La Resistenza
Con il termine «Resistenza» si fa riferimento alle molteplici azioni di lotta, di guerriglia, di sabotaggio e di opposizione che, durante la Seconda guerra mondiale e a lato del conflitto vero e proprio tra eserciti contrapposti, furono condotte, per lo più da ampie frange delle popolazioni civili, nei Paesi occupati dalla Germania nazista e dall’Italia fascista. Diretta contro un unico avversario, il nemico nazifascista, la Resistenza fu un fenomeno di dimensioni europee. Nella gran parte dei casi, inoltre, data l’esistenza di governi o di forze politiche disposte a «collaborare» con gli occupanti («collaborazionismo») o comunque orientate in senso filofascista, essa assunse spesso un duplice carattere di lotta di liberazione nazionale e di vera e propria guerra civile. Protagoniste della Resistenza furono le formazioni partigiane, cui aderirono uomini di ogni estrazione sociale. Tali formazioni agirono con tecniche di guerriglia tanto nelle città quanto nelle campagne e in montagna. Molteplici forze politiche sostennero le attività resistenziali. Tra esse le più attive e organizzate furono quelle comuniste che, guardando all’Unione Sovietica, cercarono di imprimere alla Resistenza anche un carattere di lotta finalizzata a un radicale mutamento politico e sociale. Accanto a esse, tuttavia, agirono altre forze politiche più moderate che auspicavano un ritorno agli assetti prebellici o comunque facevano riferimento a (ed erano sostenute da) Gran Bretagna e Stati Uniti. La Resistenza assunse dimensioni rilevanti soprattutto in Iugoslavia, in Grecia, in Polonia, nelle zone occupate dell’Unione Sovietica, in Francia e in Italia. Fu invece pressoché assente e comunque drasticamente stroncata nella stessa Germania. I resistenti interagirono con diversa efficacia e talora con significative tensioni con gli eserciti alleati. In molti casi – così per es., anche se in modi assai diversi, in Italia e in Iugoslavia – esercitarono un ruolo politico molto importante nel dopoguerra. Tra le forze di occupazione e quelle collaborazioniste, da un lato, e coloro che parteciparono attivamente alla Resistenza, dall’altro, si collocò nei diversi Paesi europei l’ampia «zona grigia» di coloro che praticarono il cosiddetto «attendismo», un atteggiamento di sostanziale passività in attesa del corso degli eventi. In generale le forze nazifasciste risposero alla Resistenza con spietata crudeltà, compiendo stragi e rappresaglie efferate, non soltanto contro gli stessi resistenti, ma anche contro persone per lo più inermi.
Nonostante i tratti comuni, la Resistenza assunse caratteri differenti nei singoli Paesi. Fatta eccezione per l’Italia, di cui ci occuperemo nel prossimo paragrafo, i Paesi in cui essa assunse particolare intensità e significato furono la Francia, la Iugoslavia, la Grecia e la Polonia. Importanti attività resistenziali si svilupparono, con il sostegno della Gran Bretagna, in Belgio, Olanda, Norvegia, Danimarca; e, nel quadro di una netta egemonia delle forze comuniste e/o di un decisivo sostegno sovietico, in Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Romania e Ungheria. Una dura lotta di resistenza ebbe luogo nella stessa Unione Sovietica, nelle zone sottoposte all’occupazione nazista.
In Francia la Resistenza iniziò tra il giugno e il luglio del 1940, all’indomani della resa del Paese ai tedeschi, della parziale occupazione del territorio nazionale e della nascita del regime collaborazionista di Vichy sotto la guida del maresciallo H.P.O. Pétain. Nel 1941 e poi nel 1942, quando anche la Repubblica di Vichy fu occupata dalle truppe tedesche, che giunsero così al totale controllo militare della Francia, essa crebbe di intensità. I suoi principali punti di riferimento – accanto a un’ampia e attiva schiera di gruppi clandestini spontanei e al Partito socialista – furono soprattutto, da un lato, il generale C. De Gaulle e i suoi seguaci organizzati nel movimento della France libre e, dall’altro, il Partito comunista, che entrò nelle file della Resistenza dopo l’aggressione nazista all’Unione Sovietica nell’estate del 1941. Forte del sostegno alleato, De Gaulle riuscì progressivamente a consolidare i suoi rapporti con la Resistenza interna, a unificarne le diverse componenti e a evitare che i comunisti egemonizzassero la lotta contro i tedeschi. La sua strategia risultò vincente. E subito dopo la liberazione di Parigi (25 ag. 1944) egli fu nominato capo del governo provvisorio già istituito ad Algeri nel giugno dello stesso anno.
