La responsabilità amministrativa del sanitario
La l. 8.3.2017, n. 24 contempla l’ingresso, nell’impianto delle azioni di regresso, della responsabilità amministrativa. La tendenziale equiparazione della disciplina della rivalsa di fronte al giudice ordinario alla disciplina della responsabilità amministrativa avrebbe potuto condurre all’unificazione del plesso giurisdizionale di riferimento. La diversa scelta effettuata dal legislatore in punto di giurisdizione, avrebbe richiesto una più accorta ponderazione quanto al regime giuridico proprio della responsabilità amministrativa dell’esercente la professione sanitaria, rinvenendosi all’interno della norma di nuovo conio talune aporie che investono sia aspetti sostanziali che processuali.
L’art. 9 della l. n. 24/2017, che disciplina in generale l’istituto della rivalsa esercitata da parte della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata nei co. 57, ha introdotto norme significative in tema di responsabilità amministrativa dell’esercente la professione sanitaria, attribuendo al contempo la giurisdizione sulle relative controversie alla Corte dei conti. Nella versione liquidata in prima lettura dalla Camera dei deputati la disposizione ascriveva la relativa giurisdizione al giudice ordinario, restando espressamente esclusa quella della Corte dei conti: nell’impianto originario del disegno di legge la disciplina dell’azione di rivalsa aveva dunque una sua unitarietà, indipendentemente dalla natura pubblica o privata della struttura presso la quale prestava la propria attività l’esercente la professione sanitaria contro il quale avrebbe dovuto essere esperita l’azione (di rivalsa, appunto) a seguito dell’avvenuto pagamento in base al titolo giudiziale o stragiudiziale ottenuto dal danneggiato. Una simile concentrazione di tutte le possibili azioni è stata però bloccata dalle modifiche introdotte dal Senato (e confermate dalla Camera nella stesura definitiva del provvedimento legislativo), che ha ricondotto l’esperibilità dell’azione (per responsabilità amministrativa) in capo al pubblico ministero presso la Corte dei conti. Nonostante taluni commenti in senso contrario1, l’attribuzione alla giurisdizione contabile delle controversie in esame non sembra porre problemi di legittimità costituzionale, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale secondo cui il precetto dell’art. 103, co. 2, Cost. delinea in termini di assoluta generalità l’ambito devoluto alla giurisdizione contabile, con la conseguenza che la sua concreta attribuzione richiederebbe l’interpositio legislatoris2.
La previsione di un doppio binario giurisdizionale ha di fatto introdotto un regime differenziato che non si limita ai soli profili processuali, ma investe questioni sostanziali relative alla stessa natura della responsabilità che, in quanto responsabilità amministrativa (avente dunque una sua “specialità”) comporta corollari in punto di regime giuridico applicabile.
L’azione di responsabilità amministrativa verso l’esercente la professione sanitaria presuppone, alla pari di qualsiasi forma di rivalsa pubblica (ex art. 22 del d.P.R. 10.1.1957, n. 3) l’esistenza di un rapporto di servizio o di impiego: tuttavia è noto che la giurisdizione contabile ha progressivamente operato un ampliamento delle categorie si cui si fondava l’istituto tradizionale dell’immedesimazione organica, rivendicando la propria competenza anche nei confronti di soggetti estranei all’amministrazione danneggiata, ma legati alla stessa da un rapporto di servizio3. Parimenti è assoggettata alla giurisdizione della Corte dei conti la società che svolge una attività direttamente imputabile al servizio sanitario e partecipa all’erogazione di prestazioni attribuite dalla legge alla sanità pubblica, demandate anche alle strutture private accreditate, in regime di assoluta parità; e sussiste altresì la giurisdizione contabile nei confronti del medico specialista convenzionato per l’assistenza diretta esterna con un’azienda sanitaria4. L’applicazione estremamente ampia della nozione di rapporto di impiego o servizio non comporta problemi nei casi previsti dai co. 12, art. 7 espressamente richiamati nel primo periodo della norma in esame: si tratta infatti, nel primo caso, di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa; nel secondo caso (co. 2, art. 7) si tratta di danni derivanti dalle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina (casi nei quali è configurabile un rapporto di servizio in senso lato, che implica comunque, qualunque sia il titolo da cui deriva, una compartecipazione dell’esercente la professione sanitaria all’attività della struttura pubblica). Più complesso appare il riferimento ai casi di cui al co. 3, art. 7, pure richiamato dall’art. 9, co. 5: poiché si tratta di una disposizione che riguarda l’esercente la professione sanitaria che risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, si deve ritenere che la circostanza riguardi