La responsabilità del mediatore
È durata solo sette mesi la norma sulla mediazione obbligatoria, entrata definitivamente in vigore a marzo e dichiarata costituzionalmente illegittima ad ottobre. Nondimeno, l’ormai avvenuta definitiva strutturazione della figura del mediatore, ancorché il ricorso ad essa sia ormai solo facoltativo, ha posto agli interpreti il problema di individuare i contenuti ed i limiti della responsabilità civile della nuova figura professionale del mediatore e dell’organismo di mediazione cui appartiene. Tale responsabilità, sinora poco scandagliata dagli interpreti, è presa in considerazione dalla maggior parte dei regolamenti di procedura predisposti dai singoli organismi di mediazione attraverso clausole che, escludendo la responsabilità per i casi di colpa lieve, sollevano il sospetto di invalidità, per contrasto con le norme sulle clausole abusive nei contratti del consumatore.
Il 20.3.2012 è definitivamente ed integralmente entrato in vigore il d.lgs. 4.3.2010, n. 28, il cui art. 5 aveva introdotto per determinate categorie di controversie una condizione di procedibilità, rappresentata dall’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione dinanzi ad un mediatore professionale.
La nuova norma ha avuto tuttavia vita breve: il 24.12.2012 infatti la Corte costituzionale l’ha dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione, per violazione dell’art. 76 Cost. (eccesso di delega).
La decisione della Corte costituzionale, della quale al momento di redazione del presente scritto (ottobre 2012) non sono ancora state rese note le motivazioni, ha avuto l’effetto di: a) per i giudizi da iniziare, rendere superfluo il tentativo obbligatorio di mediazione; b) per i giudizi in corso, far decadere le eventuali eccezioni di improcedibilità sollevate dalle parti o rilevate d’ufficio, per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Deve tuttavia segnalarsi che allo stato non è possibile fare previsioni sul futuro della mediazione obbligatoria: pochi giorni dopo la decisione della Corte costituzionale diversi parlamentari hanno infatti annunciato la presentazione di vari emendamenti alla cd. legge di stabilità, attualmente in discussione alla Camera (si tratta del d.d.l. n. AC 5534-bis), con i quali si vorrebbe reintrodurre l’obbligatorietà della mediazione. Alla data di revisione del presente scritto (6.11.2012) tali emendamenti non risultano tuttavia ancora formalmente depositati nelle Commissioni parlamentari innanzi alle quali si sta esaminando in sede referente il suddetto d.d.l.
La responsabilità civile del mediatore è un mondo tutto ancora da scoprire: sia perché la legge sulla mediazione obbligatoria è entrata in vigore da troppo poco tempo per disporre di un sufficiente riscontro giurisprudenziale sulle questioni cui può aver dato luogo la condotta negligente del mediatore; sia perché tanto il d. lgs. n. 28/2010, quanto il regolamento di attuazione non hanno dedicato alcuna norma ad hoc alle questioni inerenti la responsabilità civile. Spetta dunque all’interprete ricostruire i contorni di questa forma di responsabilità, partendo dai principi generali.
Per stabilire dunque quando, nello svolgimento della sua attività, un mediatore possa ritenersi avere tenuto una condotta colposa, è necessario in primo luogo delineare il paradigma di condotta del mediatore diligente di cui all’art. 1176, co. 2, c.c., e cioè di un mediatore “medio”: con la precisazione che il mediatore “medio” di cui all’art. 1176, co. 2, c.c., non è affatto un mediatore “mediocre”, ma un mediatore “bravo”. Da molto tempo, infatti, la Corte di cassazione interpreta l’art. 1176 c.c. nel senso che il professionista “medio” di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., non è un professionista di medie capacità, ma al contrario è un professionista serio, aggiornato, competente: in poche parole, un professionista “bravo”.
L’attività di mediazione1 non è libera, ma è riservata a enti pubblici o privati definiti «organismi di mediazione» (art. 16 d.lgs. n. 28/2010), a condizione che soddisfino i requisiti prescritti dalla legge.
Tali requisiti sono essenzialmente due: a) il possesso di “garanzie di serietà ed efficienza”; b) l’iscrizione nel registro tenuto dal ministro della giustizia.
Essi si riducono alla sola iscrizione nel registro ministeriale per gli organismi di mediazione costituiti dagli ordini degli avvocati, dagli altri ordini professionali e dalle camere di commercio, i quali sono iscritti nel registro a semplice domanda (artt. 18 e 19 d.lgs. n. 28/2010). Ciò vuol dire che per i suddetti organismi di mediazione il possesso delle garanzie di «serietà ed efficienza» è presunto iuris et de iure.
