Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il concetto di qualità della vita nasce nel Novecento nel mondo occidentale industrializzato con l’innalzarsi delle aspettative e il radicarsi della convinzione che ogni individuo abbia il diritto di vivere in un ambiente che gli offra condizioni ottimali. Esso tende a creare standard misurabili e confrontabili tra le realtà di diversi Paesi. Criteri quantificabili, ma non monetari, aiutano a graduare la qualità della vita. Il rapporto ONU del 1954 stabilisce 12 componenti del livello di vita per le comparazioni internazionali.
Misurare la qualità della vita
Il concetto di qualità della vita nasce nel Novecento nell’ambito del mondo occidentale industrializzato come conseguenza del diffondersi della convinzione che gli individui abbiano diritto alle migliori condizioni di vita possibili e che la società sia responsabile del mantenimento di tali condizioni. Esso si sviluppa man mano che avanza la consapevolezza che il progredire dell’industrializzazione, accanto a innegabili vantaggi, procura danni all’ambiente naturale e impone ritmi di vita affannosi, soprattutto alle fasce sociali meno abbienti, tali da vanificare subdolamente quei vantaggi. Con la crescita delle economie dopo il secondo conflitto mondiale la povertà, intesa come mancanza dell’indispensabile, quasi scompare nelle società industrializzate e il livello salariale minimo accettabile subisce una continua evoluzione allontanandosi dal reddito minimo comprimibile per avvicinarsi al reddito auspicabile. Ma si rileva anche che la misura del salario è un indice insufficiente e ingannevole se non si tiene conto dell’efficienza dei servizi sociali e delle molte condizioni che possono garantire od ostacolare il benessere individuale: servizi sanitari, istruzione, trasporti pubblici, svaghi, numero di medici per chilometro quadrato, verde disponibile pro capite, speranza di vita ecc. Se la preoccupazione per la sopravvivenza è sempre esistita, quella per il livello della qualità della vita è dunque un dato molto recente. Per misurare la qualità della vita si creano standard che consentono di confrontare le realtà di diversi Paesi. E nel rapporto ONU del 1954 si individuano 12 componenti utilizzabili per le comparazioni internazionali: la salute, l’alimentazione, l’istruzione, le condizioni del lavoro, l’occupazione, il consumo e il risparmio, i trasporti, l’habitat, l’abbigliamento, il tempo libero, la previdenza sociale, i diritti dell’uomo.
La riflessione teorica sul problema della qualità della vita ha però evidenziato che non basta garantire alla società i livelli minimi di disponibilità di beni, perché la felicità di una popolazione dipende anche dal rapporto bisogni/desideri. Una volta soddisfatti i bisogni primari, gli individui cercano di perseguire l’appagamento dei desideri e delle aspirazioni, ma mentre per i primi c’è una possibilità di saturazione, i secondi possono in teoria espandersi all’infinito, e anzi accade che all’aumento della disponibilità dei beni corrisponda un aumento del cosiddetto “coefficiente di insoddisfazione”, dovuto anche al costante stimolo al consumo.
Per quanto concerne la storia della qualità della vita si possono indicare essenzialmente tre tappe nel corso del Novecento. La prima all’inizio del XX secolo, quando la vita quotidiana, soprattutto nelle città, comincia timidamente ad arricchirsi di comodità con l’introduzione del riscaldamento nelle case, la diffusione delle stanze da bagno complete di tutti i servizi igienici, dei primi ascensori, dei primi apparecchi telefonici e delle prime automobili. Ma anche di una moda che risente dei cambiamenti sociali, del propagarsi di modelli d’oltreoceano e del nuovo ruolo che la donna va assumendo e si fa più sciolta, più comoda, più adatta a una vita attiva, priva di eccessive costrizioni sociali. Il mutamento è epocale soprattutto per le donne: viene abolito il busto, le gonne si accorciano e si introduce l’uso dei pantaloni femminili. La più intensa mobilità sociale, la maggiore disponibilità di beni, l’innalzamento del livello d’istruzione non determinano solo il venir meno di valori e comportamenti tradizionali, ma anche l’organizzazione di una vita fondata su criteri più egalitari.