l’esercizio in via diretta dell’azione risarcitoria da parte del danneggiato verso il professionista, e non verso la struttura sanitaria pubblica di appartenenza. In tal caso verrebbe a mancare il presupposto dell’avvenuta diminuzione patrimoniale a carico della struttura che agisce in sede di rivalsa. A tale proposito, il Servizio studi del Senato, precisa che l’ambito di operatività della norma si riferisce ad una delle seguenti ipotesi: i) la struttura pubblica abbia dovuto provvedere al pagamento in base alle misure per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie – misure che la struttura (ai sensi del co. 1, terzo periodo, art. 10) deve adottare, qualora scelga di non stipulare una relativa polizza assicurativa; ii) quest’ultima polizza sussista, ma la copertura fornita dalla medesima abbia determinato danni (quale, per esempio, un aumento dei premi assicurativi) alla struttura pubblica5. La questione sembra in realtà più complessa. In un caso il titolo in base al quale la procura della Corte dei conti dovrebbe esercitare l’azione di responsabilità amministrativa deriva dalla circostanza che la stessa struttura abbia deciso di non dotarsi di una apposita polizza assicurativa, ma abbia adottato “analoghe misure” per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie anche ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui al co. 3 art. 7. Orbene, si deve ipotizzare che la struttura pubblica non abbia subito conseguenze patrimoniali in base al titolo giudiziale derivante dalla condanna al risarcimento del danno (in questo caso richiesto ed ottenuto direttamente verso l’esercente la professione sanitaria, quindi senza che la struttura pubblica sia stata evocata in giudizio), ma dal (maggior) costo sopportato qualora abbia deciso di surrogarsi nella prestazione risarcitoria al proprio sanitario. Nel secondo caso l’azione di responsabilità amministrativa appare comunque eventuale: si tratta dell’ipotesi in cui la struttura pubblica si sia dotata di una polizza assicurativa per responsabilità civile verso terzi per effetto della cui franchigia sia tenuta ad un esborso di denaro verso il danneggiato, ed il convenuto condannato al risarcimento del danno (cioè l’esercente la professione sanitaria) non vi abbia provveduto (o la propria assicurazione non provveda alla copertura della eventuale franchigia prevista nella polizza stipulata dalla struttura pubblica). In entrambi i casi il titolo in base al quale può essere esperita l’azione di responsabilità amministrativa non riguarda, a ben vedere, il risarcimento del danno, ma le forme di responsabilità direttamente derivanti dall’applicazione delle previsioni di cui all’art. 10 della legge, con conseguente spostamento dell’asse dell’accertamento in sede di giurisdizione contabile sul mancato rispetto di norme inderogabili di legge6.
Tranne il caso dell’improvvido richiamo al co. 3, art. 7, si ricava dalla norma che il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa sia l’avvenuto pagamento da parte della struttura pubblica del risarcimento del danno derivante dalla prestazione medica resa dal professionista di appartenenza (co. 5, art. 9). Viceversa il co. 2, art. 9, relativo all’azione di rivalsa esperibile di fronte al giudice ordinario, si riferisce sia al caso del giudizio, che alla procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, ed analogo richiamo alla transazione è contenuto nel co. 4. Sulla base del dato letterale l’azione di responsabilità amministrativa sembrerebbe esperibile, a differenza dell’azione di rivalsa, solamente in caso di accoglimento di una domanda di risarcimento. Non altrettanto sarebbe possibile nel caso in cui la struttura pubblica abbia concluso una transazione con il danneggiato, in quanto una simile fattispecie, diversamente da quanto previsto espressamente dal co. 2, art. 9 con riferimento all’azione di rivalsa ordinaria, non è contemplata quale presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa. Una simile conclusione non appare tuttavia sostenibile7. Per un verso essa appare smentita dal tenore dell’art. 13, l. n. 24/2017, il quale prevede non solo che le strutture sanitarie (sia pubbliche che private) comunichino all’esercente la professione sanitaria, l’instaurazione di un giudizio proposto nei loro confronti dal danneggiato, ma anche l’avvio di trattative stragiudiziali con invito a prendervi parte. Per altro verso soccorrono ragioni sistematiche: in tema di responsabilità erariale, la giurisdizione civile (e quella penale) e la giurisdizione contabile, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, con la conseguenza che la responsabilità amministrativa non è affatto preclusa dall’accordo transattivo tra l’ente e il responsabile (in ragione dell’ufficialità, obbligatorietà ed irretrattabilità dell’azione di responsabilità amministrativocontabile, della quale né l’amministrazione danneggiata né lo stesso procuratore contabile possono disporre)8.
