Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La prima emittente radiofonica nasce nel 1920. Successivamente la radio si sviluppa con programmi di musica, informazione e intrattenimento. Si comprende ben presto, però, la portata persuasiva del mezzo. Goebbels le riconosce subito questo aspetto – utilizzandola per i fini propagandistici del regime –, ma coglie anche la possibilità di mettere in contatto luoghi e nazioni lontane e la potenzialità di globalizzazione del gusto. Tuttavia la radio, più che la televisione, nel corso della storia è riuscita a sottrarsi al dominio di un unico potere; una prova ne sono le "radio libere" degli anni Settanta.
Da un garage di Pittsburgh: gli esordi
Come tante altre invenzioni che domineranno il Novecento, anche la radio nasce nel secolo precedente. Infatti è nel corso dell’Ottocento che se ne pongono i principi teorici: nel 1873, riprendendo le ricerche di Faraday, Maxwell con il Trattato sull’elettricità del magnetismo dimostra matematicamente che i fenomeni elettromagnetici e luminosi si propagano nello spazio tramite onde; nel 1887 Hertz ottiene la conferma sperimentale della teoria di Maxwell e prova l’esistenza di onde elettromagnetiche (hertziane); negli ultimi cinque anni del secolo Marconi compie il suo primo leggendario esperimento a Pontecchio, dove, sia pure a breve distanza, trasmette un segnale telegrafico, Popov costruisce la prima antenna per la ricezione di segnali elettrici, in seguito Marconi stabilisce un collegamento telegrafico tra la terraferma e la sua nave Elettra. Infine, nel 1901, realizza il primo collegamento transatlantico e trasmette a 4000 chilometri di distanza i tre punti della lettera S in alfabeto Morse.
Non è nata ancora la radio come la concepiamo noi, ma è certamente nata la telegrafia senza fili.
Basterebbe questa invenzione a caratterizzare il nuovo secolo, se si pensa alla funzione che subito il telegrafo assume per i commerci, la guerra, la navigazione, e si considera il fatto simbolico che nel 1912 il Titanic mentre affonda lancia il suo SOS. Ma per arrivare alla radio occorre che attraverso lo spazio – o, come si pensava allora, l’etere – si possa fare viaggiare la voce umana.
Questo avviene quando nel 1906 Lee De Forest inventa il triodo, che permette di amplificare i segnali, così che Reginald Aubrey Fessenden nello stesso anno mette in onda il primo programma radio della storia, con parole e musica, da una trasmittente del Massachussets, udibile nel raggio di 25 chilometri.
La prima stazione radio con trasmissioni dedicate al pubblico è del 1919, quando un ingegnere della Westinghouse, Frank Conrad, inizia una serie di programmi da un garage di Pittsburgh. La possibilità di mettere in commercio i primi ricevitori incoraggia la nascita della prima emittente radiofonica, la KDKA, che il 2 novembre del 1920 trasmette in diretta il secondo turno delle elezioni presidenziali statunitensi. Si calcola che all’epoca gli apparecchi in circolazione fossero tra i 500 e i 1000. È nata la radio come industria.
L’anno successivo nasce in Gran Bretagna la BBC (British Broadcasting Corporation) e si emettono i primi programmi a Parigi, dalla Tour Eiffel. In Italia sorge l’Unione Radiofonica Italiana, che poi diventerà EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) e dopo la seconda guerra mondiale la RAI (Radio Audizioni Italiane).
Nel 1924 va in onda la prima trasmissione radiofonica italiana: attraverso la voce della prima radioannunciatrice, Maria Luisa Boncompagni, vengono trasmessi musica classica e operistica, un bollettino meteorologico e notizie di borsa. Se nel 1926 gli abbonati all’URI erano circa 26 mila, nel 1928 erano saliti a 62 mila. Tuttavia il costo dei ricevitori rimaneva molto elevato. Agli inizi degli anni Trenta il prezzo medio di una radio era attorno alle 2 mila lire – equivalenti a circa 1670 euro – e si calcola che questa cifra rappresentasse i due terzi del reddito medio annuo di una famiglia italiana.
