La radio nel mondo
A oltre ottant’anni dalla nascita delle prime emittenti, e dopo l’affermazione di alcuni media che sembravano destinati a ridimensionarne il ruolo, la radio si conferma tra i mezzi più seguiti in tutti i Paesi del mondo, grazie anche all’estrema capacità di adattamento dimostrata nei differenti contesti e nei vari momenti storici. Straordinario strumento di informazione in tempo reale, di divulgazione, di intrattenimento, di promozione della musica e delle culture, anche minoritarie, come pure della socialità nel senso più ampio, la radio è passata attraverso l’era della televisione e quella di Internet, ridefinendo di volta in volta il proprio ruolo e affinando la propria offerta, senza mai subire il declino che in molti si attendevano. Il percorso di adattamento vissuto dal mezzo è di per sé una testimonianza tra le più ricche e articolate sulle realtà politiche, sociali, economiche e culturali, a cui le emittenti radiofoniche appartengono e sono dirette, traducendo in suono i vari gusti musicali, gli orientamenti politici, i valori etici, i problemi di vita quotidiana, la richiesta di conoscenza e la voglia di condivisione. Le oltre 50.000 emittenti attive nel mondo ci restituiscono una varietà impressionante di tipologie di emittenza e di esperienze di produzione, di trasmissione, di ascolto. La maggior parte di esse opera in contesti economicamente sviluppati, e svolge con relativa tranquillità il proprio ruolo, fornendo compagnia agli ascoltatori, informandoli, intrattenendoli, stimolandoli. Ben diversa la situazione nella quale si muovono altre emittenti, le cui sorti si in-tersecano drammaticamente con le vicende storico-politiche dei propri Paesi di appartenenza: dalle radio che difendono la libertà di parola contro i governi autoritari, come Radio Haiti inter, chiusa nel 2002, due anni dopo l’assassinio di Jean Dominique, oppositore del regime e storica voce dell’emittente, ai ‘media dell’odio’ come la Radio télévision libre des Mille collines, i cui principali animatori sono stati condannati nel 2003 dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda per genocidio e crimini contro l’umanità. In generale, è possibile suddividere la radiofonia in tre diversi comparti, pubblico, commerciale e comunitario, dove il primo rappresenta l’area di attività delle emittenti statali, il secondo quella delle private a scopo di lucro, il terzo, infine, quella delle non-profit. Prima di procedere all’analisi di tali aree, può però essere utile inquadrare alcune tendenze che stanno via via modificando l’intero settore.
Il panorama radiofonico internazionale
In generale, il panorama radiofonico internazionale, caratterizzato quasi ovunque dalla presenza di un sistema misto pubblico-privato, sta attraversando un percorso evolutivo, segnato da varie tendenze interconnesse. In primo luogo, la moltiplicazione e diversificazione dei contenuti e dei canali di trasmissione, un fenomeno strettamente legato all’innovazione tecnologica (Internet, satellite, radio digitale), che è però riconducibile anche ad altri fattori. Tra questi, l’ingresso nel mercato radiofonico di grandi gruppi editoriali, spesso già attivi in altri settori come la televisione, la telefonia o la carta stampata. Come in Italia con L’Espresso, RCS Media group e Il Sole 24 ore, o in Spagna con i gruppi Prisa e Telefónica, anche in altri Paesi la radio ha attirato gli investimenti di importanti gruppi che operano nella macroarea della comunicazione con una prospettiva sempre più integrata. Tale fenomeno ha innalzato il livello di competitività, spesso ai danni degli operatori più piccoli, ridefinendo anche la tradizionale suddivisione di campo tra radio pubbliche e private, per cui erano le prime a occuparsi di informazione e cultura, mentre le commerciali erano dedite soprattutto all’intrattenimento musicale. Così, per es., nel nostro Paese Radio 24 - Il Sole 24 ore e Radio classica (Class editori) hanno dato vita a emittenti commerciali negli scopi aziendali, ma informativo-culturali nel palinsesto. L’ingresso nel mercato di tali gruppi, insieme al rafforzamento di altri soggetti presenti da tempo nel settore, ha portato all’accelerazione del processo di concentrazione, rilevato già da vari anni in molti mercati nazionali, e in alcuni casi anche a livello internazionale. È il caso di alcuni gruppi multinazionali come NRJ, GWR Records, RTL Group, Lagardère, Modern times group e SBS Broadcasting (presenti in vari Paesi europei), ma anche di Clear channel (240 emittenti tra Oceania e Messico, oltre 1200 negli Stati Uniti) e Prisa (attiva, con Unión radio, in Spagna e nelle Americhe). Inoltre sono sempre più frequenti i casi di emittenti il cui marchio viene esportato internazionalmente, da Virgin radio, già presente in Canada, India, Italia e Francia, a Radio Disney, molto diffusa negli Stati Uniti e in America Latina. Anche in termini di contenuti, la moltiplicazione dei canali e delle piattaforme costituisce la tendenza più caratteristica della fase oggi attraversata dal mezzo. Dal podcasting alla telefonia mobile, fino ai canali televisivi (satellitari e non), che ripetono in digitale i flussi sonori delle maggiori emittenti, ne condividono il brand oppure ospitano le riprese video di programmi di successo, la radio si è espansa su una vasta gamma di piattaforme idonee a veicolare le trasmissioni. È su Internet, comunque, che tale fenomeno vive la sua fase più intensa, attraverso l’attivazione di web radio tematiche e servizi aggiuntivi per gli utenti. Da una parte, infatti, si è assistito alla proliferazione di canali dedicati ai vari stili musicali o, più in generale, ai vari generi radiofonici. Dall’altra, la realizzazione di servizi di community sembra essere divenuta un requisito ineludibile nell’ottica del rafforzamento dei legami che intercorrono tra emittenti e ascoltatori.
Audience e mercati
La radio costituisce in molti Paesi il secondo mezzo più seguito, subito dopo la televisione, ed è il più diffuso in assoluto in molte aree economicamente poco sviluppate (l’Africa in primis), dove altri media hanno forti limiti di circolazione. In Europa, a parte alcuni casi, il suo tasso di penetrazione nella popolazione varia tra il 70 e l’80% (con punte del 90% in Gran Bretagna), mentre gli Stati Uniti superano il 94%. In alcuni Paesi, come Gran Bretagna, Germania e Svizzera, prevale l’ascolto delle emittenti pubbliche, ma nella maggior parte dei casi è l’offerta privata ad attrarre la maggior parte dell’audience. In crescita, inoltre, le nuove modalità d’ascolto, soprattutto via Internet. Secondo una ricerca commissionata dall’OfCom (Office of Communications) nel 2006, è in Italia che si registra la maggior percentuale sia di utenti (a banda larga) che hanno ascoltato almeno una volta la radio su Internet (88%), sia di ascoltatori assidui (tutti i giorni): 9%, contro il 5% in Gran Bretagna e in Giappone. Anche in merito alla configurazione del mercato, e in particolare ai modelli di redditività delle emittenti radiofoniche, si registrano notevoli differenze tra i vari Paesi. Mentre in Spagna, ma anche in Cina, la raccolta pubblicitaria costituisce la sola fonte di ricavi per le emittenti, pubbliche e private, negli Stati Uniti incidono notevolmente anche i finanziamenti pubblici e gli abbonamenti alla radio satellitare. In alcuni Paesi, come, per esempio, Germania e Svezia, il sostegno pubblico alla radiofonia costituisce il sistema prevalente, mentre più spesso si riscontra un certo equilibrio tra i fondi pubblici e i ricavi che provengono dalla pubblicità (per esempio, in Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone). Nell’insieme, comunque, salvo le eccezioni citate e poche altre, i finanziamenti pubblici sono presenti in diversa misura nell’ambito di tutto il panorama internazionale.
Generi e formati
I macrogeneri tradizionalmente caratteristici della programmazione radiofonica (musica, informazione, intrattenimento, cultura) sono stati nel corso degli anni al centro di un vasto processo di trasformazione e contaminazione, così generi nuovi come l’infotainment (l’incrocio tra informazione e intrattenimento) si sono affiancati a quelli di più lunga tradizione (come il notiziario o il varietà). Si è sviluppato inoltre un composito sistema di format, in buona parte derivati dall’esperienza statunitense. Si tenga conto che il format radiofonico, a differenza di quello televisivo, è inteso prevalentemente come insieme delle caratteristiche che distinguono un’emittente dall’altra, non come schema di programma.