La ripetuta affermazione dell’autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa9 rispetto a quello civile comporta approdi ulteriori sul piano dei rapporti tra i due accadimenti processuali. Secondo la giurisprudenza contabile la sentenza pronunciata nel procedimento civile per risarcimento del danno, promosso dal danneggiato nei confronti dell’amministrazione, non ha efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità amministrativa10, ancorché al giudizio civile abbia partecipato il pubblico dipendente, autore del fatto lesivo, convenuto in solido con l’amministrazione11. Nel giudizio di rivalsa di fronte al giudice ordinario la decisione pronunciata nel giudizio impetrato contro la struttura sanitaria privata non fa stato se il professionista non è stato parte del giudizio (se ne ricava che se l’esercente la professione sanitaria vi abbia partecipato vale la regola contraria): altrettanto non può dirsi per il giudizio sulla responsabilità amministrativa, nell’ambito del quale comunque (sia che il professionista vi abbia partecipato o meno, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti) la sentenza pronunciata nel giudizio civile non esplica effetti vincolanti. Non appare dunque garantita l’unità strutturale dell’azione con effetti di possibile disparità di trattamento, a fronte della sostanziale omogeneizzazione della responsabilità professionale, equiparata quanto al profilo soggettivo sia per l’esercente in ambito privato che pubblico. Altro aspetto problematico è rappresentato dagli effetti della norma contenuta nell’art. 13, l. n. 24/2017 sugli obblighi di comunicazione nei confronti dell’esercente la professione sanitaria relativi alla proposizione di una azione nei loro confronti o dell’inizio di una procedura stragiudiziale con il danneggiato, la cui omissione, tardività o incompletezza preclude l’ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa. Poiché la finalità di una simile disposizione è chiaramente rivolta a consentire l’esercizio del diritto di difesa dell’esercente la professione sanitaria già nell’ambito del giudizio proposto dal danneggiato, deriva dall’impianto complessivo della riforma che la mancata partecipazione al giudizio proposto dal danneggiato non sia poi così irrilevante: dovendo presumibilmente distinguersi tra il caso in cui il professionista non sia stato posto nella condizione di prendere parte al giudizio civile proposto dal danneggiato contro la struttura (nel qual caso sarebbe precluso l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa: identica peraltro è la conclusione, anche in questo caso eversiva rispetto ai consueti canoni della giurisprudenza contabile, della mancata partecipazione dell’esercente la professione sanitaria alle trattative con il danneggiato che possono concludersi con un atto transattivo); ed il caso in cui il professionista, pur edotto della proposizione dell’azione, abbia deciso comunque di non prendervi parte (nel qual caso sarebbe viceversa ammissibile l’azione per responsabilità amministrativa, sebbene il giudice contabile non possa trarre argomenti di prova dal giudizio civile, perché comunque il professionista non vi ha preso parte, ai sensi del co. 7, art. 9). Ancora più perplessa appare la possibile ricostruzione, in base alla novella, degli effetti partecipativi al giudizio risarcitorio, proposto dal danneggiato di fronte al giudice civile, dell’esercente la professione sanitaria: il giudice contabile può desumere “argomenti di prova” dal giudizio risarcitorio impetrato contro la struttura sanitaria pubblica se il professionista vi abbia partecipato. In ordine a questo ultimo profilo si deve rammentare che la giurisprudenza della Corte dei conti aveva affermato che possono essere utilizzate autonomamente dal giudice contabile, come fonte del proprio libero convincimento, le prove raccolte in altro giudizio (penale o civile) ricavandole dalla sentenza oppure direttamente dagli atti del relativo processo, e che nell’ambito del giudizio contabile, pur potendo trarre dalla controversia dedotta innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria utili elementi di cognizione, alla stessa stregua di ogni altro elemento processuale, è libera di accertare e valutare i fatti ai fini della pronuncia circa l’an o il quantum della contestata responsabilità amministrativa. La disposizione del co. 7, art. 9, l. n. 24/2017 appare innovativa (rispetto alle acquisizioni della giurisdizione contabile) solo per aver imposto che detto effetto si realizza solo in quanto il convenuto nell’azione di responsabilità amministrativa vi abbia preso parte.
