La responsabilità precontrattuale
La frontiera più avanzata della riflessione in materia di responsabilità precontrattuale è quella che ha approfondito, da ultimo, il problema della natura della medesima: e questo sia in relazione alle ricadute pratiche ed applicative della soluzione prescelta, sia per le innervature sistematiche che, da questo angolo visuale, la responsabilità precontrattuale esibisce, in particolare con riferimento al controverso nodo della responsabilità da cd. contatto sociale. La rilevazione, sullo specifico profilo della natura della responsabilità precontrattuale, degli orientamenti della Corte di cassazione, pur in presenza di pronunce ampiamente motivate che accreditano, da ultimo, la tesi della natura da inadempimento di un’obbligazione preesistente di quella responsabilità, non permette tuttavia di considerare definitivamente sopito il dibattito giurisprudenziale in materia.
L’elemento di maggiore novità, nella elaborazione giurisprudenziale ultima sul tema della responsabilità precontrattuale, è certamente rappresentato dalla riconsiderazione della sua natura. Una recente sentenza – Cass., 12.7.2016 n. 141881 – ha qualificato la responsabilità precontrattuale come responsabilità da inadempimento di un’obbligazione preesistente, nell’ambito di un dibattito giurisprudenziale che solo in anni ancora recenti aveva mostrato di orientarsi verso questa soluzione. Era stato, infatti, necessario ben più di mezzo secolo2 per giungere ad accreditare, nella giurisprudenza della Corte di cassazione3, le conclusioni (anche se non tutte le argomentazioni) dell’orientamento dottrinale il quale, già nel 1956, aveva sottolineato che «con la disposizione dell’art. 1337 il nuovo legislatore ha esteso l’imperativo della buona fede alla fase delle trattative e della formazione del contratto, e ciò importa che gli obblighi reciproci di correttezza, di cui parla l’art. 1175 c.c., sorgono già in questa fase in funzione dello specifico interesse di protezione di ciascuna parte nei confronti dell’altra in quanto tale, in quanto cioè, attraverso la relazione instaurata dalle trattative, viene investita di una specifica possibilità (che altrimenti non avrebbe) di ingerenze dannose nella sfera giuridica della controparte»4. Ed infatti, aveva osservato ancora l’Autore il pensiero del quale si è appena evocato, imperniando appunto su questa premessa la conclusione nel senso che la responsabilità precontrattuale configurasse un’ipotesi di responsabilità da inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, «quando una norma giuridica assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione sociale si è trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio, il cui contenuto si tratta appunto di specificare a stregua di una valutazione di buona fede». La sequenza argomentativa proposta dall’Autore che abbiamo appena menzionato era, invero, così lucida e serrata, ed a tal punto corrispondente all’essenza stessa del fenomeno socioeconomico da regolare5, oltre che al dato normativo per la disciplina dello stesso apprestato dal codice civile vigente, da rendere difficile comprendere il senso della resistenza degli indirizzi giurisprudenziali, in particolare proprio della Suprema Corte6, a questa ricostruzione. L’elaborazione giurisprudenziale della materia della responsabilità precontrattuale si sta, dunque, affrancando dall’anomalia che aveva visto circoscritto alla sola area della riflessione dottrinale il dibattito sulla natura della responsabilità precontrattuale, in presenza, invece, di «un orientamento della giurisprudenza, specie di legittimità, tanto granitico, quanto sordo ad ogni contraria sollecitazione, nel ripetere tralaticiamente lo slogan sulla natura extracontrattuale della responsabilità»7. Si tratta, comunque, di un dibattito ancora aperto. Infatti, dopo le due sentenze della Suprema Corte del 2011 poc’anzi citate, che, per prime, avevano revocato in discussione il precedente indirizzo giurisprudenziale sul tema della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, non si era certo delineata un’immediata condivisione, a livello di giurisprudenza di legittimità, della nuova impostazione8; ed un discorso analogo deve essere ripetuto anche per l’orientamento giurisprudenziale successivo a Cass. n. 14188/20169, così da non potersi escludere, nel prossimo futuro, un intervento delle Sezioni Unite.
Si tratta ora di approfondire ulteriormente le prospettive delineate da Cass. n. 14188/16.
