati in modo da formare una L, associata a due tumuli, presso Kolakol sulla riva occidentale del Lago Turkana. L'età di questo monumento tuttavia è incerta.
Nell'Africa orientale i primi manufatti di ferro apparvero nella regione a ovest del Lago Vittoria verso la metà del I millennio a.C. Essi sono stati rinvenuti in siti della cosiddetta "cultura di Urewe", individuati nel Kenya sud-occidentale, Tanzania nord-occidentale, Uganda meridionale, Ruanda e parte della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire). Le origini della cultura di Urewe sono ancora oscure, in quanto non è stato finora possibile identificare antecedenti locali a questa cultura, né vi sono paralleli chiari tra la ceramica di Urewe e quella delle regioni circostanti.
Dalle fonti classiche, in particolare il Periplo del Mare Eritreo di autore anonimo e la Geografia di Claudio Tolemeo, sappiamo inoltre che nel I-II sec. d.C. le coste dell'Africa orientale (Azania) erano frequentate da mercanti romani, le cui navi si spingevano fino a Raphta sulla costa dell'attuale Tanzania. Secondo il Periplo un approdo era localizzato sulle Isole Pyraloi, corrispondenti all'Arcipelago delle Lamu, di fronte alla costa settentrionale dell'attuale Kenya. Veniva poi toccata l'isola di Menuthias, identificabile con Pemba o Zanzibar, di fronte alle coste dell'attuale Tanzania. Infine, veniva raggiunta Raphta, da cui si esportavano avorio di qualità inferiore a quello di Adulis sul Mar Rosso, carapaci di tartaruga, corna di rinoceronte e conchiglie di Nautilus. Già ai tempi del Periplo questo approdo doveva essere una città di dimensioni considerevoli. La localizzazione di Raphta è ancora incerta; questo porto potrebbe infatti essere stato individuato a Dar es-Salaam o alla foce del fiume Rufiji. Una localizzazione tra Pemba e l'attuale Dar es-Salaam, presso la foce del fiume Pangani, sembra tuttavia più probabile. Sempre secondo il Periplo, Raphta e la costa meridionale dell'Azania erano sotto il dominio del regno di Saba e Himyar in Arabia. Nella Geografia di Claudio Tolemeo, scritta verso la metà del II sec. d.C., Raphta è descritta come una metropoli non più sotto il dominio arabo. In questo testo viene menzionata anche una baia a sud di Raphta, identificabile con Capo Prason, vicino alla quale abitavano popolazioni cannibali. Ciò suggerisce che i mercanti romani si spingessero fin verso la costa della Tanzania meridionale e il Mozambico.
Industrie microlitiche apparvero nell'Africa australe nella Middle Stone Age, ma divennero predominanti nell'Olocene, tra il VII e il I millennio a.C. Nel loro insieme queste industrie erano caratterizzate dalla produzione di strumenti microlitici e dalla lavorazione di legno, cuoio e materiali vegetali. Esse sono attribuibili a cacciatori e raccoglitori che facevano largo consumo di prodotti vegetali, con spostamenti stagionali per seguire gli animali cacciati. I defunti venivano sepolti sia in caverne sia all'interno degli abitati ed erano accompagnati da corredi funerari con utensili, ornamenti personali e talvolta corna di antilopi o zanne di facocero. Gli ornamenti personali comprendevano pendenti ed elementi di collana di osso o conchiglia. Queste industrie, pur presentando alcuni aspetti comuni, sono abbastanza diversificate e attestano l'esistenza di tradizioni litiche diverse.
Nello Zambia settentrionale e centrale sono attestate le industrie nachikufiane, datate tra gli inizi dell'Olocene e il III millennio a.C., con due fasi di sviluppo: Nachikufiano I e Nachikufiano II. Il Nachikufiano II a sua volta è stato suddiviso in Nachikufiano IIA e Nachikufiano IIB. Il Nachikufiano I, datato agli inizi dell'Olocene, era caratterizzato da piccole lame appuntite a dorso ritoccato, asce di pietra levigata e pietre forate. Il Nachikufiano IIA, apparso nell'VIII millennio a.C., comprendeva schegge troncate e a dorso ritoccato. Il Nachikufiano IIB, datato all'Olocene medio, era caratterizzato soprattutto da crescenti e microliti geometrici. Nello Zambia orientale è attestata l'industria di Makwe presso Katete, contemporanea al Nachikufiano II, e caratterizzata inizialmente da lame e schegge a dorso ritoccato e nel IV-III millennio a.C. da crescenti e microliti geometrici, in particolare pezzi triangolari. A queste industrie seguirono negli ultimi millenni a.C. altre industrie microlitiche, non ben definite ma riferibili nel complesso a quelle wiltoniane (Nachikufiano III).
