La Reconquista
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’islam iberico, dopo la fine del califfato di Cordova, conosce mezzo millennio circa di ulteriore storia, non di significativo rilievo politico ma fondamentale per il progresso artistico e scientifico dell’umanità e per forgiare una coesa identità culturale della cristianità iberica impegnata nella Reconquista che, iniziata nel 1070, si protrarrà fino al XIII secolo. L’espulsione finale dei musulmani nel XVII secolo soddisfa l’oltranzismo di parte cristiana, generando però una profonda crisi economica, mascherata solo in parte dall’affluenza dell’oro americano.
La brusca fine del califfato di Cordova nel 1031 non comporta la fine della presenza islamica nella penisola iberica, ma avvia un processo di lento degrado politico e militare e di corrispettivo progresso dell’antagonista cristiano. Si apre infatti una fase nuova, conosciuta col nome di Reinos de Taifas, che indica l’esperienza storica in cui ciò che per un quarto di millennio circa era stato il poderoso e monolitico dominio omayyade si frammenta in una quarantina circa di piccoli reami, emirati e sultanati.
Dalle macerie califfali sorgono rapidamente domini musulmani berberi – tra cui gli Hammudidi di Malaga e gli Ziridi di Granada – dei Saqàliba, ossia degli Schiavoni, d’origine slava o comunque caucasica, come gli Amiridi di Valencia e infine degli Arabi. Questi ultimi si organizzano a Saragozza dapprima con la dinastia d’origine yemenita dei Tugibidi e poi degli Hudidi, mentre a Toledo governa dal 1018 al 1081 la famiglia dei Dhunnunidi che poi cede il potere agli Aftasidi, che dal 1022 tenevano già Badajoz. A Siviglia infine s’insediano gli Abbadidi, discendenti del qàdi (“giudice”) Abu l-Qasim Muhammad b. ‘Abbad, che assumono per qualche tempo anche il controllo di Cordova, governata dal 1031 al 1069 da alcuni discendenti di Abu Hazm Giàhwar ibn Muhàmmad b. Giàhwar. Una costellazione di taife che cerca di farsi celebrare e legittimare grazie alla generosa protezione di letterati e scienziati, nella speranza di fruire di un po’ della luce generata dalla loro fama. Anche gli antagonisti cristiani si organizzano in modo ben più efficace che nel passato. All’antico regno asturleonese s’affiancano presto i regni di Castiglia – fino al 1032 contea dipendente da León – e d’Aragona o la contea di Barcellona, mentre il regno di Pamplona, poi di Navarra, seguita a governare le regioni basche, a cavallo del tratto più settentrionale dei Pirenei, fino alla sua coatta unione col regno di Spagna ai primi del XVI secolo.
Se la Siviglia abbadide diviene la più importante metropoli di al-Andalus, allargando i suoi domini a Cordova (1070), grazie ad al-Mù‘tamid, la presa di Toledo da parte di Alfonso VI di León e Castiglia – i due regni si uniranno tuttavia stabilmente solo nel 1230 – ha un enorme impatto psicologico sui cristiani, non solo perché si tratta della prima importante città musulmana a essere conquistata, ma anche perché torna cristiana l’antica capitale visigota: primo auspicato passo quindi per una faticosa, ma promettente, Reconquista.
Nel 1078 la popolazione della stessa Siviglia assapora l’amara condizione di mudéjar (dall’arabo mudàggian, “attardato”, cioè “tributario”) ma l’inevitabile sgretolamento di al-Andalus è a quel punto impedito dal sultano dei berberi Almoràvidi, il cui intervento è nel 1086 implorato da emissari di Siviglia, Badajoz, Cordova e Granada.
A prolungare la vita dell’islam iberico sembra bastare la clamorosa vittoria di Zallaqa, presso Badajoz, ottenuta il 23 ottobre di quello stesso anno, ma presto anche ai più ottimisti musulmani di al-Andalus appare chiaro quanto poco altruistico sia stato l’aiuto prestato da Yùsuf ibn Tashfìn.
