La proposta UE sull’accesso ai servizi portuali
L’importanza dei trasporti marittimi di merci e passeggeri, da un lato, e le profonde differenze che caratterizzano le strutture atte ad accoglierli, dall’altro, hanno indotto la Commissione europea a formulare una proposta di regolamento sul tema dell’offerta dei servizi portuali, al fine di uniformare i modelli organizzativi dei principali scali europei e di incrementarne l’efficienza, provvedendo a modernizzare i servizi e le operazioni portuali erogati e così creare le condizioni idonee ad attirare nuovi investimenti. La proposta tradisce, peraltro, le difficoltà di individuare modelli comuni nella realtà portuale, la quale presenta assetti organizzativi economico-giuridici anche sensibilmente differenti sia tra i diversi Stati membri sia all’interno del medesimo Stato.
Il crescente sviluppo dei traffici marittimi, i continui progressi tecnologici, il fenomeno della globalizzazione evidenziano l’importanza strategica ed economica attualmente rivestita dai porti – i quali oggi rappresentano i nodi di complesse reti di trasporto intermodale – e la necessità che gli stessi siano dotati di infrastrutture idonee a ricevere elevati volumi di traffico in tempi sempre più brevi.
La realtà europea, in particolare, è fortemente dipendente dai propri scali commerciali – più di 1.200 in oltre 70.000 km di coste – con riferimento sia agli scambi commerciali intercontinentali sia al mercato interno, ove un ruolo decisivo è rivestito dal trasporto marittimo a corto raggio, efficace alternativa alle arterie terrestri, spesso congestionate.
La rilevante eterogeneità delle realtà portuali dei Paesi membri, sotto il profilo infrastrutturale nonché sotto quello gestionale ed organizzativo, rischia tuttavia di distogliere l’interesse degli investors internazionali ed in ogni caso di favorire uno sviluppo disomogeneo dei vari scali: non tutti i 319 porti marittimi indicati nella «proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T)» (COM 2011 650 def./2) – attraverso i quali transitano il 96% di tutte le merci ed il 93% di tutti i passeggeri – presentano infatti modalità di governance sufficientemente attraenti, né forniscono il medesimo livello elevato di servizi portuali.
In tale contesto si colloca la «proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro normativo per l’accesso al mercato dei servizi portuali e la trasparenza finanziaria dei porti» (COM 2013 296 def.), presentata in data 23.5.2013 dalla Commissione europea1, la quale non si pone l’obiettivo di appiattire le diversità esistenti tra le realtà portuali proponendo un modello uniforme per tutti gli scali, bensì quello di definire un quadro normativo in grado di incrementare l’efficienza dei porti marittimi della rete TEN-T, caratterizzato dalla trasparenza delle relative procedure ed in grado di aiutarli ad affrontare i necessari cambiamenti nei servizi portuali e nella logistica, così contribuendo ad un «funzionamento più efficiente, interconnesso e sostenibile della TEN-T» stessa.
Si tratta peraltro di un settore particolarmente complesso ed in continua evoluzione, in cui convivono in precario equilibro tendenze alla liberalizzazione e necessità di regolamentazione delle attività portuali, in ragione della presenza all’interno del porto di spazi e strutture limitati nonché di esigenze di specializzazione e di tutela della sicurezza.
Le difficoltà di contemperare, sul piano giuridico, tali interessi contrastanti e di individuare modelli organizzativi uniformi sono peraltro confermate dal fallimento delle precedenti due proposte di direttiva presentate dalla Commissione2.
A tali criticità si aggiungono le differenze giuridico-operative, anche rilevanti, che caratterizzano i modelli di governance portuale adottati dai Paesi appartenenti all’UE3.
La struttura della proposta di regolamento – dopo i considerando iniziali ed un primo capo contenente l’oggetto, le definizioni e l’ambito di applicazione – si articola in ulteriori tre capi, ognuno dedicato agli interventi ritenuti prioritari dalla Commissione: l’accesso al mercato dei servizi portuali, la trasparenza finanziaria, il coordinamento all’interno dello scalo.
Nel capo I sono elencati all’art. 1 i servizi portuali – definiti nel successivo art. 2 – ai quali si applica il regolamento ed è individuato l’ambito di applicazione dello stesso, limitato ai soli porti della rete TEN-T, salva la possibilità per gli Stati membri di estenderlo anche ai porti minori.
