La procedura e gli organismi per la mediazione
Nell’anno 2011 trova concreta attuazione la normativa sulla mediazione in tema di controversie civili e commerciali di cui al d.lgs. 4.3.2010, n. 28, entrato in vigore il 20.3.2010. Nel decreto si prevedeva l’entrata in vigore differita di un anno dell’art. 5, co. 1, che rende obbligatorio per alcune materie il tentativo di conciliazione, prevedendolo quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Con il d.l. 29.12.2010, n. 225 (art. 2, co. 16 decies), convertito in legge con la l. 26.2.2011, n. 10, viene ulteriormente differita al 20.3.2012 l’operatività della condizione di procedibilità per le liti in tema di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti. Dopo alcune circolari ministeriali, il d.m. 6.7.2011, n. 145 modifica il decreto di attuazione 18.10.2010, n. 180. Il 2011 è anche l’anno che vede una diffusione rapida degli organismi di mediazione e dei correlativi regolamenti, mentre la giurisprudenza muove i primi passi sulle numerose questioni aperte dalla normativa.
Con il d.lgs. 4.3.2010, n. 28 è stata introdotta in Italia una disciplina organica della mediazione finalizzata alla composizione delle controversie civili e commerciali, in attuazione della delega di cui alla l. 18.6.2009, n. 69 (art. 60). In precedenza già la direttiva europea 2008/52/CE del 21.5.2008 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea aveva disciplinato numerosi aspetti della mediazione civile e commerciale per le liti transfrontaliere, in sostanza incoraggiando gli Stati membri a seguirne le indicazioni per le controversie interne1. Il decreto legislativo, dopo il capo 1, destinato alle definizioni (ove la mediazione è designata come «l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa», mentre il termine conciliazione indica il risultato, ossia la «composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione »), contempla le procedure (capo 2) e gli organismi (capo 3). Il regolamento di attuazione è stato approvato nell’ottobre del 2010 (d.m. 18.10.2010, n. 180) mentre i primi svolgimenti della nuova disciplina evidenziano aspetti critici che provocano nuovi interventi correttivi. Il d.lgs. n. 28, entrato in vigore il 20.3.2010, aveva previsto l’entrata in vigore differita di un anno per la disposizione dell’art. 5, co. 1, che rende obbligatorio per alcune materie il tentativo di conciliazione, prevedendolo quale condizione di procedibilità. È dunque il 20.3.2011 che la disposizione, tra le più discusse del decreto, era destinata a divenire efficace. Il legislatore attenua la portata della norma: con il d.l. 29.12.2010, n. 225 (art. 2, co. 16 decies), cd. decreto milleproroghe, convertito in legge con l. 26.2.2011, n. 10, è stata differita al 20.3.2012 l’operatività della condizione di procedibilità per le controversie in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti e in tema di condominio. Accanto a questa novità sul piano della normativa primaria, si collocano le modifiche del regolamento di attuazione (d.m. 18.10.2010, n. 180), contenute nel d.m. 6.7.2011, n. 145 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25.8.2011, che riguarda soprattutto alcuni aspetti in tema di procedura di mediazione, poteri di vigilanza ministeriale, criteri di professionalità del mediatore e di contenimento delle spese di mediazione. Vanno anche ricordate alcune circolari ministeriali volte a chiarire profili problematici della nuova normativa: a parte la nota del 2.2.2011 sulla compilazione della domanda di mediazione, intervengono su aspetti ben più rilevanti la circolare del 4.4.2011 in tema di Regolamento di procedura e requisiti dei mediatori e quella del 13.6.2011 in tema di Attività di tenuta del registro degli organismi di mediazione. Anche il Garante per la protezione dei dati personali si occupa di mediazione fissando princìpi e misure per il corretto trattamento dei dati sensibili e di dati a carattere giudiziario da parte degli organismi pubblici e privati con tre provvedimenti del 21.4.2011 (nn. 160, 161 e 162). La diffusione degli organismi di mediazione previsti dagli artt. 16-19 del decreto legislativo comporta infine la correlativa diffusione dei regolamenti, ai quali il decreto legislativo affida aspetti non secondari della mediazione.
1.1 Le principali novità legislative e regolamentari
L’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, intitolato Condizione di procedibilità e rapporti con il processo, prevede al primo comma che «Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8.10.2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128 bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1.9.1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale...». Come si è detto, l’entrata in vigore della disposizione, differita al 20.3.2011, è stata ulteriormente rinviata (al 20.3.2012) per le liti in tema di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti. L’innovazione è rilevante da un punto di vista quantitativo, dal momento che riguarda poco meno della metà del contenzioso previsto dall’art. 5, co. 1. Dal punto di vista qualitativo lascia tuttavia impregiudicate tutte le questioni che si pongono al riguardo e che esamineremo più avanti. Più numerose le novità introdotte dal d.m. n. 145/2011 che, con il parere favorevole del Consiglio di Stato (n. 2228 del 9.6.2011), modifica, come si è detto, alcune norme del d.m. n.1 80/2011. Si veda la tabella delle modifiche in chiusura di questo contributo.
1.2 Gli organismi di mediazione
Nel 2011 si diffondono rapidamente gli organismi di mediazione previsti dagli artt. 16, 17, 18 e 19 del decreto legislativo e di conseguenza i regolamenti di mediazione ai quali il d.lgs. n. 28/2010 affida aspetti non certo secondari della mediazione. Al 10.11.2011 risultano iscritti 613 organismi; il registro non distingue tra enti pubblici e enti privati e li elenca in base al numero di iscrizione2. I regolamenti hanno grande rilievo ai fini dello svolgimento del corretto servizio di mediazione, in quanto indicano le modalità e i criteri con cui l’organismo intende svolgere la attività. Pur essendo impossibile in questa sede una disamina ragionata di tali atti, va segnalata l’elaborazione di regolamenti-tipo, che fungono da modello per alcune categorie di enti: ad esempio, l’Unioncamere ha predisposto un modello di regolamento per le Camere di commercio e il Consiglio nazionale forense ha del pari proposto un regolamento unitario per gli organismi di mediazione costituiti dai consigli dell’ordine degli avvocati ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 28/20103. I regolamenti contengono anche le opzioni dell’organismo rispetto ai punti salienti della procedura di mediazione: in particolare, la scelta relativa alla proposta del mediatore ex art. 11 del d.lgs. 28 (ad esempio, nel regolamento Unioncamere può essere effettuata solo quando tutte le parti lo richiedano, mentre nel regolamento proposto dal CNF è consentita la formulazione della proposta anche in presenza della domanda di una sola parte e di mancata adesione al procedimento qualora si tratti di liti in materia di responsabilità da circolazione di veicoli e natanti e di responsabilità medica, «purché la stessa sia avanzata con la domanda di mediazione o con la successiva accettazione, prima dell’inizio dell’incontro di mediazione»); la scelta sull’assistenza tecnica (obbligatoria per il regolamento del CNF quando sia obbligatoria in giudizio, mentre è facoltativa secondo il regolamento Unioncamere); i criteri di designazione del mediatore.