La disposizione dell’art. 1, l. 14.1.1994, n. 20 dispone che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (co. 1); e che qualora la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, l’azione è proponibile entro cinque anni dalla data in cui la prescrizione è maturata (co. 3). Non vi è alcuna ragione letterale per dubitare che il termine per la proposizione dell’azione di responsabilità amministrativa, in assenza di una diversa indicazione normativa ricavabile del co. 5, art. 9, sia quindi prescrizionale e quinquennale: tuttavia, anche in questo caso sembra necessario segnalare una ulteriore aporia, in quanto il co. 2, art. 9 relativo all’azione di rivalsa di fronte al giudice ordinario dispone che se l’esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l’azione di rivalsa nei suoi confronti può essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale ed è esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto pagamento. In base ai primi commenti12 detta proposizione normativa individuerebbe un presupposto oggettivo (deve esistere un titolo risarcitorio giudiziale o stragiudiziale), un secondo presupposto oggettivo (l’avvenuto pagamento), ed un termine di decadenza annuale (e non più di prescrizione), per l’esercizio dell’azione di rivalsa: in realtà né i lavori parlamentari13, né i primi commenti chiariscono cosa succeda, con riferimento all’azione di rivalsa ed ai termini entro i quali debba essere proposta, se l’esercente la professione sanitaria abbia partecipato al giudizio instaurato dal danneggiato, perché da questi convenuto,
o perché interveniente nel processo, o perché chiamato dalla struttura sanitaria privata a prendervi parte. In ogni caso appare chiaro che la mancata partecipazione dell’esercente la professione sanitaria al giudizio risarcitorio promosso dal danneggiato (quando non sia dipesa dal mancato adempimento dell’obbligo di cui all’art. 13 della legge, che è addirittura preclusivo dell’esercizio del diritto di azione in rivalsa) comporta un termine di decadenza annuale decorrente dal pagamento (e non dal passaggio in giudicato della decisione che ne costituisce titolo). Non altrettanto può affermarsi per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa: come si è già detto il co. 5, art. 9 contempla l’ipotesi dell’accoglimento della domanda risarcitoria del danneggiato nei confronti della struttura sanitaria pubblica: si deve presumere che in questo caso l’esercente la professione sanitaria non sia stato condannato: i) perché non evocato in giudizio ed abbia comunque deciso di non prendervi parte; ii) perché non evocato in giudizio e non sia stato posto nella condizione di prendervi parte: iii) perché evocato in giudizio, vi abbia preso parte, ma sia risultato del tutto estraneo ad ogni forma di responsabilità per dolo o colpa grave. Premesso che nei casi sub ii) e iii) l’esercente la professione sanitaria non può essere destinatario di alcuna azione di responsabilità amministrativa (perché preclusa ai sensi dell’art. 13 della legge, o perché manca del tutto l’elemento soggettivo14) resta solamente il caso sub i): per il quale non possono valere le previsioni del co. 2, art. 9 (e cioè termine di decadenza annuale e non di prescrizione quinquennale per il generale esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa), ma solo quelle generali derivanti dall’applicazione dell’art. 1, l. n. 20/1994. Una simile conclusione, ancorché stridente con il principio di uguaglianza e ragionevolezza e più in generale con l’impianto della legge (che è diretta a limitare i profili di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria) appare comunque l’unica possibile. In primo luogo perché il co. 2, art. 9 si riferisce espressamente all’azione di rivalsa, e non anche a quella di responsabilità amministrativa; in secondo luogo perché a sua volta il co. 2, art.9 costituisce norma eccezionale e derogatoria rispetto agli ordinari termini prescrizionali, e non può trovare applicazione estensiva o analogica a fattispecie che risultano diversamente regolate. Un tratto comune alle due discipline deriva invece dalla individuazione del dies a quo per il computo del termine: come si è visto per l’azione di rivalsa (termine di decadenza annuale) esso decorre dalla data dell’avvenuto pagamento; altrettanto può dirsi per il termine di prescrizione quinquennale dell’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa (in tutti i casi, sia che il professionista abbia preso parte o meno nel giudizio promosso dal danneggiato). Ciò deriva dalle più recenti decisioni della Corte dei conti sulla prescrizione il cui termine, a partire dalla sentenza a sezioni riunite 15.9.2011, n. 14, nel caso di cd. “danno indiretto” non può che coincidere con quello dell’effettivo pagamento delle somme, in quanto solo da detto momento si consuma il danno patrimoniale, e cioè la relativa diminuzione economica15.
