La procedura di negoziazione assistita
Il nuovo istituto della procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, introdotto dal d.l. n. 132/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 162/2014, trova le proprie origini nell’esperienza del diritto collaborativo di matrice nordamericana e in quella dell’omonimo istituto di diritto francese. Sul piano strutturale e in parte funzionale, presenta tratti di evidente somiglianza con figure già disciplinate nel nostro ordinamento, tra le quali principalmente la transazione. La sua finalità, come quella della mediazione di cui al d.lgs. n. 28/10, con la quale è destinato a convivere, è quella di favorire la composizione amichevole delle controversie (in alcuni casi atteggiandosi a condizione di procedibilità della domanda giudiziale), valorizzando notevolmente il ruolo degli avvocati.
La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, introdotta con il d.l. 12.9.2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 10.11.2014, n. 1621, si colloca nel contesto delle «misure urgenti di degiurisdizionalizzazione»2, volte a porre rimedio allo stato di crisi della giustizia statuale3.
Sotto questo profilo, essa contribuisce ad arricchire la «filiére des régulations»4 delle controversie, che va dalla regolazione giurisdizionale a quella convenzionale, in particolare a quella cui si dà il nome di «justice par le contrat»5, cioè di «giustizia che si compie per mezzo del contratto». In questo senso, può considerarsi espressione di un modello di “giustizia contrattuale”, che, in quanto tale, dovrebbe essere governato nel suo intero percorso dalla libera volontà delle parti6. Come per ogni atto di natura negoziale e contrattuale.
Del tutto diverso, ma ugualmente diretto alla ricerca di un accordo che ponga fine alla controversia, è lo strumento conciliativo, che si propone attraverso numerose varianti e che, nel proprio ambito, conosce da qualche tempo una figura dalle potenzialità ben più ampie e non sempre comprese e valorizzate, quale la mediazione di cui al d.lgs. 4.3.2010, n. 28.
Quest’ultima, in particolare, nella versione risultante dalle modifiche apportate dal cd. “decreto del fare”7 (d.l. 21.6.2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla l. 9.8.2013, n. 98) – intervenute a seguito della declaratoria di incostituzionalità del 2012 che ha investito il “modello” obbligatorio8 – pur continuando a presentare molte delle criticità connesse alla ripristinata obbligatorietà della procedura e alle molteplici occasioni di interferenza con il processo, offre comunque oggi ai litiganti opportunità e utilità di certo maggiori rispetto al testo originario, tra le quali spicca l’immediata e diretta (senza cioè necessità di omologa del presidente del tribunale) esecutività del verbale di conciliazione per effetto della sottoscrizione degli avvocati e della certificazione, da parte degli stessi, di autenticità della sottoscrizione delle parti, oltre che della non contrarietà dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
La mediazione resta e convive con il nuovo strumento, seguendo strade parallele e, allo stesso tempo, soluzioni similari (che saranno confrontate, volta a volta, nel prosieguo).
Ciò premesso, occorre esaminare la struttura e il funzionamento dell’istituto in parola.
2.1 Modelli e ambito di applicazione
Di esso è possibile individuare due modelli fondamentali: quello della negoziazione facoltativa (o volontaria) e quello della cd. negoziazione obbligatoria9.
La scelta di ricorrere al primo per la composizione della lite è assolutamente libera e presuppone la preferenza della parte istante per questo strumento rispetto agli altri, pure facoltativi, previsti dall’ordinamento (ad esempio, la mediazione ex d.lgs. n. 28/2010, al di fuori dei casi contemplati dall’art. 5, co. 1-bis); l’utilizzo del secondo, invece, è riservato ad ipotesi espressamente previste e funziona come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, secondo un meccanismo pressoché identico a quello della mediazione cd. “obbligatoria” (v. infra, il § 2.9).
L’ambito generale di applicazione della negoziazione assistita è individuato dal’art. 2, co. 2, lett. b), secondo cui «l’oggetto della controversia», che si intende risolvere attraverso la procedura di negoziazione assistita, «non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro»10.
2.2 Assistenza tecnica degli avvocati
Lo svolgimento della procedura di negoziazione assistita segue regole comuni ad entrambi i modelli, salvo quelle specificamente stabilite per il modello obbligatorio.
Invero, una volta stipulata la «convenzione» a seguito dell’adesione, esplicita o tacita, all’«invito» rivolto da una parte all’altra, le attività successive, che, a seconda dei casi, portano alla eventuale conclusione dell’«accordo» o al fallimento della procedura, sono lasciate alla libera determinazione dei contendenti, assistite necessariamente da avvocati iscritti all’albo, anche ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 96/2001. La mancata iscrizione all’albo, al di là delle conseguenze derivanti dall’esercizio abusivo della professione, esclude che l’attività compiuta con l’assistenza degli avvocati possa produrre gli effetti di cui all’art. 3 (avveramento della condizione di procedibilità) e all’art. 5 (esecutività dell’accordo).
In caso di «amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», il co. 1-bis fa obbligo «di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove presente».
Si discute, peraltro, se la procedura possa essere gestita da un unico avvocato per entrambe le parti. La lettera della legge, infatti, sembra consentirlo («negoziazione assistita da uno o più avvocati»).
Sennonché, premesso che, quand’anche ammissibile, una simile modalità sembra destinata a verificarsi in casi statisticamente poco rilevanti, accadendo molto più di frequente nella prassi l’eventualità che ciascuna parte si rivolga al proprio avvocato di fiducia, si deve anche constatare che lo stesso dato normativo sembra deporre in quest’ultimo senso (prevalendo il riferimento al plurale «avvocati»). In ogni caso, si deve tenere fermo il fatto che giammai l’unico avvocato potrebbe assumere la veste di mediatore o conciliatore.
2.3 Comunicazione dell’«invito»
L’atto formale di inizio della procedura è costituito dall’«invito» che una parte, tramite il proprio avvocato, invia all’altra per la stipulazione di una «convenzione», vale a dire di un accordo (v. infra,§ 2.4) che vincola le parti stesse a intraprendere un percorso di trattative finalizzato alla ricerca di una composizione amichevole della lite.