Le questioni che, prima delle innovazioni segnalate, erano scaturite dalle discussioni e dalle prime applicazioni, hanno trovato solo in parte soluzione. Esaminiamo le novità più rilevanti, verificando se e in quale modo abbiano inciso sulle problematiche emerse.
2.1 Le questioni relative all’obbligatorietà del tentativo di conciliazione: costituzionalità, disapplicazione e interpretazione conforme al diritto europeo
In ordine al carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione, parte della dottrina ha individuato alcuni possibili profili di incostituzionalità dell’art. 5, co. 1, con riferimento al vizio di eccesso di delega e alla violazione del diritto di accesso alla giustizia, anche per la previsione della mediazione obbligatoria e nello stesso tempo onerosa4. Su alcuni di questi rilievi avrà modo di pronunciarsi la Corte costituzionale5, visto che con ordinanza del 12.4.2011, n. 3202 il Tribunale amministrativo del Lazio6 ha rimesso alla Corte la questione di costituzionalità degli artt. 5 e 16 del d.lgs. n. 28/2010 per contrasto con gli artt. 24 e 77 Cost. Secondo il TAR il legislatore delegato avrebbe previsto una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, senza che la previsione trovi rispondenza nella legge delega7, con violazione dunque dell’art. 77 Cost. Inoltre, il legislatore non avrebbe garantito una specifica competenza e professionalità del mediatore, limitandosi a porre in rilevo i requisiti di serietà ed efficienza (l’art. 16, co. 1, del d.lgs. 28/2010, dispone che sono abilitati a costituire gli organismi deputati a gestire il procedimento di mediazione gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza), in contrasto sia con l’art. 4 della direttiva 2008/52/CE, sia con la lett. b) della delega, che fanno riferimento rispettivamente ai criteri della competenza e della professionalità. Gli artt. 5 e 16 risulterebbero dunque in contrasto con l’art. 24 Cost. nella misura in cui «determinano ... una incisiva influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull’azionabilità in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale, su cui l’esercizio della mediazione variamente influisce ». Anche il Giudice di pace di Parma, con ordinanza del 1.8.2011, ha rimesso alla Corte suprema, con argomentazioni simili, la questione di costituzionalità dell’art. 5 e dell’art. 16 del d.lgs. n. 28/2010, con riferimento all’eccesso di delega e alla mancata previsione di criteri di qualificazione tecnica o professionale degli enti di mediazione, facendo riferimento agli artt. 24 e 77 della Costituzione. Secondo un altro filone di pensiero, il differimento dell’esercizio del diritto di azione previsto nel d.lgs. n. 28/2010 non sarebbe conforme ai requisiti posti dall’ordinamento europeo per la legittimità della giurisdizione condizionata. Il riferimento è, in particolare, alla pronuncia della Corte di giustizia 18.3.2010, nei procedimenti riuniti C–317/08, C–318/08, C–319/08 e C– 320/08, Alassini (in Foro it., 2010, IV, 361). Nella pronuncia, con riferimento al tentativo obbligatorio di conciliazione previsto in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori del servizio, la Corte ha precisato che «il principio della tutela giurisdizionale effettiva non osta ad una normativa nazionale che impone il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, e purché la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone». A tale filone si ispira l’istanza di disapplicazione che l’Organismo unitario dell’Avvocatura suggerisce ai propri aderenti di proporre in giudizio, unitamente alla questione di costituzionalità. Il giudice, su richiesta di una delle parti, potrebbe dichiarare la procedibilità della domanda anche in mancanza dello svolgimento della mediazione, disapplicando l’art. 5, co. 1, del d.lgs. n. 28/2010, perché in contrasto con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la cui portata corrisponde a quella dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 52, co. 3, Carta). Il tentativo obbligatorio di conciliazione, così come disciplinato, limiterebbe infatti il «diritto al ricorso effettivo dinanzi a un giudice», data la mancata previsione dell’obbligatorietà della difesa tecnica, l’onerosità della mediazione (a differenza di quella prevista dinanzi al Co.re.com, caso esaminato dalla Corte di giustizia nella pronuncia citata), la notevole durata della procedura (4 mesi ex art. 6 del d.lgs. n. 28/2010), e il fatto che l’effetto interruttivo della prescrizione e della decadenza sia ricollegato alla ‘comunicazione’ della domanda e non al suo deposito. La disapplicazione è ritenuta possibile alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia europea8 secondo la quale, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha lo stesso valore giuridico dei Trattati e dunque al singolo giudice nazionale sarebbe concesso il potere di disapplicazione della legge interna di fronte alla violazione dei principi di derivazione comunitaria, senza alcuna necessità di sollevare né una questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, né una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia UE. Quest’ultima via è invece quella scelta dal tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, che con ordinanza depositata il 16.8.2011, ha effettuato il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di mediazione per verificare la percorribilità di alcune vie interpretative secondo il parametro dell’interpretazione conforme della normativa interna a quella europea. Nell’ordinanza si ritiene infondata la questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega e sotto il profilo della disparità di trattamento tra attore e convenuto (in quanto il costo della mediazione sarebbe posto a carico dell’istante, qualora la controparte non si presenti all’incontro); anche sotto il profilo del diritto di difesa e di accesso alla giurisdizione (art. 24 cost.) la normativa è ritenuta conforme ai principi enucleati dalla Corte costituzionale ordine alla giurisdizione condizionata (C. cost. n. 296/2008; n. 355/07; n. 436/06 e n. 276/00). Il Tribunale si chiede, tuttavia, se un’interpretazione conforme alla direttiva europea 2008/52/CE potrebbe portare a ritenere esistenti nel nostro attuale sistema le garanzie di competenza e professionalità dei mediatori, nel senso di richiedere che il mediatore sia dotato anche di competenze in campo giuridico e che la scelta del mediatore da parte del responsabile dell’organismo avvenga in considerazione delle specifiche conoscenze ed esperienze professionali sulla materia oggetto di controversia9. Una tale interpretazione renderebbe la disciplina sulla mediazione obbligatoria conforme all’art. 24 Cost. anche sotto il profilo dei costi della procedura. Inoltre, secondo il provvedimento in parola, poiché la direttiva europea sembrerebbe richiedere un sistema che preveda criteri di competenza territoriale (mirando a facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e a promuovere la composizione amichevole delle medesime), anche l’art. 4 d.lgs. n. 28/2010 andrebbe interpretato, conformemente alla direttiva 2008/52/CE, nel senso di richiedere che la domanda di mediazione sia formulata davanti ad un organismo di mediazione sito nel luogo dove si trova il giudice competente per l’eventuale causa di merito. Tra gli altri profili esaminati dall’ordinanza è anche quello sulla «coercizione indiretta a conciliare dovuta alla possibile formulazione della proposta contro la volontà delle parti ed al regime delle spese di lite potenzialmente conseguente al rifiuto della proposta del mediatore» (artt. 11 e 13 del d.lgs. n. 28/2010). Anche in questo caso, la compatibilità con l’art. 24 Cost. sussisterebbe, secondo il tribunale, in seguito ad un’interpretazione della normativa nazionale in conformità alla direttiva europea 2008/52/CE nel senso che, quando l’accordo amichevole e spontaneo non sia raggiunto, il mediatore possa formulare una proposta di conciliazione, salvo che le parti non gli chiedano congiuntamente di non farlo. Su tutti i profili sin qui evidenziati, va ricordata infine la pronuncia del Tribunale di Lamezia Terme del 1.8.2011 (in www.ilcaso.it), secondo la quale gli oneri imposti dal decreto legislativo non comprometterebbero il diritto di azione, imponendo un sacrificio limitato e giustificato dal vantaggio legato all’esito positivo della procedura. Nemmeno la mancata previsione dell’assistenza obbligatoria del difensore sarebbe contrastante con l’art. 24 Cost. dal momento che la mediazione opera su un piano esclusivamente negoziale, potendo, sotto tale profilo, essere avvicinata alla disciplina dell’arbitrato, in cui non è prevista per le parti l’assistenza obbligatoria dell’avvocato. L’ordinanza esclude il vizio di eccesso di delega e disattende l’istanza di disapplicazione della normativa italiana, affermando la piena compatibilità della normativa con il diritto comunitario proprio alla luce della sentenza C. giust. UE 18.3.2010 sopra ricordata. Da ultimo, anche il tribunale di Catanzaro, ord. 16.8.2011 ritiene il Tentativo obbligatorio conforme alla giurisprudenza costituzionale sulla giurisdizione condizionata ed esclude l’eccesso di delega, essendo la previsione dell’obbligatorietà coerente con la ratio della l. n. 60/2009. Al momento, non risulta decisa la questione di costituzionalità, né si è pronunciata la Corte di giustizia sull’ordinanza di rinvio ricordata. In attesa di un assestamento al riguardo, restano quindi rilevanti le altre questioni connesse alla previsione del tentativo obbligatorio di conciliazione.