Vivere secondo natura
Negli anni del secondo dopoguerra, della rapida crescita economica e del boom dei consumi può essere posta la seconda fase, nella quale la qualità della vita è stimata proprio in base al volume dei beni e dei servizi consumati, tanto è vero che tra gli indicatori dello sviluppo compare l’aumento dei rifiuti urbani. Solo più tardi, a partire dagli anni Settanta, in quella che può essere considerata la terza fase, si deve constatare che non tutti gli aumenti dei consumi risultano positivi e che essi generano spesso degrado e inquinamento. L’equilibrio tra le forme di vita nel mondo e la loro reciproca interazione appaiono fattori indispensabili. Un’altra esigenza diventa allora centrale nella definizione della qualità della vita, ed è quella secondo cui essa deve coesistere con un’adeguata protezione dell’ambiente. Il concetto che si fa avanti è quello della “sostenibilità” dello sviluppo. Altiero Matteoli, ministro dell’Ambiente durante la presidenza italiana dell’Unione Europea, presenta in questo modo il suo programma: “l’obiettivo che ci siamo posti è l’integrazione della difesa ambientale con le strategie e le politiche dello sviluppo, per mettere fine così al conflitto tradizionale tra ambiente e sviluppo economico”. La via europea allo sviluppo è tracciata a Cardiff nel 1998, a Lisbona nel 2000 e a Barcellona nel 2002 con l’obiettivo di elaborare indicatori di sostenibilità che siano criteri di riferimento per la promozione di nuovi modelli di produzione e di consumo e misuratori della qualità della crescita economica e del tenore di vita. Questi indicatori sono dunque rilevatori dell’integrazione degli obiettivi ambientali di settore, dell’efficienza nell’uso delle risorse naturali ed energetiche a parità di prodotto, del rapporto tra innovazione tecnologica e crescita economica, e pertanto devono orientare le politiche fiscali per incentivare l’efficienza e l’innovazione e disincentivare gli sprechi. È in questa prospettiva che si inserisce l’attuazione del protocollo di Kyoto e la riduzione delle emissioni di gas serra.
In questi ultimi trent’anni anche la medicina è al centro della discussione sulla qualità della vita, in quanto responsabile dell’allungamento della vita media e perché pone le premesse, con i progressi della genetica, per superare il grande scoglio costituito dalle malattie ereditarie e dal cancro. La definizione stessa di “salute” nell’accezione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è pressoché sovrapponibile al concetto di qualità della vita, dal momento che col termine “salute” s’intende non solo la cura delle malattie, ma la ricerca del “pieno benessere fisico, psicologico e sociale”. Non è però facile distinguere quali siano gli elementi oggettivi e quali i fattori soggettivi che entrano in gioco, se non è sufficiente che un individuo stia bene in salute e si trovi in un ambiente socialmente favorevole, ma è necessario che egli stesso senta di stare bene e percepisca un senso di integrazione con l’ambiente circostante. Alla medicina, e al progresso tecnologico, si domanda anche di migliorare la qualità della vita degli elementi più deboli della società, anziani e disabili, alle cui esigenze si è oggi particolarmente sensibili sia per l’allungamento della vita media, sia per le effettive possibilità di garantire agli uni e agli altri con tutta una serie di protesi una autonomia fino a poco tempo fa impensabile, sia per la progrediente concezione dell’inesistenza di un’unica “normalità”.
L’innalzamento della qualità della vita nei Paesi occidentali è immediatamente riscontrabile soprattutto nelle grandi città come tentativo di conciliare i progressi economici e tecnici a disposizione di tutti con il recupero di una natura più o meno idealizzata, che diventa la nuova frontiera del lusso. La quantità di animali domestici cui si dedica tempo e denaro, di balconi e terrazze dove vivere all’aria aperta e a contatto con campioni antropizzati del mondo vegetale, che si aggiungono ai più tradizionali segni di agiatezza e di confort, testimoniano la ricerca e l’esibizione non più solo del benessere materiale, ma del senso di armonia e di serenità che un tempo era appannaggio di pochi eletti. All’alba del terzo millennio si può, forse, ancora concordare con il filosofo stoico Zenone che vivere è “vivere secondo natura”.