Prima di formulare l’invito, l’avvocato, «all’atto del conferimento dell’incarico», deve aver già provveduto ad informare il proprio «cliente»11 della «possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita» (v. art. 2, co. 7). Obbligo informativo questo, che si aggiunge a quelli previsti dal d.lgs. 30.6.2003, n. 196 in materia di protezione dei dati personali, dal d.lgs. n. 28/2010 in tema di mediazione, nonché a quelli contemplati dall’art. 27 del nuovo codice deontologico forense, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e in vigore dal 15 dicembre 201412.
Nel redigere l’invito la parte (rectius: il suo avvocato) deve tenere conto di quanto stabilito dall’art. 4, co. 1, riportante alcune prescrizioni relative al contenuto minimo. In particolare, l’invito deve:
a) indicare «l’oggetto della controversia»;
b) includere «l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli art. 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile».
Sub a) è appena il caso di osservare che nessun percorso transattivo potrebbe mai iniziare senza l’indicazione dell’oggetto della lite. È abbastanza prevedibile, inoltre, che l’invito non si risolva in una telegrafica proposta di stipula di convenzione, ma si articoli in una comunicazione ragionevolmente dettagliata dei termini oggettivi e soggettivi della controversia, arricchita da qualche irrinunciabile formula di stile.
Sub b) la ratio dell’«avvertimento» sembra essere duplice: da un lato, tende a favorire la stipula della convenzione, dall’altro, è volta a responsabilizzare (a quanto pare, oltremisura) la parte invitata.
Affinché il requisito sia rispettato, può ritenersi sufficiente riproporre la lettera della legge. Sennonché, nessuna disposizione disciplina espressamente le conseguenze della sua omissione.
Invero, tanto la tesi della nullità o dell’annullabilità dell’invito quanto quella del mancato perfezionamento della condizione di procedibilità devono essere respinte (soprattutto perché entrambe non suffragate da alcuna espressa previsione). Tuttavia, non potendo certamente ignorarsi la gravità delle conseguenze dell’inosservanza stabilite dall’art. 4, co. 1 (sul piano delle spese giudiziali, su quello della condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata e/o della condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata, nonché, su quello dell’attribuzione al decreto ingiuntivo dell’esecuzione provvisoria e immediata), pare ragionevole auspicare che il giudice, eccepita la mancanza dell’avvertimento, sia chiamato ad applicare con minore rigore la norma, facendo leva anche sulla discrezionalità («può essere valutato») che essa gli attribuisce.
Una volta redatto, l’invito – nel quale non va riportata alcuna procura a margine o in calce, non trattandosi di un atto processuale – deve essere portato a conoscenza dell’altro contendente con modalità e forme che, sebbene non espressamente previsto, siano idonee a dare certezza del momento di avvio della procedura nonché di quello della ricezione dell’atto (ad es., raccomandata a/r o PEC).
Dalla comunicazione dell’invito (rectius, con una lieve forzatura, dalla ricezione della comunicazione) si producono gli effetti della domanda giudiziale in ordine alla prescrizione del diritto, ai sensi dell’art. 8. Tali effetti sono quelli di cui agli artt. 2943, co. 1, e 2945, co. 2, c.c., vale a dire l’interruzione della prescrizione e la sospensione del decorso del nuovo periodo sino al termine della procedura, coincidente – in mancanza di indicazioni espresse e argomentando in via analogica in base a quanto stabilito in relazione alla decadenza – con la stipulazione dell’accordo oppure con il decorso inutile dei trenta giorni stabiliti per l’invio della risposta oppure dal rifiuto della controparte.
I medesimi effetti, peraltro, scaturiscono dalla sottoscrizione della convenzione di negoziazione assistita, ai sensi dello stesso art. 8. Ciò che consente di dedurre che la sequenza invito-adesione non è affatto essenziale alla procedura, potendo, infatti, la convenzione – questa sì, momento imprescindibile, almeno sul piano formale – essere stipulata anche contestualmente13.
Sempre ai sensi dell’art. 8, inoltre, «dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine di cui all’art. 4, comma 1, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati»14.
2.4 Adesione, rifiuto, mancata risposta
Ricevuta la comunicazione, in astratto la parte invitata ha dinanzi a sé una serie di possibili opzioni15, potendo, infatti:
a) rispondere entro trenta giorni e aderire all’invito;
b)rispondere entro trenta giorni e rifiutare di aderire all’invito;
c) rispondere aderendo all’invito, ma soltanto dopo il decorso dei trenta giorni;
d) rispondere rifiutando di aderire, ma dopo il decorso dei trenta giorni;
e) non rispondere affatto.
L’accettazione dell’invito è idonea a perfezionare la fattispecie negoziale attraverso la stipulazione della convenzione di negoziazione assistita.
Invece, la scelta di tenere un atteggiamento “non collaborativo” può comportare importanti conseguenze.
In primo luogo, essa non serve in alcun modo ad impedire l’avveramento della condizione di procedibilità nei casi di negoziazione assistita “obbligatoria”. Tanto è stabilito dall’art. 3 con riferimento al rifiuto comunicato entro trenta giorni dalla ricezione dell’invito e alla mancata adesione (vale a dire, alla mancata risposta), ma può estendersi anche al rifiuto manifestato oltre il suddetto termine.
In secondo luogo, può comportare l’applicazione dell’art. 4, co. 1, che attribuisce al giudice il potere discrezionale16 di valutarne la rilevanza «ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli art. 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile».
È appena il caso di sottolineare l’opportunità di fornire un’adeguata giustificazione alla scelta di non aderire all’invito e di non opporre un puro e semplice rifiuto17, sebbene nulla sia stabilito esplicitamente dalla legge a questo proposito. Ciò al fine di fornire al giudice elementi sufficienti per non applicare o quanto meno per limitare la portata delle conseguenze su viste18.
2.5 Stipulazione della «convenzione» ed effetti
Con la stipulazione della convenzione di negoziazione assistita le parti si obbligano a «cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia» con l’assistenza dei rispettivi avvocati (v. l’art. 2, co. 1 e 5).
Il richiamo ai canoni della «buona fede» e della «lealtà», per quanto non necessario (trovando applicazione comunque gli artt. 1337 e 1175 c.c.), non è comunque superfluo, funzionando esso in generale come monito alle parti e ai loro avvocati a comportarsi secondo correttezza (anche sotto il profilo dell’osservanza di specifici obblighi di protezione19). Di essi si trova traccia nell’art. 9, co. 2 (anche con riferimento agli obblighi di riservatezza) e co. 4-bis (con riferimento alle conseguenze per gli avvocati sul piano disciplinare in caso di violazione di tali obblighi, cui corrispondono le previsioni degli artt. 3, co. 3, 9, 19 del nuovo codice deontologico forense).