La programmazione musicale, che costituisce la parte maggioritaria dell’offerta radiofonica complessiva, ruota in molti casi attorno all’industria della musica pop internazionale, con ampi spazi per la produzione nazionale, cui in alcuni Paesi è riservata una quota minima per legge (40% in Francia, 35% in Canada). Spesso viene lamentata una sostanziale omologazione delle selezioni musicali, dovuta anche all’affermazione dei software di programmazione (come il Selector) che gestiscono ‘in automatico’ la costruzione e messa in onda delle playlists. Non sono rari, comunque, i casi di emittenti che hanno deciso di recuperare il ‘fattore umano’, soprattutto per programmi condotti da personaggi di grande popolarità. L’informazione, genere cardine insieme alla musica, è protagonista di ulteriori linee evolutive, con la moltiplicazione di emittenti News & talk e la crescita del ‘parlato’ nelle programmazioni di molte radio prevalentemente musicali. Tra le varie tendenze legate a questo genere, si annovera lo sviluppo in molti Paesi di circuiti e agenzie di informazione, anche di natura transnazionale, specializzati nell’offerta radiofonica (per es., SOLAR, Sociedad Latinoamericana de Radiodifusión). L’intrattenimento parlato è il genere che più di ogni altro è votato al diretto coinvolgimento del pubblico, il quale diventa, soprattutto per mezzo del telefono, un soggetto centrale nei contenuti coordinati e gestiti dal conduttore. In generale, l’intrattenimento si basa su elementi eterogenei, spesso attinenti all’attualità, facendo propri molti dei caratteri linguistici e culturali che risultano tipici della società.
La radiofonia digitale e Internet
Il rapporto tra radio e Internet, dopo una prima fase in cui la rete si era posta semplicemente come nuovo canale in grado di veicolare le trasmissioni verso utenti non raggiunti via etere, si è evoluto, delineando nuove forme di offerta e consumo. In primo luogo, si registrano una tendenza alla differenziazione dei servizi e una crescente personalizzazione degli ascolti: da un lato la moltiplicazione di canali disponibili solo on-line, dall’altro la condivisione degli archivi tramite podcasting, che permette all’ascoltatore di ri-modulare i palinsesti seguendo percorsi tematici, selezionando solo i programmi desiderati e differendone l’ascolto nel tempo. I siti web di molte emittenti, inoltre, si sono via via arricchiti di tutta una serie di servizi e contenuti aggiuntivi, dal ‘meteo’ all’oroscopo, passando per giochi, sondaggi, concorsi, fino ai servizi di community, come chat-line e forum. Più ristretto, invece, il numero di emittenti che hanno implementato servizi commerciali, come l’acquisto di brani musicali in download. Tra i primi operatori radiofonici a esplicitare questa vocazione, l’inglese Capital radio che nel 2000 dichiarava l’intento di realizzare una radio con «il pulsante per comprare», creando un ambiente on-line incentrato sulla musica: da ascoltare, da leggere, da acquistare. Una strada poi seguita da molti network, spesso in collaborazione con i grandi distributori di musica digitale (come iTunes store) o tramite accordi tra gruppi di riferimento e case discografiche. Internet a parte, in molti Paesi sono in corso, da anni, sperimentazioni che prefigurano un passaggio di testimone dalla radio analogica a quella digitale, come tecnologia prevalente di trasmissione e ricezione. Un passaggio che porterebbe a un migliore uso dello spettro di frequenze: maggiore disponibilità di canali, riduzione delle interferenze e notevoli potenzialità per la realizzazione di servizi aggiuntivi. Nel 2007 le emittenti di questo tipo già attive nel mondo erano oltre 1000 e più di 500 milioni di persone erano raggiunte da questo genere di servizio. L’incertezza sul futuro della radio digitale ruota soprattutto attorno allo standard da adottare. Il DAB (Digital Audio Broadcasting), infatti, ha conosciuto fortune alterne, riscontrando discreti successi solo in alcuni Paesi (come Germania e Gran Bretagna), mentre continuano le sperimentazioni delle sue versioni più evolute – note come DAB+ e DMB (Digital Multimedia Broadcasting) – e altri standard come la DRM (Digital Radio Mondiale), nata per sostituire l’AM (Amplitude Modulation), si stanno progressivamente affermando. Solo con la fine delle sperimentazioni, l’adozione di standard condivisi e la diffusione di apparecchiature dai costi contenuti sarà però possibile assistere al reale travaso dell’utenza analogica nel digitale. Un travaso già in corso negli Stati Uniti, dove le trasmissioni in digitale sono state inaugurate alla fine degli anni Novanta, prima via satellite, poi in HD Radio (Hybrid Digital Radio), uno standard che si basa sulla diffusione terrestre, approvato nel 2002. Le radio satellitari, che negli Stati Uniti operano sotto l’egida di due grandi gruppi (Sirius radio e XM), sono diffuse anche in Africa, nel Sud-Est asiatico e in alcune zone europee (dal gruppo Worldspace), mentre l’HD è presente per ora solo negli Stati Uniti, dove è adottato da oltre 1000 emittenti. I canali satellitari, autentica sorpresa della radiofonia del nuovo secolo, sono a pagamento e generalmente privi di pubblicità. Gli abbonati di Sirius radio e XM hanno superato complessivamente quota 12 milioni, mentre quelli di Worldspace hanno raggiunto le 100.000 unità. Il bouquet di quest’ultima, che trasmette in 17 lingue, include circa 30 emittenti musicali e oltre 25 talk radios (informazione, religione, sport), mentre l’offerta di Sirius (oltre 130 canali), installata di serie su alcuni tipi di automobile, e quella di XM (oltre 170 canali), presente a bordo degli aerei di varie compagnie di linea, hanno una struttura simile che comprende circa 70 emittenti musicali, 50 sportive (molte delle quali dedicate alle dirette), svariate talk radios, informative e di intrattenimento, e diverse radio regionali su traffico e meteo. Alcuni canali sono presenti in entrambe le piattaforme, dalle radio d’informazione come CNN (Cable News Network), Fox News, CNBC (Consumer News and Business Channel) e Bloomberg, a quelle sportive come ESPN (Entertainment and Sports Programming Network) o per bambini come Radio Disney. Il livello di specializzazione è altissimo, ed è possibile scegliere tra talk radios di ispirazione moderata o progressista, di cultura asiatica o afroamericana, come pure tra emittenti musicali dedicate a ogni singolo decennio (dagli anni Quaranta in poi) e ai vari generi specifici, dall’opera lirica al blues, dall’heavy metal alla trance. Un altro punto di forza dell’offerta satellitare risiede nel coinvolgimento, nelle vesti di conduttori, di grandi personaggi della musica e dello spettacolo, come Bob Dylan e Oprah Winfrey su XM, o Bruce Springsteen e Howard Stern su Sirius.
La radiofonia pubblica
L’idea del servizio nazionale nell’interesse pubblico, applicata sin dalle origini dalla BBC (British Broadcasting Corporation) e dai numerosi Paesi che l’hanno presa a modello, ha imboccato strade variegate che riflettono i differenti contesti storici, politici, economici e culturali dei Paesi di riferimento. In alcuni casi le emittenti pubbliche sono state protagoniste della nascita del sistema radiofonico, mentre in altri hanno avuto un ruolo secondario rispetto alle private. Dopo le liberalizzazioni dell’etere avvenute nell’ultimo trentennio, il monopolio della radiofonia rimane in vigore solo in alcuni Paesi, come Brunei, Corea del Nord, Cuba, Myanmar, Turkmenistan e Vietnam, mentre in altri, come il Belize, si è arrivati alla completa privatizzazione del settore pubblico. La radio pubblica, inoltre, rappresenta storicamente un mezzo privilegiato per raggiungere i residenti all’estero, attraverso le trasmissioni dei servizi internazionali (in Italia RAI International), diretti anche ai popoli stranieri. Il BBC World service, in particolare, trasmette in 32 lingue oltre all’inglese e rappresenta il maggior servizio internazionale al mondo (183 milioni di ascoltatori nel 2007), collocandosi in termini di audience anche al di sopra della Radio vaticana, che trasmette in 40 lingue, avvalendosi della collaborazione di oltre 1000 emittenti. Alcuni Paesi, come Francia, Egitto e Portogallo, dispongono di più emittenti internazionali, mentre in casi piuttosto rari, come l’Ungheria, orfana dal 2007 di Radio Budapest, si è completamente rinunciato a tale tipo di servizio.
