Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La stabilità istituzionale che contraddistingue la Repubblica veneta sostiene la formidabile ascesa di Venezia nel corso del Quattrocento. L’espansione del proprio dominio di terraferma, che affianca il tradizionale dominio marittimo della Repubblica, la sobria gestione amministrativa dei territori acquisiti e lo scaltro orientamento della sua diplomazia fanno di Venezia la maggiore potenza italiana del secolo.
L’eccezionalità della Repubblica veneta
Nello scenario politico italiano, ove la lunga fase di sperimentazione istituzionale si è conclusa con il fallimento dell’organizzazione comunale, la Repubblica di Venezia si distingue per l’efficienza e l’affidabilità delle sue istituzioni.
Garanzia della sua stabilità politica è la continuità della sua organizzazione istituzionale, articolata secondo un ordinamento aristocratico governato da una casta politica composta da uomini di nobile lignaggio. Un patriziato, dunque, la cui genesi risale agli anni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, alla cosiddetta Serrata del Consiglio, che fissa le condizioni di eleggibilità dei membri del governo, restringendo l’accesso alle istituzioni veneziane alle famiglie di alto rango che più avevano partecipato alla conduzione della politica della Repubblica.
Questa riorganizzazione in senso oligarchico, che obbedisce a una logica conservatrice intesa a rinsaldare l’autorità del Comune Veneciarum, circoscrivendo l’esercizio del potere in modo da salvaguardare la stabilità istituzionale attraverso la continuità dell’attività di governo, è alla base della formidabile ascesa, nel corso del Quattrocento, della Repubblica, che diviene presto, attraverso il suo sviluppo territoriale e la sua efficace politica diplomatica e amministrativa, la maggiore potenza italiana del secolo.
L’espansione continentale della Repubblica
La risoluta politica di acquisizione territoriale attuata da Venezia sin dai primissimi anni del nuovo secolo costituisce una netta cesura nella storia della Repubblica. L’espansione della città verso l’entroterra risponde a una nuova strategia di governo, intesa a rafforzare la posizione politica del Comune, affiancando al tradizionale dominio da mar – funzionale ai suoi traffici commerciali – un esteso dominio di terraferma.
I possedimenti marittimi della Repubblica consistono ormai in un vasto insieme di entità territoriali, comprese tra le coste sud-orientali dell’Asia Minore e della Grecia, rispetto alle quali l’autorità veneziana appare salda, non essendo stata mai seriamente posta in discussione nemmeno in momenti di particolare difficoltà attraversati dalla Repubblica. D’altronde, il dominio veneziano costituisce l’unica alternativa alla soggezione al temuto potere ottomano, che in quegli anni appare innarrestabile. Molte sono le ragioni che spingono Venezia in questa nuova direzione; così come molteplici sono gli obiettivi cui essa è finalizzata. L’espansione continentale del Comune crea innanzitutto nuove possibilità di sbocco delle attività mercantili. La tutela degli interessi economici, che trovavano soddisfazione nel dominio marittimo delle maggiori piazze commerciali, può essere meglio garantita mediante una previdente politica di difesa territoriale intesa a estendere la sfera d’influenza della Repubblica nell’intricata trama dello scenario politico italiano. Inoltre appare al governo del Comune quantomai necessario, in seguito alla disfatta di Chioggia (1381), imporre la potenza della Repubblica per riaffermarne il vigore, in opposizione al crescente potere visconteo che, nell’area padana, manifesta intenti chiaramente monopolistici.