Il contenuto della convenzione è indicato dall’art. 2, co. 2.
In primo luogo, è richiesta l’individuazione di un termine per l’espletamento della procedura20, che in ogni caso non deve essere inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni, previo accordo delle parti (decorso il quale, comunque, la condizione di procedibilità, se si tratta di negoziazione “obbligatoria”, si considera avverata, ai sensi dell’art. 3, co. 2). Si badi che l’art. 2, co. 2, lett. a), stabilisce che le parti non possono concordare un termine per l’espletamento della procedura inferiore a un mese, non che non possono raggiungere un accordo di conciliazione prima che sia decorso un mese ovverosia che la procedura deve durare necessariamente almeno un mese. Sarebbe irragionevole, infatti, negare agli avvocati (e, quindi, alle parti assistite) la possibilità di comporre la lite in un tempo inferiore, ove ne sussistessero i presupposti. Se ciò è vero, non si può neanche negare che la convenzione e l’accordo di conciliazione possano essere stipulati contestualmente, sia pure con atti formalmente distinti. Questo semplificherebbe notevolmente l’iter, altrimenti farraginoso e complesso come si è visto, normativamente stabilito e consentirebbe la formazione dell’accordo, con gli effetti ad esso connessi, in tempi rapidissimi.
In secondo luogo, occorre indicare l’oggetto della controversia, che, come già detto, non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro.
La forma scritta è stabilita a pena di nullità della convenzione. Previsione, questa, che probabilmente si spiega con l’intento del legislatore di assegnare una certa “sacralità” al momento perfezionativo dell’inizio vero e proprio della procedura, con tutte le conseguenze che ne discendono in punto di obblighi di riservatezza e di decorso dei termini.
Come l’invito, anche la convenzione deve essere sottoscritta dalle parti. Gli avvocati provvedono a certificare l’autografia delle sottoscrizioni «sotto la propria responsabilità professionale».
La stipulazione della convenzione, è utile precisare, non comporta alcun effetto traslativo (riconducibile, invece, all’accordo compositivo della lite). Questo non ne legittima affatto, tuttavia, l’assimilazione a un contratto preliminare, poiché con esso le parti non si obbligano alla conclusione di un contratto definitivo, bensì soltanto a porre in essere delle trattative21 che possono sfociare in un accordo, ma che possono anche concludersi con un nulla di fatto.
2.6 Lealtà e riservatezza
All’obbligo di cooperare in buona fede e con lealtà si aggiungono quelli indicati dall’art. 9, che contiene un riferimento alla lealtà e che, però, riguarda pure la riservatezza.
In particolare, gli avvocati e le parti devono «tenere riservate le informazioni ricevute. Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto» (co. 2). La previsione ricalca quella in tema di mediazione22, anche se è meno precisa poiché, per un verso, l’obbligo di riservatezza è riferito alle sole informazioni, per un altro, l’inutilizzabilità in giudizio è estesa anche alle dichiarazioni rese nel corso del procedimento.
La norma, lungi dal vietare la possibilità di allegare in giudizio i fatti di lite cui si sia fatto riferimento durante il corso del procedimento – ciò che consentirebbe un uso distorto dello strumento – mira in realtà a tenere riservato il tenore delle trattative consentendo un atteggiamento meno ingessato delle parti.
Sennonché, l’art. 9 risulta ambiguo poiché, dopo aver introdotto un obbligo di riservatezza e, correlativamente, un divieto di divulgazione, stabilisce che «i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto» delle dichiarazioni e informazioni (co. 3). È evidente, infatti, il contrasto tra la formula di cui al co. 2 e quella qui utilizzata, là dove quest’ultima sembra piuttosto attribuire ai soggetti indicati una facoltà di astensione dalla deposizione.
Il co. 4 dell’art. 9 dispone, poi, che «a tutti coloro che partecipano al procedimento» si applicano le disposizioni dell’art. 200 c.p.p. e si estendono le garanzie di libertà previste per il difensore dall’art. 103 c.p.p., «in quanto applicabili». La norma parrebbe dare conferma, per quanto non espressamente previsto dall’intera disciplina della negoziazione assistita (diversamente da quella francese), che sia possibile nominare anche esperti e consulenti di parte o anche – non se ne vedono ragioni in senso contrario – un esperto o consulente di nomina congiunta, sempre nell’ottica di favorire la soluzione amichevole della controversia.
Infine, i «difensori non possono essere nominati arbitri ai sensi dell’art. 810 del codice di procedura civile nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse» (v. anche l’art. 61 nuovo codice deontologico forense).
2.7 Esito negativo della «procedura»
La procedura può non sfociare nella composizione della controversia, poiché non è affatto detto che le trattative abbiano successo soltanto perché avviate, nonostante i buoni propositi delle parti.
Ai sensi dell’art. 4, co. 3, «la dichiarazione di mancato accordo» (cioè di mancato raggiungimento dell’«accordo» di negoziazione assistita) «è certificata dagli avvocati designati». Tale adempimento serve a documentare l’avvenuto espletamento del “filtro” di accesso alla giurisdizione; rappresenta un momento certo a partire dal quale computare il termine di decadenza; definisce l’ambito delle attività (informazioni acquisite e dichiarazioni rese) che non possono essere utilizzate in giudizio.
2.8 Esito positivo: l’«accordo»
La procedura può concludersi, altrimenti, con il raggiungimento di un accordo di composizione amichevole della controversia, la cui natura negoziale è pacifica23.
Come la natura, anche l’efficacia dell’accordo è negoziale, ai sensi dell’art. 1372 c.c., dispositiva, precisamente, dal momento che, si ribadisce, la convenzione precedentemente stipulata non trasferisce alcunché24.
L’accordo, inoltre, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale per il solo fatto di essere stato stipulato con l’assistenza di avvocati iscritti all’albo e sottoscritto, oltre che dalle parti, dagli stessi avvocati (v. l’art. 5, co. 1)25.
Anche se l’art. 5, co. 1, si limita a stabilire che l’accordo costituisce titolo esecutivo, senza altra specificazione in ordine al tipo di esecuzione forzata esperibile, è preferibile ritenere che esso non conosca limitazioni di sorta sul piano delle potenzialità esecutive (anche per ragioni di parità di trattamento con la fattispecie di cui all’art. 12 d.lgs. n. 28/2010 dettato in tema di mediazione).