Il capo II contiene disposizioni relative all’accesso al mercato dei servizi indicati: all’art. 3 è sancito formalmente il principio della libera circolazione dei servizi anche nel settore portuale, che si applica ai prestatori di servizi portuali stabiliti nell’UE, i quali, peraltro, possono avere libero accesso alle strutture essenziali del porto4.
Allo stesso tempo, il legislatore comunitario prevede, da un lato, che possano essere stabiliti dei requisiti minimi per lo svolgimento dei servizi portuali, relativi alle qualifiche dell’operatore, alle strumentazioni dallo stesso utilizzate, alla conformità con le norme in tema di security portuale e ambientale (art. 4); dall’altro, che possa essere limitato il numero di prestatori di servizi portuali, sebbene esclusivamente per ragioni relative alla carenza di spazi portuali o ad obblighi di servizio pubblico (art. 6). Tali obblighi, in particolare, possono essere imposti da apposite autorità compententi, designate dagli Stati membri (lo stesso ente di gestione del porto può essere desiganto autorità competente), al fine di assicurare la disponibilità di un determinato servizio senza interruzioni, l’erogazione in favore di tutti gli utenti e l’accessibilità economica del servizio stesso per determinate categorie di utenti portuali (art. 8).
Le attività oggetto di obblighi di servizio pubblico possono essere svolte direttamente dall’autorità compentente o da un «operatore interno», un soggetto cioè giuridicamente distinto dall'autorità e sul quale la stessa esercita un controllo del tutto simile a quello esercitato sulla propria struttura interna (art. 9).
In ogni caso, la proposta lascia impregiudicata la legislazione sociale e del lavoro in vigore negli Stati membri, al fine di tutelare i diritti dei lavoratori portuali (art. 10).
Nel capo III, contenente norme in tema di trasparenza finanziaria e di autonomia, è stabilito anzitutto che l’ente di gestione del porto, nel caso in cui percepisca finanziamenti pubblici o fornisca in proprio servizi portuali, deve tenere una contabilità separata e trasparente, anche al fine di dimostrare l’uso efficace ed adeguato di tali finanziamenti (art. 12).
Nell’ipotesi di operatori interni e nel caso in cui i prestatori di servizi portuali siano selezionati non in base ad una gara ad evidenza pubblica, i diritti per i servizi forniti devono essere fissati in modo trasparente, non discriminatorio e non sproporzionato rispetto al valore del servizio erogato (art. 13).
I diritti d’uso dell’infrastruttura portuale sono definiti autonomamente dagli enti di gestione, in base alle proprie strategie commerciali ed ai piani di investimento; tali diritti possono, in ogni caso, essere modificati in base alle pratiche commerciali riservate agli utilizzatori frequenti o per promuovere un uso più efficiente dell’infrastruttura, il trasporto marittimo di corto raggio o una maggiore efficienza ambientale ed energetica (art. 14).
L’ultimo capo della proposta prevede forme di coordinamento nella governance portuale: è prevista, in ogni scalo, l’istituzione di un «comitato consultivo degli utenti del porto» – formato da rappresentati di armatori e caricatori, nonché da tutti i soggetti che usufruiscono delle strutture del porto – che deve essere consultato annualmente dall’ente di gestione e dai prestatori dei servizi portuali prima della determinazione, rispettivamente, dei diritti d’uso dell’infrastruttura portuale e dei diritti per i servizi portuali (art. 15).
L’ente di gestione è tenuto altresì a consultare regolarmente le parti interessate (imprese operanti nel porto, prestatori di servizi portuali, utenti) in relazione ai principali aspetti riguardanti la governance della realtà gestita: il coordinamento dei servizi all’interno dello scalo, le misure per migliorare e sviluppare i collegamenti con l’entroterra e con le altre modalità di trasporto, l’efficienza della procedure amministrative (art. 16).
È infine prevista, da parte degli Stati membri, l’individuazione di un «organismo indipendente di vigilanza»: tale organismo, che deve essere un’entità distinta e indipendente rispetto agli enti di gestione del porto o ai prestatori di servizi all’interno dello scalo, provvede a controllare e supervisionare l’applicazione del regolamento nello Stato stesso (art. 17). I medesimi organismi – allo scopo di realizzare un’applicazione uniforme del regolamento – cooperano strettamente tra loro, fornendosi assistenza reciproca e scambiandosi informazioni in relazione al lavoro svolto nonché ai principi ed alle prassi decisionali applicate (art. 18).