Europa
Il modello britannico, basato sui principi enunciati da Sir John Reith (informare, educare, intrattenere), ha rappresentato il principale punto di riferimento per gran parte della radiofonia pubblica lungo tutti gli anni del monopolio. Con l’esplosione, tra gli anni Sessanta e Settanta, delle radio pirata prima e di quelle libere poi, si è assistito in molti Paesi europei a un ammodernamento dei linguaggi e a un deciso arricchimento dell’offerta pubblica al fine di contrastare la concorrenza privata e far fronte alle richieste di minoranze linguistiche e pubblici eterogenei. Nonostante le notevoli differenze che intercorrono tra un Paese e l’altro, è possibile distinguere quattro diversi modelli, a partire dal livello di decentramento dei vari sistemi radiofonici pubblici europei.
Un primo modello è quello decentrato, caratteristico dei Paesi federalisti. In Germania, in particolare, il sistema radiofonico pubblico è organizzato su base regionale viene gestito dai vari Länder: l’offerta comprende la nazionale Deutschlandradio e sessanta emittenti regionali, differenziate anche in termini tematici, che attraggono più audience delle private e la cui programmazione è riunita dal canale ARD (Arbeitsgemeinschaft der öffentlich-rechtlichen Rund-funkanstalten der Bundesrepublik Deutschland). Un forte decentramento caratterizza anche la radio pubblica in Austria, Svizzera e Belgio, dove la struttura dell’offerta rispecchia fedelmente la distinzione tra le diverse comunità regionali.
Un secondo modello, quello semidecentrato, accomuna invece quei Paesi (come Gran Bretagna, Paesi Bassi, Spagna e Grecia) che pur strutturando il grosso dell’offerta su 3-5 emittenti nazionali, possono contare su una pluralità di emittenti locali. Nel Regno Unito, in particolare, l’offerta della BBC è strutturata su 10 reti nazionali – Radio 1 (dedicata ai giovani), Radio 2 (intrattenimento adulto), Radio 3 (cultura, musica classica, teatro), Radio 4 (tutta parlata, con news, fiction, documentari), Radio 5 Live (informazione e sport) e 5 canali tematici digitali –, 8 canali regionali e oltre 40 emittenti locali. L’offerta spagnola, gestita dalla RNE (Radio Nacional de España), comprende un’emittente generalista (Radio 1) con ‘finestre regionali’ di informazione locale, una di musica classica (Radio clásica), una culturale/musicale (Radio 3), una regionale in lingua catalana (Radio 4, seconda solo a Radio 1 per audience) e una all news (Radio 5 Todo noticias), cui si affiancano le regionali delle Comunidades autónomas e le 500 radios municipales, controllate dai singoli comuni. Nei Paesi Bassi, la NPO (Nederlandse Publieke Omroep) opera attraverso 5 reti nazionali, 13 emittenti regionali e 270 locali; in Grecia, la ERA (Elliniki Radiofonia) trasmette su 5 canali nazionali, 19 regionali, più i servizi speciali per la Macedonia e per gli immigrati. La presenza di un comparto locale composito caratterizza inoltre la radiofonia pubblica di vari Paesi dell’Est europeo, da Polonia e Slovenia a Croazia e Repubblica Ceca.
Un terzo modello, che potremmo definire di centralismo temperato, è quello adottato da Francia, Portogallo, Paesi scandinavi e vari Stati dell’Est, e comprende diverse reti nazionali e almeno un’emittente riservata alle minoranze linguistiche o comunque organizzata su principi regionali o locali. Radio France trasmette attraverso 5 canali nazionali – la generalista France inter (leader di ascolti), l’informativa France info, France musique (classica e jazz), France culture e France bleu, che raggruppa 45 emittenti locali – cui si aggiungono la locale France inter Paris (programmazione eclettica, dal rock al jazz, dalla musica classica alla world music) e il canale digitale per giovani Le mouv’ (musica pop). In Portogallo, la RDP (Rádiodifusão Portuguesa) trasmette attraverso 3 canali nazionali, dedicati rispettivamente a informazione, musica classica e musica leggera, e la regionale RDP Madeira, diffusa su 3 canali. Sia in Danimarca (DR, Danmarks Radio) sia in Svezia (SR, Sveriges Radio) sono presenti 4 emittenti nazionali in FM (Frequency Modulation), di cui tre dedicate rispettivamente a informazione, musica classica/cultura e giovani, e la quarta basata su presupposti regionali. Analogamente in Finlandia (YLE, Yleisradio Oy) e in Norvegia (NRK, Norsk Rikskringkasting) sono presenti vari canali nazionali (uno generalista, uno culturale e uno giovanile), varie radio tematiche (tra cui la finlandese YLE Radio Vega, in svedese e lingue regionali, e la norvegese NRK 5.1, prima web radio multicanale 5.1) e un’emittente riservata alla minoranza lappone: Sámi radio. Anche alcuni Paesi dell’Est europeo, dalla Romania all’Ungheria, adottano un modello di centralismo temperato. In Ungheria, in particolare, Magyar rádió trasmette attraverso 3 canali nazionali, e una quarta emittente, Rádió 4, è destinata alle minoranze linguistiche.
Un quarto e ultimo modello, il centralismo classico, è caratterizzato dall’assenza di emittenti interamente dedicate alla programmazione regionale o locale. Fanno parte di questo modello Paesi con sistemi radiofonici complessivamente molto differenti: Italia, Turchia, Bulgaria, Russia e altri Stati dell’Est. In Turchia, la TRT (Türkiye Radyo ve Televizyon Kurumu) trasmette attraverso 4 canali nazionali; l’offerta è più limitata in Bulgaria, dove la BNR (Bălgarsko Nacionalno Radio) trasmette attraverso 2 canali (uno generalista, l’altro culturale), mentre è decisamente più ampia in Italia, dove operano la generalista Radio 1 (concentrata sull’informazione), Radio 2 (musica e intrattenimento), la culturale Radio 3, l’emittente di servizio Isoradio, Gr Parlamento, e 2 canali musicali in filodiffusione. In Russia e in altri Paesi dell’Est europeo (dalla Moldavia alla Georgia), dove sotto il controllo dell’URSS trasmettevano 3 emittenti nazionali russe che coprivano l’intera area e un’emittente per ogni repubblica, si è assistito a una riconfigurazione del settore, che resta comunque assimilabile al modello centralista. In Russia, in particolare, opera la VGTRK (Vserossijskaja Gosudarstvennaja Televizionnaja i Radioveščatel´naja Kompanija), fondata nel 1990, che gestisce varie emittenti tra cui Radio Rossii, Radio Majak (a diffusione internazionale), Culture radio, Vesti FM, e l’informativa Radiostancija, di proprietà della Gazprom.
Stati Uniti
Negli Stati Uniti il sistema radiofonico pubblico, sviluppatosi negli anni Settanta attorno alla NPR (National Public Radio), con il coinvolgimento di radio universitarie ed educational, è decentrato e sostenuto dalle associazioni private. Più vicino al mondo delle radio comunitarie che ai modelli europei di servizio pubblico, funziona su un modello di network, che prevede un produttore-collettore centrale il quale fornisce a sua volta programmi alle affiliate. Rispetto al comparto commerciale, l’ascolto delle emittenti pubbliche è ancora limitato, e coinvolge solo il 10-11% della popolazione, anche se in prospettiva storica se ne osserva una notevole espansione: la sola NPR è passata da poco più di 2 milioni di ascoltatori, agli inizi degli anni Ottanta, ai 26 milioni attuali. Questa emittente, che fornisce programmi a oltre 860 stazioni radiofoniche senza scopo di lucro, svolge un ruolo di primo piano nel panorama informativo degli Stati Uniti, grazie a programmi come il Morning edition, trasmissione leader negli ascolti dei notiziari mattutini. Alla NPR, che rimane il principale soggetto radiofonico attivo nel settore pubblico, si affiancano American public media e PRI (Public Radio International). Analogamente al settore commerciale, la radiofonia pubblica statunitense è caratterizzata dalla specializzazione per format. Quelli più diffusi tra le emittenti pubbliche sono News & talk, News & classics, Classical music, Jazz, News & music, Adult album alternative (AAA)/Eclectic, News & jazz e Variety music. Quasi la metà dell’ascolto delle radio pubbliche gravita attorno al format News & talk (circa 14 milioni di ascoltatori, in prevalenza oltre i 45 anni), che attrae più audience di tutti gli altri messi insieme e il cui target ha il più alto grado di istruzione dell’intero panorama radiofonico nazionale (infatti oltre il 70% dei suoi ascoltatori è laureato).
