Vedi La responsabilita medica dell'anno: 2016 - 2018
La responsabilità medica
L’articolo si propone di offrire una panoramica sulle prime applicazioni giurisprudenziali dell’art. 3 d.l. 13.9.2012, n. 158, cd. decreto Balduzzi, convertito con modifiche dalla l. 8.11.2012, n. 189, in materia di responsabilità medica con il quale si è cercato, da un lato, di ridurre l’area della responsabilità penale e civile del medico e di alleggerirne la posizione processuale e, dall’altro, di contenere i risarcimenti del danno. L’analisi è svolta con particolare riguardo alle principali tematiche sin qui emerse ossia il titolo di responsabilità del medico e della struttura sanitaria, anche alla luce del recente contrasto giurisprudenziale nell’ambito del Tribunale di Milano, ed il rispetto delle linee guida quale parametro di liquidazione del danno.
Negli ultimi mesi del 2014 e nei primi del 2015 la giurisprudenza ha approfondito le problematiche della natura della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria nei confronti del paziente alla luce del recente art. 3 d.l. 13.9.2012, n. 158 come convertito dalla l. 8.11.2012, n. 189 il cui disposto è apparso, inizialmente, dirompente rispetto alla consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito che aveva gradualmente fatto confluire tutte le fattispecie di responsabilità nell’ambito della responsabilità contrattuale, con la conseguenza dell’applicazione dei più favorevoli (per il paziente) regimi della ripartizione dell’onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione, tipici delle obbligazioni da contratto d’opera professionale. E ciò aveva fatto, a partire dagli anni novanta, ravvisando la fonte di tale tipo di responsabilità, quanto alla struttura sanitaria, nella conclusione, al momento della “accettazione” del paziente nella struttura, di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità avente ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di carattere sanitario che prestazioni secondarie ed accessorie quali quelle assistenziali e lato sensu alberghiere. La responsabilità dell’ente aveva, così, assunto carattere contrattuale in relazione sia a fatti di inadempimento propri della struttura che alle condotte dei medici dipendenti, in applicazione dell’art. 1228 c.c. sulla responsabilità del debitore per fatti dolosi o colposi degli ausiliari1. Quanto al medico dipendente, la giurisprudenza, valorizzando la sussistenza di un rapporto in cui il paziente si affida alle cure del medico ed il medico accetta di prestargliele, accolse la qualificazione della fonte del rapporto medico dipendentepaziente in termini di “contatto sociale”. La Corte di cassazione con sentenza del 22.1.1999, n. 589, in una situazione di forte contrasto giurisprudenziale, affermò infatti, che «l’obbligazione del medico dipendente dal servizio sanitario per responsabilità professionale nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contatto sociale” ha natura contrattuale». Atteso, poi, che al contatto sociale si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (in tal senso Cass., 19.4.2006, n. 9085), la relazione medicopaziente è stata ricondotta nell’alveo delle fonti delle obbligazioni quale «fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico» ai sensi dell’art. 1173 c.c. Nel contesto giurisprudenziale sopra enucleato, con l’intento di contrastare la cd. medicina difensiva e di contenere i risarcimenti dei danni cagionati da responsabilità medica si inserisce la riforma introdotta dall’art. 3 d.l. n. 158/2012 che riaccende un dibattito che si riteneva ormai sopito, disponendo, nella versione definitiva della legge di conversione n. 189/20122: «L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo».