Il co. 5, art. 9 prevede due disposizioni specifiche per la quantificazione del danno erariale. La prima attiene alla necessità di tener conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato, fermo restando quanto previsto dall’art. 1, co. 1-bis, l. n. 20/1994, e dall’articolo 52, co. 2, del testo unico di cui al R.d. 12.7.1934, n. 1214. A ben vedere la disposizione rappresenta una modalità attuativa del generale potere riduttivo previsto proprio dal richiamato R.d. n. 1214/1934: secondo la casistica della giurisprudenza contabile rientrano tra le circostanza oggettive ostative ad una piena imputazione del danno a carico del dipendente pubblico le particolari condizione di luogo e di tempo, il contributo di terzi alla causazione del danno, la disorganizzazione dell’ufficio, l’imponente carico di lavoro pregresso, ristrutturazioni dell’amministrazione, complessità organizzativa dell’ente, difficoltà oggettiva della materia, novità o complessità della normativa, urgenza del servizio, condizionamenti derivanti da pressioni sindacali. La seconda disposizione riguarda la fissazione di un limite alla misura della rivalsa pubblica. Il terzo periodo del co. 5, art. 9 stabilisce infatti che l’importo della condanna per la responsabilità amministrativa e della surrogazione di cui all’art. 1916, co. 1, c.c., per singolo evento, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo. Si tratta di una norma eccezionale che impone un tetto alle conseguenze patrimoniali del condannato al risarcimento del danno erariale, sia nei confronti dell’amministrazione che rispetto all’assicurazione che si sia surrogata al convenuto16. L’ultimo periodo del co. 5, art. 9 contiene una disposizione a contenuto sanzionatorio riferibile alle sole strutture sanitarie pubbliche: per i tre anni successivi al passaggio in giudicato della decisione di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato, l’esercente la professione sanitaria, nell’ambito delle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche, non può essere preposto ad incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti e il giudicato costituisce oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi per incarichi superiori. Si tratta di una sanzione amministrativa “nascosta”, di contenuto non pecuniario, e di applicazione pressoché automatica (nulla viene detto in ordine alle sue modalità applicative, né all’eventuale procedimento, né all’esercizio della discrezionalità da parte dell’amministrazione) che avrebbe dovuto aggiungersi (nelle intenzioni del legislatore) al conseguente e definitivo accertamento responsabilità per danno erariale. Ma come si è già specificato può ben darsi che la condanna della struttura pubblica al risarcimento del danno non comporti un analogo accertamento della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria. La formulazione della disposizione appare quindi di dubbia legittimità costituzionale, perché non afferisce ad alcun profilo di responsabilità personale. A tale proposito è stato correttamente osservato che mentre per le sanzioni pecuniarie la l. 24.11.1981, n. 689 definisce uno statuto generale, al quale l’interprete può fare riferimento nell’applicazione delle specifiche disposizioni sanzionatorie, un analogo regime non è stato garantito per le sanzioni amministrative non pecuniarie, alle quali il legislatore non ha inteso estendere – per lo meno espressamente – l’applicabilità dei principi generali definiti dalla richiamata legge17.