Quindi all’inizio la radio parla a un pubblico di radioamatori, che appare più interessato alla tecnologia delle comunicazioni che ai suoi contenuti. D’altra parte chi ricorda ancora quando i primi apparecchi radio, via via più accessibili economicamente, sono entrati nelle case private, sa che uno dei motivi di fascino di questo primissimo "elettrodomestico" non era dato solo da ciò che diceva ma dal fatto che sul quadrante luminoso coi nomi delle stazioni si potevano immaginare città esotiche, sino ad allora ignote (Tallin, Hilversum, Riga…) e la magia era creata dalla possibilità di captare voci straniere, anche se incomprensibili, sapendo che provenivano da luoghi lontani nello stesso momento. L’esperienza di una comunicazione a distanza in tempo reale non era certo nuova: in fondo si comunicava a distanza in tempo reale anche con gli antichissimi segnali di fumo, per non parlare del telefono: ma con la radio questa esperienza diventava più ricca e continua e dava ai primi utenti l’impressione di essere davvero in contatto con tutto il mondo. Decenni dopo Marshall McLuhan classificherà la radio tra i mezzi caldi i quali, investendo un solo senso, riducono l’autonomia interpretativa del ricevente e lo sottopongono a un rapporto quasi ipnotico.
Funzioni commerciali e funzioni politiche
In ogni caso, affinché le stazioni potessero moltiplicarsi e l’industria cercasse di produrre apparecchi a costi sempre più accessibili, occorreva che la radio potesse proporsi come un mezzo in qualche misura conveniente, al di là dei suoi ovvi usi militari e per la navigazione. Ed ecco che la radio si sviluppa sulla linea di una doppia convenienza, commerciale e politica.
Negli Stati Uniti la radio rivela ben presto la sua possibilità di veicolare pubblicità, e già nel 1928 diffonde messaggi pubblicitari per l’80 percento delle famiglie. Nel 1930 Lowell Thomas inaugura alla NBC (National Broadcasting Company) trasmissioni di 15 minuti, per cinque volte alla settimana, costituite da notiziari, e questa funzione della radio aumenta nel 1932, quando tutto il Paese è incollato agli apparecchi riceventi per seguire la vicenda del rapimento di Baby Lindberg, il figlio del famoso trasvolatore. A questo punto la radio entra in diretta concorrenza con la stampa, che sino ad allora deteneva il monopolio della notizia, e rispetto alla stampa ha il vantaggio di trasmettere notizie in diretta. Già nel 1933 si conta che negli Stati Uniti nel 60 percento delle abitazioni esista una radio (in un decennio la cifra salirà all’80 percento).
Ma la pubblicità e la trasmissione di notizie non sono l’unico motivo di successo. La radio scopre anche le sue potenzialità politiche, o almeno le scopre Franklin Delano Roosevelt che, divenuto presidente nel 1932, conduce alla radio tra il 1933 e il 1944 i suoi Fireside Chats, le famose "conversazioni al caminetto". Siamo nell’arco di tempo che va dalla fine della grande depressione alla proposta del New Deal, sino agli anni della guerra, e Roosevelt presenta direttamente all’intero popolo americano, in tono familiare e accessibile, i suoi progetti politici rispetto ai grandi problemi del periodo, dalla crisi economica alla riorganizzazione della giustizia, dalla disoccupazione alla guerra, e alla necessità di sostenere lo sforzo bellico sottoscrivendo buoni di guerra.
Il problema dei buoni di guerra segna un altro dei momenti significativi della storia della radio. Infatti nel 1943 la più famosa e amata cantante americana, Kate Smith, famosa per un suo show serale, per una seguitissima trasmissione settimanale di consigli su vari argomenti, nonché per aver lanciato nel 1938 la canzone God Bless America di Irving Berlin, si offre per una maratona radiofonica durata 16 ore nel corso della quale essa interviene costantemente nei programmi per propagandare la sottoscrizione ai buoni di guerra. L’influenza esercitata da questa riuscita fusione tra attrattiva divistica e sentimento patriottico è enorme e – anche se altri calcoli danno cifre molto superiori – si presume che solo grazie alla maratona di Kate Smith siano stati sottoscritti 40 milioni di dollari. Su questo fenomeno sono stati condotti i primi studi sociologici sul potere persuasivo dei mass media.
Ma negli stessi anni avviene in America un fenomeno che altri studi sociologici avrebbe ispirato e che rivela l’immenso potere del nuovo mezzo.
L’invasione marziana
La sera del 30 ottobre 1938 (alla vigilia di Halloween, la notte delle streghe) un giovane regista radiofonico che si chiama Orson Welles inizia, dai microfoni della CBS (Columbia Broadcasting System), una puntata di un programma di "radiodrammi" assai popolare e seguito da milioni di spettatori. Quella sera si tratta di adattare per la radio un famoso romanzo, La guerra dei mondi di Herbert G. Wells (che risaliva al 1898 e che in seguito avrebbe ispirato vari adattamenti cinematografici). È, come è noto, il racconto fantascientifico di un’invasione marziana della Terra, e Orson Welles ha deciso di presentarla in modo totalmente inedito – a tal punto che la direzione della CBS esita a lungo prima di approvarne la messa in onda. Infatti la storia non viene presentata come finzione, tranne che nell’annuncio di apertura, ma come una vera e propria radiocronaca dal vivo. Vale a dire che tutti gli spettatori che hanno perduto i pochi secondi dell’annuncio d’inizio e si sono messi in ascolto successivamente, hanno tutte le ragioni di ritenere che si tratti di radiocronaca vera e propria.