A seguito della suddetta novità legislativa, nella giurisprudenza di merito e di legittimità si sono andati formando orientamenti giurisprudenziali radicalmente contrastanti. Se, infatti, eccettuate alcune statuizioni difformi3, la giurisprudenza appare orientata ad escludere che la riforma abbia interessato la responsabilità della struttura sanitaria, pubblica o privata, da ricondurre alla responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. sulla base della conclusione del cd. contratto di spedalità, l’inquadramento della responsabilità del medico è ampiamente discusso. Il contrasto si pone su di un piano sia teorico che pratico, dovendosi considerare la diversa disciplina della prescrizione, il diverso riparto dell’onere probatorio, sia in relazione alla colpa che al nesso di causalità, la differenza dei presupposti e dell’estensione stessa della responsabilità. Affermare la natura extracontrattuale della responsabilità del medico comporta, infatti, un aggravamento dell’onere della prova per il paziente danneggiato, soprattutto in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale avutasi a seguito della sentenza della Corte di cassazione, S.U., 30.10.2001, n. 13533 in ordine agli oneri probatori dell’inadempimento di un’obbligazione. Nella responsabilità contrattuale, infatti, il paziente deve provare esclusivamente il fatto dell’ospedalizzazione, da cui deriverebbe il contatto sociale col medico e quindi la pretesa risarcitoria nei confronti di costui, mentre spetta al medico – o alla struttura ospedaliera – fornire la prova liberatoria di aver fatto tutto quanto in proprio potere per evitare che il fatto dannoso si verificasse. Se invece si afferma la natura extracontrattuale della responsabilità del medico, sarà il paziente a dover provare la realizzazione di un fatto ingiusto e colpevole da parte del sanitario.
2.1 La giurisprudenza di merito
Nella giurisprudenza di merito un primo orientamento, per il momento maggioritario, ritiene che l’art. 3 non abbia mutato i criteri di imputazione della responsabilità civile del medico la quale resterebbe contrattuale. Per lo più le pronunce in tal senso sono fondate sul duplice rilievo che il legislatore del 2012 non è intervenuto sulle fonti delle obbligazioni previste nell’art. 1173 c.c. e che il richiamo all’art. 2043 c.c. è limitato all’individuazione di un obbligo («obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile», che equivale a dire «obbligo di risarcimento del danno»), senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria. Si tratterebbe di un atecnico rinvio alla responsabilità risarcitoria dell’esercente la professione sanitaria, che la norma fa salva anche in presenza di una condotta non più penalmente rilevante4. In altri termini la norma si sarebbe limitata a ribadire che, anche laddove il sanitario non sia chiamato a rispondere penalmente per colpa lieve, al danneggiato sarebbe in ogni caso garantito il diritto al risarcimento del danno in sede civile, lasciando libero l’interprete, in tale ambito, di individuare il modello di responsabilità da seguire. In tale ottica l’art. 2043 c.c. assumerebbe rilievo solo per il giudice penale per il caso di esercizio dell’azione civile in sede penale ed, al più, in sede civile nei soli casi in cui si ponga una questione di osservanza di linee guida accreditate ed il medico vi sia in concreto attenuto in base ad una scelta qualificabile in termini di colpa lieve5. Più di recente si è sottolineato6 che «con l’uso della suddetta locuzione con valenza “eccettuativa”, il legislatore – il cui intento era quello di regolamentare i soli profili penali – non ha espressamente e univocamente limitato i rimedi risarcitori esperibili, prevedendo, cioè, che a fronte delle suddette condotte, fosse esperibile solo il rimedio aquiliano». Secondo i fautori di tale impostazione il legislatore, «ove avesse effettivamente inteso ricondurre una volta per tutte la responsabilità del medico ospedaliero sotto il regime della responsabilità extracontrattuale, escludendo l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1218 c.c. e così cancellando lustri di elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione univoca anziché il breve inciso in commento»7. Sempre in tale ottica si sottolinea che la adozione del modello di responsabilità aquiliana in virtù del richiamo all’art. 2043 c.c. non consentirebbe di distinguere tra ipotesi pacificamente contrattuali, quali ad esempio quelle di rapporto fra paziente e medico libero professionista non inserito in una struttura sanitaria, ed ipotesi di responsabilità da contatto sociale, atteso che il richiamo viene dalla norma effettuato in relazione a tutte le condotte sanitarie astrattamente idonee ad integrare reato ed oggetto della esimente penale.