In Iugoslavia, dove all’indomani dell’occupazione straniera (apr. 1941) operarono feroci governi collaborazionisti, la Resistenza assunse vaste proporzioni. A differenza di quanto era avvenuto in Francia, essa fu sin dal principio divisa in due schieramenti violentemente contrapposti: da un lato, i «cetnici» seguaci del colonnello serbo D. Mihajlović, orientati in senso nazionalista, conservatore e monarchico; dall’altro lato, i seguaci del croato Tito, leader dei comunisti iugoslavi, che invece aspiravano a una trasformazione profonda della società e della stessa struttura statale del Paese (in senso federale). I due gruppi entrarono presto in aperto contrasto. Ma furono i seguaci di Tito, sostenuti dagli alleati oltre che dall’Unione Sovietica, a prevalere. Essi riuscirono a creare un vero e proprio esercito di liberazione nazionale in grado di combattere in campo aperto contro i propri avversari e di istituire, nelle zone da essi controllate, strutture amministrative e di governo efficaci. Il contributo dei partigiani titini – che commisero peraltro atroci massacri ai danni della popolazione italiana, slovena e croata (foibe) – alla liberazione di Belgrado (ott. 1944) e della Iugoslavia fu decisivo e in gran parte indipendente dal sostegno straniero. Esso aprì la strada all’ascesa al potere di Tito.
Anche in Grecia, occupata da italiani e tedeschi tra il 1940 e il 1941, la Resistenza fu profondamente divisa tra forze comuniste e anticomuniste. Qui, tuttavia, i due schieramenti continuarono a contrapporsi anche dopo la liberazione (resa possibile soprattutto dall’intervento dei britannici) e la fine del conflitto mondiale, in una sanguinosa guerra civile che doveva durare sino al 1949. E che si concluse, grazie anche all’appoggio della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, con la definitiva sconfitta dei comunisti, abbandonati al loro destino dall’URSS in nome della spartizione dell’Europa in sfere di influenza.
In Polonia la lotta di resistenza assunse una particolare drammaticità, in special modo per gli ebrei polacchi, protagonisti nell’apr. del 1943 della celebre rivolta del ghetto di Varsavia, che portò al massacro degli insorti. La vicenda della Resistenza polacca, tuttavia, andò ben al di là di quel pur tragico episodio. Secondo le clausole segrete del patto nazi-sovietico, infatti, tra l’ag. e il sett. del 1939 il Paese era stato occupato in parte dai tedeschi e in parte dai sovietici e sottoposto in entrambi i casi a durissime politiche di asservimento. Tra il 1939 e il 1940 si costituì prima in Francia e poi a Londra un governo polacco in esilio che si sforzò di coordinare l’azione delle formazioni partigiane che avevano allora iniziato a operare nel Paese. In seguito all’attacco nazista all’Unione Sovietica (1941) anche Stalin iniziò a sostenere la Resistenza polacca. Tra i resistenti, dunque, si formarono due schieramenti: il primo filosovietico, direttamente sostenuto dall’URSS, e il secondo antisovietico, sostenuto principalmente dalla Gran Bretagna. La scoperta del massacro di Katyn (dell’uccisione da parte sovietica di migliaia di prigionieri di guerra polacchi) portò nel 1943 alla definitiva rottura tra il governo polacco in esilio e l’Unione Sovietica, e quindi tra i due schieramenti. È in questo quadro che ebbe luogo uno degli episodi più tragici di tutta la storia della Resistenza europea: l’insurrezione di Varsavia dell’agosto-ott. 1944. Essa fu promossa dai resistenti filoccidentali, che intendevano liberare la città prima dell’arrivo delle truppe sovietiche, ormai giunte nelle sue più immediate vicinanze. Ma fu sanguinosamente repressa dai nazisti (circa 270.000 morti), senza che i sovietici, i quali non intendevano favorire i propri rivali, tentassero di intervenire. In questo modo, la Resistenza orientata in senso antisovietico fu annientata e, nel contempo, furono decise le sorti del Paese.