Di questo programma possediamo il testo completo, e vale la pena di seguirne almeno le fasi principali. L’annunciatore inizia con: “Dalla Meridian Room dell’Hotel Park Plaza, di New York, vi trasmettiamo un programma musicale di Ramon Raquello e la sua orchestra. Ramom Raquello inizia con la Cumparsita”. La musica è iniziata da poco quando di nuovo s’inserisce in onda la voce dell’annunciatore il quale avverte in tono abbastanza concitato che è appena pervenuto uno speciale bollettino della Intercontinental Radio News secondo il quale alle 7:40, ora centrale, il professor Farrell dell’Osservatorio di Mount Jennings di Chicago avrebbe rilevato diverse esplosioni di gas incandescente succedutesi a intervalli regolari sul pianeta Marte, e indagini spettroscopiche avrebbero stabilito che il gas in questione è idrogeno e si sta muovendo verso la Terra a enorme velocità.
Dopo questa notizia riprende la musica e, finita la Cumparsita, viene annunciato Polvere di stelle. Ma poco dopo si risente l’annunciatore che spiega come l’Ufficio Meteorologico Governativo abbia pregato i maggiori Osservatori della nazione di seguire attentamente qualsiasi altro disturbo che si verificasse sul pianeta Marte. Riprende la musica ma la si interrompe nuovamente per un’intervista a un noto astronomo, il professor Pierson, dell’Osservatorio Astronomico di Princeton.
L’intervistatore è Carl Phillips che intervista il professore, ma subito dopo avverte che un telegramma è stato inviato al professor Pierson dal dottor Gray, del Museo di Storia Naturale di New York. Il testo dice: “Ore 21:15, ora standard delle regioni orientali. I sismografi hanno registrato una scossa di forte intensità verificatasi in un raggio di 20 miglia da Princeton. Per favore, investigate. Firmato: Lloyd Gray, capo della Divisione Astronomica...”.
Alla fine dell’intervista lo studio di New York dà lettura di un bollettino speciale: alle 20:50 circa, un oggetto fiammeggiante di grandi dimensioni, ritenuto un meteorite, è precipitato in una fattoria nei pressi di Grovers Mill, New Jersey. Da questo momento le notizie in diretta si susseguono con sempre maggiore drammaticità. Mentre va in onda un programma musicale di Bobby Millette e la sua orchestra dall’Hotel Martinet di Brooklyn, alla fattoria viene inviata un’unità mobile e Carl Phillips inizia a descrivere quanto vede.
“Signore e signori è di nuovo Carl Phillips che vi parla dalla fattoria Wilmuth a Grovers Mill. Il professor Pierson ed io abbiamo percorso le 11 miglia da Princeton in dieci minuti. Bene, non... non so come cominciare per darvi una descrizione completa della strana scena che ho davanti agli occhi, qualcosa che assomiglia a una versione moderna delle Mille e una notte. Sono appena arrivato. Non ho ancora potuto guardarmi intorno. Scommetto che è quello. Sì, penso che sia proprio quella la... cosa. Si trova proprio davanti a me, mezza sepolta in un’ampia fossa. Deve avere impattato con una forza tremenda. Il terreno è coperto di frammenti di un albero che l’oggetto ha investito toccando terra. Ciò che posso vedere dell’... oggetto non assomiglia molto a un meteorite, o almeno ai meteoriti che ho visto prima d’ora. Sembra piuttosto un grosso cilindro...”.