Secondo un altro indirizzo, invece, il legislatore, richiamando l’art. 2043 c.c. anziché l’art. 1218 c.c., avrebbe implicitamente ma consapevolmente e non per dimenticanza, ricondotto la responsabilità del sanitario in caso di colpa lieve all’illecito extracontrattuale, rappresentando ciò un ulteriore strumento per perseguire il dichiarato intento della legge di contrastare la medicina difensiva. Con la conseguenza che, in conseguenza della novella di cui all’art. 3, in assenza di un contratto con il paziente, la responsabilità del medico andrebbe ora ricondotta a quella da fatto illecito8 avendo il legislatore suggerito l’adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato anteriormente al 1999. Nello stesso senso si pongono altre pronunce9 secondo le quali l’art. 2043 c.c. sarebbe la norma cui ricondurre la responsabilità del medico pubblico dipendente avendo l’art. 3 d.l. n. 158/2012, cambiato il “diritto vivente” operando una scelta di campo del tutto chiara e congruente con la finalità di contenimento degli oneri risarcitori della sanità pubblica. Tale impostazione è stata, più di recente, confermata ed elaborata da una serie di pronunce del Tribunale di Milano, sez. I civile10, che, negando che l’art. 3 possa essere qualificato quale legge unicamente penale, stante i chiari riflessi civilistici sul piano risarcitorio, distinguono ipotesi di responsabilità contrattuali (quali quelle della struttura e quella del medico che ha stipulato un contratto con il paziente) ed ipotesi in cui, stante l’assenza di un contratto tra paziente e medico, alla luce del nuovo disposto normativo, la responsabilità andrebbe ricondotta nell’alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. I giudici milanesi, partendo dal rilievo che «compito dell’interprete non è quello di svuotare di significato la previsione normativa, bensì di attribuire alla norma il senso che può avere in base al suo tenore letterale e all’intenzione del legislatore», e che la norma è intervenuta in un contesto «tutt’altro che acquisito o unanimemente condiviso anche sotto il profilo ermeneutico»11, sottolineano che la riconduzione della responsabilità, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, nell’alveo della responsabilità da fatto illecito sia imposta tanto dalla lettera della norma, che richiama la norma cardine che prevede nell’ordinamento il risarcimento per fatto illecito (art. 2043 c.c.) e l’obbligo in essa previsto, quanto dall’inequivoca volontà del legislatore di contrastare la medicina difensiva e contenere la spesa sanitaria. L’adesione ad un modulo siffatto contribuirebbe, infatti, a realizzare tale finalità perché il medico vedrebbe alleggerito il suo onere probatorio, gravando sul paziente/danneggiato anche l’onere (non richiesto dall’art. 1218 c.c.) di provare l’elemento soggettivo di imputazione della responsabilità e godrebbe di un termine di prescrizione più breve.
2.2 La giurisprudenza di legittimità
La Corte di cassazione, nelle ancora rare pronunce in cui ha esaminato il tema in argomento, ha escluso ogni portata innovatrice dell’art. 3 d.l. n. 158/2012 ribadendo la validità dell’orientamento consolidato. In particolare nella sentenza n. 4030 del 19.2.2013, la Corte, seppur in un obiter, sottolinea che l’esimente penale non elide l’illecito civile, restando fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. che è clausola generale del neminem laedere, sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti umani inviolabili quale è la salute. La Corte afferma, poi, che la novella contenuta nell’art. 3 d.l. n. 158/2012 intende solo agevolare l’utile esercizio dell’arte medica evitando il pericolo di pretestuose azioni penali, senza modificare la materia della responsabilità civile che «segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la cd. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale». Con la successiva pronuncia n. 8940 del 17.4.201412, la Corte, affrontando più specificamente la questione dell’interpretazione della norma, afferma che l’art. 3 d.l. n. 158/2012, « là dove omette di precisare in che termini si riferisce all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significare che il legislatore si è preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni».