2.2 I requisiti della condizione di procedibilità
Il d.m. n. 145/2011 interviene su un aspetto problematico emerso dopo che i regolamenti di taluni organismi di mediazione avevano previsto che la segreteria dell’organismo potesse rilasciare l’attestazione di conclusione del procedimento per mancata adesione della parte invitata, in seguito all’espressa dichiarazione del convenuto di non adesione, senza quindi lo svolgimento di nessuna sessione davanti al mediatore10. Il tema era stato affrontato dalla circolare ministeriale del 4.4.2011, secondo la quale la mancata comparizione anche del solo istante, dinanzi al mediatore, avrebbe impedito di ritenere correttamente iniziato e proseguito il procedimento di mediazione. Tale conclusione era stata criticata da parte della dottrina, la quale aveva evidenziato come, al contrario, «nessuna norma del d.lgs. n. 28/2010 imponesse il deposito in giudizio del verbale redatto dal mediatore che attesti la mancata comparizione in sede di primo incontro di mediazione» e che, quindi, ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità «in base ad un canone di proporzionalità, fosse sufficiente depositare un atto dell’organismo di conciliazione con cui si attesti la presentazione della domanda di mediazione e la mancata adesione della controparte al tentativo di mediazione» 11. Il d.m. n. 145/2011, modificando l’art. 7 del d.m. n. 180/2010, impone ora ai regolamenti la previsione per cui, nei casi di cui all’articolo 5, co. 1, del decreto legislativo, «il mediatore svolge l’incontro con la parte istante anche in mancanza di adesione della parte chiamata in mediazione, e la segreteria dell’organismo può rilasciare attestato di conclusione del procedimento solo all’esito di mancata partecipazione della medesima parte chiamata e mancato accordo, formato dal mediatore ai sensi dell’articolo 11, comma 4, del decreto legislativo ». Il decreto ministeriale evidentemente recepisce i ‘chiarimenti’ della circolare ricordata e considera necessario il verbale del mediatore affinché la segreteria dell’organismo possa rilasciare attestato di conclusione del procedimento. Resta tuttavia aperta, in attesa dei primi orientamenti della giurisprudenza, la questione circa la valutazione dell’avveramento o meno della condizione di procedibilità ex art. 5, co. 1, valutazione che il giudice è chiamato a effettuare alla luce della disciplina primaria contenuta nel decreto legislativo e non può essere vincolata dalla normativa secondaria contenuta nel regolamento di attuazione. È opportuno ricordare, a questo riguardo, che la questione nasce soprattutto dall’esigenza di ridurre i costi della mediazione, specie quella obbligatoria, per il caso che questa si presenti di nessuna utilità per la mancata adesione della controparte. In tal caso, si è osservato, dovrebbe venir meno per il richiedente l’obbligo di corrispondere somme aggiuntive rispetto a quelle dovute per l’avvio dal momento che il mediatore – sempre che non formuli la proposta in absentia: art. 11 d.lgs. n. 28/2010 e art. 7, co. 2, lett. b), d.m. n. 180/201012 – non svolge in tali casi attività di mediazione13. Il d.m. n. 145/2011 interviene anche su questo profilo, modificando l’art. 16 del d.m. n. 180/2010 in tema di determinazione dell’indennità di mediazione. Vediamo come.
2.3 II costo della mediazione
Nella prospettiva di attenuare l’onere economico quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione partecipi al procedimento, il d.m. n. 145/2011 ne riduce ulteriormente il costo, stabilendo che l’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento, come determinato a norma della tabella A allegata al d.lgs. n. 28/2010, debba essere ridotto a quaranta euro per il primo scaglione e a cinquanta euro per tutti gli altri scaglioni (art. 16, lett. e; in precedenza si prevedeva invece la riduzione di un terzo). La riduzione dell’onere economico attenua, ma non elide, i profili problematici che avrebbero potuto essere superati lasciando un contributo fisso per le spese di avvio e al più una sorta di diritto di chiamata14. Ancora più delicato è tuttavia il problema dell’onerosità della mediazione nei casi in cui sia prevista come condizione di procedibilità15, questione che secondo alcuni sarebbe censurabile sul piano costituzionale per l’onere economico che addossa al solo attore, senza l’utilità – a differenza di quanto avviene per il contributo unificato – della sentenza che decide la controversia. L’art. 16 del d.m. n. 180/2010 al comma 4, lett. d), prevedeva la diminuzione – applicabile anche agli enti privati – di un terzo per le materie di cui all’art. 5, co. 1. Il d.m. n. 145/2011 prevede ora la riduzione di un terzo per i primi sei scaglioni e della metà per i restanti scaglioni. La modifica non elimina però la questione di principio sulla legittimità di addossare ad una sola parte un onere economico necessario per poter avere accesso alla giurisdizione. Nel valutare tale questione occorrerà tener presenti i criteri già delineati al riguardo dalla Corte costituzionale, la quale ritiene legittimi tali oneri se «razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione» e non se correlati «alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alle finalità predette» (C. cost. n. 114/2004; n. 522/2002; n. 333/2001)16. Sempre a proposito dei costi della mediazione, altre disposizioni del d.m. n. 145/2011 mirano a favorire, sotto tale aspetto, il ricorso all’istituto, modificando in alcuni punti l’art. 16 del d.m. n. 180/2010. In particolare, si aggiunge la previsione della derogabilità degli importi minimi dell’indennità; si prevede che in caso di valore indeterminato, indeterminabile o con notevole divergenza tra le parti sulla stima, l’organismo possa decidere il valore solo fino all’importo di euro 250.000 (prima sempre) e inoltre, se all’esito della mediazione il valore è diverso, si applichi il relativo scaglione. L’art. 16 d.m. n. 180/2010 prevedeva che le spese di mediazione dovessero essere corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Ora si stabilisce che il regolamento di procedura dell’organismo possa prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo; in ogni caso, nelle ipotesi di cui all’art. 5, co. 1, del decreto legislativo, si chiarisce opportunamente che l’organismo e il mediatore non possano rifiutarsi di svolgere la mediazione. Da ultimo va segnalato che il d.l. 13.8.2011, n. 138, convertito in legge con l. 14. 9.2011, n. 148 (pubblicata nella G.U. del 16.9.2011), prevede (art. 35 sexies) che il giudice condanni «la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio». Il riferimento generico all’art. 5 fa sorgere il dubbio che vi siano ricomprese anche le materie per le quali la condizione di procedibilità scatterà il 20.3.201217. Resta da valutare quanto misure del genere possano assicurare – oltre che la presenza delle parti al tavolo del mediatore o, in alternativa, un gettito di denaro per lo Stato – anche una fase costruttiva di mediazione.