Il tasso di novità della sentenza si apprezza ulteriormente ove si consideri il ribaltamento che essa attua del precedente indirizzo di segno opposto, sicuramente autorevole anch’esso10, ma per certi versi addirittura incomprensibile nei suoi referenti argomentativi, affidati, essenzialmente, alla considerazione che, per definizione, nella fase delle trattative funzionali alla conclusione del contratto non è dato ravvisare la fattispecie di quest’ultimo e, dunque, la responsabilità che dalla violazione di un’obbligazione di fonte contrattuale discenderebbe. Considerazione, quest’ultima, che era stata già da tempo confutata dalle punte più avanzate e consapevoli della elaborazione giurisprudenziale, secondo le quali «la responsabilità nella quale incorre ‘il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta’ (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell’accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui esso dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte», poiché «in tale contesto la qualificazione ‘contrattuale’ non vale a circoscriverne la portata entro i limiti che il significato letterale di detta espressione potrebbe altrimenti suggerire, ma, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tipi tradizionali di responsabilità, essa può discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti (anche non dal contratto, bensì) dal semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento»11. Opportunamente, dunque, la sentenza n. 14188/2016 della Suprema Corte non si è lasciata influenzare dal rilievo che la tesi della qualificazione della responsabilità precontrattuale come extracontrattuale fosse stata condivisa anche dalla Corte di giustizia12. Quest’ultima – chiamata a decidere se le controversie in materia di responsabilità precontrattuale rientrassero, ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale, nell’ambito dell’art. 5 punto 1 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 oppure all’interno dell’art. 5, punto 3 – aveva accreditato quest’ultima soluzione; ed aveva imperniato la propria conclusione sul punto sul duplice rilievo che il concetto di «materia contrattuale», cui ha riguardo l’art. 5, punto 1, si deve intendere come restrittivamente riferito soltanto agli «obblighi liberamente assunti da una parte nei confronti dell’altra», non estendendosi, dunque, agli obblighi legali e che, nel sistema della Convenzione, l’ambito coperto dalla nozione di delitto o di quasi delitto, in relazione all’art. 5, punto 3, deve essere considerato come complementare a quello di materia contrattuale, così da prestarsi ad inquadrare qualsiasi domanda tale da coinvolgere la responsabilità di un convenuto e che non si ricolleghi alla materia contrattuale di cui all’art. 5, punto 1. Su tali premesse, la responsabilità precontrattuale, in quanto derivante dalla violazione dell’obbligo legale, e non volontario, di comportarsi secondo buona fede nelle trattative, rientrerebbe appunto nel campo di applicazione dell’art. 5, punto 3. Colgono allora pienamente nel segno le critiche che sono state mosse alla decisione della Corte di giustizia appena richiamata, laddove si è osservato, in particolare, che essa risulta inficiata dalla omessa considerazione di due aspetti essenziali della questione: e cioè che la contrattualità è qualifica da riferire, in tale contesto, non all’atto ma al rapporto, mentre è insostenibile l’abbassamento della relazione precontrattuale all’area del non rapporto13, se non altro perché, in tale ipotesi, risulterebbe perfino difficile sostenere fino in fondo la tesi della risarcibilità del danno che si sia verificato durante le trattative, poiché è solo la dimensione del rapporto, e dell’obbligo di buona fede che lo permea, secondo la disposizione dell’art. 1337 c.c., a dare una spiegazione logica all’affermazione di risarcibilità del danno14.
La soluzione in merito alla qualificazione della responsabilità precontrattuale raggiunta consente di attingere un esito sistematico ed applicativo assai più persuasivo in particolare dal punto di vista del riparto dell’onere della prova (non specificamente esaminato da Cass. n. 14188/2016), al contrario di quanto ritenuto dagli autori che, non solo da ultimo15, hanno invece condiviso la tesi contraria16. Infatti, colui che lamenta di essere stato danneggiato in una relazione precontrattuale dovrà dimostrare, al fine di ottenere il risarcimento domandato, oltre che il danno, la condotta antigiuridica, perché in questa si risolve la contrarietà a buona fede della medesima: cosicché l’unica peculiarità che si coglie, in questa materia, rispetto all’assetto dell’onere della prova nelle azioni discendenti da una fattispecie contrattuale, sta nel fatto che la concretizzazione della clausola generale di buona fede fonda il titolo, la cui consistenza compete, pertanto, all’attore di provare. D’altra parte, ed ove pure fosse veramente necessario, Cass. n. 14188/2016 ci dimostra che non può condividersi fino in fondo il rilievo di chi aveva spiegato l’orientamento giurisprudenziale nel senso della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, in precedenza appunto monolitico, quasi nei termini di uno scarso interesse del problema, destinato