Se sul fronte interno la radiofonia pubblica ha conosciuto uno sviluppo piuttosto tardivo, differente è il discorso sui servizi internazionali, affidati all’emittente governativa VOA (Voice of America) sin dagli anni della Seconda guerra mondiale. VOA, la cui programmazione ruota attorno all’informazione, all’educational e alla cultura, trasmette in 45 lingue, raggiungendo un totale di 115 milioni di ascoltatori. Ai servizi internazionali di VOA, il governo statunitense affianca servizi speciali di informazione, intrattenimento e propaganda per aree considerate di interesse strategico: è il caso di Radio free Europe/Radio liberty (RFE/RL), nata durante la guerra fredda, diretta all’Europa dell’Est, e tuttora attiva, ma anche di Radio free Afghanistan, Radio free Irak e Radio free Asia. Tra gli altri esempi, Radio Farda, emittente in lingua persiana, attivata nel 2002, che trasmette verso l’Irān una programmazione incentrata sull’intrattenimento musicale (repertorio misto iraniano e internazionale), con notiziari e bollettini ogni ora.
Canada e Oceania
Nei principali Paesi del Commonwealth, la radiofonia pubblica è tuttora fortemente influenzata dal modello della BBC. In Canada, l’offerta radiofonica pubblica è gestita dalla CBC (Canadian Broadcasting Corporation), che opera attraverso 4 reti nazionali, 2 anglofone e 2 francofone, prive di pubblicità. A queste si aggiungono alcune radio regionali pubbliche, ma indipendenti dalla CBC. Negli ultimi anni, il focus delle trasmissioni della CBC si è spostato verso temi legati alla vita quotidiana della cittadinanza, aumentando l’interazione del pubblico e offrendo un’analisi più ricca dei problemi sociali e più spazi per i contenuti artistici e culturali.
Il sistema pubblico della radio australiana ruota attorno alla ABC (Australian Broadcasting Corporation), cui si aggiungono la multiculturale SBS (Special Broadcasting Service) e l’emittente aborigena Imparja. La ABC, in particolare, è interamente finanziata dal governo australiano, e opera attraverso un canale nazionale (ABC Radio national) e 46 emittenti locali (ABC Local radio). Riguardo ai contenuti, la radio nazionale trasmette oltre 60 programmi la settimana (letteratura, musica, teatro, scienza, salute, arte, religione, economia), mentre le emittenti locali condividono format simili, basati su intrattenimento, musica, sport, informazione e coinvolgimento del pubblico. A tali emittenti si sommano vari canali specializzati, dall’informativa ABC News radio alla musicale ABC Classic FM, fino alle digitali Dig country e Dig jazz. SBS, che ha il compito di offrire servizi multiculturali e multilinguistici, è finanziata sia attraverso i fondi pubblici, sia tramite la pubblicità. Con le sue trasmissioni in 68 lingue, costituisce l’emittente con la maggiore varietà linguistica al mondo ed è generalmente considerata un’esperienza pionieristica nel campo del multiculturalismo. Più limitata l’offerta di Radio New Zealand, che comprende RNZ National, dedicata all’informazione e alla cultura, la musicale RNZ Concert, incentrata sul repertorio classico e sul jazz, e i servizi parlamentari, in AM.
America Latina
Nella maggior parte dei Paesi dell’America Latina lo sviluppo della radiofonia pubblica è avvenuto negli anni Trenta, solo dopo l’affermazione di quella commerciale (nata negli anni Venti), anche per effetto di fattori economici e politici, e dell’influenza del modello statunitense. L’ombra dei regimi dittatoriali, che si sono susseguiti in molti di questi Paesi (in alcuni casi ancora assoggettati), inoltre, ha pesato negativamente sulla possibilità di uno sviluppo democratico del servizio pubblico. Ne risulta un panorama complessivo ben diverso dall’esperienza europea, ma anche da quella statunitense, con Stati che fanno addirittura a meno della radio pubblica e altri che escludono completamente quella privata (come Cuba, dove la radiofonia fu nazionalizzata nel 1960). A Cuba, in particolare, il sistema radiofonico nazionale comprende 6 emittenti nazionali, 17 provinciali e 63 comunali. In alcuni Paesi prevale l’accento sulla dimensione locale o regionale delle emittenti pubbliche. È il caso del Messico, dove l’IMeR (Instituto Mexicano de la Radio) opera esclusivamente attraverso emittenti locali (una ventina), o del Brasile, dove l’offerta di Sistema Radiobrás si basa su 4 canali nazionali, strutturati principalmente sulla differenziazione per territorio di appartenenza. Più simile al modello europeo il caso della Radio nacional de Venezuela, che trasmette su quattro canali dedicati a informazione, musica leggera, musica classica/cultura, giovani. L’offerta più ricca si trova in Argentina, dove RNA (Radio Nacional de Argentina) comprende quattro canali nazionali, una quarantina di emittenti locali e tre radio universitarie, e quella, invece, più limitata in Colombia, dove la RTVC (Radio Televisión nacional de Colombia) irradia attraverso due reti soltanto: la generalista Radio nacional e la musicale Radionica.
Africa e Medio Oriente
In Africa la radio ha un peso enorme nella circolazione delle informazioni rispetto agli altri media, visto l’altissimo tasso di analfabetismo e la scarsa copertura della rete elettrica che escludono una larga parte della popolazione dalla fruizione di stampa, televisione e Internet. Il panorama radiofonico, composto in genere, fino alla fine degli anni Ottanta, dalle sole emittenti di Stato, che spesso si limitavano a trasmettere (soprattutto in inglese o in francese) i notiziari provenienti dalle ex potenze colonizzatrici, è notevolmente cambiato nel corso degli ultimi due decenni. I sistemi radiofonici pubblici dell’Africa settentrionale sono spesso accomunati dalla differenziazione linguistica dei canali, dalla gestione diretta di emittenti regionali e locali e, limitatamente ai Paesi islamici, dalla presenza di emittenti dedicate alla religione di Stato. In Algeria, per es., opera la Radio algérienne, con tre canali nazionali (in arabo, berbero e francese), due reti tematiche dedicate rispettivamente alla cultura e al Corano, e trentadue emittenti locali. Analogamente, in Marocco, il servizio pubblico comprende varie emittenti, tra cui una generalista (in arabo, francese, spagnolo e inglese), una diretta ai berberi, una dedicata all’islam, e varie locali. In Sudan, come in diversi altri Stati africani, il sistema radiofonico è sottoposto alle restrizioni dei regimi militari, in opposizione ai quali trasmettono numerose radio clandestine. Per quanto concerne l’Africa centrale meritano un cenno particolare le 25 emittenti regionali di FRCN (Federal Radio Corporation of Nigeria), Voice of Nigeria, una delle maggiori emittenti (per audience) di tutto il continente, e la gabonese Africa n.1, nata nel 1980 con capitali francesi (pubblici e privati), e pensata come radio panafricana, diretta alla popolazione francofona. In Ruanda, dove il governo ha liberalizzato l’etere nel 2004, l’emittente di Stato rimane l’unica a trasmettere su scala nazionale: dopo il genocidio dei Tutsi, nel palinsesto sono inclusi programmi che propongono riflessioni sui meccanismi che generano la violenza, cercando di favorire la pacificazione tra Hutu e Tutsi. Nella Repubblica Sudafricana il servizio pubblico della SABC (South African Broadcasting Corporation) comprende 18 emittenti (4 nazionali) e si finanzia sia tramite la pubblicità, sia con gli abbonamenti. La SABC, che con un’amministrazione separata controlla anche varie emittenti commerciali, trasmette nelle 11 lingue ufficiali del Paese e in altre come il tedesco, il portoghese e l’hindi. Lotus FM e X-K FM sono dirette rispettivamente alla comunità indiana e a quella San, mentre la maggiore emittente del Paese è Ukhozi FM, canale culturale zulu.