Che cosa debba intendersi per «garanzie di serietà ed efficienza» è precisato dal d.m. n. 180/2010 (modificato dal d.m. 6.7.2011 n. 145), il quale specifica lo standard minimo di tale garanzie, distinguendo tra i requisiti che devono possedere gli organismi di mediazione, e quelli che devono possedere i mediatori di cui i primi intendano avvalersi.
L’art. 14 d.lgs. n. 28/2010, inoltre, detta gli obblighi gravanti sui mediatori nel corso dello svolgimento della propria attività. Tali obblighi sono divisibili in due categorie: obblighi nei confronti dell’organismo di appartenenza, ed obblighi nei confronti delle parti.
Gli obblighi nei confronti del primo sono essenzialmente tre:
a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento;
b) informare immediatamente l’organismo delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione;
c) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.
Nei confronti delle parti, invece, il mediatore è obbligato a: a) non assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati; b) non percepire compensi direttamente dalle parti; c) informare le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione; d) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative.
Numerosi sono le questioni problematiche derivanti dalla disciplina in materia di mediazione.
3.1 La competenza del mediatore
Qual è il modello di mediatore “medio”, ai sensi dell’art. 1176, co. 2, c.c., che emerge dal quadro normativo appena riassunto? Non possono esservi dubbi che il modello di mediatore delineato dal legislatore è quello di un professionista serio e preparato, molto competente, che sappia orientarsi perfettamente nelle materie che gli vengono sottoposte.
Tanto si desume dal generale dovere di «serietà ed efficienza» gravante sugli organismi (art. 16 d.lgs. n. 28/2010), il quale ovviamente comporta necessariamente che tali qualità debbano essere possedute anche da chi lavora per conto di essi; dall’obbligo di formazione continua (art. 4, co. 3, lett. b, d.m. n. 180/2010); dalla circostanza che ad essi debbano essere obbligatoriamente sottoposte, prima di adire il giudice, controversie in materie di grande delicatezza, di grande tecnicismo e di grande impatto su diritti fondamentali della persona (penso alle controversie in materia di responsabilità medica, successioni, diffamazione a mezzo stampa, contratti finanziari).
In verità, non pochi commentatori della nuova legge, e soprattutto moltissimi mediatori e formatori di mediatori, negano che il mediatore debba essere un tecnico, adducendo più o meno sofisticate teorie sulla diversità tra mediazione e giudizio. Secondo queste opinioni – in estrema sintesi – il mediatore non dovrebbe preoccuparsi di stabilire chi ha torto e chi ragione, perché la mediazione ha lo scopo di trovare una composizione vantaggiosa per entrambe le parti, non quella di accertare il diritto ed i fatti su cui si fonda.
Io non saprei dire se e quanto tali opinioni siano condivisibili dal punto di vista sociologico, psicologico ed epistemologico: tuttavia non ho dubbi che esse siano inaccettabili sul piano giuridico, e soprattutto non potranno mai valere a giustificare l’operato del mediatore negligente. Al mediatore infatti le parti debbono obbligatoriamente sottoporre controversie nelle quali non sono possibili composizioni salomoniche: l’errore del medico o c’è o manca: nel primo caso la domanda di risarcimento proposta dal paziente sarà fondata, nel secondo no. Pertanto il mediatore che, dinanzi ad un quadro di palese colpa del medico, che abbia causato al paziente un danno – poniamo – stimabile in 100.000, proponga al secondo di transigere la lite accettando il pagamento di 50.000 euro, non solo viene meno ai propri doveri, ma causa un danno ingiusto all’attore, precludendogli la possibilità di ottenere giudizialmente un ristoro ben maggiore. Lo stesso dicasi nel caso opposto, in cui il mediatore induca un medico a transigere la lite col paziente, previo pagamento di una somma di denaro, in un caso in cui palese dovesse essere l’assenza di colpa del sanitario o la sussistenza di una causa di giustificazione, come ad es. lo stato di necessità.
Dunque un primo punto fermo sul tema della responsabilità del mediatore è che il paradigma di mediatore “medio” di cui all’art. 1176, co. 2, c.c., è rappresentato da una figura di professionista che sia conoscitore della materia a lui sottoposta dalle parti della mediazione. Lo scostamento da tale paradigma costituisce una condotta colposa per imperizia, ai sensi della norma appena ricordata.
3.2 Le limitazioni di responsabilità
Non essendo il mediatore un libero professionista, deve escludersi che questi, ove causi un danno nell’esercizio della propria attività, possa invocare l’esimente di cui all’art. 2236 c.c., la quale esonera da responsabilità il professionista che, nello svolgere un incarico di speciale difficoltà, abbia causato un danno con colpa lieve.