Dopo un’intervista con il proprietario della fattoria e alcune domande al professor Pierson su un inquietante ronzio che sembra provenire dall’oggetto, Phillips esclama concitato che sta accadendo qualcosa di terrificante. L’estremità dell’oggetto comincia a muoversi, la sommità del cilindro ha cominciato a ruotare, si svita (voci: “State indietro, là! State indietro laggiù! Tenete indietro quegli idioti!”), si odono il rumore di un grosso pezzo di metallo che cade e urla di terrore, Phillips grida: “Signore e signori, è la cosa più terribile alla quale abbia mai assistito... Aspettate un momento! Qualcuno sta cercando di affacciarsi alla sommità... Qualcuno... o qualcosa. Nell’oscurità vedo scintillare due dischi luminosi... sono occhi? Potrebbe essere un volto. Potrebbe essere... Buon Dio, dall’ombra sta uscendo qualcosa di grigio che si contorce come un serpente. Eccone un altro e un altro ancora. Sembrano tentacoli. Ecco, ora posso vedere il corpo intero. È grande come un orso e luccica come cuoio umido. Ma il muso! È... indescrivibile. Devo farmi forza per riuscire a guardarlo. Gli occhi sono neri e brillano come quelli di un serpente. La bocca è a forma di V e della bava cade dalle labbra senza forma che sembrano tremare e pulsare. Il mostro, o quello che è, si muove a fatica. Sembra appesantito... forse la gravità o qualcos’altro. La cosa si solleva. La folla indietreggia. Hanno visto abbastanza. È un’esperienza straordinaria. Non riesco a trovare le parole... porto il microfono con me mentre parlo... Devo sospendere la trasmissione finché non avrò trovato un nuovo posto di osservazione. Restate in ascolto, per favore, riprenderò fra un minuto...”.
A questo punto della trasmissione, il cui effetto realistico è assoluto, molti ascoltatori incominciano a telefonare alla polizia e un professore di geologia dell’Università di Princeton si precipita sul posto con le proprie apparecchiatura per studiare il fenomeno. Frattanto Carl Phillips, ormai nascosto dietro un muro di pietra, trasmette notizie sempre più terrificanti: reparti di polizia stanno organizzando un cordone intorno alla fossa, alcuni agenti avanzano verso gli invasori con un fazzoletto bianco legato a un bastone, si ode un fischio seguito da un ronzio sempre più intenso, un oggetto ricurvo esce dalla fossa, sprigiona un raggio di luce che colpisce gli uomini che avanzano, i quali ormai bruciano come torce. Mentre si odono urla e suoni che nulla hanno di umano, Phillips annuncia che ha preso fuoco tutto il campo, poi si ode uno schianto e infine silenzio.
Mentre già numerosissimi ascoltatori sono presi dal panico l’annunciatore dà la parola al comandante del Distretto Statale militare di Trenton, che annuncia: “Ho ricevuto l’ordine dal Governatore del New Jersey di porre le contee di Mercer e del Middlesex, fino a Princeton verso ovest e fino a Jamesburg verso est, in stato d’assedio. Nessuno potrà entrare in quest’area senza uno speciale permesso rilasciato dalle autorità statali o militari. Quattro compagnie della guardia nazionale stanno dirigendosi da Trenton verso Grovers Mill e aiuteranno l’evacuazione delle case comprese nell’area delle operazioni militari”.
Subito l’annunciatore avverte: “Le osservazioni scientifiche e l’evidenza stessa dei fatti inducono a credere che gli strani esseri atterrati stanotte nella fattoria del New Jersey non siano che l’avanguardia di un’armata di invasione proveniente da Marte. La battaglia che ha avuto luogo stanotte a Grovers Mill si è conclusa con una delle più strabilianti disfatte subite da un esercito nei tempi moderni: settemila uomini armati di fucili e mitragliatrici sono stati sconfitti da una sola macchina degli invasori marziani. I superstiti sono solo centoventi. Gli altri giacciono sul campo di battaglia che si estende da Grovers Mill a Plainsboro, travolti e schiacciati dai piedi di metallo delle macchine nemiche o ridotti in cenere dal "raggio di fuoco". I mostri controllano ora la parte centrale del New Jersey e hanno così tagliato in due lo Stato. Le linee di comunicazione tra la Pennsylvania e l’Oceano sono interrotte. Le ferrovie sono sconvolte e i servizi da New York a Filadelfia sospesi, salvo qualche treno che viene dirottato per Allentown e Phoenixville. Le autostrade dirette verso il nord, il sud e l’ovest sono affollate di gente terrorizzata. La Polizia e le riserve dell’Esercito sono incapaci di controllare la folla che fugge impazzita. Si ritiene che domattina i fuggiaschi avranno raddoppiato la popolazione di Filadelfia, Camden e Trenton. La legge marziale è stata proclamata in tutto il New Jersey e nella Pennsylvania orientale. Vi trasmettiamo ora direttamente da Washington uno speciale messaggio del Segretario degli Interni…”.
Parla il Segretario: “Cittadini della nazione, non posso nascondervi la gravità della situazione in cui si dibatte il Paese, né la difficoltà che incontrano gli sforzi che il governo sta facendo per proteggere le nostre vite e i nostri beni. Vorrei soltanto ricordare a voi tutti - privati cittadini e pubblici ufficiali, a tutti insomma - l’urgente necessità di calma e di un’azione intelligente e fruttuosa. Per fortuna, questo nemico terribile è ancora confinato in un’area relativamente piccola e noi speriamo che le forze militari gli impediranno di uscirne…”.