2.4 La vigilanza
Il d.m. n.145/2011 rafforza i poteri per la vigilanza sugli organismi di mediazione e sugli enti di formazione prevedendo che possa utilizzato il servizio di ispettorato del Ministero. Si tratta di un nodo nevralgico, dal momento che l’art. 5 e l’art. 19 del d.m. n. 180/2010 prevedono espressamente il silenzio-assenso rispetto alla domanda di iscrizione rispettivamente, nel registro degli organismi e nell’elenco degli enti di formazione. Inoltre, l’art. 8 del medesimo decreto prevede che ciascun organismo o ente debba comunicare alla direzione generale del Ministero qualunque vicenda modificativa dei requisiti, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione (es. modifica delle sedi, del regolamento e così via). La circolare del 13.6.2011 ha chiarito che anche le richieste di modifica ex art. 8 citato sono soggette alla procedura del silenzio assenso di cui alla legge 7.8.1990, n. 241 sul procedimento amministrativo. È evidente che il meccanismo del silenzio-assenso rende estremamente rilevante la questione del controllo, dal momento che questo è destinato per lo più a svolgersi a posteriori, dopo che iscrizione o modifiche sono state consentite, oltretutto anche sulla base di autodichiarazioni (sui poteri di intervento successivo dell’amministrazione e la responsabilizzazione dell’istante, si vedano i rilievi della circolare del giugno 2011).
2.5 La professionalità del mediatore
La questione più dibattuta a questo proposito è quella circa la necessità o meno di una preparazione del mediatore nella materia giuridica18, aspetto considerato anche nei passaggi dell’ordinanza del TAR del Lazio e dell’ordinanza del Tribunale di Palermo sopra ricordate e legato alle aspre contestazioni dell’avvocatura (si tratta infatti di uno dei profili sollevati nelle manifestazioni di protesta, giunte sino all’astensione dall’attività professionale, deliberate dall’Oua nei mesi di marzo, aprile e giugno del 2011). Il decreto n. 145/2011, tuttavia, non interviene su questo specifico aspetto, anche se contiene il richiamo ad un’esigenza di coerenza tra la natura della controversia e la professionalità del mediatore: il regolamento degli organismi deve ora prevedere «criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta» (art. 7, co. 5, lett. e, d.m. n. 180/2010). Sempre per soddisfare le richieste, da più parti avanzate, di una formazione approfondita del mediatore, il d.m. 145/2011 introduce una preparazione non solo teorica ma anche pratica dei mediatori, i quali devono partecipare «nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti» (art. 4, co. 3, d.m. n. 180/2010 come novellato). Resta aperta, almeno fino alla pronuncia della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, la discussione sulla necessità o meno di una competenza tecnico-giuridica del mediatore, discussione condizionata da fattori culturali, e, in parte, alimentata dalle interferenze tra mediazione e processo delineate dal decreto legislativo, con particolare riferimento alla proposta del mediatore in caso di mancato accordo contemplata dall’art. 11 (si veda l’art. 13)19. Il tema è connesso anche alla mancata previsione di obbligatorietà della presenza dei difensori delle parti (non necessari nemmeno nell’arbitrato rituale). A tale riguardo, tuttavia, coglie un’esigenza di coerenza dell’ordinamento chi sottolinea come, attualmente, la facoltatività della presenza del difensore nella mediazione trova riscontro nella facoltatività dell’assistenza di un professionista nella redazione di un contratto, per quanto complesso sia, e anche di una transazione20.
Il d.m. n. 145/2011, come si è visto, interviene solo su alcuni profili problematici della nuova disciplina, mentre molte altre sono le questioni che essa pone e che dovranno trovare risposta nell’opera di assestamento demandata alla giurisprudenza e alla dottrina. A parte le prime pronunce dei giudici, il dibattito in corso è ricco, non solo negli ambienti accademici e di formazione, ma anche negli scambi tra avvocati e magistrati, sia a livello associativo che nell’ambito degli Osservatori sulla giustizia civile21. Passiamo dunque ad indicare le principali questioni emerse, le soluzioni proposte e le domande ancora aperte.
3.1 Ambito di applicabilità del d.lgs. n. 28/2010 ratione temporis
Secondo l’art. 24 d.lgs. n. 28/2010, co. 1, «le disposizioni di cui all’art. 5 acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi iniziati a decorrere dalla stessa data». Il d.lgs. n. 28 è entrato in vigore il 20.3.2010, con conseguente efficacia della disciplina ex art. 5 a partire dal 20 marzo 2011 (con l’eccezione delle controversie in materia di condominio e di risarcimento danno da circolazione di veicoli e natanti). Per quanto concerne i procedimenti introdotti con citazione, le prime pronunce sono orientate nel ritenere che il momento iniziale del processo coincida con quello della instaurazione del rapporto litigioso, vale a dire con il momento nel quale la notificazione può essere considerata compiuta per il destinatario e non il diverso momento della richiesta di notificazione della citazione da parte dell’attore (in tal senso si veda Trib. Lamezia Terme, 1.8.2011; Trib. Palermo, sez. distaccata di Bagheria, 13.7.2011, entrambi in www.ilcaso.it). I procedimenti introdotti con ricorso sarebbero da considerare iniziati nel momento del deposito del ricorso (così, implicitamente, l’ordinanza del tribunale di Palermo di rinvio alla Corte di giustizia, sopra citata); in particolare dovrebbero quindi considerarsi iniziati dopo il 20.3.2011 solo i procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo emesso su ricorso del creditore depositato dopo il 20.3.2011.