Tra i Paesi mediorientali il controllo sulla radiofonia è particolarmente pressante in Irān, dove IRIB (Islamic Republic of Iran Broadcasting), che trasmette su 8 canali nazionali e varie emittenti provinciali, opera in regime di monopolio, e dove le azioni di jamming (interferenze create per disturbare determinate frequenze) contro emittenti estere e clandestine sono assidue. In ῾Irāq, dopo la caduta di Ṣaddām Ḥusayn, la IBTE (Iraqi Broadcasting and Television Estab-lishment) è stata dissolta e sostituita dalla Iraqi Media Network, che ha ereditato anche le emittenti del governo transizionale nato dopo l’invasione del Paese da parte della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. In Israele operano, da una parte, l’IBA (Israel Broadcasting Authority), attraverso emittenti del genere ‘parlato’, informative e musicali, e, dall’altra, Galei Zahal-IDF (Israel Defence Forces), che trasmette musica e notizie su vari canali.
Il mondo asiatico
Nel continente asiatico, con l’eccezione di Giappone, Hong Kong e Taiwan, pluralismo e libertà di informazione toccano i livelli minimi su scala mondiale, soprattutto in Stati come Corea del Nord, Vietnam, Myanmar e Cina. In Cina, in particolare, l’informazione è rigorosamente controllata dall’esecutivo, e le trasmissioni di emittenti estere (compresa la BBC) sono osteggiate da pratiche di jamming. Il sistema radiofonico pubblico, che poggia le proprie basi su China national radio, è interamente sostenuto dai ricavi pubblicitari e comprende 9 emittenti: 4 sono dedicate, rispettivamente, a informazione, economia e tecnologia, musica, intrattenimento, e altre 5 sono dirette ad aree specifiche (Taiwan, Hong Kong) o alle minoranze linguistiche. Dopo il passaggio all’economia di mercato e la fase di liberalizzazione dell’etere (anni Novanta), si è assistito alla nascita di emittenti pubbliche on-line, mentre il notevole sviluppo della telefonia mobile ha favorito la nascita di radio interattive ricevibili sul cellulare, come accade, dal 2005, con China Unicom Telecommunications Company.
In India, l’AIR (All India Radio), che conserva il monopolio dell’informazione radiofonica, nonostante la liberalizzazione attuata nel 2000, trasmette attraverso una rete generalista in AM (musica, intrattenimento, notizie), due canali in FM (Radio rainbow e Radio gold), dedicati alla musica popolare indiana e a quella occidentale, e varie emittenti locali e regionali, che coprono 24 lingue e 146 dialetti. Il monopolio dell’informazione radiofonica è prerogativa anche di Radio Pakistan, che controlla 25 emittenti locali, una rete nazionale generalista e un’emittente in FM per i giovani (101), mentre in Indonesia, dove anche le private possono trasmettere i propri notiziari, la RRI (Radio Republik Indonesia) gestisce 6 canali nazionali e varie emittenti locali e regionali. In Giappone, il servizio pubblico è gestito dalla NHK (Nippon Hōsō Kyōkai), che trasmette attraverso tre canali nazionali privi di pubblicità: la generalista Radio 1 (informazione, cultura e intrattenimento), la culturale Radio 2, focalizzata sull’educazione, e la musicale NHK FM, che trasmette anche programmi culturali, informativi e di intrattenimento.
La radiofonia commerciale
Il panorama della radiofonia privata, completamente assente in quei Paesi, già ricordati, dove lo Stato opera in regime di monopolio, è caratterizzato in generale dalla coesistenza di una spinta verso la moltiplicazione, che porta alla costante nascita di nuove emittenti, e di una tendenza alla concentrazione, che ha portato molte radio nella sfera di grandi gruppi. Alcuni di questi hanno varcato i confini nazionali, innescando il già ricordato processo di internazionalizzazione della radio. La principale dimensione di riferimento resta però quella nazionale, dove le emittenti giocano la partita più importante per il proprio consolidamento sul mercato. In Italia, i 12 network nazionali a carattere commerciale – Deejay, RDS (Radio Dimensione Suono), RTL 102.5, RMC (Radio Montecarlo), R101, 105, Radio Italia, Kiss kiss, Radio 24, Capital, m2o e Virgin – attraggono larga parte degli ascolti (e dei fatturati) complessivi, e una situazione simile si riscontra anche nella maggior parte degli altri Stati europei. Resta comunque fondamentale anche il ruolo delle radio locali, che in alcuni Paesi costituiscono l’unica via concessa agli operatori privati, e che continuano a registrare importanti consensi in termini di ascolti (in Repubblica Ceca, per es., il 40% è appannaggio delle 60 radio locali e regionali), soprattutto grazie alla capacità di rappresentare le identità e le specificità dei vari territori di appartenenza.
Europa
Con l’eccezione della Spagna, dove il sistema misto pubblico-privato è presente sin dagli inizi, la liberalizzazione della radiofonia è stata attuata in Europa solo a partire dagli anni Settanta. Lo sviluppo di questo settore è avvenuto secondo tempi diversi e ha seguito percorsi multiformi, riflettendo le diverse specificità storiche, geografiche e legislative di ciascun Paese. In Francia, dove la liberalizzazione dell’FM risale al 1981, sono presenti 13 emittenti nazionali e circa 1000 radio locali. I principali operatori privati (NRJ, RTL, Lagardère) dispongono complessivamente di 10 reti nazionali e accumulano uno share complessivo che supera il 50% del totale. NRJ, in particolare, rappresenta il maggior operatore europeo in termini di ricavi: oltre 344 milioni di euro nel 2006. Tra gli altri operatori nazionali, il gruppo Moët Hennessy Louis Vuitton (abbreviato abitualmente in LVMH), attivo nel settore della moda e del lusso, controlla due emittenti (SkyRock e l’informativa BFM Radio). In Gran Bretagna, dove la radiofonia privata nazionale esiste solo dai primi anni Novanta, le normative vigenti impediscono al singolo operatore di ottenere più di una licenza nazionale e di controllare una quota superiore al 15% del settore, fissando ulteriori restrizioni nei confronti di gruppi che controllano più del 20% dei quotidiani nazionali. Il settore commerciale ha un ruolo più limitato rispetto, per es., a Italia o Francia, e canalizza circa il 46% degli ascolti; le principali emittenti (Virgin radio, Talk sport e Classic FM) attraggono, nel complesso, solo il 10% dell’audience. Più consistente è il comparto della radiofonia locale, costituito da oltre 250 emittenti, che rappresentano circa il 39% dell’audience. In Germania, dove l’ascolto è molto frammentato e fortemente legato alla dimensione regionale, sono attive circa 200 emittenti radiofoniche commerciali, di cui 9 classificate come nazionali, ma sottoposte a pesanti vincoli che ne riducono la diffusione. Nessuna di esse, infatti, ha un ascolto paragonabile a quello dei network commerciali di Italia o Francia. Come altrove, anche in Germania il settore è caratterizzato da una forte presenza dei grandi gruppi editoriali, da Bertelsmann ad Axel Springer, passando per WAZ e Hubert Burda, presenti con diverse emittenti in più Länder. In Spagna, caratterizzata da un sistema misto pubblico-privato sin dal 1923, trasmettono oltre 2000 emittenti, di cui 4 nazionali generaliste e una decina nazionali tematiche. Il principale operatore è Union Radio (2 network interregionali e 4 nazionali, tra cui la generalista Cadena ser, leader di ascolti, e la tematica Los 40 principales), che appartiene per l’80% al gruppo Prisa (editore di «El País») e per il 20% al gruppo Godó (editore di «La vanguardia»). Tra le altre emittenti di particolare rilevanza, le generaliste Onda cero (gruppo Telefónica), Cadena cope (gruppo Radio popular, della Conferenza episcopale spagnola) e Punto radio (gruppo Vocento), e le tematiche Cadena dial, Kiss FM e M-80 Radio. Queste ultime trasmettono anche in Portogallo, dove operano oltre 300 emittenti locali, e i principali network privati sono la musicale Rádio comercial, la religiosa Rádio renascença (della Chiesa cattolica) e le informative Rádio clube portugués e TSF Rádio notícias. Nei Paesi Bassi, dove la radiofonia commerciale è consentita dal 1988, operano circa 300 emittenti private, tra cui 11 reti nazionali (share complessivo oltre il 46%). Come in Gran Bretagna, anche nei Paesi Bassi l’emittenza locale è in larga parte appannaggio del settore pubblico, ma il ruolo degli operatori commerciali è ancora più marginale (meno del 3% di share). In Belgio, analogamente alla radiofonia pubblica, anche quella privata è ben distinta tra comunità francofona e fiamminga. In Scandinavia, dove la liberalizzazione