Il co. 2-bis risolve, poi, quello che per la mediazione ex d.lgs. n. 28/2010 si era rivelato un rilevante problema sul piano pratico-applicativo, discutendosi sulla necessità di spedire in forma esecutiva l’accordo di conciliazione e sulle modalità per farlo. La norma, infatti, escludendo questa possibilità, stabilisce che «L’accordo di cui al comma 1 deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile».
L’idoneità a iscrivere ipoteca giudiziale, poi, rappresenta un forte incentivo alla negoziazione assistita, poiché funziona come efficace deterrente rispetto all’inadempimento delle obbligazioni dedotte nell’accordo, pur non potendosi non rilevare la singolarità della previsione, dal momento che l’ipoteca, a rigore, in questo caso non è “giudiziale” (v. l’art. 2818 c.c.)26.
Come per la mediazione (v. l’art. 12 d.lgs. 28/2010), l’art. 5, co. 12, dispone che l’accordo sia sottoscritto anche dagli avvocati, i quali devono certificare l’autografia delle firme delle parti e la conformità dell’accordo stesso alle norme imperative e all’ordine pubblico.
L’accordo, infine, può essere trascritto, ma a tale scopo è necessaria l’autentica della sottoscrizione da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (v. l’art. 5, co. 3). Sulla trascrizione v. infra, § 3.1.
2.9 Negoziazione assistita obbligatoria
Nei casi indicati dall’art. 3, co. 1, la negoziazione assistita è “obbligatoria”, nel senso che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, aggiungendosi alle tante altre ipotesi di cd. giurisdizione condizionata previste dall’ordinamento.
Il meccanismo previsto ricalca pressoché pedissequamente quello stabilito per la mediazione “obbligatoria” di cui all’art. 5, co. 1-bis, d.lgs. n. 28/2010. I due strumenti, tuttavia, hanno ambiti di applicazione differenti, il che sembra rispondere alla volontà del legislatore del 2014 di rafforzare il trend di favore nei confronti degli A.D.R. (Alternative Dispute Resolutions), senza rinnegare opzioni effettuate in precedenza e persino rinvigorite nel 2013.
L’ambito di applicazione della negoziazione assistita obbligatoria è individuato dal citato co. 1 dell’art. 3 e dall’art. 1, co. 249, l. 23.12.2014, n. 190.
La prima categoria di ipotesi, in origine inclusa tra quelle assoggettate alla mediazione obbligatoria e poi espunta definitivamente nel 2013, comprende le controversie relative al risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti27.
Il principale problema che si pone in materia deriva dalla difficoltà di coordinamento del “filtro” di procedibilità rappresentato dalla negoziazione assistita obbligatoria con quello di proponibilità di cui all’art. 145 c. assicurazioni, che impone il previo invio di una raccomandata alla compagnia di assicurazioni dalla quale si pretende di ricevere il ristoro per i danni subiti. A stretto rigore, entrambi dovrebbero ritenersi operativi, ma il cumulo dei due procedimenti rischia di comportare una duplicazione di attività preliminari al processo.
Per la soluzione del problema occorre far riferimento al co. 5 dell’art. 5, secondo cui «Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati. Il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi». È vero, come detto, che la norma fa salvi gli altri «procedimenti speciali obbligatori», ma è anche vero che essa stabilisce che, in caso di doppio “filtro”, come quello di cui qui si sta discutendo, tutti i termini previsti comincino a decorrere congiuntamente. Ne dovrebbe discendere sia che non è necessario esperire prima un procedimento e poi, in caso di fallimento, l’altro (il termine di trenta giorni previsto per la negoziazione assistita decorrerebbe e sarebbe assorbito da quello più lungo di sessanta o novanta di cui all’art. 145 cit., a seconda delle ipotesi); sia che è possibile redigere e comunicare all’altra parte un unico atto (nel caso di specie, l’invito alla negoziazione assistita e la richiesta ex art. 145 ss.), che contenendo gli elementi previsti per entrambi i “filtri”, ne consenta la piena osservanza.
In ogni caso, infatti, può tenersi fermo che il termine di cui all’art. 3 l. n. 162/2014 decorre unitamente alla presentazione dell’istanza. Successivamente a questo momento, ciascuna procedura è destinata a seguire il proprio iter.
Nel secondo gruppo rientrano le controversie che, ad un tempo: a) siano relative al pagamento di somme; b) presentino un valore non superiore a cinquantamila euro; c) non rientrino né nel primo gruppo né nell’ambito di operatività della mediazione obbligatoria.
Pertanto, non sono sottoposte alla negoziazione assistita obbligatoria, per un verso, le controversie riguardanti obbligazioni diverse da quelle pecuniarie, quali ad es. quelle nelle quali si pretende il rilascio o la consegna di un bene oppure la costituzione di diritti reali; per un altro, le controversie che, pur avendo ad oggetto obbligazioni di pagamento di somme, rientrano nell’ambito di applicazione della mediazione obbligatoria (ciò che evita ogni possibile sovrapposizione tra i due strumenti autocompositivi).
In relazione alle controversie di valore indeterminato nel quantum, la giurisprudenza ha già escluso l’applicazione della negoziazione assistita in via obbligatoria in un caso in cui erano state avanzate due pretese in materia di lesione di un diritto reale, la prima di condanna al ripristino dello stato dei luoghi (ritenuta rientrante nell’ambito di applicazione della mediazione obbligatoria), la seconda di risarcimento dei danni non patrimoniali, da determinarsi in corso di causa, causati dal comportamento lesivo (reputata attinente non «alla lesione della componente non patrimoniale del diritto reale di cui gli attori sono titolari, ma alla lesione del loro diritto alla salute»)28.
Il terzo gruppo è quello delle controversie in materia di trasporto e subtrasporto, ai sensi dell’art. 1, co. 249, l. 190/2014, che, tuttavia, in maniera nient’affatto chiara dispone che «Se le parti, con accordo o nel contratto, prevedono la mediazione presso le associazioni di categoria a cui aderiscono le imprese, la negoziazione assistita esperita si considera comunque valida».