Già le conquiste ottenute tra il 1404-1405 nella Marca trevigiana (Verona, Padova, Rovigo, Vicenza, Treviso) modificano la posizione del Comune nella politica italiana. La conferma del diverso peso acquisito dalla Repubblica è testimoniata dalla nuova attenzione di cui Venezia è fatta oggetto dai principi italiani, dalla fiducia in essa riposta dalle popolazioni soggette al suo controllo e dalle città che chiedono a gran voce la sua protezione. Ma è soprattutto a partire dalla seconda decade del secolo che la Repubblica assume la centralità politica che contraddistinguerà il suo ruolo nella politica internazionale nei secoli successivi: prima, mediante un accordo stipulato con Filippo Maria Visconti nel 1414, in cui si convalida il dominio veneziano sui territori acquisiti dieci anni prima estendendolo alle città di Belluno e Feltre; poi con la conquista di Aquileia e Udine (1420) nella guerra con Sigismondo di Ungheria, cui negli anni successivi la Repubblica riesce a sottrarre anche il dominio della costa dalmata, approfittando delle difficoltà interne del regno, occupato a sedare le rivolte scoppiate nella regione boema.
Venezia è entrata ormai a pieno titolo nella contesa per i territori dell’Italia settentrionale. Nel 1425 stringe un’alleanza con Firenze, con la quale forma un compatto fronte comune contro il potere visconteo, rompendo l’accordo siglato dieci anni prima con il Ducato di Milano. Non esita a contrapporsi al Comune ambrosiano nella sua sfera di diretta influenza, annettendo prima Brescia (1426), poi Bergamo (1428), avviando così una stagione di guerre per l’area padana, che si protrae, tra tregue e nuove alleanze, per tutto il secolo.
Con il controllo della regione friulana, riaffermato nuovamente nel 1445 attraverso un accordo sottoscritto con il patriarca di Aquileia, Venezia assume, inoltre, una posizione altamente strategica per la difesa del territorio italiano dal potere ottomano. Con la Mezzaluna la Repubblica sviluppa una politica diplomatica paritaria e mai arrendevole, mediante la quale tutela la libera circolazione dei suoi mercanti nei territori dell’impero, impegnandosi a versare un tributo annuale per mantenere il dominio da mar. Il rispetto dei diritti dei mercanti veneziani non verrà meno neanche con la caduta di Costantinopoli in mano turca (1453), cui fa seguito un’altra dichiarazione di pace sottoscritta dal sultano che riconferma la libertà di commercio tra l’impero e Venezia, imponendo un’irrisoria imposta del 2 percento sui traffici effettuati nei territori ottomani.
La Serenissima signoria
La formidabile espansione territoriale realizzata dalla Repubblica nella prima metà del secolo muta radicalmente la stessa struttura istituzionale di Venezia, che da città-stato si trasforma in un centro di potere cui fa capo un vero e proprio Stato regionale di amplissime dimensioni. Segno di questo mutamento, dalle profonde ripercussioni nello scenario politico italiano, è la sostituzione dell’intitolazione della Repubblica veneta, Comune Veneciarum, con la nuova denominazione, che compare nei documenti ufficiali del Maggior Consiglio sin dal 1462, di Serenissima signoria. Venezia è ormai una città dominante, che dispiega il proprio potere su un territorio variegato – marittimo e continentale – per il cui controllo diviene presto necessario apprestare un articolato sistema amministrativo.
Nel governo dei domini di terraferma, l’orientamento della Repubblica si distingue nettamente dallo stile fiorentino, invasivo e tendenzialmente accentratore. La gestione amministrativa delle città annesse alla signoria è organizzata all’insegna del rispetto delle autonomie locali, realizzato per mezzo della conservazione delle costituzioni cittadine e della negoziazione con le comunità del carico fiscale cui esse vengono sottoposte. A seguito dell’annessione, la riforma degli statuti cittadini è affidata a commissioni di giuristi locali appositamente costituite. Le modifiche apportate sono comunque marginali, salvo nelle città di Padova e di Treviso, dove, in forza della loro prossimità alla dominante, gli statuti sono integrati da leggi veneziane. Rilevante per la signoria è infatti soltanto che negli statuti sia espressamente riconosciuta la sovranità di Venezia sulle città a essa soggette: sovranità che si esplica nell’obbligatorietà dell’approvazione da parte della signoria della riforma statutaria e nell’imposizione che eventuali successive riforme non abbiano luogo senza previa autorizzazione della dominante.