dell’etere è avvenuta tra gli anni Ottanta e Novanta, il più importante operatore privato è MTG Radio, che controlla i maggiori network commerciali in Svezia, Norvegia e Finlandia. MTG Radio, inoltre, è il maggior soggetto privato anche nella regione baltica, dove la sua presenza in termini di emittenti e network si sta rapidamente espandendo. In Danimarca, dove trasmettono oltre 250 emittenti tra commerciali e comunitarie, i principali network sono le musicali Radio 100 FM (pop) e Radio city (rock) e la generalista Radio TV2. In Russia, e negli altri Paesi dell’Est europeo, lo sviluppo della radiofonia privata si lega alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e al processo di democratizzazione. Nella sola Russia sono attive centinaia di emittenti, tra cui i network Russkoye radio, Europa plus, prima emittente commerciale del Paese, ora nel gruppo Lagardère, dedita al format Hot AC e diffusa in molte Repubbliche ex sovietiche, AvtoRadio (musica e notizie) e le musicali Nashe radio (rock nazionale), Maximum (pop, rock e musiche alternative), Dinamit FM (dance) e Radio jazz. Investimenti internazionali sono stati attirati anche in Romania, dove i network più seguiti risultano essere Europa FM (Lagardère) e Kiss FM (SBS Broadcasting), e in Slovacchia, dove Radio expres, leader del mercato, è di proprietà della statunitense EMMIS Communications, che controlla anche alcune delle maggiori reti in Ungheria e Bulgaria. Analogamente nella Repubblica Ceca, dei tre maggiori network nazionali (Radio impuls, Frekvence 1 e Evropa 2), il primo è di proprietà tedesca (Eurocast Rundfunk Beteiligungs) e gli altri due appartengono al gruppo Lagardère.
America Settentrionale e Oceania
Il comparto privato più forte e dinamico è certamente quello degli Stati Uniti, dove operano oltre 11.000 emittenti commerciali, circa 4800 in AM e 6300 in FM. Caratterizzato da un costante aumento delle emittenti attive (da 6000 nel 1970 a 10.000 nel 2000), il mercato radiofonico statunitense è quello che genera i più alti ricavi al mondo: oltre 20 miliardi di dollari nel 2005, riconducibili per il 95% alla raccolta pubblicitaria, e per il restante 5% agli abbonamenti sottoscritti per la radio satellitare. Il principale operatore, Clear channel, è il maggior gruppo radiofonico del mondo, sia in termini di emittenti controllate (oltre 1200), sia in termini di ricavi (oltre 3,4 miliardi di dollari nel 2007). Il suo sviluppo è stato favorito dalle politiche di deregulation in merito al numero di licenze (43 nel 1995) che un singolo operatore può avere nello stesso mercato. Tra gli altri gruppi radiofonici commerciali, Cumulus media che opera attraverso più di 300 emittenti, CBS Radio (140 emittenti) e Cox radio (86 emittenti). CBS Radio, in particolare, costituisce il secondo gruppo radiofonico degli Stati Uniti per dimensioni economiche, con ricavi per oltre 2,3 miliardi di dollari nel 2006, mentre il gruppo XM, attivo nella radiofonia satellitare, è il terzo con oltre 600 milioni di dollari. Tra gli altri operatori, ABC Radio, fusa con Citadel broadcasting corporation nel 2007, e Westwood one (che negli anni Ottanta aveva rilevato MBS e NBC Radio), che distribuisce programmi di vario genere (sport, informazione, intrattenimento, musica) a circa 7700 emittenti e a vari circuiti regionali e nazionali. In termini di contenuti, l’offerta della radiofonia commerciale statunitense è forse la più composita al mondo, non solo e non tanto per l’elevato numero di emittenti, quanto per la centralità del format rispetto alla programmazione e per la sua progressiva specializzazione. Nel rapporto Arbitron del 2007 sono individuati almeno 50 differenti format, 22 dei quali molto diffusi. Alcuni di essi, come News & talk, Country (il più popolare), Oldies (ora superato da Classic hits e Adult hits), Adult contemporary (AC) e Contemporary Hit Radio (CHR), hanno una tradizione pluridecennale, altri, come Children’s radio, Ethnic e Span-ish adult hits, sono completamente nuovi, ma la maggior parte di essi, dal Classic rock all’Urban AC, passando per All sports, New AC/Smooth jazz e Contemporary christian, ha avuto origine negli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso.
Un sistema di format simile a quello statunitense è presente in Canada, dove i dati del 2007 fissano a 649 il numero delle emittenti commerciali (524 in inglese, 104 in francese e le restanti in altre lingue), alle quali devono aggiungersi (dal 2005) le radio satellitari di XM Radio Canada e Sirius Canada. I principali operatori sono Rogers communications, Corus entertainment, Astral media (che ha acquisito il principale soggetto radiotelevisivo commerciale, Standard Broadcasting, nel 2007), CTVglobemedia e Newcap Broadcasting. Tra i format più diffusi si annoverano AC, CHR, News & talk, All news, All sport, Adult hits, Country e Classic rock, mentre tra le caratteristiche della programmazione si rileva in particolare lo spazio destinato alla produzione musicale nazionale (con il 35% delle playlists riservato agli artisti canadesi, salvo eccezioni, dovute alla concorrenza statunitense) e a format basati su generi come la musica classica o il jazz. In Australia, dove la radiofonia privata è seguita da più del 77% della popolazione, sono attive più di 260 emittenti commerciali, i cui modelli principali ricalcano i format statunitensi. Tra i maggiori gruppi radiofonici, Austero, con due network nazionali (la hit radio Today e Triple M, dedicata a rock e comicità), Fairfax Radio, che nel 2007 ha rilevato Southern cross broadcasting, e Macquarie radio network, cui appartiene, tra l’altro, l’emittente leader per ascolti di Sidney: la News & talk 2GB.
America Latina
In molti Paesi dell’America Latina, le emittenti private, nate seguendo l’esempio statunitense, hanno preceduto l’avvento della radiofonia pubblica, ma sono state condizionate dall’azione di controllo dei regimi autoritari. Ne è derivato così un sistema radiofonico basato su oligarchie formate da grossi imprenditori, spesso vicini ai dittatori locali. In generale, oltre il 70% della popolazione adulta ascolta regolarmente la radio nell’America Latina, dove coesistono almeno 25.000 emittenti ufficialmente riconosciute e altre 10.000 che operano invece in situazione di semilegalità. Solo in Perù, dove il 95% della cittadinanza ascolta la radio quotidianamente, si contavano nel 2003 oltre 2000 stazioni radiofoniche legali e più di 1000 illegali. Le emittenti illegali hanno spesso carattere comunitario, e sono contrastate dai governi locali, anche su pressione degli operatori commerciali che reclamano la proprietà delle frequenze in utilizzo. Questo panorama deriva da una pluralità di fattori, in primo luogo politico-economici, che hanno comportato uno sviluppo sregolato del mercato radiofonico, caratterizzato negli ultimi decenni soprattutto da due linee di tendenza: la concentrazione attuata dai maggiori gruppi editoriali, non di rado multinazionali, e lo smantellamento della radiofonia pubblica, che ha determinato in alcuni Paesi (come il Guatemala nel 2000) la privatizzazione delle emittenti di Stato, sempre a favore dei grandi gruppi. In Brasile, i media sono fortemente concentrati nelle mani del Gruppo Globo, il maggiore dell’America Meridionale, che controlla 6 network e numerose affiliate. In Argentina trasmettono oltre 1500 emittenti radiofoniche, di cui un migliaio non autorizzate. Delle emittenti regolarmente in possesso di licenza, 300 trasmettono in FM (con una programmazione incentrata prevalentemente su musica e intrattenimento) e 260 in AM (concentrate soprattutto su informazione e sport). In Messico nel 2000 erano attive 1449 stazioni radiofoniche: le emittenti commerciali (per es., Radio comitán) sono spesso considerate le radio dei ricchi (ladinos), in contrapposizione alle comunitarie, dedicate ai poveri (indigeni). In particolare, la XEW (ora nota come WRadio), fondata nel 1930 da Emilio Azcárraga Vidaurreta, è all’origine dello sviluppo di uno dei maggiori gruppi editoriali dell’America Latina: Televisa. In Uruguay, dove sono presenti 285 emittenti, l’informazione radiofonica privata è particolarmente influente anche sugli altri media, grazie al lavoro giornalistico di emittenti come El espectador, Radio sarandí e Radio oriental. Tra i principali network commerciali dell’America Latina, si possono ricordare Radio cadena nacional e Radio caracol in Colombia, e le peruviane Cadena azul, RPP (Radio Programas del Perú) e CRP (Corporación Radial del Perú).