3.2 Ambito delle materie e dei procedimenti soggetti alla mediazione ‘obbligatoria’
Un’osservazione ricorrente al riguardo è che, in generale, le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (v. C. cost. n. 403/2007; Cass. n. 967/2004). Sulla base di tale premessa il Tribunale di Varese, con ordinanza del 10.6.2011 (in www.ilcaso.it) ha ritenuto che non si applichi l’art. 5, co. 1, cit., all’azione revocatoria esperita da un istituto bancario nel caso in cui il conto corrente non era l’oggetto della domanda, ma «l’humus negoziale da cui hanno tratto linfa i titoli esecutivi infruttuosamente portati in esecuzione e dunque quale giustificazione dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c.». In analoga prospettiva si pone chi esclude che nell’accezione «diritti reali» possano ricondursi anche tutte le azioni relative a negozi traslativi aventi ad oggetto diritti reali22. A proposito dei procedimenti esclusi dall’obbligo di mediazione uno dei problemi più rilevanti si riferisce alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c. Al riguardo, si contrappongono due tesi: da un lato, si potrebbe ritenere che sulla base della finalità conciliativa dell’istituto di cui all’art. 696 bis c.p.c., sarebbe irrazionale appesantire la procedura con un preventivo ricorso alla mediazione; dall’altro, si rileva che la legge esclude in modo analitico alcuni procedimenti dalla condizione di procedibilità e non menziona quello della consulenza tecnica preventiva. Con ordinanza del 21.4.2010 (in www.ilcaso.it), il Tribunale di Varese ha optato per la prima soluzione, ritenendo che «la consulenza tecnica preventiva (696 bis c.p.c.) e la mediazione delle controversie civili e commerciali (d.lgs. n. 28/2010) perseguono la medesima finalità, introducendo entrambi gli istituti un procedimento finalizzato alla composizione bonaria della lite, così da apparire tra loro alternativi. Pertanto, in caso di CTU preventiva, non sussistono le condizioni di procedibilità di cui all’art. 5, co. 1, d.lgs. n. 28/2010 e il difensore non è obbligato alla comunicazione di cui all’art. 4, co. 3, d.lgs. n. 28/2010.
3.3 L’obbligo di informazione dell’avvocato verso il cliente
L’obbligo di informazione posto dall’art. 4, co. 3, del decreto legislativo, volto a promuovere la conoscenza e la cultura della mediazione, è stato ritenuto sussistente anche all’atto di conferimento dell’incarico per ottenere un’ingiunzione di pagamento ex art. 633 c.p.c., in quanto in tale materia sarebbe sempre possibile il ricorso alla mediazione facoltativa e la parte deve esserne messa a conoscenza; senza contare che dopo le decisioni ai sensi dell’art. 648 o dell’art. 649 c.p.c., trovano di nuovo applicazione i primi due commi dell’art. 5 (Trib. Varese, ord. 30.6.2010, in www.ilcaso.it). Quanto alle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo in esame (che comunque non incide sulla procedibilità della domanda: Trib. Palermo, ord. 24.3.2011, in www.ilcaso.it), è stato chiarito che l’annullabilità del contratto tra l’avvocato e l’assistito può essere fatta valere ex art. 1441, co. 1, c.c., solo da quest’ultimo e non anche dalla controparte processuale (nella specie il convenuto aveva eccepito l’annullabilità del contratto di patrocinio conferito dall’attore al suo difensore: Trib. Varese, ord. 1.3.2011, in www.ilcaso.it). L’attività informativa del giudice, svolta in supplenza e previa convocazione personale della parte, potrebbe venire meno qualora il difensore produca, successivamente al rilievo, idonea informativa (Trib. Varese, ord. 6.5.2011, secondo cui ben potrebbe «il giudice subordinare la comparizione della parte alla spontanea allegazione dell’informativa da parte del difensore, onde evitare un rallentamento del processo»; sempre secondo la pronuncia l’informativa deve essere chiara, esplicita, contenuta in atto separato e non nella procura con espressione meramente di stile).
3.4 Esperimento della mediazione quale condizione di procedibilità: eccezione, rilievo e sanatoria della improcedibilità
Anche in questo campo si registrano le prime pronunce dei giudici. Il Tribunale di Prato, con decreto del 30.3.2011 ha ritenuto, in materia locatizia, che nel decreto di fissazione dell’udienza di discussione ex art. 415, co. 2, c.p.c., il giudice, ove rilevi – d’ufficio – il mancato esperimento della mediazione, debba assegnare alle parti termine per la presentazione della domanda di mediazione, rimettendo le parti dinanzi a sé per un’udienza successiva al termine di quattro mesi indicato dall’art. 6 d.lgs. n. 28/2010 per la conclusione del procedimento di mediazione25. Lo stesso principio è affermato dal Tribunale di Modena, con decreto del 5.5.201126. L’orientamento, chiaramente ispirato all’esigenza di assicurare un ragionevole durata del processo, mostra il fianco alle critiche di chi ritiene che il principio del contraddittorio sia comunque prevalente e che il rilievo di improcedibilità, anche solo per tale motivo, non potrebbe essere contenuto nel decreto27. Non v’è dubbio comunque che la prima udienza sia momento preclusivo della eccezione e del rilievo di improcedibilità. Resta da verificare, tuttavia, se si faccia riferimento ad un criterio strettamente cronologico oppure, come pure è stato sostenuto, gli adempimenti di prima udienza potrebbero essere differiti ad un’udienza successiva, ad esempio per consentire alle parti di verificare la possibilità di intese conciliative: in tale prospettiva, che appare rispondente a criteri di flessibilità processuale, il momento preclusivo andrebbe individuato con l’effettivo compimento delle attività di prima udienza. La sanatoria dell’improcedibilità avviene con l’assegnazione del termine di quindici giorni alle parti per la presentazione della domanda di mediazione e il differimento dell’udienza tenuto conto del termine di durata massima del procedimento di mediazione di quattro mesi (definito «non processuale» dall’art. 6 del decreto legislativo e dunque non soggetto a sospensione nel periodo feriale). Ci si chiede quali siano le conseguenze del mancato esperimento della mediazione entro il termine (non dichiarato perentorio dalla norma) assegnato dal giudice, ipotesi non disciplinata dal decreto legislativo. Secondo la tesi prevalente28 il giudice dovrebbe pronunciare sentenza di improcedibilità, decisione che non precluderebbe una nuova domanda. Per la maggior parte della dottrina inoltre, se entro la successiva udienza, la domanda di mediazione sia stata comunque presentata (pur non rispettando il termine di 15 giorni assegnato dal giudice) non potrebbe dichiararsi l’improcedibilità (trattandosi appunto di termine non perentorio) e il giudice dovrebbe eventualmente prendere atto della pendenza del termine di quattro mesi di durata massima del procedimento di mediazione, con eventuale ulteriore differimento della udienza29.