Altro cronista: “Vi parlo dal tetto del Broadcasting Building, New York City. Le campane che udite suonano per invitare la gente a lasciare la città. I marziani si avvicinano. Si ritiene che nelle ultime due ore, tre milioni di persone abbiano abbandonato la città usando le strade dirette a nord. L’autostrada del fiume Hutchinson è mantenuta aperta al traffico motorizzato. Evitate i ponti per Long Island… sono spaventosamente intasati... tutte le comunicazioni con lo Stato del New Jersey si sono interrotte dieci minuti fa. Non esistono più difese. Il nostro esercito è distrutto... artiglieria, aeronautica, tutto è stato spazzato via. Questa può essere l’ultima trasmissione. Rimarremo qui fino alla fine. La gente si è radunata nella cattedrale, sotto di noi… per prendere parte ai servizi religiosi…”.
Mentre la trasmissione procede, Orson Welles e i suoi collaboratori ignorano quanto sta realmente avvenendo (e pare che lo apprendano solo il giorno dopo dai giornali). Sta di fatto che quanto il falso cronista annuncia si sta realmente verificando. Il Paese viene preso dal panico, la gente si riversa nelle strade, le vie di accesso alle grandi città sono intasate da automobili in fuga. In molte città la gente comincia a radunarsi nelle chiese, alcuni tentano il suicidio, una donna si avvelena per non cadere nelle mani dei marziani…
In un loro classico studio su questi avvenimento radiofonico, Hadley Cantril e i suoi collaboratori riferiscono che la gente in tutti gli Stati Uniti piangeva, urlava, fuggiva freneticamente per scampare ai marziani. Invano i dirigenti della CBS trasmettono comunicati per avvertire che si è trattato solo di una finzione.
Il mattino dopo la stampa quotidiana (che riprende una sua funzione di fonte attendibile rispetto alla radio) riporta la calma, spiegando l’equivoco. Ma in quei giorni un articolo del "New York Tribune" avverte che l’episodio rivela come il potere politico avrebbe potuto un giorno usare i mezzi di massa per manipolare i sentimenti e le opinioni del pubblico. Non è chiaro se l’autrice dell’articolo, Dorothy Thompson, sappia esattamente che cosa stia accadendo in Europa: essa scrive che Hitler è riuscito a spaventare mezza Europa il mese prima, ma almeno ha un’armata potente a sua disposizione, mentre Welles è riuscito a terrorizzare l’America con nulla; in realtà quanto Dorothy Thompson paventava, in Europa stava realmente accadendo, e da alcuni anni.
Radio e dittatura
È certamente pura coincidenza tra sviluppo tecnologico ed eventi politici che la radio italiana nasca sotto il fascismo, e che la sua nascita venga incoraggiata dall’allora ministro per le comunicazioni Costanzo Ciano, ma come vedremo la storia della radio si intreccerà subito e in modo assai significativo con la storia delle dittature. È con la nascita della radio che il regime fascista decide che l’agenzia giornalistica Stefani, controllata dal governo, sia l’unica fonte di notizie che la radio neonata può trasmettere. Così, e paradossalmente, uno strumento che in principio dovrebbe consentire a chiunque di far viaggiare la propria voce attraverso lo spazio, diventa il megafono di una voce unica.
Ma il governo fascista, forse per un disinteresse iniziale di Mussolini verso il nuovo mezzo, se ha capito l’importanza delle trasmissioni, non ha compreso a fondo l’importanza di una politica industriale di bassi costi degli apparecchi. Quando già Mussolini avrebbe dovuto cogliere l’importanza del nuovo mezzo che gli permette di fare udire a tutto il Paese i suoi discorsi dal balcone di Palazzo Venezia, nel 1936 gli abbonati in tutto sono solo 700 mila, un numero molto basso rispetto ai livelli europei (nello stesso periodo la Francia dispone di quasi tre milioni di apparecchi riceventi). In quegli stessi anni, quando, come canta una canzone popolarissima, per ironia della sorte portata al successo dalla radio, il sogno dell’italiano normale è di poter guadagnare mille lire al mese, un apparecchio di buona qualità costa appunto sulle mille lire, e dunque l’equivalente di quello che è allora considerato un desiderabile stipendio mensile (grosso modo, mille lire del 1938 valevano 715 euro, ma il loro valore d’acquisto era probabilmente superiore). Nel 1937 il regime mette in commercio un apparecchio economico, la Radio Balilla, al prezzo di 450 lire, ma l’impresa si rivela fallimentare perché i produttori non si sono mostrati interessati al mercato di massa. Così la Radio Balilla viene distribuita nelle scuole e in altri centri pubblici ma non raggiunge effettivamente le famiglie.