La proposta esaminata deve essere valutata positivamente, in quanto conferma l’interesse dell’UE nell’attuare una politica comune anche nella materia delle infrastrutture portuali, sinora assente.
La stessa tuttavia, per come formulata, presenta alcune criticità, evidenziate anche dalle osservazioni delle commissioni del Senato5.
Anzitutto, la scelta dello strumento del regolamento comunitario, da un lato, appare in contraddizione con la volontà, espressa nella relazione introduttiva, di rispettare le realtà locali; dall’altro, alla luce delle caratteristiche dello strumento utilizzato, è stata giudicata eccessivamente rigida, inidonea a graduare l’intervento normativo in base alle differenti realtà portuali presenti nell’UE. Si ritiene che la Commissione avrebbe potuto – in luogo del regolamento, il quale peraltro contiene norme piuttosto generiche, che in ogni caso necessitano di un intervento di adattamento da parte degli Stati membri – emanare delle linee-guida o ricorrere allo strumento della direttiva, del resto già utilizzato nelle proposte formulate in precedenza.
Perplessità desta anche l’applicazione della proposta di regolamento a tutti i porti della rete TEN-T: si tratta infatti di realtà portuali estremamente diverse tra loro, in cui a porti di notevoli dimensioni e di grande rilievo internazionale si contrappongono scali più modesti e meno significativi sotto il profilo concorrenziale, sia a livello nazionale sia comunitario.
Confrontando l’art. 1 della proposta con la disciplina nazionale delle attività portuali, emerge inoltre una non perfetta corrispondenza tra i servizi previsti nel regolamento – i quali invero non esauriscono il novero delle attività esercitate in ambito portuale – e quelli contemplati nella normativa italiana, peraltro oggetto di modelli organizzativi differenti: nel nostro ordinamento, infatti, i servizi alle merci sono resi in regime di concorrenza, mentre i servizi alle navi o tecnico-nautici (pilotaggio, rimorchio, ormeggio, battellaggio) sono in genere erogati secondo modelli monopolistici; i terminals passeggeri fanno parte dei servizi di interesse generale, affidati in concessione dall’Autorità portuale mediante gara pubblica6; il servizio di rifornimento carburante (cd. bunkeraggio), infine, è annoverato, secondo alcuni autori7, tra i servizi portuali innominati, categoria che ricomprende in via residuale tutti i servizi non appartenenti alle altre indicate ed in relazione ai quali trova applicazione l’art. 68 c. nav.
Il confronto ora effettuato pone ulteriori problemi interpretativi e di coordinamento relativi al contenuto dei singoli servizi: quelli di «movimentazione merci», in base alla definizione contenuta nell’art. 2 della proposta di regolamento, sembrano ricomprendere le operazioni portuali ma non i servizi portuali che hanno per oggetto prestazioni specialistiche, complementari ed accessorie al ciclo delle operazioni portuali; la tutela della sicurezza della navigazione e dell’approdo, che caratterizza la disciplina nazionale dei servizi tecnico-nautici, non è peraltro espressamente menzionata tra le esigenze che consentono agli Stati membri l’imposizione di obblighi di servizio pubblico.
Si aggiunga, inoltre, che la proposta in esame – come precisato nei considerando – non si applica all’autoprestazione (ovvero autoproduzione) dei servizi portuali, lasciata alla disciplina dei vari ordinamenti, mentre le norme del capo II, relative all’accesso al mercato, non si applicano ai «servizi di movimentazione merci» ed ai «servizi passeggeri» (art. 11), in quanto rientranti secondo la Commissione nel campo di applicazione della «proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione» (COM 2011 897 def.), presentata in data 20.12.2011.
Alla luce delle osservazioni formulate, si è evidenziato che le norme contenute nella proposta potrebbero dar luogo ad una disciplina delle attività portuali frammentaria, diversificata e in ogni caso disomogenea, sia in relazione ai porti di dimensioni diverse sia all’interno del medesimo scalo.
Anche le disposizioni relative alla trasparenza finanziaria mal si conciliano con i differenti modelli di governance presenti nei porti europei: in realtà, come quella italiana, in cui i moli e le banchine del porto sono beni demaniali e l’organo che li gestisce – l’Autorità portuale – non opera quale impresa ma si configura piuttosto come ente pubblico non economico, occorre valutare con attenzione la qualificazione giuridica da attribuire ai «diritti d’uso delle infrastrutture portuali» ed ai «finanziamenti pubblici» percepiti dall’ente di gestione del porto.