3.5 Cumulo successivo di domande
Si tratta di una questione spinosa, per gli effetti che può avere sulla durata del processo. Ci si chiede se l’obbligo di mediazione riguardi la sola domanda introduttiva del giudizio o anche la parte che intenda esercitare, nel giudizio già instaurato, ulteriori domande ricadenti nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 (domanda riconvenzionale e chiamata di terzo; reconventio reconventionis dell’attore; ulteriori domande dell’interveniente; domande trasversali). La maggioranza della dottrina propende per la prima soluzione23, sul rilievo letterale della previsione di specifica eccezione solo da parte del convenuto alla prima udienza e su quello sistematico della scarsa utilità della seconda opzione, che si porrebbe inoltre in contrasto con il principio di ragionevole durata ex art. 111 Cost. Sarà compito della giurisprudenza affrontare i vari casi in cui siano introdotte domande diverse da quella che ha instaurato il processo. Al riguardo si è già espresso il Tribunale di Palermo, che, con l’elaborata ordinanza del 13.7.2011 ha affermato che la domanda riconvenzionale del convenuto è procedibile anche se, ricadendo nelle materie di cui all’art. 5, co. 1, del decreto legislativo, non sia preceduta dal tentativo obbligatorio di mediazione24.
3.6 La conciliazione sollecitata dal giudice
L’art. 5, co. 2, del decreto legislativo prevede che il giudice, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, possa invitare le stesse a procedere alla mediazione. L’ipotesi di conciliazione sollecitata dal giudice, già contenuta nella direttiva europea del maggio 2008 e conosciuta da vari paesi europei (Court Annexed Mediation), era stata oggetto di progetti sperimentali a Milano, a Firenze e in altre sedi30. Il dialogo tra processo e mediazione così attuato ha offerto ed offre anche un’occasione di formazione sul campo per magistrati, avvocati e mediatori. Alcune pronunce al riguardo consentono di approfondire vari aspetti. In particolare, il Tribunale di Varese, con ordinanza del 6.7.2011 (in www.ilcaso.it) cerca di delineare i criteri selettivi in base ai quali il giudice può effettuare l’invito, trovandosi di fronte ad elementi indicativi di una buona probabilità di chances di conciliazione. Ad esempio. «quando la causa interessi, dal punto di vista soggettivo, due litiganti legati da un pregresso rapporto di origine familiare, destinato a proiettarsi nel tempo in modo durevole e, quindi, allorché meriti di essere salvaguardata la possibilità di conservazione del vincolo affettivo in essere, posto che la mediazione, diversamente dalla statuizione giurisdizionale, può guardare anche all’interesse (pubblico) alla ‘pace sociale’, favorendo il raggiungimento di una conciliazione che non distribuisce ragioni e torti ma crea nuove prospettive di legame destinate a far sorgere dal pregresso rapporto disgregato nuovi orizzonti relazionali»31. Il provvedimento ha anche cura di sottolineare come la legge non ricolleghi alcuna conseguenza al rifiuto dell’invito del giudice e tale omissione non possa essere colmata né con l’art. 116, co. 2, c.p.c., né con l’art. 88 c.p.c., in quanto il legislatore ha voluto che la scelta dei litiganti fosse libera e non condizionata dal timore di ricadute sfavorevoli nella futura decisione giurisdizionale. Alla volontarietà della mediazione demandata, il provvedimento in esame collega quindi la conseguenza che le parti debbano essere avvisate dell’irrilevanza, ai fini del giudizio, del loro eventuale rifiuto. Per quanto riguarda la questione relativa alla parte che debba pronunciarsi sull’invito (se quella in senso sostanziale o il rappresentante legale), il Tribunale di Varese afferma che l’adesione all’invito costituisce una estrinsecazione del potere di cui all’art. 84, co. 1, c.p.c. e quindi l’avvocato possa pronunciarsi in merito all’adesione o meno salvo il diritto del medesimo a conferire con il cliente – e quindi ad un breve rinvio – per fare in modo che la loro decisione sia rispettosa dell’attuale desiderio/bisogno del loro assistito. Secondo lo stesso tribunale, un’interpretazione orientata alla salvaguardia della funzionalità dell’istituto imporrebbe, almeno per i fori inderogabili e almeno per il caso della mediazione su invito del giudice, che il magistrato possa indicare l’ambito territoriale entro cui svolgere la mediazione.
1 Sulle iniziative in ambito europeo volte alla promozione delle a.d.r., tra cui, da ultimo, il consultation paper della Commissione europea sull’uso delle a.d.r. nella materia commerciale, v. Vigoriti, Europa e mediazione. Problemi e soluzioni, in Contr. e impr. Europa, 2011, 81. Si veda infine la risoluzione del Parlamento europeo del 13.9.2011 sull’attuazione della direttiva nei paesi membri, che contiene riferimenti espressi all’intervento normativo italiano, in termini sostanzialmente positivi.
2 Il registro, secondo l’art. 3 del dm. 180/2010 dovrebbe invece essere diviso in due parti, per distinguere enti pubblici dagli enti privati.
3 Si possono reperire sui siti dei predetti enti: rispettivamente www.unioncamere.gov.it e www.consiglionazionaleforense.it.
4 Sul tema v. Dalfino, Mediazione, conciliazione e rapporti con il processo, in Foro it., 2010,V, 101; Scarselli, L’incostituzionalità della mediazione di cui al d.lgs. 28/2010, in Foro it., 2011, V, 55; esamina i rilievi di tale Autore, Caponi, La mediazione obbligatoria a pagamento: profili di costituzionalità, in www.judicium.it; escludono il vizio di costituzionalità Porreca-Armone, La mediazione tra processo e conflitto, in Foro it., 2010, V, 95; Id., La mediazione nel sistema costituzional-comunitario, in Foro it., 2010, I, 372; Porreca, La mediazione e il processo civile:complementarietà e coordinamento, in Soc., 2010, 633. Su questi temi e per una disamina generale dei rapporti tra mediazione e processo si veda Pagni, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti, in Soc., 2010, 619 ss.
5 Sulla legittimità costituzionale del tentativo obbligatorio di conciliazione perché finalizzato a assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo si veda C. cost. n. 51/2009, che richiama anche C. cost. n. 104/2007. Già ampiamente C. cost. n. 276/2000, in Foro it., 2000, I, 2752, in tema di tentativo obbligatorio per le liti di lavoro, aveva affermato che la garanzia del diritto di azione tollera dilazioni temporali al suo esercizio, in vista della salvaguardia di interessi generali, come l’alleggerimento del carico di lavoro degli uffici giudiziari e la possibilità di un soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali.
6 in Foro it., 2011, III, 274 con nota di Dalfino; vedi anche Pagni, La mediazione dinanzi alla Corte costituzionale dopo l’ordinanza del Tar Lazio n. 3202/2011, in Corr. giur., 2011, 995 ss.
7 In particolare, l’art. 60 l. n. 69/09 escluderebbe l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione come risulterebbe dalla lett. c), che richiama il d.lgs. n. 5/2003 – il quale prevede l’ipotesi della clausola di conciliazione – e dalla lett. n), ove è previsto l’obbligo per l’avvocato di informare il cliente della ‘possibilità’ e non dell’obbligo di avvalersi della mediazione.