Di tutt’altro tipo è stata invece la posizione della dittatura gemella, il nazismo, e questo sopratutto grazie alle intuizioni del dottor Goebbels, che ha subito capito l’importanza del nuovo mezzo. Sin dal 1925 Joseph Goebbels, certamente il più colto dei gerarchi nazisti (ha un PhD in letteratura) si è unito a Hitler e nel 1926 viene nominato Gauleiter per la regione di Berlino e poi direttore della rivista ufficiale del movimento nazista, "Der Angriff" ("L’Attacco"). Il modo in cui ha saputo usare i moderni mezzi di propaganda hanno certamente aiutato Hitler ad andare al potere (ricordiamolo: attraverso regolari elezioni, e dunque usando col proprio elettorato mezzi di persuasione efficaci).
Quando Hitler va al governo, nel 1933, Goebbels viene nominato ministro per la propaganda e in quella funzione riesce a realizzare un programma massiccio di diffusione degli apparecchi radio. Il suo obiettivo è stato subito quello di mettere in ogni casa (e quindi anche presso le famiglie meno abbienti) un ricevitore in grado di diffondere i discorsi e le notizie del regime. Così nel 1933 viene prodotto il primo apparecchio popolare: il Volks Empfanger, al prezzo di 75 marchi, che all’epoca equivalgono a 345 lire (e ricordiamo che in quegli stessi anni una radio in Italia costa ancora sulle 2 mila lire). Tre mesi dopo il lancio commerciale le vendite del nuovo apparecchio tedesco si aggirano sui 300 mila esemplari. Nel 1938 si produce poi una radio ancora più economica, la DKE 38 (Deutsche Klein Empfanger), che costa solo 45 marchi. L’apparecchio, in un momento in cui il metallo diventa prezioso a fini bellici, è quasi totalmente realizzato in uno speciale cartone pressato. L’importanza di questa politica è evidente: la radio diventa in Germania lo strumento attraverso cui la dittatura può tenere l’intera popolazione sotto controllo ideologico.
Ma Goebbels non è stato solo l’artefice di un’efficiente politica economica. In vari scritti egli dimostra di essersi reso conto di tutti i vantaggi della radio, e non solo come strumento di propaganda. In un discorso del 1933, proprio nel presentare il nuovo apparecchio popolare, Goebbels enuncia le proprie idee circa il potere della radio. Napoleone – dice – aveva parlato della stampa come del "settimo potere" e quanto la stampa fosse importante era già stato dimostrato dalla Rivoluzione francese. Bene – afferma Goebbels – la radio sarà per il XX secolo quello che la stampa era stata per il XVIII e il XIX. Le generazioni future concluderanno che la radio ha avuto nel nostro secolo lo stesso impatto spirituale e intellettuale che la stampa ha avuto all’inizio della riforma protestante. La repubblica di Weimar non era stata capace di capire l’importanza della radio per influenzare le masse, e i suoi dirigenti pensavano al massimo alla radio come a uno strumento per distrarre il popolo dai gravi problemi sociali del momento – usandola come strumento politico solo occasionalmente. La rivoluzione nazionalsocialista doveva invece rivoluzionare tecnicamente, amministrativamente e ideologicamente l’universo radiofonico per rivoluzionare la vita intera del Paese. Il nazismo non avrebbe potuto raggiungere il potere senza i due grandi strumenti del secolo, la radio e l’aeroplano. Il nazismo era una rivoluzione moderna e avrebbe dovuto usare mezzi moderni.
“Viviamo nell’era delle masse e le masse richiedono di partecipare ai grandi eventi della storia. La radio è il principale intermediario tra il movimento [nazista] e la nazione, tra l’Idea e il Popolo… Noi definiamo la nostra rivoluzione come popolare per buone ragioni. Essa è nata dalle profondità del popolo. È stata fatta dal popolo e per esso. Essa ha detronizzato l’individualismo assoluto e ha posto il popolo al centro... I problemi che noi al governo dobbiamo affrontare sono gli stessi che deve affrontare l’uomo della strada. I problemi che trattiamo via etere nelle commedie, nei discorsi e nei drammi sono i problemi che toccano da vicino il popolo. Quanto più la radio saprà riconoscerli e trattarli in modo nuovo e vario tanto più essa assolverà al suo compito e tanto meglio il popolo riuscirà a risolvere questi problemi”.