L’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione relativa alla “rivalsa” di strutture pubbliche nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, non appare solamente il modo di declinare diversamente il profilo della giurisdizione, ma implicitamente rafforza, sotto il profilo sostanziale, la natura “speciale” della responsabilità amministrativa, che appare dotata di un suo peculiare statuto che, in quanto tale, deve essere rispettato «quale che sia la sede processuale in cui si discute di esso»18. L’ascrizione legislativa dell’azione di responsabilità amministrativa in capo al pubblico ministero presso la Corte dei conti è foriera di specifiche conseguenze, sia sostanziali che processuali, che consentono di definire una linea di demarcazione rispetto alla “ordinaria” azione di rivalsa esperibile di fronte al giudice ordinario. Al di là della oggettiva diversità della struttura del processo civile rispetto a quello davanti al giudice contabile, ciò che rileva è la peculiare natura del processo di responsabilità amministrativa che ha come fondamento l’obbligo di corretta gestione gravante su chiunque sia legato da un rapporto di servizio con un’amministrazione: l’emersione della responsabilità amministrativa (che ha natura patrimoniale nella quale incorrono gli amministratori e i dipendenti che per inosservanza degli obblighi di servizio abbiano arrecato un danno all’amministrazione) si realizza nell’ambito di un giudizio che ha natura sia soggettiva che oggettiva19 ed è destinato alla tutela non tanto e non solo dell’interesse economico particolare e concreto dello Stato-persona o di altri enti pubblici, ma quello generale, proprio dello Stato-ordinamento, all’attuazione della legge20. La novella legislativa, pur avendo attribuito (o meglio confermato) la giurisdizione contabile sulle controversie in parola – ciò che avrebbe postulato il riconoscimento sul piano sostanziale della specialità del tipo di responsabilità ascritta all’esercente la professione, cioè quella amministrativa – ha colto l’occasione per uniformare la disciplina della rivalsa di fronte al giudice ordinario alla disciplina della responsabilità di stampo pubblicistico. Una simile scelta avrebbe però richiesto una maggiore ponderazione quanto alle conseguenze sul piano del relativo regime giuridico, rinvenendosi all’interno dell’art. 9, l. n. 24/2017 alcune aporie: ed infatti, l’equiparazione, in senso restrittivo, delle due forme di responsabilità (almeno sotto il profilo dell’elemento psicologico) avrebbe potuto condurre alla unificazione del plesso giurisdizionale di riferimento, per ragioni di uniformità e parità di trattamento tra identiche situazioni fattuali originative della responsabilità del personale sanitario: viceversa la scelta di declinare diversamente la giurisdizione comporta evidenti differenze tra i due sistemi, in particolare per ciò che concerne la parziarietà della responsabilità erariale, e per ciò che attiene all’uso del potere riduttivo da parte della Corte dei conti, da esercitarsi peraltro con ampi poteri equitativi21 (il che invece non è nel caso della generale azione di rivalsa di cui ai co. 12 del medesimo art. 9, che essendo una normale azione giudiziaria civile è ancorata al principio della domanda, in cui è d’obbligo il rispetto del principio dell’art. 112 c.p.c. della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), nonché, come visto, dell’espressa previsione (che viceversa manca con riferimento all’azione di rivalsa ordinaria) dell’obbligo di tener conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato. In conclusione, la previsione di un doppio binario giurisdizionale per la responsabilità civile (in sede di rivalsa) e quella amministrativa, ha di fatto introdotto un regime differenziato che non si limita ai soli profili processuali o alla titolarità dell’azione, ma investe questioni sostanziali relative alla stessa natura della responsabilità: tuttavia, il venir meno del fondamentale discrimine tra le due ipotesi di rivalsa, e cioè quello fondato sulla diversa estensione dell’elemento psicologico (oggi, si ribadisce, limitato in entrambi i casi al dolo ed alla colpa grave), dequota la giustificazione della diversità del rito e delle conseguenti implicazioni in ordine agli effetti patrimoniali derivanti dalla decisione (con possibili implicazioni sulla resistibilità in punto di legittimità costituzionale della diversità di regime con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.)22.
Note
1 Tenore, V., L’azione di responsabilità amministrativa innanzi alla Corte dei Conti, in Gelli, F.Hazan, M.Zorzit, D., a cura di, La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione. Commento sistematico alla legge 8 marzo 2017, n.24 (cd Legge Gelli), Milano, 2017, 471; Fiore, A., La responsabilità amministrativa presso la Corte dei Conti, in AA.VV., Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, Roma, 2017.