Africa e Medio Oriente
Con poche eccezioni, come Medi 1 - La radio du Grand Maghreb (nata a Tangeri nel 1980 con capitale misto francese-marocchino), presente anche in Europa e Medio Oriente, in Africa lo sviluppo della radiofonia commerciale è ancora agli inizi. La liberalizzazione dell’etere, avvenuta in molti casi negli anni Novanta, con la diffusione simultanea in molti Stati africani delle leggi sulla libertà di stampa, ha portato alla nascita di emittenti, come Joy FM in Ghana e Radio Sud FM in Senegal, che hanno introdotto, tra l’altro, pratiche prima sconosciute come il coinvolgimento del pubblico via telefono. Lo sviluppo delle emittenti commerciali ha raggiunto i suoi picchi nel Mali, con oltre 200 stazioni radiofoniche, e nel Ghana, con oltre 100, ma è ancora segnato, in ampie zone del continente, da lacune tecniche e professionali. In alcuni Paesi del Maghreb, la comparsa dei primi network privati è particolarmente recente. In Tunisia, dove l’emittente Mosaïque FM (musica leggera orientale e occidentale) ha iniziato a trasmettere nel 2003, hanno fatto il loro ingresso nel settore anche Jawhara FM (simile alla prima) e Radio Ezzeitouna, dedicata all’islam, e finalizzata alla promozione del dialogo, della tolleranza e della moderazione.
Nei Paesi arabi le emittenti private a diffusione locale hanno fatto registrare una notevole crescita, superando le 150 unità, e uguagliando sostanzialmente il numero di quelle pubbliche. Oltre alle locali (molto diffuse in Palestina, Libano e ῾Irāq), negli ultimi anni sono comparsi anche i primi network. Il Libano è il primo Stato arabo ad aver liberalizzato l’etere e permesso la diffusione di una trentina di emittenti, tra cui le filoccidentali Voice of Lebanon e Radio One, da una parte, e Al-Nour, vicina a Ḥezbollāh, dall’altra. Tra i restanti network si possono ricordare la libanese Mix FM, nata nel 1996 e diffusa anche a Cipro, l’Arab media group, fondato negli Emirati Arabi Uniti nel 2005, che esercita il proprio controllo su nove emittenti inclusa Virgin Dubai, e Tarablos radio, seguita da milioni di ascoltatori in Libia.
Discorso a parte per la Repubblica Sudafricana, dove operano varie emittenti commerciali, molte delle quali di proprietà pubblica: da 5FM (format CHR, seguita soprattutto dai giovani) a Ikwekwezi FM (diretta all’etnia Ndebele), Lesedi FM (in lingua seshoto), Motsweding FM (in lingua setswana) e Lotus FM (dedicata alla comunità indiana), fino a Metro FM, la maggiore emittente commerciale del Paese, con una programmazione musicale incentrata sul rhythm and blues. Di tali emittenti, solo 5FM e Metro FM hanno diffusione nazionale, opportunità esclusa ai privati che controllano complessivamente 13 emittenti, alcune delle quali prima di proprietà dello Stato.
Il mondo asiatico
Lo sviluppo delle emittenti private in gran parte dell’Asia è ancora in fase embrionale. In India, dove le prime licenze sono state concesse nel 2000, operano circa 20 emittenti commerciali (in 12 città), cui non è ancora permesso trasmettere i notiziari, di competenza esclusiva delle emittenti di Stato. In vari Paesi limitrofi trasmettono solo alcune radio commerciali (nel Bangladesh, per es., dal 2005 opera Radio today), mentre in altri rimane in vigore il monopolio. Più strutturato il settore nelle Filippine, dove tra le 600 emittenti attive, la maggior parte è commerciale, e in Indonesia, dove con la caduta del regime di Suharto (maggio 1998), le private hanno conosciuto uno sviluppo sostenuto, oltrepassando nel giro di pochi anni la soglia delle mille stazioni. Anche in Cina sono presenti oltre mille emittenti, il cui fatturato è aumentato, nel quinquennio 2000-2005, da 1,5 a 3,8 miliardi di yuan, con un incremento medio (20% l’anno) superiore a quello degli altri mezzi di comunicazione. La radiofonia commerciale cinese (che nel corso degli anni Ottanta ha visto aumentare le risorse della pubblicità e la connotazione popolare delle trasmissioni) si è proiettata di recente verso un nuovo corso, caratterizzato dalla diffusione di canali tematici, da quelli musicali a quelli di servizio (traffico, viabilità), fino a quelli dedicati all’informazione economica e finanziaria. In Giappone, dove trasmettono 89 emittenti in FM e 215 in AM, tra le maggiori emittenti private vanno ricordate TBS Radio (focalizzata sul parlato), Nippon cultural broadcasting, Radio nikkei (finanza, sport, salute, cultura), la hit radio Tokyo FM, J-Wave (musica pop, nazionale e occidentale) e Inter FM, unico network commerciale multilinguistico del Paese.
La radiofonia comunitaria
Le emittenti comunitarie (tremila delle quali sono riunite nell’AMARC, Association Mondiale des Radiodiffuseurs Communitaires) vengono definite dall’UNESCO come organizzazioni non-profit (etniche, linguistiche, religiose, culturali ecc.), la cui programmazione è basata sull’accesso e la partecipazione dei membri delle rispettive comunità di appartenenza. Il panorama della radiofonia comunitaria nel mondo è composito e variegato: dalle ‘radio scuola’ dell’America Latina alle radio rurali africane, da quelle associative in Europa a quelle aborigene in Australia, queste emittenti sono in alcuni casi rivolte a piccole comunità, mentre in altri diffondono il proprio segnale su tutto il territorio nazionale, arrivando a volte anche a varcarne i confini, come nel caso di Radio Maria, presente in 40 Paesi, attraverso altrettante associazioni sostenute dalle offerte dei fedeli e dal volontariato. In molti casi le comunitarie nascono per iniziativa di organizzazioni non-profit che fanno riferimento a università, chiese, comuni oppure sindacati. In altri si tratta di cooperative sorrette dagli stessi ascoltatori o da organizzazioni internazionali, ma non mancano esperienze di radio comunitarie sostenute dai governi o dalla pubblicità. Sviluppatesi prima in America Latina poi nel resto del mondo queste emittenti hanno proposto un nuovo modo di intendere il mezzo: una radio partecipativa, diretta espressione di una specifica comunità, verso cui si rapporta costantemente come canale di accesso pubblico, attento alle istanze locali. In Asia e Africa soltanto con la fine di molti regimi autoritari e con l’aiuto di enti e operatori internazionali si è resa possibile l’attivazione di molte radio comunitarie, che ha fornito una risposta concreta alla mancanza di informazione e scolarizzazione tipica dei Paesi più poveri. In Europa, invece, le emittenti comunitarie stanno già attraversando una fase di maturazione, imboccando percorsi variegati e linee di sviluppo peculiari che rispecchiano anche le specificità dei vari Paesi.