È una visione della radio come strumento di educazione totale, e come tale il regime nazista userà questo strumento, in misura più massiccia, coerente e totalitaria di quanto non abbia saputo fare il regime fascista (e con la stessa coerenza totalitaria con cui ovviamente la sta usando nello stesso periodo il regime sovietico).
Ma Goebbels ha idee più articolate e spregiudicate di quanto comunemente si creda. In questo stesso discorso egli già avverte: “Noi non intendiamo usare la radio solo per motivi partigiani. Essa deve lasciare spazio al divertimento, alle arti popolari, ai giochi, al varietà e alla musica”. Salvo che nel 1933 egli aggiunge: “Purché ogni cosa abbia rapporto coi tempi in cui viviamo. Ogni cosa dovrà includere i temi del nostro grande lavoro di ricostruzione…”. Però un decennio dopo, nel pieno della guerra, in un articolo pubblicato nel marzo 1942 su "Das Reich", egli si dimostra molto più realistico, polemizzando con alcuni moralisti che rimproverano alla radio tedesca di trasmettere troppa musica leggera, e addirittura qualcosa che assomiglia troppo all’odiato jazz del nemico. Egli avverte che il soldato, dopo una dura giornata di lotta, ha bisogno di rilassarsi e che la musica leggera è più consolatoria di un severo concerto. In altri termini Goebbels non sta solo pensando alla radio come a un mezzo per inculcare nelle masse i principi del nazismo ma anche come uno strumento di controllo "narcotico" e contempera pertanto la sua durezza ideologica e il suo indubbio fanatismo con una visione molto realistica e – diremmo oggi – molto "commerciale" di un rapporto tra fini e mezzi.
Inoltre, nel giustificare le trasmissione di musica leggera, Goebbels ricorda che altrimenti i soldati tedeschi avrebbero ascoltato le stazioni inglesi. Comprende dunque come la radio sia ormai uno strumento difficilmente controllabile, che può valicare le frontiere, e addirittura le trincee. E d’altra parte non fa altro che dimostrarsi cosciente dell’uso che ormai i Paesi in guerra fanno del mezzo, trasmettendo appositamente anche per gli ascoltatori dei Paesi nemici, e basti ricordare l’impatto che hanno in Italia durante la guerra le trasmissioni di Radio Londra (ma parimenti esistono trasmissioni tedesche in inglese, tese a demoralizzare i cittadini nemici).
In poche parole, quando già, via radio, i soldati tedeschi iniziano a cantare l’americana Rosamunda e i soldati alleati intonano Lili Marleen, Goebbels ha già intravisto (forse a malincuore, ma in modo chiaro) la funzione della radio come primo fenomeno di globalizzazione dei gusti e delle idee.
La funzione globalizzatrice
Con l’avvento della radio si pongono i primi problemi tipici delle comunicazioni di massa. Se una delle caratteristiche della comunicazione di massa è che un’emittente parla a un numero indefinito di destinatari che non hanno la possibilità d’interagire (ovvero di esercitare un feed-back immediato) con l’emittente, allora certamente il fenomeno si verifica già con l’invenzione della stampa, e con l’avvento dei quotidiani e dei settimanali. Ma un editore di libri e un direttore di giornale sanno più o meno quale sia il loro target, ovvero il tipo di pubblico a cui si rivolgono (e se non altro in secoli in cui l’alfabetismo è assai limitato, sanno di rivolgersi a quel particolare tipo di pubblico che sa leggere e scrivere). Con la radio invece l’emittente non sa a chi parla e deve elaborare un linguaggio generico, adatto potenzialmente a tutti. Se all’inizio le stazioni hanno un raggio limitato e quindi possono contare su un’udienza a dimensione provinciale o regionale, ben presto nascono le reti, che collegano più emittenti (negli USA, la AT&T nasce nel 1923), grandi stazioni aumentano la loro potenza e ben presto le reti diventano nazionali. In altri Paesi, e il caso dell’Italia è tipico, esiste una sola emittente di Stato che parla a tutto il territorio nazionale.
Quindi gradatamente non soltanto l’informazione ma anche il tipo di musica trasmesso, sino allo stile dei comici e degli intrattenitori, diventa omogeneo. Omogeneo per uno stesso Paese, da principio, ma gradatamente omogeneo in tutto il globo. Abbiamo visto che neppure Goebbels poteva opporsi totalmente all’influenza del jazz, e – sia pure mascherata sotto titoli italiani – la musica americana viene eseguita in Italia anche durante la guerra, per non dire del gioco complesso di influenze e imitazioni. Di canzoni spagnole veniva invasa l’Italia specie al tempo della guerra di Spagna, si potevano ascoltare, poi, canzoni francesi e, naturalmente, canzoni tedesche. Inizia dunque con la radio quella uniformizzazione del gusto che oggi ci pare tipica di un mondo globalizzato.