8 C. giust., Grande Sezione, 19.1.2010, nel procedimento C-555/07, Kucukdeveci c. Sweedex GmbH & Co. KG. Nello stesso senso v. anche Tar Lazio, sez. II, 18.5.2010, n. 11984. Il principio peraltro già stato affermato in precedenza dalla giurisprudenza europea: C. giust., Grande sezione, 22.11.2005, C-144/2004 Mangold.
9 Al momento di pronuncia dell’ordinanza non era ancora stato pubblicato il dm. n. 145/2011 che ha riformulato la lettera e) dell’art. 7, co. 5, del d.m. n. 180/2010: v. supra.
10 Tale previsione è contenuta, ad esempio, nel regolamento unitario proposto dal CNF di cui si è detto.
11 Caponi, Adesione e partecipazione alla mediazione, in www.judicium.it
12 L’art. 7 del d.m. n. 180/2010 contempla la possibilità del regolamento di prevedere che la proposta che il mediatore può fare, «in caso di mancato accordo », possa essere avanzata dal mediatore anche «in caso di mancata partecipazione di una o più parti».
13 Pagni, La mediazione dinanzi alla Corte costituzionale, cit.
14 Così Luiso, Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie tra prassi e interventi del legislatore, in Quarto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, a cura di ISDACI, 2011, 118 s.
15 L’art. 17, co. 5, del d.m. n. 180/2010 prevede l’esonero dall’indennità per la parte ammessa al gratuito patrocinio.
16 È infatti sulla base di tali criteri che parte della dottrina ritiene costituzionale la previsione dell’obbligatorietà per le controversie in cui le parti sono inserite in un gruppo, un’associazione o intrattengono una durevole relazione sociale o economica, mentre la ritiene inopportuna e «probabilmente anche incostituzionale» se riferita a tipi di controversie in cui l’opera di un mediatore non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla risoluzione giudiziaria: così Caponi, Il quadro delle ultime novità, in Foro it., 2011, V, 195 ss., a cui si rinvia per i riferimenti ai precedenti contributi dell’Autore; per un’analisi diversa, volta a sostenere la compatibilità dell’onerosità con l’obbligatorietà della mediazione, pur evidenziando alcune criticità della disciplina, si veda da ultimo Porreca-Armone, I costi della mediazione tra dubbi di costituzionalità e giustizia coesistenziale, in Foro it., 2011, V, 205 ss.
17 Sul giustificato motivo ex art. 8 del d.lgs. n. 28/2010, v. Bove, La mancata comparizione innanzi al mediatore, in Soc., 2010, 760.
18 Sul tema, vedi ampiamente Pagni, La competenza e la professionalità del mediatore nel difficile equilibrio tra autonomia negoziale e ruolo del terzo, in Foro it., 2011, V, 200 ss.
19 Sui riflessi negativi della previsione dell’art. 11 vedi le considerazioni di Luiso, Gli strumenti alternativi, cit., 116; v. anche Graziano, Contenzioso civile e norme sulla mediazione finalizzata alla conciliazione, in Riv. dir. proc., 2011, 614; in generale, sull’opportunità che mediazione e processo interferiscano il meno possibile, svolge condivisibili consderazioni Fabiani, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, in Società, 2010, 1142; approfondisce il rapporto tra proposta e libertà delle parti Lucarelli, Procedimento di mediazione e questioni di senso, in Foro it., 2011, V, 210 ss.
20 Pagni, La competenza e la professionalità del mediatore, cit.; sottolinea l’importanza di avvicinarsi alla mediazione partendo dall’idea del contratto piuttosto che del sistema alternativo di risoluzione del conflitto Lucarelli, La mediazione delle controversie commerciali, in La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, Torino, 2010, 229; la questione è connessa all’approfondimento dei vari tipi di mediazione, su cui vedi gli spunti offerti da Cuomo Ulloa, Mezzi di conciliazione nell’esperienza nordamericana, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 1283.
21 Sugli Osservatori vedi Caponi, L’attività degli osservatori sulla giustizia civile nel sistema delle fonti del diritto, in Foro it., 2007, V, 7 ss.
22 Porreca, La mediazione e il processo civile:complementarietà e coordinamento, in Soc., 2010, 633.
23 Dittrich, Il procedimento di mediazione nel D. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc., 2010, 585; Porreca, La mediazione e il processo civile, cit., 635; Battaglia, La nuova mediazione «obbligatoria» e il processo soggettivamente e oggettivamente complesso, in Riv. dir. proc., 2011, 126 ss. a cui si rinvia per l’esame dettagliato delle varie ipotesi di processo oggettivamente o soggettivamente complesso.
24 Per il rito del lavoro la giurisprudenza di legittimità non ha avuto modo di pronunciarsi, mentre la dottrina ha sostenuto in diversi casi la tesi della non estendibilità del tentativo di conciliazione alle domande riconvenzionali. Diversa la soluzione data dalla Corte di cassazione alla medesima questione, con riferimento alla condizione di proponibilità prevista per le controversie agrarie, richiedendola anche per la domanda riconvenzionale: ex multis, Cass. nn. 19436/08 e 23816/07.
25 In Giur. mer., 2011, 2149, con nota di Di Iorio; in Foro it., I, 2011, I, 1558, con nota di Dalfino.
26 in Giur mer., 2011, 1820, con commento di Giordano, Note intorno al rilievo d’ufficio nel decreto di fissazione dell’udienza del mancato esperimento della mediazione in materia locatizia.
27 Si veda in tal senso il commento di Giordano, in Giur. mer., cit., la quale rileva che il resistente, nel caso di specie, avrebbe potuto contestare la applicabilità del rito locatizio (trattandosi di occupazione sine titulo). Sulla mediazione nelle controversie lato sensu locatizie, si veda in generale anche il contributo di Masoni, in Giur. mer., 2011, 1762; nonché Scalettaris, Qualche riflessione in tema di mediazione conciliazione nelle controversie aventi ad oggetto il rilascio dell’immobile locato, in Arch. loc., 2011, 15.
28 Tra gli altri Minelli, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciale, a cura di Bove, Padova, 2011; Santangeli, La mediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www.judicium. it.
29 Dalfino, Dalla conciliazione societaria alla «mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», in www.judicium.it.
30 Ad es. il Progetto Nausicaa di Firenze, in www.progettonausicaa.it.
31 Anche il tribunale di Ostia, sezione distaccata di Roma, nell’ordinanza del 9.12.2010, in www.ilcaso. it, individua alcuni elementi della causa su cui basa l’invito alla mediazione, rinvenendoli in una pregressa transazione tra il convenuto e terzi intervenuti e nell’avvenuta riconsegna del bene locato, dunque su un aspetto attinente agli interessi delle parti. Sempre il Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia, nell’ordinanza del 22.11.2010 ha affermato che, all’esito dell’istruttoria, il giudice può invitare le parti alla mediazione quando in relazione agli atti, all’istruttoria documentale ed alle valutazioni logico-giuridiche svolte, emerga che i litiganti (o solo alcuni di essi) ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo: nel caso che sia ancora necessaria una consulenza tecnica, il giudice può rimettere ai mediatori tale incombente.