Europa
Le radio comunitarie hanno iniziato a proliferare in Europa soprattutto dagli anni Settanta. Scarsamente diffuse in Germania, dove ne esistono solo 72, le comunitarie formano in Europa un comparto di grande vitalità che ha vissuto recentemente una notevole espansione, soprattutto in Gran Bretagna, Francia e Spagna. Nel Regno Unito, in particolare, è solo con l’approvazione del Community radio order nel 2004 che il settore ha iniziato a svilupparsi concretamente: sono nate, infatti, in quell’anno le licenze comunitarie, la cui concessione è subordinata a requisiti ben precisi, come la copertura di servizi non offerti da altre emittenti, l’impegno a favorire il dibattito e la partecipazione della comunità servita e la formazione degli operatori non assunti. Nel 2007 le radio comunitarie britanniche ufficialmente riconosciute erano 149.
In Francia, le radio comunitarie, dette anche radio associative, sono circa 600, trasmettono su 900 frequenze e impiegano 3000 salariati. Tra i vari esempi, Radio salam di Lione, nata nel 1991, grazie a un gruppo di operatori, con l’obiettivo di promuovere la cultura arabo-musulmana. Le sue trasmissioni, in francese e in arabo, comprendono notiziari nazionali e internazionali (ripresi da Medi 1), informazione locale (curata direttamente), rubriche, dibattiti, dialogo con gli ascoltatori e una programmazione musicale che alterna canzoni del Maghreb e dell’Oriente. Nella Penisola Iberica si segnala il fenomeno delle radio municipali, riunite in associazioni senza scopo di lucro, formate dai comuni, come EMA RTV, che mette insieme le 70 comunitarie presenti in Andalusia, con l’obiettivo di facilitare lo sviluppo sociale, attraverso produzioni comuni e politiche di interscambio. In Italia, le emittenti comunitarie (oltre 200 nel 2005) vanno dalle radio d’informazione come Radio popolare a quelle confessionali come Radio Torino biblica e Radio Krishna centrale, da quelle dirette alle minoranze linguistiche come Radio onde furlane a quelle ‘alternative’ e politicizzate come Radio Sherwood e Radio onda rossa. Tra le comunità presenti in varie aree del continente europeo, quella rom trova nella radio il mezzo di comunicazione congeniale alla propria cultura, in quanto capace di superare i problemi di alfabetizzazione e di collegare idealmente i gitani sparsi per il mondo, promuovendone sia le specificità, sia la coesione. Tra le emittenti dedicate, Radio C, nata nel 2001 in Ungheria, e Radio Khrlo e Romengo, fondata a Belgrado nel 1995.
America Latina e Stati Uniti
L’America Latina è stata teatro dei primi esperimenti di radio comunitaria nel mondo: già negli anni Quaranta alcune piccole, spesso isolate, comunità di contadini o di minatori avevano attivato le proprie stazioni radiofoniche (Radio Sutatenza in Colombia, Radio de los mineros in Bolivia), sfidando il monopolio pubblico soprattutto per poter esprimere una propria voce comune. Negli anni Sessanta e Settanta furono i conflitti sociali e la resistenza contro i regimi dittatoriali appoggiati dalla CIA a scatenare la proliferazione di migliaia di radio comunitarie. Attualmente tutti i Paesi dell’America Latina, dove dal 1996 opera anche l’agenzia indipendente d’informazione Pulsar (finanziata da varie ONG internazionali), che fornisce notiziari e approfondimenti a oltre 400 emittenti, possono contare su una moltitudine di radio comunitarie attive su ogni territorio: 55 in Ecuador, oltre 200 in Cile, altrettante in Guatemala, più di 2000 in Perù. La prima emittente comunitaria, Radio Sutatenza, nata nel 1947 per iniziativa di un prete, José Joaquín Salcedo, con l’obiettivo di diffondere la dottrina cattolica e veicolare informazioni utili per la comunità contadina, e divenuta presto la maggiore emittente del Paese, ha continuato a perorare la propria causa fino ai primi anni Novanta, quando è stata rilevata dal network commerciale Cadena caracol. Le emittenti dei minatori boliviani, riunite in una sorta di syndication già alla fine degli anni Quaranta, sono invece riuscite a conservare negli anni il proprio assetto sia in termini di proprietà, sia di obiettivi. Alcune emittenti comunitarie fanno riferimento ai sindacati dei lavoratori, altre al mondo rurale, molte altre ancora hanno carattere religioso.
Negli Stati Uniti il settore comunitario, in parte sovrapponibile a quello pubblico, si è sviluppato sull’onda delle prime radio universitarie, nate negli anni Sessanta (con programmi educational, informazione e musica), allargandosi in seguito ai vari gruppi etnici e religiosi, e in qualche caso verso istanze politiche particolari. Le radio universitarie, in special modo, costituiscono un fenomeno ormai diffuso e consolidato anche in America Latina.
Africa e Medio Oriente
Le radio comunitarie, ancora assenti nei Paesi mediorientali, che solo recentemente hanno iniziato a interessarsi al fenomeno, hanno conosciuto una prima fioritura in Africa all’inizio degli anni Novanta, anche grazie all’iniziativa di enti, organizzazioni e operatori europei. Gestite spesso tramite associazioni autoctone, le comunitarie hanno iniziato a trasmettere nelle lingue locali, focalizzando la propria attenzione su temi come l’agricoltura, la salute, l’alfabetizzazione, la religione e i diritti civili. Molte di queste emittenti sono nate grazie all’impegno di operatori italiani, che nel continente hanno istallato oltre 500 stazioni radiofoniche e formato molti tecnici. L’impulso diretto delle autorità governative nell’attivazione di emittenti comunitarie rimane invece un’esperienza piuttosto rara nel continente: tra i pochi Stati che hanno scelto politiche di apertura in tal senso, la Nigeria, il Burkina Faso di Thomas Sankara e, più recentemente, il Mozambico. I temi più trattati riguardano l’alfabetizzazione, la prevenzione dell’AIDS e i diritti delle donne.
Tra le prime ufficialmente riconosciute dalle autorità africane, la senegalese Penc-Mi, che trasmette canti e musiche popolari, affrontando temi come le scadenze delle semine, le vaccinazioni, feste e tradizioni locali, ma anche problemi politici e sociali. Nel Mali opera anche Radio Buctu, gestita con il diretto coinvolgimento del municipio locale, caso piuttosto raro per l’intero continente. Molte emittenti comunitarie si sono poi distinte per il ruolo assunto durante le guerre civili che hanno insanguinato gli ultimi decenni di storia dell’Africa. In Burundi, per es., Radio ujambo ha organizzato un gruppo di speaker in cui Hutu e Tutsi dialogavano sulla pacificazione. La maggior parte delle ‘comunitarie’ africane, comunque, è strettamente legata al mondo agricolo, come nel caso del Madagascar, dove trasmettono Radio Mampita e Radio Magneva, due emittenti nate nel 1998. Nella Repubblica Sudafricana, tra il 1993 e il 1995, la lotta all’apartheid era connessa anche alle vicende di Bush Radio, emittente clandestina considerata da molti la prima espressione radiofonica della popolazione nera del Paese, e la prima comunitaria dell’intero continente.
Il mondo asiatico e l’Oceania
In Asia, dove il fenomeno ha iniziato a prendere corpo negli anni Ottanta-Novanta, spesso in corrispondenza della fine dei regimi autoritari, il panorama delle radio comunitarie, per quanto in crescita, e ancora in uno stato iniziale. La prima emittente indipendente dell’Asia meridionale, la nepalese Radio Sagarmatha, nata nel 1997 a Katmandu, è diretta sia alle comunità urbane sia a quelle rurali, e trasmette su temi come l’ambiente e la salute, grazie alla licenza concessa all’associazione dei giornalisti ambientalisti nepalesi.
In Australia sono presenti circa 300 radio comunitarie, molte delle quali aborigene. Dall’avvio nel 1979 della prima radio comunitaria aborigena ad Alice Springs (Radio 8KIN), a partire dalla quale si sono costituite la Central Australia aboriginal media association e tutte le altre emittenti analoghe, il settore ha subito varie fasi di regolamentazione che garantiscono oggi una licenza ufficiale e fondi di sostentamento per le relative strutture a 22 emittenti, le cui trasmissioni sono riproposte anche da 150 emittenti locali (Remote indigenal broadcasters).
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