Particolarmente complessa fu la vicenda della Resistenza in Italia. Essa costituì per molti aspetti uno sviluppo diretto dell’antifascismo che, sin dall’ascesa al potere di B. Mussolini (1922) e dall’avvento della dittatura vera e propria (1925-27), aveva continuato a operare in forme aperte e poi clandestine all’interno del Paese e all’estero. Anticipata da importanti eventi quali i grandi scioperi di Torino e Milano nel marzo 1943, la Resistenza prese avvio dopo l’8 sett. 1943, quando P. Badoglio annunciò che l’Italia aveva siglato l’armistizio con gli anglo-americani. A quella data, le potenze alleate erano già sbarcate in Sicilia (luglio 1943) e il governo Mussoliniera caduto dopo essere stato messo in minoranza nella seduta del Gran consiglio del fascismo del 25 luglio. L’annuncio dell’armistizio fu seguito dalla fuga del re e di Badoglio stesso da Roma, da una fulminea occupazione dell’Italia centrosettentrionale da parte dei tedeschi, dalla creazione nel Nord Italia, sotto lo stretto controllo dei nazisti, della Repubblica sociale italiana (la Repubblica di Salò) il 23 sett. e dalla costituzione, nella parte del Paese sotto il controllo degli alleati, di un «regno del Sud» che in ottobre dichiarò guerra alla Germania e che in seguito diede vita a governi di coalizione tra i partiti antifascisti guidati prima da Badoglio (1943-44) e poi da I. Bonomi (1944-45).
È in questo quadro che si svilupparono la Resistenza e la lotta contro i nazifascisti, che ebbe un suo primo drammatico episodio nell’eccidio da parte dei tedeschi delle truppe italiane di stanza nelle isole greche di Cefalonia e di Corfù (sett. 1943). Coordinata dapprima da un Comitato di liberazione nazionale (CLN) istituito già all’indomani dell’armistizio (sett. 1943) e poi da un Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI) creato nel sett. 1944, essa si concentrò soprattutto (anche se certo non esclusivamente) nel Nord Italia ed ebbe i suoi attori principali nelle formazioni comuniste («Garibaldi») e in quelle del Partito d’azione («Giustizia e libertà»), a cui si affiancarono quelle socialiste («Matteotti») e altre organizzazioni di orientamento moderato (monarchiche, democristiane, liberali) oppure autonome. Tra le diverse anime della Resistenza emersero presto profondi contrasti, in primo luogo, ma certo non soltanto, sul ruolo e sul futuro della monarchia. Con la cosiddetta «svolta di Salerno» da parte del leader comunista P. Togliatti (marzo 1944) e con l’impegno da parte di Vittorio Emanuele III a trasmettere i propri poteri al figlio Umberto al momento della liberazione e a sottoporre a referendum la questione «monarchia o repubblica» (apr. 1944) le forze della Resistenza ritrovarono la propria unità e, insieme alle potenze alleate, diedero un contributo importante alla liberazione del Paese, che si realizzò infine, in un crescendo di violenze e tra drammatiche rappresaglie dei nazisti e dei «repubblichini» collaborazionisti, il 25-26 apr. 1945.
Le forze che diedero vita alla Resistenza ebbero, dopo la liberazione, un ruolo essenziale nella nascita della Repubblica. L’unità antifascista, tuttavia, ebbe fine già nel 1947, quando, nel contesto della Guerra fredda, le sinistre furono estromesse dal governo.
Considerata a lungo un vero e proprio mito fondativo della Repubblica, la vicenda della Resistenza italiana è stata oggetto negli ultimi due decenni di un processo di profonda – e talora discutibile – revisione storiografica.
Si veda anche Resistenza