2 C. cost., 29.1.1993, n. 24; C. cost., 30.12.1987, n. 641; C. cost., 2.6.1977, n. 102. Sul tema v. Sorace, D., La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione della pubblica amministrazione: compatibilità, adattabilità o esaurimento del ruolo? in Dir. amm., 2006, 255; Avallone, P.Tarullo, S., Il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei Conti, Padova, 2002, 33.
3 Cass. S.U., 14.1.2015, n. 473; Cass. S.U., 22.9.2014, n. 19881; Cass. S.U., 9.2.2011, n. 3165.
4 C. conti, Toscana, sez. giurisd., 26.2.2009, n. 29.
5 Dossier del Servizio Studi sull’A.S. n. 2224A “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
6 Contra Tenore, V., op. cit., 473.
7 La giurisprudenza contabile ritiene pacificamente la idoneità della transazione a rappresentare fondamento dell’azione di danno erariale da parte della Procura regionale, anche nei casi in cui il danno origini da condotte del dipendente legato alla p.a. dal rapporto di servizio ed egli sia rimasto processualmente estraneo alle trattative (C. conti, Calabria, 10.6.2015, n. 111: in tema di responsabilità medica cfr. C. conti, Emilia Romagna, 17.7.2014, n. 124 e C. conti, sez. giurisd. Piemonte, 5.10.2012, n. 145).
8 Chindemi, D., Il danno erariale in materia di responsabilità medico-sanitaria, in Resp. civ. e prev., 2011, 5, 1166 ss.
9 Confermata dalla Cassazione per la quale l’azione di responsabilità contabile nei confronti dei sanitari dipendenti di un’azienda sanitaria non è sostitutiva delle ordinarie azioni civilistiche di responsabilità nei rapporti tra amministrazione e soggetti danneggiati, sicché, quando sia proposta da una azienda sanitaria domanda di manleva nei confronti dei propri medici, non sorge una questione di riparto tra giudice ordinario e contabile, attesa l’autonomia e non coincidenza delle due giurisdizioni. (Cass., S.U., 18.12.2014, n. 26659; Cass., S.U., 28.11.2013, n. 26582; Cass., S.U., 4.1.2012 n. 11; Cass., S.U., 4.12.2009, n. 25495). In dottrina, sul tema si v. Altieri, A., La responsabilità amministrativa per danno erariale, Milano 2012, 82 ss.; De Luca, M.Galione, A.Maccioni, S., La responsabilità medica, Milano, 2011, 490; Sciascia, M., Manuale di diritto processuale contabile, Milano 2012, 490 ss.
10 Ne consegue che la Corte dei conti può valutare autonomamente i fatti accertati nel processo civile, proprio perché le sentenze di condanna a carico della p.a. «non esplicano efficacia vincolante nel giudizio di responsabilità», così che «il giudice contabile può trarre da quel diverso giudizio elementi, quali prove testimoniali, consulenze ecc., utili a formare il proprio convincimento» (C. conti, III, centr. app., 25.10.2005, n. 623; C. conti, I, centr. app., 6.11.2002, n. 687).
11 C. conti, I, 14.1.2014, n. 43.
12 Bernardi, A., L’azione di rivalsa, in AA.VV. Sicurezza delle cure, cit., 124.
13 Dal Dossier Senato sul AC TU 259B (pagina 5) si evincerebbe che il termine di decadenza annuale si applichi indistintamente all’azione di rivalsa ed a quella di responsabilità amministrativa.
14 In verità, sempre in base al richiamato principio di autonomia dei giudizi (civile ed amministrativo-contabile) appare astrattamente possibile che anche una condanna per colpa lieve del professionista, o addirittura una sua totale estraneità al risarcimento per responsabilità aquiliana verso il danneggiato possa dare luogo all’esercizio di una azione per responsabilità amministrativa nei suoi confronti (ad esempio per la violazione di obblighi di servizio non rilevati nel giudizio promosso dal danneggiato, ma causativi di danno erariale).