Nello Zambia meridionale sono attestate industrie di tipo wiltoniano, datate all'Olocene medio e caratterizzate da crescenti, schegge a dorso ritoccato e lame, con pochi raschiatoi convessi. Nelle regioni a sud dello Zambesi industrie microlitiche sono attestate dall'VIII millennio a.C. e continuarono a essere prodotte fino all'Olocene tardo, quando venne introdotto il ferro. In base alla sequenza stratigrafica nella Grotta di Pomongwe, sui Monti Matopo, esse vengono definite "industrie matopane". Queste industrie erano caratterizzate dalla produzione di piccoli raschiatoi convessi e microliti a dorso ritoccato, tra cui lame e crescenti. Nella Repubblica Sudafricana la Late Stone Age è rappresentata da industrie attribuibili al Complesso Wiltoniano, databili a partire dal VII millennio a.C. Queste industrie, che comprendono anche l'industria di Smithfield, erano caratterizzate da microliti a dorso ritoccato, in particolare crescenti.
L'arte rupestre è un altro aspetto importante della tarda preistoria dell'Africa australe. L'età di questa arte è incerta, ma alcuni frammenti di roccia con figure dipinte messi in luce in contesti stratigrafici nella grotta Apollo 11 (Namibia) indicano che le sue origini risalgono ad almeno 28.000 anni fa. La maggior parte delle figure rupestri tuttavia è più recente e sicuramente anteriore al I millennio d.C., quando il ferro venne introdotto nella regione. Sono rappresentati per lo più animali selvatici e talvolta cacciatori. La presenza di motivi simbolici tipici delle popolazioni San (i cd. Boscimani) ha suggerito inoltre un'attribuzione almeno parziale di questa arte ai loro antenati. È probabile infatti che i San discendano da un'antichissima popolazione stanziata inizialmente nell'Africa orientale e progressivamente migrata nei territori meridionali, se non addirittura dalle prime forme di Homo sapiens che occupavano l'Africa meridionale circa 50.000 anni fa. In particolare, le industrie litiche del cosiddetto Complesso di Oakhurst, dal nome di un sito sulla costa meridionale del Capo, vengono attribuite da alcuni studiosi a una popolazione proto-San che avrebbe occupato l'Africa sud-orientale all'inizio dell'Olocene, approssimativamente tra 10.000 e 7000 anni fa. Queste industrie sono caratterizzate dalla produzione di grattatoi su grosse schegge, associati a resti di fauna simili a quelli attualmente presenti nella regione. Quasi certamente si possono attribuire agli antenati dei San le industrie microlitiche del Complesso Wiltoniano, attestate in tutta la regione del Capo e datate tra il 6000 a.C. e l'epoca moderna, alle quali sono associabili anche le numerosissime testimonianze di arte rupestre segnalate nell'Africa australe.
Attualmente sembra probabile che la lavorazione del ferro e la produzione del cibo si siano diffuse nell'Africa australe in seguito a uno spostamento progressivo di popolazioni verso sud, fino al Natal dove la lavorazione del ferro è attestata a partire dal III sec. d.C. Tuttavia la presenza di resti di caprovini domestici in siti con industrie microlitiche databili a circa 2000 anni fa (fine II - inizi I millennio a.C.) sembra indicare che alcuni gruppi di cacciatori e raccoglitori dell'Africa meridionale avessero già iniziato a praticare forme di produzione del cibo prima della diffusione del ferro nella regione.
Nel suo insieme, la cultura materiale dei primi gruppi umani che usavano il ferro dal Kenya alla Repubblica Sudafricana presenta un notevole grado di uniformità, nonostante alcune variazioni geografiche e temporali. Essa viene perciò attribuita a un unico complesso culturale, definito come Complesso Chifumbaze. Possibili varianti regionali di questo complesso culturale sono attestate fin dai primi secoli dell'era cristiana anche nella provincia di Shaba nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), nello Zambia centrale e nell'Angola settentrionale, ma la relazione con i gruppi orientali non è sempre chiara.