La delega alle città della riforma dei propri statuti obbedisce a un progetto di governo di carattere conservatore inteso a rafforzare i ceti dirigenti, di cui i giuristi costituiscono una parte cospicua, a incoraggiare la formazione di ordinamenti aristocratici simili al patriziato – che contraddistingue le istituzioni veneziane – e a lasciare inalterato il sistema dei privilegi feudali vigenti, mantenendo così intatti i rapporti di forza localmente esistenti. Lo stesso ruolo dei rettori, cui è affidata, oltre all’amministrazione della giustizia, la tutela dell’ordine pubblico e del bilancio cittadino, appare secondario rispetto ai poteri locali, i quali, per la risoluzione di controversie politiche di un certo rilievo, non esitano ben presto a rivolgersi direttamente all’autorità centrale.
La politica europea di Venezia
Il risoluto ingresso di Venezia nello scenario politico italiano, entro il quale la Serenissima signoria ricopre un ruolo di primissimo piano, comporta ben presto la diretta partecipazione di Venezia nella lotta politica europea, che si gioca nella sistemazione della penisola e nella ripartizione del territorio in sfere di influenza tra poteri concorrenti. Quando Carlo VIII nel 1494 scende in Italia per rivendicare la corona del Regno di Napoli, il re francese dà per scontata la partecipazione di Venezia all’impresa anti ottomana che egli intende organizzare, approfittando della posizione strategica delle regioni meridionali italiane. Venezia si sottrae all’impegno con il sovrano francese, che aveva coinvolto lo Stato pontificio e i più potenti principati italiani, adottando una strategia accorta orientata a una certa scaltrezza.
D’altronde, già nel 1463 Venezia non aveva esitato a muovere guerra contro l’impero, imbarcandosi in un conflitto dalle sorti incerte, che le aveva procurato severe sconfitte – la perdita di parte del Friuli, della città di Scutari, in Albania, e soprattutto delle isole di Negroponte, piazza commerciale di enorme rilievo, di Lemno, Argo e Croia. Aveva poi tentato di compensare i danni commerciali conseguiti a questi insuccessi, che testimoniavano la definitiva supremazia degli Ottomani in Grecia e in Asia Minore, acquistando, nel 1489, Cipro, importante isola sulle vie marittime verso la Siria. La Serenissima comprendeva dunque bene come dall’impresa organizzata da Carlo non avrebbe ricavato alcun vantaggio: una sconfitta avrebbe ancor più rafforzato il già incontrastato potere turco; una vittoria avrebbe comportato per Venezia la cessione della sua autonomia, e del dominio dei suoi territori coloniali, alla corona francese.
Venezia si adopera, dunque, affinché il progetto di Carlo fallisca, e ordisce una rete di alleanze, formalizzate in una lega nel 1495, con l’intenzione di ostacolare il ritorno di Carlo in Francia. Approfittando, poi, del posto di rilievo assunto nell’organizzazione della lega, si impadronisce di Monopoli e di Cremona, assumendo il controllo completo delle rotte adriatiche e allargando la sua sfera di influenza nella regione padana.
L’opportunismo politico della Serenissima non poteva, tuttavia, non provocare la dura reazione dell’impero, che sbaraglia la flotta veneziana, impreparata e disorganizzata davanti alla potenza turca, a Porto Longo nell’isola di Sapienza, il 12 agosto del 1499. L’ostilità degli Ottomani, con cui Venezia sigla un accordo di pace nel 1503, poi riconfermato nel 1517, è soltanto il primo evidente segnale della formazione di un sentimento ostile nei confronti della Repubblica, che rapidamente si diffonde in Italia e in Europa e che si coagulerà nella costituzione della Lega di Cambrai, nel 1509: un’opposizione, unanime e feroce, di cui solo le grandi potenze – come la Serenissima signoria – inevitabilmente sono oggetto.