Nondimeno, la pressoché totalità dei regolamenti di cui gli organismi di mediazione si sono dotati ai sensi dell’art. 7 d.m. n. 180/2010, contiene invariabilmente una clausola pressappoco del seguente tenore: «né l’organismo di mediazione, né il mediatore e i loro assistenti o collaboratori sono responsabili di atti o omissioni riguardanti la preparazione, lo svolgimento o la conclusione della Mediazione, tranne il caso di dolo o colpa grave»2.
Clausole di questo tipo, a mio avviso, debbono ritenersi invalide.
Si consideri infatti che il regolamento di procedura di cui all’art. 7 d.m. n. 180/2010 non è certo una fonte normativa: esso è precostituito da un privato (l’organismo di mediazione), ovvero da un ente pubblico che però agisce iure privatorum (l’ente di mediazione costituito dall’ente pubblico). Esso è destinato a regolare i rapporti tra l’organismo di mediazione e le parti che ad esso si rivolgeranno: e poiché non v’è dubbio che il rapporto tra il primo e le seconde abbia natura privatistica e contrattuale, nemmeno può dubitarsi che il regolamento abbia di conseguenza natura di atto negoziale. Più esattamente, i regolamenti di procedura costituiscono le condizioni generali del contratto che disciplinano il rapporto tra organismo di mediazione e parti della mediazione.
Ma se così è, la clausola che limita la responsabilità del mediatore e dell’organismo è vessatoria ai sensi dell’art. 1341, co. 2, c.c., e dunque nulla se non approvata specificamente per iscritto. Quando, poi, al mediatore si rivolga una parte che non abbia la veste di “professionista”, ma di consumatore, la clausola suddetta deve ritenersi irrimediabilmente nulla, quand’anche approvata espressamente per iscritto, ai sensi dell’art. 33 c. cons.
3.3 La responsabilità dell’organismo di mediazione
Non può sussistere alcun dubbio che l’organismo di mediazione debba rispondere, ai sensi dell’art. 1228 c.c., del danno causato dal mediatore alle parti. Chi si rivolge all’organismo di mediazione stipula infatti un contratto con l’organismo di mediazione, per l’adempimento del quale quest’ultimo si avvale del mediatore persona fisica: ricorrono dunque tutti i presupposti per l’applicabilità della norma appena citata.
Tuttavia gli strumenti predisposti dal legislatore per garantire alle parti la solvibilità degli organismi di mediazione, i casi di danni causato dal mediatore, appaiono insufficienti.
Due, in particolare, appaiono i punti delicati: a) le previsioni sulla capacità finanziaria; b) le previsioni sulla copertura assicurativa.
Sotto il primo profilo, l’art. 4, co. 2, lett. a), d.m. n. 180/2010, esige dall’organismo di mediazione, per l’iscrizione nel registro, il possesso di un «capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata», vale a dire 10.000 euro (art. 2462, co. 2, n. 4, c.c.).
Tuttavia pretendere da un lato che gli organismi di mediazione debbano «dare garanzie di serietà ed efficienza» (art. 16, co. 1, d.lgs. n. 28/2010), e dall’altro stabilire che un capitale di 10.000 euro sia sufficiente a garantire quella serietà e quell’efficienza, appare non dirò contraddittorio, ma francamente umoristico. Non si dimentichi che agli organismi di mediazione ci si deve obbligatoriamente rivolgere ove si intenda promuovere giudizi in materie che molto frequentemente danno vita a controversie di valore milionario: si pensi – a tacer d’altro – alla divisione di cospicui assi ereditari, ovvero alle domande di risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto, o ad ipotesi di colpa medica che abbiano causato rilevanti invalidità permanenti.