Sembra che il legislatore si sia riferito all’ipotesi in cui le parti, pur avendo pattuito di risolvere la futura ed eventuale controversia in sede di «mediazione», abbiano poi optato per la negoziazione assistita. Orbene, è evidente la contraddizione dinanzi alla quale ci si trova, dal momento che, da un lato, la negoziazione assistita viene posta come obbligatoria in materia e, dall’altro, si ammette che sia derogata o sostituita per volontà concorde delle parti.
Certo è che se le parti vengono meno consensualmente ad una precedente pattuizione e se, a maggior ragione, raggiungono l’accordo, nulla quaestio. Invece, se la negoziazione fallisce, l’unico significato attribuibile alla previsione secondo cui essa «si considera comunque valida» sembra essere quello di ritenere esperita la condizione di procedibilità. Ad ogni modo, è appena il caso di osservare che il co. 249 non fa riferimento alla mediazione di cui al d.lgs. n. 28/2010, bensì alla «mediazione presso le associazioni di categoria a cui aderiscono le imprese».
Ai sensi dell’art. 3, la condizione di procedibilità non si applica invece:
a) «nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione»;
b) «nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696 bis del codice di procedura civile»;
c) «nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata»;
d) «nei procedimenti in camera di consiglio»;
e) «nell’azione civile esercitata nel processo penale» (v. co. 3);
f) «alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori»29 (co. 1).
Nell’ipotesi sub a) l’esclusione si giustifica con il fatto che, rispetto al procedimento di ingiunzione, che consente di ottenere la formazione rapida di un titolo esecutivo attraverso un contraddittorio differito e una forma sommaria di cognizione, l’imposizione di un “filtro” di accesso alla giurisdizione sarebbe incongrua.
L’esclusione sub b) conferma la perfetta alternatività tra l’istituto della consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi e gli strumenti di composizione stragiudiziale della lite a carattere autocompositivo30.
Con riferimento alle ipotesi sub c), d) ed e), è sufficiente osservare – riprendendo le parole espresse dalla Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 28/2010, con riguardo alle medesime esclusioni in tema di mediazione obbligatoria – che l’estensione della obbligatorietà della negoziazione si sarebbe rivelata «inutile o controproducente». In particolare, rispetto ai procedimenti cognitivi endoesecutivi, avrebbe favorito il debitore esecutato interessato ad ottenere una «dilazione» della esecuzione forzata a suo danno. Rispetto ai procedimenti in camera di consiglio, avrebbe frustrato la «flessibilità e rapidità» che li caratterizza. Rispetto all’azione civile esercitata nel processo penale, avrebbe ostacolato e sacrificato «una forma di esercizio dell`azione civile da reato di grande efficacia e forte valore simbolico».
Ai sensi del co. 4 dell’art. 3, non è necessario esperire preliminarmente la negoziazione assistita allorquando si domandi «la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari». Anche per queste ipotesi il legislatore ha ricalcato quanto già previsto in materia di mediazione (v. art. 5, co. 3, d.lgs. n. 28/2010).
La formula «provvedimenti urgenti» si riferisce ai provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c.; pertanto, la prima parte del co. 4 riguarda in generale (e soltanto) i provvedimenti cautelari, anticipatori o conservativi. Non invece, i provvedimenti di altra natura, pur rispondenti a ragioni “d’urgenza”, segnatamente, il decreto ingiuntivo, essendo già contemplata l’esclusione del “filtro” dal menzionato co. 3 dell’art. 3 proprio con riferimento al procedimento per ingiunzione.
In caso di ottenimento di una misura cautelare conservativa ante causam (ad es., un sequestro), la declaratoria di inefficacia della stessa dovrebbe poter essere evitata attraverso l’instaurazione della procedura di negoziazione assistita, facendo leva sull’art. 8 che ricollega alla comunicazione dell’invito l’impedimento della decadenza, senza necessità di instaurare il giudizio di merito, se non dopo, appunto, l’espletamento della procedura.
Quanto invece al meccanismo che disciplina la condizione di procedibilità, questo è individuato da co. 1 e 2 dell’art. 3 e ripropone, come anticipato, quello già previsto in materia di mediazione dall’art. 5, co. 1-bis, d.lgs. n. 28/201031.
In particolare, ai sensi del co. 2, al fine dell’avveramento della condizione, occorre aver atteso il momento in cui la parte invitata abbia espresso la propria adesione alla stipula della convenzione (evidentemente non seguita, a sua volta, dal raggiungimento dell’accordo di composizione della controversia) oppure il proprio rifiuto entro trenta giorni dalla ricezione dell’invito oppure, ancora, occorre che sia decorso il periodo di tempo di cui all’articolo 2, co. 2, lett. a).
Ai sensi del co. 1, l’inosservanza della condizione di procedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 2, co. 3 (il periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il limite minimo di un mese e quello massimo di tre mesi). Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell’invito.
In caso di domande cumulate a quella sottoposta alla negoziazione obbligatoria per la quale sia stato già espletato il “filtro”, occorre distinguere tra domande pure assoggettate alla negoziazione obbligatoria, domande per le quali è prevista l’applicazione di un altro “filtro” di procedibilità, e domande non assoggettate ad alcun “filtro”.
Per quanto riguarda le prime, deve ritenersi che non sia necessario soddisfare nuovamente la condizione, poiché ciò determinerebbe un eccessivo allungamento dei tempi della tutela e un aumento dei costi a carico delle parti.
Per le seconde, il problema è suscettibile di opposta soluzione, in virtù sia di quanto disposto dal su visto art. 3, co. 5, sia di quanto previsto dall’art. 3, co. 1, secondo cui la negoziazione assistita obbligatoria è destinata ad operare «fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall’articolo 5, comma 1bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28»32.
Infine, in relazione alle terze, nulla quaestio, naturalmente.
Alle questioni innanzi passate in rassegna vanne aggiunte le seguenti, emerse immediatamente in tutta la loro problematicità anche sotto il profilo applicativo.
3.1 Negoziazione assistita e trascrizione
La prima riguarda i rapporti tra la normativa sulla negoziazione assistita e quella sulla trascrizione.
Nulla è stabilito in ordine alla trascrivibilità dell’invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita, quale primo atto di impulso della procedura (ove le parti non decidano di stipulare la convenzione senza la sequenza invito-adesione).
Una previsione esplicita in tal senso consentirebbe di attribuire all’atto de quo un effetto prenotativo utile in ipotesi di atti dispositivi compiuti medio tempore sul bene immobile o mobile registrato oggetto della controversia.