La globalità del mezzo radiofonico era dovuta inoltre alla possibilità di ascoltare reti straniere. Oggi, quando la maggior parte dei ricevitori circolanti, provvede di solito solo la modulazione di frequenza, non è facile sintonizzarsi, poniamo, dall’Italia su una stazione francese (paradossalmente, grazie al satellitare, è più facile con la televisione, che ci porta in casa stazioni arabe, bulgare o portoghesi); ma con un apparecchio degli anni Trenta e Quaranta era possibile ascoltare stazioni estere su onde corte, onde lunghe o onde medie. E d’altra parte le radio di propaganda (durante la guerra) si dotavano di una potenza adeguata per raggiungere il territorio nemico, e il governo avversario non riusciva a "oscurare" del tutto questa voce indesiderata (e Goebbels avvertiva che i soldati tedeschi avrebbero potuto ascoltare stazioni inglesi). Peraltro anche dopo il secondo conflitto mondiale, e per tutto il corso della guerra fredda, dalla Voce dell’America a Radio Praga, la propaganda avversa penetrava in ogni territorio, e certamente anche nel corso di questa lunga confrontazione, le radio hanno avuto un ruolo non indifferente.
Queste qualità della radio rimangono valide ancora oggi quando ad alcuni questo mezzo può apparire obsoleto, di fronte al potere della televisione e di internet. Anzitutto incalcolabile è il numero degli apparecchi radio in circolazione, e neppure nei Paesi in cui un tempo si poteva attuare un calcolo in base agli abbonamenti si possono avere dati attendibili, perché anche un utente corretto che paga un abbonamento può possedere una radio per ogni stanza del proprio appartamento o una radio portatile per ogni membro della famiglia, per non parlare delle radio installate sulle automobili.
Pertanto, mentre per ricevere informazioni dalla televisione o da internet occorre porsi di fronte a un apparato ricevitore, la radio può parlarci anche mentre stiamo facendo altro, ci segue nei nostri spostamenti, costituisce ammobiliamento sonoro anche quando non ce ne rendiamo neppure conto. Durante i moti studenteschi del maggio francese nel 1968 i reporter di Radio Montecarlo tenevano gli ascoltatori informati sui movimenti sia dei manifestanti che della polizia, minuto per minuto, strada per strada, così che – in tempo reale – chi avesse voluto incontrare o evitare gli uni o gli altri, non aveva che da seguire le istruzioni della radio. Durante le manifestazioni studentesche del 1977 a Bologna, Radio Alice ha svolto lo stesso compito – anzi, in forma meno neutra di Radio Montecarlo a Parigi, ha provveduto a una parte in gioco incitamenti e istruzioni.
Per questi e per altri motivi, il potere della radio, anche come strumento di informazione libera o di indottrinamento ideologico, rimane uno strumento fondamentale. È stato palese in Italia quando, nel corso degli anni Settanta, si è passati insensibilmente, quasi giorno per giorno, dapprima sfidando le leggi, poi obbligando il governo a rivederle, da un regime di monopolio a una pletora di radio "libere".
Da Radio Parma nel 1974 e Radio Milano International dell’anno seguente, si calcola che siano sorte in Italia almeno 200 radio libere. Alcune si sono confuse in quella che era stata definita la "marmellata radiofonica" – nel senso che, per venire incontro ai gusti degli utenti, moltissime di queste radio hanno gradatamente assunto lo stesso stile, così che risultava e risulta difficile distinguerle l’una dall’altra; ma alcune di esse hanno mantenuto una fisionomia riconoscibile e continuano a fornire forme alternative di informazione. Pertanto, in molti sensi, la radio si mostra capace di sfuggire a quei fenomeni di monopolizzazione e controllo dal vertice a cui è invece sensibile la televisione – anche per l’ovvia ragione che mettere a punto un’emittente radiofonica è immensamente più facile (dal punto di vista tecnologico) e meno costoso che approntare una emittente televisiva.
Inoltre molte stazioni radio sono oggi aperte all’intervento telefonico in diretta da parte degli ascoltatori. Questa caratteristica sembra inverare l’auspicio di Bertolt Brecht che, nel suo saggio "La radio come mezzo di comunicazione", sin dal 1926, ricordava che, anziché puro mezzo di distribuzione (musica, notizie, eccetera) la radio poteva diventare “uno straordinario sistema di canali… se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in comunicazione con altri”.
Le possibilità della radio pertanto, quanto ad agilità di gestione, pluralità dei punti di vista e interattività sono più affini a quelle della stampa (e ora a quelle di internet) che a quelle della televisione.