. Registro (art. 3, co. 2, del d.m. n. 180/2010) «Requisiti per il responsabile del registro» Il responsabile del registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione può essere non solo il direttore generale della giustizia civile, ovvero persona da lui delegata con qualifica dirigenziale, ma anche persona, sempre delegata dal direttore, con qualifica di magistrato nell'ambito della direzione generale.
Registro (art. 3, co. 2, d.m. n. 180/2010) «Esercizio della vigilanza sugli organismi di mediazione» È ora espressamente previsto che il direttore generale della giustizia civile, al fine di esercitare la vigilanza, si possa avvalere dell’ispettorato generale del Ministero della giustizia.
Criteri per l'iscrizione nel registro (art. 4, co. 3, d.m. n. 180/2010) «Requisiti di formazione dei mediatori» Il responsabile dell'organismo deve ora verificare non solo il possesso da parte dei mediatori, di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base all’articolo 18, ma anche la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti.
Regolamento di procedura (art. 7, co. 5, d.m. n. 180/2010) «Ipotesi di mancata adesione della controparte di chi richiede la mediazione» Il regolamento dell’organismo deve obbligatoriamente prevedere quanto previsto nella – nuova – lett. d), ossia che nei casi di cui all’art. 5, co. 1, del decreto legislativo, il mediatore svolge l’incontro con la parte istante anche in mancanza di adesione della parte chiamata in mediazione, e la segreteria dell’organismo può rilasciare attestato di conclusione del procedimento solo all’esito di mancata partecipazione della medesima parte chiamata e mancato accordo, formato dal mediatore ai sensi dell’art. 11, co. 4, del decreto legislativo.
Regolamento di procedura (art. 7, co. 5, d.m. n. 180/2010) «Criteri di assegnazione degli affari e professionalità del mediatore» Il regolamento dell’organismo deve obbligatoriamente prevedere quanto previsto nella – nuova – lett. e), ossia criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta.
Obblighi degli iscritti (art. 8, co. 4, d.m. n. 180/2010) «Tirocinio assistito» In relazione alla richiesta, tra i requisiti di formazione del mediatore, del tirocinio assistito di cui all’art. 4, co. 3, lettera b), si prevede anche che l’organismo iscritto sia obbligato a consentire, gratuitamente e disciplinandolo nel proprio regolamento, tale tirocinio .
Criteri di determinazione dell’indennità (art. 16, co. 4, d.m. n. 180/2010) «Riduzione per i casi di mediazione ‘obbligatoria’» Secondo la nuova formulazione della lett. d), nelle materie di cui all’art. 5, co. 1, del decreto legislativo, l’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento, come determinato a norma della tabella A allegata al d.lgs. n. 28/2010, non deve più essere ridotto di un terzo per ogni scaglione, ma deve essere ridotto di un terzo per i primi sei scaglioni e della metà per i restanti, salva la riduzione prevista dalla lett. e) del co. 4; inoltre, non si applica alcun altro aumento tra quelli previsti dall’art. 16, ad eccezione di quello previsto dalla lett. b) del co. 4.
Criteri di determinazione dell’indennità (art. 16, co. 4, d.m. n. 180/2010) «Riduzione per i casi di mediazione ‘contumaciale’» Secondo la nuova formulazione della lett. e), l’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento, come determinato a norma della tabella A allegata al d.lgs. n. 28/2010, non deve più essere ridotto di un terzo, ma deve essere ridotto a euro quaranta per il primo scaglione e ad euro cinquanta per tutti gli altri scaglioni, ferma restando l’applicazione della lett. c) del presente comma quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione, partecipa al procedimento.
Criteri di determinazione dell’indennità (art. 16, co. 8, d.m. n. 180/2010) «Valore del procedimento» Si prevede che qualora il valore risulti indeterminato, indeterminabile o vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima, l’organismo decida il valore di riferimento, sino al limite di euro 250.000 (non più in ogni caso, come in precedenza) e lo comunichi alle parti. Si prevede inoltre, che in ogni caso, se all’esito del procedimento di mediazione il valore risulti diverso, l’importo dell’indennità sia dovuto secondo il corrispondente scaglione di riferimento.
Criteri di determinazione dell’indennità (art. 16, co. 9, d.m. n. 180/2010) «Corresponsione delle spese di mediazione» Si stabilisce ora che il regolamento di procedura dell’organismo possa prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’art. 11 del decreto legislativo. Si aggiunge anche che in ogni caso, nelle ipotesi di cui all’art. 5, co. 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione.
Criteri di determinazione dell’indennità (art. 16, co. 14, d.m. n. 180/2010) «Derogabilità dei minimi tariffari» Viene aggiunto all’art. 16 un co. 14, secondo il quale gli importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, come determinati a norma della tabella A allegata al d.lgs. n. 28/2010, sono derogabili.
Elenco degli enti di formazione (art. 17, co. 2, d.m. n. 180/2010) «Requisiti del responsabile dell’elenco e poteri di vigilanza» Il responsabile dell’elenco degli enti di formazione può essere ora non solo il direttore generale della giustizia civile, ovvero persona da lui delegata con qualifica dirigenziale ma anche persona delegata con qualifica di magistrato nell’ambito della direzione generale. Inoltre si prevede ora che il direttore generale della giustizia civile, al fine di esercitare la vigilanza, si possa avvalere dell’ispettorato generale del Ministero della giustizia.
Disciplina transitoria (art. 20, co. 1, d.m. n. 180/2010) «Verifiche dei requisiti mediatori» Si prevede ora che le verifiche del possesso dei requisiti richiesti in capo agli organismi già iscritti nel registro previsto dal decreto del Ministro della giustizia 23.7.2004, n. 222, che si considerano iscritti di diritto al registro gli organismi, avvengano dopo aver provveduto all’iscrizione di cui al periodo precedente, salvo quanto previsto dal co. 2.
Disciplina transitoria (art. 20, co. 2, d.m. n. 180/2010) «Requisiti integrativi per i mediatori» I mediatori abilitati a prestare la loro opera presso gli organismi di cui al co. 1 devono acquisire, entro dodici mesi – e non più sei mesi – dalla data di entrata in vigore del decreto n. 180, i requisiti anche formativi in esso previsti per l’esercizio della mediazione.
Disciplina transitoria (art. 20, co. 3, d.m. n. 180/2010) «Verifiche dei requisiti enti di formazione» Si prevede ora che le verifiche del possesso dei requisiti richiesti in capo agli enti abilitati a tenere corsi di formazione, già accreditati presso il Ministero ai sensi del decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222, iscritti di diritto all'elenco, salvo quanto previsto dal comma 4, avvengano dopo aver provveduto all’iscrizione.
Disciplina transitoria (art. 20, co. 4, d.m. n. 180/2010) «Requisiti integrativi per i formatori» I formatori abilitati a prestare la loro attività presso gli enti di cui al co. 3 devono acquisire, entro dodici mesi – e non più sei mesi – dalla data di entrata in vigore del decreto n. 180 i requisiti di aggiornamento indicati nell’art. 18.