Allo stato, tuttavia, a ciò si frappone l’impossibilità di ricondurre l’invito, quale mera proposta a contrarre, ad alcuna delle ipotesi disciplinate dal codice civile in tema di trascrizione.
A ben vedere, neanche la convenzione può essere trascritta. A parte, infatti, la mancanza di un’espressa disposizione in questo senso, non vi sono neanche elementi da far valere in via analogica o estensiva.
Come è stato osservato, non potrebbe essere effettuato alcun valido richiamo agli artt. 2652 e 2653 c.c., che si riferiscono alla trascrizione delle domande giudiziali33.
Allo stesso modo, è da escludere il rinvio al combinato degli artt. 2932 e 2645 bis c.c., poiché la convenzione, come già detto, non è assimilabile ad un contratto preliminare34, né possiede alcuna idoneità dispositiva che legittimi l’applicazione dell’art. 2643, n. 12, bis c.c.
Invece, il co. 3 dell’art. 5 stabilisce che «Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».
Anche in questo caso il legislatore si è rifatto alla formula adottata in materia di mediazione con riferimento all’accordo di conciliazione, con l’unica differenza che l’art. 11, co. 3, d.lgs. n. 28/2010 richiama espressamente l’art. 2643 c.c.
Sennonché, nell’impeto entusiastico di non discostarsi da soluzioni precedentemente seguite35, ha anche previsto attività che non sembrano avere senso e utilità se calate nel contesto della negoziazione assistita, come la necessità di stilare un apposito e distinto processo verbale. Per di più, ai fini della trascrizione, la norma in parola richiede l’autenticazione della sottoscrizione del verbale stesso da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. È evidente che, in tale maniera, si finisce per appesantire ulteriormente la già non troppo semplice procedura, mentre sarebbe stato sufficiente prevedere l’autenticazione della sottoscrizione del solo accordo di negoziazione assistita36.
Ad ogni modo, onde evitare perdite di tempo ed energie, sarebbe opportuno che l’accordo fosse stipulato innanzi ad un pubblico ufficiale autorizzato tramite scrittura privata con contestuale autenticazione delle sottoscrizioni ovvero tramite atto pubblico.
Anche per la negoziazione assistita si può porre, inoltre, la questione relativa alla trascrivibilità dell’accordo che “accerta” l’avvenuta usucapione. È vero che la controversia verte in materia di diritti reali e, pertanto, è assoggettata alla mediazione obbligatoria, ma è anche vero che nulla vieta alle parti di seguire, del tutto liberamente, la strada della negoziazione assistita (naturalmente con la consapevolezza che, in caso di fallimento della procedura, la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, co. 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 non potrà dirsi ancora espletata). Invero, anche in questo caso (come per la mediazione37, in relazione alla disciplina anteriore alla riforma del 2013 e all’introduzione del n. 12-bis nell’art. 2643 c.c.), è possibile accogliere la soluzione affermativa, sostenendo l’applicabilità dell’art. 2643, n. 13, c.c.38
Ai sensi dell’art. 3, co. 4, «L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita nei casi di cui al comma 1 non preclude … la trascrizione della domanda giudiziale». La disposizione riproduce quella dell’art. 5, co. 3, d.lgs. n. 28/2010 e risponde all’esigenza di assicurare effettività alla tutela giurisdizionale.
Sennonché, come la gemella in tema di mediazione, anch’essa si rivela, ad un tempo, superflua (dal momento che la condizione posta dal modello della negoziazione assistita obbligatoria è di mera procedibilità) e infausta (perché idonea a vanificare l’effetto deflativo perseguito dal legislatore, consentendo e anzi, stimolando la proposizione della domanda giudiziale da trascrivere).
Sotto altro profilo, poi, il legislatore non sembra aver considerato un inconveniente destinato a porsi tutte le volte in cui la procedura di negoziazione assistita si concluda con esito positivo.
Infatti, per l’operatività del cd. effetto prenotativo della trascrizione della domanda giudiziale, occorre che il processo si concluda con una sentenza di accoglimento, ciò che permette di instaurare una relazione di continuità tra l’una e l’altra, ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c., nonché dell’art. 111 c.p.c. Invece, nessuna continuità può ravvisarsi tra accordo di negoziazione assistita (successivamente trascritto) e domanda giudiziale (già trascritta), trattandosi di entità di diversa natura e, pertanto, non coordinabili.
Sul piano pratico, ne consegue che l’atto di acquisto da parte del terzo, che sia stato trascritto dopo la trascrizione della domanda giudiziale, ma prima della trascrizione dell’accordo, prevale comunque sull’atto di acquisto della parte concluso attraverso l’accordo stesso39.
3.2 Normativa antiriciclaggio e credito di imposta
La seconda questione, di non secondaria rilevanza per gli avvocati che assistono le parti nella procedura di negoziazione assistita, attiene alla previsione contenuta nell’art. 10, che modifica l’art. 12, co. 2, d.lgs. 21.11.2007, n. 231 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione).
In base al nuovo testo della norma, «L’obbligo di segnalazione di operazioni sospette» non si applica agli avvocati «per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono» a seguito della stipulazione di «una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento»40.
In terza e ultima analisi, va menzionato quanto disposto dall’art. 21 bis d.l. 27.6.2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6.8.2015, n. 132, che ha introdotto un incentivo fiscale consistente in un credito di imposta, funzionante come meccanismo compensativo o di scomputo dall’imposta netta, non utilizzabile come rimborso e riconosciuto alle parti soltanto nel caso in cui la procedura sfoci in un accordo.
1 Per riferimenti bibliografici sul d.l. n. 132/2014 e, in particolare, sulla negoziazione assistita, si rinvia a Dalfino, D., La negoziazione assistita da uno o più avvocati, in Misure urgenti per l’efficienza e la funzionalità della giustizia civile,a cura di Dalfino, Torino, 2015, 27 ss., cui adde Punzi, C., La c.d. «degiurisdizionalizzazione» della giustizia civile, in Il processo civile – Le riforme del quinquennio 2010-2014, a cura di C. Punzi, Torino, 2015, 1 ss.; Chiarloni, S., Sempre aperto il cantiere delle riforme del processo civile, in Giur. it., 2015, 1257 ss.; Luiso, F.P., La negoziazione assistita, in Nuove leggi civ., 2015, 649 ss.; Farina, P., La negoziazione assistita dagli avvocati: da praeambolum ad litem ad outsourcing della decisione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, 514 ss.; Dosi, G., La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2014; Zingales, I., La nuova riforma del processo civile, a cura di F. Santangeli, Roma, 2015, 49 ss.; Delle Monache, S., Profili civilistici della “negoziazione assistita”, in Riv. dir. civ., 2014, 105 ss.