Uno dei (tanti) profili problematici dell’art. 3 d.l. n. 158/2012 che non appare essere stato ancora approfondito dalla giurisprudenza13 è rappresentato dal senso da attribuire al precetto secondo cui il giudice «nella determinazione del risarcimento del danno» tiene debitamente conto della condotta del medico che abbia rispettato le linee guida. In base alla lettera della norma sembrerebbe doversi ritenere che il rispetto delle linee guida incida in qualche modo nella quantificazione del danno civile. Il legislatore, tuttavia, tace del tutto sul come il giudice debba tenere conto della condotta osservante delle linee guida in sede di quantificazione. Se, infatti, è comprensibile e condivisibile che il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche costituisca un fattore rilevante sul piano dell’accertamento della colpa, desta non poche perplessità l’estensione di tale rilevanza ai fini del quantum debeatur. In primo luogo non è chiaro se il richiamo alla «condotta di cui al primo periodo» sia limitato, come apparirebbe dalla lettera della norma, all’ipotesi di condotta osservante delle linee guida e buone pratiche – e dunque nel senso di diminuire il risarcimento con funzione latamente premiale – o vada esteso anche a quella inversa del medico che non vi si sia attenuto – con conseguente aumento del risarcimento. In secondo luogo non si comprende come effettuare la determinazione del danno in senso riduttivo e se la riduzione possa effettuarsi in relazione a tutte le voci di danno (patrimoniale e non patrimoniale) ovvero solo ad alcune di esse. In ogni caso, la previsione normativa appare problematica determinando un allontanamento del risarcimento del danno dalla logica riparatoria che la Corte di cassazione ha ritenuto precipua ed esclusiva finalità della responsabilità civile14. Quanto all’ipotesi di condotta rispettosa delle linee guida, l’enunciazione di una direttiva tesa alla riduzione del risarcimento appare, inoltre, del tutto contrastante con il cd. principio di integralità del risarcimento del danno, che sarebbe evidentemente vulnerato dalla possibilità, contemplata dalla norma in esame, di una riduzione del danno risarcibile in base all’accertamento di una determinata condotta dell’agente, considerata sin qui dalla giurisprudenza, elemento del tutto irrilevante a differenza di quanto accade in campo penale.
1 La Suprema Corte con la nota sentenza, S.U., 11.1.2008, n. 577 aveva prestato sostanziale adesione a tale opzione ermeneutica affermando che la responsabilità per inadempimento della struttura si muove sulle linee tracciate dall’art. 1218 c.c. e, per quanto concerne le obbligazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, sulla base dell’art. 1228 c.c.
2 Nella versione antecedente alla legge di conversione l’art. 3 del decreto prevedeva che «fermo restando il disposto dell’art. 2236 c.c., nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il Giudice, ai sensi dell’art. 1176 c.c., tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale».
3 Trib. Torino, 26.2.2013, in Danno e resp., 2013, 373 ss., e successivamente Id., 17.4.2013, 27.2.2014 e 31.03.2014, afferma la necessità di ricondurre tutte le ipotesi di responsabilità sia della struttura che del medico nell’ambito della responsabilità contrattuale.
4 Trib. Arezzo, 14.02.2013, in Danno e resp., 2013, 368 ss.; Trib. Caltanissetta, 1.7.2013, in Resp. civ. prev., 2013, 1980 ss; Trib Cremona, 19.9.2013, in Nuova giur. civ. comm., 2014, 452 ss.; Trib. Firenze, 12.2.2014, in Riv. it. med. leg., 2014, 737; Trib. Bari, 30.4.2014, n. 2141; Trib. Torino, 8.10.2014, n. 6349.
5 Trib. Rovereto, 29.12.2013, in www.penalecontemporaneo.it.
6 Trib. Brindisi, 18.7.2014, in Danno e resp., 2015, 56 ss.
7 Trib. Milano, sez. V, 18.11.2014, n. 13574 in aperto contrasto con le statuizioni della sez. I del medesimo tribunale su cui infra.
8 Trib. Varese, 26.11.2012, n. 1406, in Danno e resp., 2013, 373 ss. tra le prime pronunce sull’art. 3
9 Trib. Torino, 26.2.2013, in Danno e resp., 2013, 373 ss.
10 Trib. Milano, 14.6.2014 e Trib. Milano, 17.7.2014 entrambe in Danno e resp., 2015, 47; Trib. Milano, 2.12.2014, n. 14320, in Resp. civ. prev., 2015, 167.
11 Trib. Milano, 2.12.2014, n. 14320, cit.
12 In senso conforme Cass., 24.12.2014, n. 27391.
13 Trib. Rovereto, 29.12.2013, cit.
14 cfr. Cass., 8.2.2012, n. 1781; Cass., 12.6.2008, n. 15814; Cass., 19.1.2007, n. 1183.