I signori più importanti dei Mulùk at-Tawàif, salvo gli Hudidi, sono rimossi in modo più o meno spiccio e brutale: Granada e Siviglia nel 1090 e l’anno dopo Cordova, che inutilmente tenta un’innaturale alleanza con Alfonso VI. È combattendo proprio contro gli Almoravidi che nel 1099 cade il Cid, signore di Valencia (ma a lungo al servizio del musulmano al-Muqtadir, signore di Saragozza), da lui precedentemente strappata agli Amiridi. A far ruzzolare dal loro trono gli Almoravidi provvedono altri musulmani, berberi anch’essi e provenienti dalle medesime regioni nordafricane di Yùsuf ibn Tashfìn: gli Almohadi. Già mossisi nel 1123-1124 per sbarazzarsi degli Almoravidi, da essi giudicati eretici, in al-Andalus gli Almohadi giungono solo nel 1145-1146, invitati dai loro stessi abitanti, vanamente contrastati dall’almoravide Muhàmmad ibn Ghàniya. Che gli Almohadi siano ancor più intolleranti degli Almoravidi se ne accorgono, non solo le comunità ebraiche e cristiane nordafricane, duramente perseguitate e quasi estinte dalla furia puritana dei nuovi signori nordafricani, ma gli stessi musulmani di al-Andalus. Il 18 luglio 1195, alla vittoria almohade di Alarcos ai danni di Alfonso VIII di Castiglia segue la devastante sconfitta musulmana di Las Navas de Tolosa (16 luglio 1212) che segna l’inizio della fine del predominio islamico in terra iberica.
Quasi tutti i domini musulmani sono espugnati dai vari stati cristiani tra l’XI e il XIII secolo. È questo il destino tra gli altri di Cordova, Almería, Badajoz, Murcia, Niebla, Valencia o Saragozza che, prima della conquista almoravide nel 1110 e aragonese nel 1118, aveva posto nel 1076 sotto controllo Denia e le Baleari, un cui emiro – Mugiàhid al-Àmiri – aveva tentato nel 1015-1016 la conquista della Sardegna (sì da essere ricordato dalle cronache locali sotto il nome di Mugetto o Musetto), prima di esserne scacciato da un’inusuale alleanza pisano-genovese.
Unica taifa a sopravvivere a lungo è il sultanato di Granada, ma solo perché tra il 1237 e il 1492 esso si rassegna all’umiliante condizione di vassallo di Castiglia, il cui zelo anti-islamico è tutt’altro che inconcusso, ammansito com’è di frequente dall’incasso di sonanti monete d’oro granadine che consentono al sultanato una sopravvivenza politica poco più che formale. Tra la sconfitta musulmana di Las Navas de Tolosa e il gennaio 1492 intercorrono 280 anni. Periodo assai lungo e straordinariamente produttivo sotto il profilo culturale. Pieno di soddisfazioni politiche per i regni cristiani e di amare delusioni per i musulmani. Tre secoli quasi di guerre e tregue, di pesanti tributi e di intrighi, di alleanze e di tradimenti, in cui non sempre negli schieramenti contrapposti figurano musulmani da un lato e cristiani dall’altro.
Il merinide Abu Yùsuf Ya‘qub costituisce l’ultima speranza andalusa. Traversato nel 1275 lo stretto di Gibilterra, egli entra ad Algesiras, cedutagli da Granada nella speranza che quella terza impresa nordafricana la salvi dai Castigliani. La vittoria navale colta da Abu Yùsuf quattro anni più tardi proprio nelle acque di Algesiras sembra compensare il sultanato nasride del sacrificio fatto ma il successivo sovrano merinide, Abu Ya‘qùb, non può proseguire nell’impresa, costretto com’è ad affrontare in patria la crescente ostilità degli Abdalawadidi di Tlemcen.
Inutile è il più tardo tentativo effettuato dal merinide Abu l-Hasan ‘Ali. La sconfitta subita sul Rio Salado il 30 ottobre 1340 mette una pietra tombale sulle speranze andaluse di sopravvivenza.
In attesa d’un qualche miracolo che possa raddrizzare il franante quadro politico e militare, i Nasridi seguitano a vivere nel loro splendido palazzo dell’Alhambra (la Rossa, dal colore del materiale usato o dal soprannome del loro eponimo) fin quando l’ultimo sultano, Abu ‘Abd Allah Muhammad XII, conosciuto come Boabdil, deve cedere all’assedio conclusivo dei re cattolici e alle loro condizioni non ingenerose.
Non finisce peraltro in quell’anno la presenza islamica in Spagna. Cercando di non dare nell’occhio nelle campagne, assolvendo con perizia all’umile lavoro dei campi, i restanti musulmani sono sottoposti a crescenti umiliazioni e a feroci discriminazioni. La belluina repressione del sinistro cardinal Ximenés de Cisneros obbliga molti di loro a conversioni che danno modo di forgiare la nuova parola di moriscos: fenomeno ben diverso dalla cristianizzazione liberamente scelta dai tornadizos. In questo permanente incubo i musulmani andalusi resistono per oltre un secolo, fino alla definitiva loro espulsione, decretata ai primi del XVII secolo. Si avvantaggiano del loro lavoro e delle loro doti il Nordafrica e l’Impero ottomano, mentre la Spagna comincia a conoscere una drammatica crisi agricola, dissimulata comunque dal parassitario oro americano razziato dai Conquistadores del Nuovo Mondo.