2 Con il termine «degiurisdizionalizzazione» il legislatore ha evidentemente voluto evocare la finalità generale dell’istituto di deviare una parte del contenzioso dalla sede giudiziale a quella stragiudiziale ovverosia di istituire, anche a fini deflativi, una nuova via di composizione autonoma delle controversie.
3 Sulle origini della procedura di negoziazione assistita, sui rapporti con il collaborative law di origine statunitense e la procédure participative de négociation assistée par avocat introdotta nell’ordinamento francese dall’art 37 l. 22.12.2010, n. 1609 (cd. loi Beteille), v., se vuoi, Dalfino, D., La negoziazione assistita, cit., 29 ss.; Id., La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, tra collaborative law e procédure participative, in Foro it., 2015, V, 28; Id., La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, in www.treccani.it (di recente, peraltro, la disciplina della «procédure participative» è stata modificata dall’art. 258 l. 6.8.2015, n. 990 – cd. Loi Macron – che ha riformato gli art. 2064 e 2066 del Code civil, estendendo l’ambito di applicazione dell’istituto alle controversie di lavoro).
4 Cadiet, L., I modi alternativi di regolamento dei conflitti in Francia, fra tradizione e modernità, in L’altra giustizia,a cura di V. Varano, Milano, 2007, 97.
5 Cadiet, L., Théorie générale du procès, Parigi, 2010, 196.
6 In altro senso, si parla di “giustizia contrattuale” con riferimento alla tendenza sempre più diffusa a indagare l’esistenza e la consistenza di un generale principio di sindacabilità della «conformità del contratto a un modello ideale di giusto equilibrio economiconormativo» e di conseguente «adeguamento giudiziale delle condizioni convenute dalle parti» (v. D’Angelo, A., Il contratto in generale - La buona fede, in Tratt. Bessone, XIII, t. IV, Torino, 2004, 89, 97, 165). Cfr., da ultimo, Caponi, R., «Just Settlements» or «Just About Settlements». Mediated Agreements: A Comparative Overview of the Basics, in RabelsZ, 2015, fasc. 1. Per l’esclusione della sussistenza di un principio di giustizia contrattuale, anche a livello europeo, v. Perrino, A.M., Abuso del diritto e concordato fallimentare: un tentativo di affermare il principio della giustizia contrattuale?, in Foro it., 2011, I, 2118, ove ulteriori riferimenti.
7 Sulle quali v. De Santis, A.D., Rapporti tra mediazione, conciliazione e processo, in Manuale della mediazione civile e commerciale, a cura di A. Maietta, Padova, 2014, 175 ss.
8 V. C. cost., 6.12.2012, n. 272, in Foro it., 2013, I, 1091.
9 Un discorso a parte va dedicato, invece, alla negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, di cui all'art. 6 (v. in questa stessa area del volume, 2.1.1 Procedure stragiudiziali per la separazione e il divorzio).
10 Per riferimenti sulla nozione di (in)disponibilità del diritto si rinvia a Dalfino, D., La negoziazione assistita, cit., 39 ss.
11 Sulla distinzione tra «cliente» e «assistito» v. gli art. 23 e 27 del codice deontologico forense.
12 Sulle sanzioni disciplinari in caso di inosservanza da parte dell’avvocato dell’obbligo di informativa, v. art. 27, co. 9, codice deontologico forense.
13 Nello stesso senso, v. Zingales, I., Sub art. 2, in La nuova riforma del processo civile, cit., 52, nonché Sub art. 4, ibidem, 75.
14 Cfr., se vuoi, anche per riferimenti, Dalfino, D., Domanda di mediazione ed effetti sulla prescrizione e sulla decadenza: l’attuazione della direttiva 2008/52/CE da parte degli Stati Membri, in Giusto proc. civ., 2015, 33 ss.
15 Sebbene non specificato, anche la risposta (positiva o negativa) all’invito deve essere comunicata con mezzo idoneo ad assicurare l’avvenuta ricezione dall’altra parte.
16 Cfr. anche Zingales, I., Sub art. 4, cit., 80 s. Invece, secondo Luiso, F.P., La negoziazione assistita, cit., 655 s., «sarebbe parso più opportuno il richiamo al comma 2° dell’art. 642 c.p.c.», ma il testo della norma non concede al giudice alcun potere di valutazione, obbligandolo «a fornire il decreto ingiuntivo della esecutività provvisoria».
17 Una risposta fondata su approfondite e dettagliate argomentazioni contrarie non sarebbe consigliabile in vista del successivo giudizio, mentre sarebbe sufficiente una più o meno circostanziata spiegazione delle ragioni che spingono la parte invitata a non accettare l’invito a percorrere la via stragiudiziale per la composizione della controversia.
18 Un problema potrebbe porsi nell’ipotesi in cui si aderisca all’invito attraverso una comunicazione formale, alla quale, tuttavia, non segua la stipulazione della convenzione di negoziazione assistita. Orbene, pur dovendosi dubitare che tale condotta comporti responsabilità (pre)contrattuale (per quanto anche la convenzione, come si è visto, sia un accordo, un contratto), sarebbe certamente più opportuno, quando non si è certi di dar corso alla procedura e alle trattative, scegliere di rifiutare l’invito, adducendo, sia chiaro, una giustificazione (per non ricadere nelle conseguenze di cui all’art. 4, co. 1).
19 Sotto questo profilo, si rinvia a Delle Monache, S., Profili civilistici, cit., 108 ss.
20 Del tutto superfluo e foriero di equivoci è il co. 3 dell’art. 2, secondo cui «La convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il limite di cui al comma 2, lettera a)».
21 Cfr. Frezza, G., «Degiurisdizionalizzazione», negoziazione assistita e trascrizione, in Nuove leggi civ., 2015, 21, che qualifica la convenzione come pactum de contrahendo.
22 V. gli artt. 9 e 10 d.lgs. n. 28/2010. Cfr. Brunialti, M., Dovere di riservatezza e segreto professionale nella mediazione, in Giust. civ., 2011, II, 487 ss.