Né all’esiguità (diciamo meglio, l’inconsistenza) del capitale dell’organismo di mediazione può porre un valido rimedio l’obbligo di assicurazione, previsto dall’art. 4, co. 2, lett. b), d.m. n. 180/2010. La norma prescrive, quale requisito per l’iscrizione nel registro degli organismi di mediazione, «il possesso da parte del richiedete di una polizza assicurativa di importo non inferiore a 500.000 euro per la responsabilità a qualunque titolo derivante dallo svolgimento dell’attività di mediazione». A parte le improprietà lessicali cui il legislatore ci ha da tempo abituato3, il regolamento non chiarisce se il massimale minimo da esso previsto debba intendersi per anno, per sinistro o per persona danneggiata. In teoria, infatti, l’organismo potrebbe stipulare una polizza cd. “a scalare”, nella quale ogni sinistro va a defalcare il massimale originariamente pattuito; oppure una polizza che preveda un massimale di 500.000 euro per sinistro, con la conseguenza che si danneggiati sono più d’uno, quella somma andrà ripartita tra tutti i danneggiati. Aggiungasi che, non avendo questi ultimi alcuna azione diretta nei confronti dell’assicuratore dell’organismo di mediazione, l’assicuratore è obbligato soltanto a tenere indenne quest’ultimo dalle pretese dei danneggiati: egli pertanto si libererà pagando il massimale nelle mani dell’organismo, il quale potrebbe tranquillamente “dissolversi” dopo aver percepito la ricca prebenda, con buona pace delle parti danneggiati. E comunque, anche immaginando che tutti gli organismi abbiano il rigore di un Lucio Giunio Bruto, resterebbe il fatto che in assenza di previsioni normative ad hoc, nel caso di incapienza del massimale questo non si ripartirà tra gli aventi diritti in proporzione al rispettivo credito, sicché l’organismo potrà pagare i creditori a misura che si presentano.
Infine, quel che più rileva, la misura minima del massimale prevista dal regolamento (500.000 euro) appare del tutto inadeguata rispetto al tipo di controversie obbligatoriamente soggette al tentativo obbligatorio di mediazione, in special modo quelle concernenti i danni alla persona.
3.4 I danni risarcibili
Ovviamente molti sono i danni che in teoria un mediatore malaccorto potrebbe causare ai suoi “clienti”: dalla divulgazione di dati sensibili alla diffamazione, dalla soppressione di prove decisive al discredito commerciale dell’impresa. Tuttavia il rischio che teoricamente a me pare più incombente e più grave per la responsabilità del mediatore è quello di causare un danno da lesione del diritto di credito.
Come già visto, infatti, il mediatore ha il solo compito di favorire un componimento bonario tra le parti, e nello svolgimento di tale compiuto è ragionevole ritenere che egli eserciti un’attività di persuasione. Del resto, se il mediatore non fosse tenuto a persuadere le parti, non si capirebbe a cosa serva tale figura, posto che se le parti avessero già in animo di transigere la lite potrebbero farlo benissimo da sole, senza l’intervento di terzi.
La “persuasione” psicologica sul piano del diritto contrattuale prende il nome di induzione a contrarre. E poiché la transazione è un contratto, il mediatore che persuadesse una delle parti a conciliare l’avrebbe indotta a stipulare un contratto. In tale evenienza nulla quaestio se, a causa dell’intricato sovrapporsi di ragioni pro e contra ciascuna delle parti, la conciliazione evitasse una lite dall’esito incerto. Nessuna responsabilità sarebbe mai concepibile in tal caso per il mediatore.
Ma là dove, per contro, una delle parti avesse dalla sua ragioni solide e fornite di prova pronta ed evidente, e l’altra no, il mediatore che (per dolo, colpa o mal talento) inducesse la parte che ha verosimilmente ragione a conciliare, le arrecherebbe senza dubbio alcuno un danno. Si tratta di un danno da lesione del diritto di credito, consistente nella differenza tra la somma che la parte virtualmente nel giusto si induce ad accettare a titolo transattivo, e la somma che le sarebbe ragionevolmente spettata secondo diritto.
1 Definita dalla legge come l’assistenza prestata a due o più parti al fine di comporre una controversia (art. 1, lett. a, d.lgs. n. 28/2010).
2 Il numero degli organismi di mediazione è sterminato (al 10.1.2012 il registro del Ministero della giustizia ne annoverava 922, con punte di 183 nella sola provincia di Roma e 122 in quella di Napoli), il che non consente in questa sede una analisi a tappeto dei rispettivi regolamenti di procedura. Nondimeno qualsiasi ricerca sul web sui contenuti di qualsivoglia regolamento di procedura fa emergere indefettibilmente la suddetta clausola. Personalmente l’ho riscontrata nei regolamenti dei seguenti organismi di mediazione: Ordine degli Avvocati di Roma (art. 14); Conciliatio Adr (art. 16); Adr Association (art. 22); Concilium Italia (art. 9.2); Giurimed (art. 13); Associazione Italiana Mediazione Arbitrato Conciliazione - Aimac (art. 16); Conciliazione.net (art. 10.1); Ante Causam (art. 20); Dialogos (art. 15); Adr Medilapet (art. 10.1); InMedio (art. 15); AdrSicilia (art. 13); Trendcom (art. 13).
3 Una polizza non si “possiede”, ma si “stipula”; un’assicurazione della responsabilità civile non ha “un importo”, ma “un massimale”; l’assicurazione di cui si discorre è “della” responsabilità civile, non “per la” responsabilità civile.