15 Cfr. anche C. conti, App., III, 18.2.2015, n. 91; C. conti, II d’Appello, 23.12.2014, n. 756; C. conti, I d’Appello, 15.5.2013, n. 323; C. conti, II d’Appello, 28.1.2014, n. 28; C. conti, II d’Appello, 23.7.2013, n. 479. In dottrina v. D’Angelo, L., Danno erariale indiretto e prescrizione, in Corriere del merito, 2012, 427 e ss.; parzialmente difforme Fiore, A., op.cit., 138; contra si v. Tenore, V., op. cit., 494-495 secondo cui il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa, decorrerebbe dal momento in cui sia intervenuto il formale giudicato di condanna della p.a. al risarcimento del danno.
16 Sul tema cfr. Tenore, V., op. cit., 498. L’Autore dubita della legittimità costituzionale della norma in esame per «irragionevole disparità di trattamento e per interferenze con la libera valutazione del giudice contabile (o civile) dei danni da quantificare».
17 Sandulli, M.A.Leoni, A., Sanzioni non pecuniarie della p.a., in Libro dell’anno del diritto 2015, Roma, 2015.
18 Scoca, F.G., La responsabilità amministrativa ed il suo processo, Torino, 1997, 4. Va inoltre rammentato che secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la materia della responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici coinvolge valutazioni che non toccano soltanto gli aspetti procedimentali del giudizio, ma investono scelte in ordine a diversi regimi sostanziali della responsabilità e del giudizio tali da comportare effetti diversi nei riguardi tanto dei responsabili che dei soggetti danneggiati, sicché soltanto al legislatore può spettare di valutare se e quali siano le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi insiti nella materia (Lamorgese, A., La responsabilità degli organi delle società a capitale pubblico tra Corte dei conti e giudice ordinario, in Giust. civ., 2013, 56, 237, che richiama C. cost. 5.12.2010, n. 355, secondo la quale l’ampliamento dei casi di responsabilità dei dipendenti pubblici «se non ragionevolmente limitata in senso oggettivo, è suscettibile di determinare un rallentamento nell‘efficacia e tempestività dell’azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, è demandato l’esercizio dell’attività amministrativa. D’altronde, a tale precipuo scopo risulta preordinato lo stesso potere discrezionale del giudice contabile (c.d. “potere riduttivo”) di graduare la condanna sulla base della gravità della colpa, così determinando il debito risarcitorio del convenuto (C. cost. n. 184 e 183 del 2007). E allo stesso scopo è preordinata anche la limitazione della responsabilità amministrativa ai casi di dolo o colpa grave (C. cost. n. 453 e 371 del 1998)».
19 Scoca, F.G., La responsabilità amministrativa, cit.
20 Torano, V., Il ricorso in unico grado alle sezioni riunite della Corte dei Conti avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall’Istat, in Dir. proc. amm., 2015, 2, 643.
21 C. conti, I, 4.3.2008, n. 117: il potere riduttivo non consiste in una mera diminuzione dell’addebito ma si connota quale strumento operativo offerto al giudice contabile al fine di enucleare, dal danno risarcibile, la quota che in concreto non sia strettamente riferibile a violazione dei doveri di ufficio da parte dell’autore del fatto lesivo e che, indipendentemente dal comportamento imputabile, sia stato piuttosto favorito o aggravato dal quadro obiettivo della realtà, soggettivamente e oggettivamente intesa, in cui il responsabile si sia trovato a operare (C. conti, I, 10.9.2003, n. 275). Il potere riduttivo è utilizzato, tra l’altro, nel caso di una situazione di maggior rischio derivante dall’esercizio di attività potenzialmente di danno, come nella professione medica (C. conti, I, 5.3.2009, n. 137).
22 Peraltro considerazioni non dissimili sono state formulate dalla dottrina con riferimento alla recente entrata in vigore del Codice della giustizia contabile (d.lgs. 26.8.2016, n. 174). In particolare mette conto sottolineare al riguardo che si è affermato (Clarich, M.Luiso, F.P.Travi, A., Prime osservazioni sul recente Codice del processo avanti alla Corte dei Conti, in Dir. proc. amm., 2016, 4, 1271 ss.), che «il modello italiano di responsabilità amministrativa affidato principalmente all’iniziativa della Procura contabile rappresenta un unicum nel panorama dei principali ordinamenti, atteso che negli altri Paesi l’iniziativa volta al recupero dei danni cagionati all’amministrazione è rimessa alle iniziative di quest’ultima».