La fase iniziale di questi spostamenti, classificata come età del Ferro antica, viene approssimativamente datata tra il III sec. a.C. e il VI sec. d.C. Essa fu caratterizzata dalla diffusione abbastanza uniforme nell'area compresa tra l'equatore e il fiume Vaal di un tipo particolare di ceramica, che si presenta sostanzialmente simile in tutta l'area pur con varianti regionali. Le forme più comuni di questa ceramica sono giare globulari o emisferiche con orlo a collo leggermente estroverso, decorate con motivi geometrici per lo più incisi (a bande di linee parallele, griglie, triangoli alternati). Essa è sempre associata a manufatti di ferro e rame. Gli oggetti di metallo più frequenti sono asce, punte di lancia e di freccia, lame per zappe e lingotti di ferro a forma di X allungata (probabilmente usati come moneta) e collari di filo di rame ritorto. I siti in cui questi materiali sono stati rinvenuti sono quasi sempre attribuibili a popolazioni sedentarie che praticavano un'economia mista con agricoltura e allevamento.
Attualmente, in base ad alcune differenze nello stile del vasellame, la ceramica dell'età del Ferro antica viene distinta in due varianti principali, definite rispettivamente "corrente orientale" e "corrente occidentale". La corrente orientale è attestata nel Malawi, Zimbabwe, Transvaal, Natal e Swaziland; quella occidentale nello Zambia centro-occidentale, nella Repubblica Democratica del Congo e in Angola. Le testimonianze più antiche sono state documentate nella regione dei Grandi Laghi equatoriali. Da qui la corrente orientale, di chiara derivazione dalla cultura di Urewe, si sarebbe diffusa verso il Kenya meridionale e avrebbe raggiunto la Tanzania e la Somalia agli inizi del I millennio d.C. Verso la metà del I millennio essa si sarebbe quindi diffusa verso il Malawi e lo Zambia orientale, e da qui verso lo Zimbabwe e, superando il fiume Limpopo, verso il Transvaal e lo Swaziland, dove è già attestata nel VI sec. d.C. La corrente occidentale si sarebbe quasi contemporaneamente diffusa dalla stessa regione dei Grandi Laghi verso lo Zambia centrale e lo Zimbabwe, espandendosi anche verso la Repubblica del Congo e da qui con insediamenti sporadici verso la costa atlantica. La cultura dell'età del Ferro antica scomparve quasi completamente in tutte le regioni a sud dell'equatore verso l'XI sec. d.C. In queste regioni essa fu sostituita dalla cosiddetta "cultura dell'età del Ferro recente", che si presenta più diversificata. Vi sono tuttavia sufficienti tratti culturali comuni tra i due periodi che suggeriscono un legame genetico tra queste culture.
Nel complesso, la tarda preistoria dell'Africa subsahariana fu caratterizzata da una differenziazione sempre più accentuata delle tradizioni culturali nelle singole regioni, con forme di adattamento specifiche ai diversi ambienti, anche se la presenza nelle varie industrie microlitiche di alcuni strumenti simili quali, ad esempio, i crescenti, potrebbe riflettere aspetti comuni tipici delle società di cacciatori e raccoglitori. A partire dall'Olocene medio si assistette anche a una più netta diversificazione tra le popolazioni del Corno d'Africa, dell'Africa orientale e dell'Africa occidentale, che adottarono forme di produzione del cibo, e quelle dell'Africa centrale e australe che mantennero più a lungo un'economia di caccia e raccolta.
Bibliografia
J.D. Clark, Prehistoric Cultures of the Horn of Africa, Cambridge 1954 (New York 19722); D.W. Phillipson, The Later Prehistory of Eastern and Southern Africa, London 1977; J.D. Clark (ed.), The Cambridge History of Africa, I. From the Earliest Times to c. 500 BC, Cambridge 1978; J. Ki-Zerbo (ed.), General History of Africa, I. Methodology and African Prehistory, Berkeley 1981; G. Mokhtar (ed.), General History of Africa, II. Ancient Civilizations of Africa, Berkeley 1981; R. Fattovich - K. Sadr - S. Vitagliano, Società e territorio nel Delta del Gash (Sudan), 3000 a.Cr. - 300/400 d.Cr., in Africa, 43 (1988), pp. 353-94; D.W. Phillipson, African Archaeology, London 1993; Th. Shaw et al. (edd.), The Archaeology of Africa. Food, Metals and Towns, London 1993; J.O. Vogel (ed.), Encyclopedia of Precolonial Africa, Walnut Creek 1997; D.W. Phillipson, Ancient Ethiopia, London 1998; G. Calegari, L'arte rupestre dell'Eritrea, Milano 1999.