In conclusione, mentre la disciplina relativa all’accesso al mercato dei servizi portuali ipotizzata dal legislatore comunitario appare in larga parte corrispondere a quella italiana relativa allo svolgimento dei servizi alle merci, i principi e le norme contenuti nella proposta in materia finanziaria ed in tema di coordinamento – ivi compresa la delicata previsione di un «comitato consultivo degli utenti del porto» e di organismi indipendenti di vigilanza – appaiono invece piuttosto distanti dal modello di governance in vigore nei principali porti nazionali, caratterizzato dal dualismo Autorità portuale-Autorità marittima.
Si ritiene pertanto opportuno che i progetti di riforma della l. 28.1.1994, n. 84 attualmente all’attenzione del legislatore italiano tengano nella dovuta considerazione il contenuto della proposta in esame8.
1 Tale proposta si iscrive nella strategia annunciata nel libro bianco sui trasporti (COM 2011 144 def.) e costituisce una delle azioni principali dell’«Atto per il mercato unico II – Insieme per una nuova crescita» (COM 2012 573 def.), presentato dalla Commissione il 3.10.2012.
2 Il riferimento è alle due proposte di direttiva in tema di servizi portuali presentante nel 2001 (COM 2001 35 def./2) e nel 2004 (COM 2004 654 def.), entrambe ritirate rispettivamente nel 2005 e nel 2006.
3 Per un parallelismo tra i diversi modelli di gestione dei principali porti internazionali, si veda Cenni sulla governance dei principali porti italiani, in appendice a Beretta, E.-Dalle Vacche, A.-Migliardi, A., Il sistema portuale italiano: un’indagine sui fattori di competitività e sviluppo, in Questioni di economia e finanza, della Banca d’Italia, 2009, n. 39, 39 ss., consultabile sul sito www.bancaditalia.it, secondo il quale la gestione dei porti italiani opera in base ad un sistema ibrido, a metà tra i Tool e i Landlord Ports. Sul tema anche Carbone, S.M.-Munari, F., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2006, 133 ss. e Xerri, A., Ordinamento portuale e settore trasporto: aspetti evolutivi, in Impresa e lavoro nei servizi portuali, Xerri, A., a cura di, Milano, 2012, 34, la quale, relativamente ai porti italiani, fa riferimento al modello della Landlord Port Authority.
4 Il riferimento è alla dottrina delle essential facilities, in relazione alla quale si vedano le decisioni n. 94/19/CE (Sea Containers/Stena Sealink) e 94/119/CE (Porto di Rødby) della Commissione del 21.12.1993. Sul punto anche AGCM, 6.6.1996, n. 3953 (A107), in Boll. 23/1996, 5 ss. e Cons. St., 6.4.2004, n. 1868.
5 Si veda la risoluzione dell’VIII Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni), approvata nella seduta del 23.7.2013 e comunicata alla presidenza il 24.7.2013 – contenente il parere della XIV Commissione permanente (Politiche dell’Unione europea) del 10.7.2013 – la quale ha espresso parere motivato contrario in merito alla proposta, ai sensi del protocollo n. 2 al TFUE.
6 In generale sull’organizzazione dei porti e delle attività in essi espletate, si veda Lefebvre d’Ovidio, A.-Pescatore, G.-Tullio, L., Manuale di diritto della navigazione, XIII ed., Milano, 2013, 146 ss.; in particolare sulle categorie di servizi portuali Casanova, M.-Brignardello, M., Diritto dei trasporti, I, Infrastrutture e accesso al mercato, II ed., Milano, 2011, 108 ss.
7 In tal senso Casanova, M.-Brignardello, M., op. cit., 108 e 154 ss.
8 Si fa riferimento ai d.d.l. S. 120 (D'Alì) e S. 370 (M. Filippi e altri), presentati al Senato rispettivamente il 15.3 ed il 3.4.2013, e quindi assegnati all'VIII Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni) in sede referente il 15.5 e il 22.7.2013, nonché al d.d.l. C. 1011 (Garofalo e altri), presentato alla Camera in data 20.5.2013 ed assegnato alla IX Commissione permamente (Trasporti, poste e telecomunicazioni) in sede referente il 6.11.2013. I progetti menzionati riproducono il testo di legge unificato approvato in Senato il 12.9.2012 nel corso della XVI Legislatura.