23 Sulla natura negoziale dell’accordo di conciliazione, v., per tutti, Luiso, F.P., Diritto processuale civile, V, Milano, 2013, 32. Sulle affinità e sulle differenze con il contratto di transazione, si rinvia a Dalfino, D., La negoziazione assistita, cit., 36 ss.
24 Ai sensi dell’art. 5, co. 4, l’avvocato che abbia partecipato alla redazione dell’accordo non può, se non attraverso la commissione di un illecito disciplinare, impugnare l’accordo stesso (v. anche art. 44 codice deontologico forense).
25 Allo stesso modo, anche l’accordo di conciliazione ex art. 12 d.lgs. n. 28/2010, dopo le modifiche apportate nel 2013, costituisce titolo esecutivo.
26 Cfr. v. Fabiani, E., Iscrizione di ipoteca giudiziale e conciliazione della controversia, in Foro it., 2015, V, 42.
27 In relazione all’ipotesi di risarcimento diretto, a fronte della previsione di cui all’art. 9, co. 2, d.P.R. 18.7.2006, n. 254 (che sugli importi corrisposti non riconosce compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da quella medico legale per i danni alla persona), nel senso della «incongruenza di un sistema che, da un lato escluda la consulenza dell’avvocato e, dall’altro, la ponga come necessaria nella stessa vicenda per l’espletamento della procedura di negoziazione», v. Martini, F., Rc auto, il rischio è un appesantimento procedurale, in Guida dir., 2014, fasc. 39, 102. Tuttavia, cfr. Cass., 29.5.2015, n. 11154, secondo cui le spese legali necessarie al danneggiato da sinistro stradale vanno corrisposte se necessarie alla tutela dei propri diritti e va pertanto disapplicata la norma regolamentare di cui al d.P.R. n. 254/2006, in quanto nulla per contrasto con l’art. 24 Cost. Sulla nozione di «circolazione» ai fini dell’applicabilità della disciplina sull’assicurazione obbligatoria r.c.a., v. Cass., S.U., 29.42015, n. 8620, in Foro it., 2015, I, 2354. Per riferimenti e per alcuni esempi in ordine alle controversie escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 3, co. 1, v. Dalfino, D., La negoziazione assistita da uno o più avvocati, cit., 53 ss.
28 Cfr. Trib. Verona, ord. 25.6.2015, in www.altalex.it, con nota di G. Spina.
29 L’esclusione di quest’ultima categoria di controversie si spiega alla luce delle diverse previsioni in materia contenute nella direttiva 2013/11/UE (direttiva sull’A.D.R. per i consumatori), che, a sua volta, è stata recepita dal d.lgs. 6.8.2015, n. 130, emanato in ottemperanza della delega contenuta nell’art. 8 l. 7.10.2014, n. 154. Sulla direttiva v. Luiso, F.P., La direttiva 2013/11/UE, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 1299 ss., nonché Scannicchio, N., Accesso alla giustizia e attuazione dei diritti. La mediazione delle controversie di consumo nella direttiva europea 2013-11, Torino, 2015.
30 In materia di mediazione, v. Trib. Varese, decr. 21.4.2011, in Foro it., 2012, I, 270, con nota di M. Adorno.
31 Sulla legittimità costituzionale dei meccanismi di procedibilità, in quanto non idonei ad impedire o a rendere troppo difficoltoso l’accesso alla giurisdizione, v. C. cost., 4.3.1992, n. 82, in Foro it., 1992, I, 1023 ss., con nota di G. Costantino. Cfr. anche C. giust. UE, 18.3.2010, n. 317, Alassini ed a., in Foro it., 2010, IV, 361. Nel caso della procedura di negoziazione assistita obbligatoria, tuttavia, non si può fare a meno di nutrire un serio sospetto di incostituzionalità, se soltanto si considera che le parti sono costrette a sostenere i costi, di certo non irrilevanti, connessi al pagamento dei compensi dei propri avvocati. Invece, tali compensi non devono essere corrisposti, neanche dallo Stato (ciò che lascia notevolmente perplessi), a sensi del co. 6 dell’art. 3, dalla parte che si trovi nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
32 Invece, alla luce dell’art. 3, co. 1, nel senso che «la mediazione vada considerata assorbente e prevalente sulla negoziazione, pur in difetto di un qualsiasi coordinamento normativo al riguardo», v. Farina, P., La negoziazione assistita, cit., 524.
33 Cfr. Frezza, G., «Degiurisdizionalizzazione», cit., 23.
34 Nello stesso senso, v. Frezza, G., «Degiurisdizionalizzazione», cit., 23. Per una proposta de iure condendo volta ad introdurre una disciplina che consenta al notaio di «trascrivere (o iscrivere) un “atto di prenotazione” contenente i dati essenziali dell’atto che contribuirà a formare e a trascrivere (o iscrivere) in un prossimo futuro, con la conseguenza di far retroagire, alla data in cui è effettuata la pubblicità di questo “atto di prenotazione”, gli effetti dell’atto per il quale sono state appunto “prenotate” la trascrizione o la iscrizione», con conservazione dell’efficacia della «prenotazione» per un arco temporale breve (trenta giorni), v. Lucchini Guastalla, E., L’atto di prenotazione Una proposta de iure condendo, in Riv. dir. civ., 2014, 1272 ss., spec. 1285 ss.
35 V., in relazione alla mediazione, l’art. 11, co. 3, d.lgs. n. 28/2010.
36 Cfr. Zingales, I., Sub art. 5, in La nuova riforma del processo civile, cit., 91 ss.; Frezza, G., «Degiurisdizionalizzazione», cit., 24 s.
37 Cfr., se vuoi, Dalfino, D., Note in tema di negozio di accertamento e trascrivibilità dell’accordo di conciliazione sull’intervenuta usucapione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1297 ss.
38 Diversamente, v. Farina, P., La negoziazione assistita, cit., 526.
39 Cfr. sul procedimento di mediazione, anche per un chiaro esempio in tema di domanda di rivendica di un bene immobile, Andreoni, M.M., Commento all’art. 5, in La mediazione nelle controversie civili e commerciali, a cura di A. Castagnola e F. Delfini, Padova, 2010, 102 e nt. 74.
40 Sull’obbligo di segnalazione alle autorità competenti delle operazioni che destano il sospetto di una violazione della normativa antiriciclaggio, che incombe sui soggetti chiamati ad espletare il servizio di mediazione, v. l’art. 22 d.lgs. n. 28/2010.