a rimanere in sostanza irrilevante rispetto alla soluzione delle questioni pratiche che insorgono in materia17: ed infatti la sentenza esplicita, in particolare, la ricaduta della configurazione della responsabilità precontrattuale come responsabilità da inadempimento di un’obbligazione preesistente sul piano della disciplina della prescrizione applicabile alla relativa domanda risarcitoria18. In ogni caso, ed anche a voler prescindere dai corollari pratici della qualificazione della responsabilità precontrattuale come da inadempimento di un’obbligazione preesistente o aquiliana, l’accreditarsi del primo orientamento risulta di particolare importanza pure sotto il profilo che potremmo definire sistematico. Infatti, è solo una responsabilità precontrattuale restituita alla dimensione del rapporto, così come costruito tra le parti trattanti attorno alla regola di buona fede, che, come vedremo, può candidarsi davvero a costituire il modello normativo di riferimento per il proliferare di ipotesi di responsabilità da contatto sociale, che l’esperienza giurisprudenziale degli ultimi anni è venuta enucleando; ed in questo senso è significativo lo spazio che la motivazione di Cass. n. 14188/2016 dedica alla ricognizione delle ipotesi di responsabilità da contatto sociale che l’elaborazione giurisprudenziale della materia è venuta accreditando negli ultimi anni. Il modello di contatto sociale che emerge dal referente fattuale della sentenza n. 14188/2016, peraltro non dissimile da quello cui aveva riguardo Cass. n. 27648/201119 rappresenta, dunque, un esempio assai efficace di quello che può definirsi come un rapporto particolare20, che rinviene la sua fonte proprio nell’insorgenza di un affidamento dell’una parte sulla condotta dell’altra, affidamento reso giuridicamente rilevante dall’esistenza dell’obbligo di comportamento secondo buona fede. Si tratta, dunque, di situazioni che evocano, almeno in parte, i referenti fattuali ai quali ha riguardo la previsione del § 311 del BGB la cui introduzione, secondo quanto segnalato dalla dottrina italiana che per prima si era occupata della Modernisierung dello Schuldrecht, si spiega proprio in relazione all’esigenza di affermare chiaramente l’insorgenza di obblighi di protezione a seguito del contatto negoziale, che poteva ritenersi non rientrante nell’ambito della previsione del § 241, co. 2, BGB, laddove questo sembra presupporre un rapporto già costituito21. Trova, dunque, una conferma ulteriore, almeno sul piano giurisprudenziale, la categoria della responsabilità da contatto sociale, la cui sostenibilità teorica è stata invece di recente revocata in discussione in dottrina a partire da diversi angoli visuali22, ai quali può essere utile dedicare qualche sia pur brevissimo cenno. In particolare, e secondo una prima ricostruzione critica, osterebbe all’ammissibilità di una responsabilità da contatto sociale il fatto che il rapporto obbligatorio, la violazione del quale dovrebbe dare ad essa vita, vede il proprio oggetto limitato alla sola protezione della sfera giuridica altrui; non si potrebbe invece dare un obbligo di protezione sospeso, cioè non collegato a un obbligo primario di prestazione, perché l’obbligazione si identifica sempre con una prestazione del debitore. Si potrebbe ulteriormente argomentare, in questa prospettiva, che l’art. 1174 c.c. è sufficiente a dimostrare che l’obbligazione è prestazione nel momento in cui, come osservava un Autore al quale si deve una fondamentale impostazione del problema del rapporto obbligatorio23, quella disposizione delinea i tratti fisiognomici dell’obbligazione, affermando che l’obbligazione consiste nella prestazione. Questo tipo di obiezione – limitando in questa sede la riflessione su di essa a qualche assai sintetica notazione – non sembra tuttavia decisiva. In particolare, non pare sostenibile che l’art. 1174 c.c., o più a monte ancora l’idea stessa di obbligazione, precludano di ravvisare un’obbligazione anche là dove vi sia semplicemente una protezione. Infatti, quanto può essere utilmente inserito nell’ambito di un rapporto obbligatorio è inevitabilmente un dato concettuale aperto all’evoluzione storica, essendo sufficiente, in presenza della definizione codicistica dell’art. 1174 c.c., il fatto che l’oggetto dell’obbligazione sia suscettibile di valutazione economica. In altri termini, è sufficiente, per poter affermare l’esistenza di un rapporto giuridico obbligatorio, che esista qualcuno che, in un contesto di mercato, sia disposto a pagare un prezzo per quella data “prestazione”: ciò che ben può affermarsi anche per i contegni che si risolvano in una semplice protezione della sfera giuridica altrui. Neppure pare destinato a confutare la teoria della responsabilità da contatto sociale l’argomento imperniato sul timore di un uso eversivo della categoria, che sarebbe insito nell’idea che fonti di obbligazioni possano essere ravvisate in «semplici rapporti sociali, in sé e per sé considerati, rapporti la cui fisionomia un giudice potrebbe allora accertare in modo del tutto libero, e, soprattutto, incontrollabile, mancando un sistema normativo che possa essere utilizzato quale metro normativo utile per verificare la legittimità delle decisioni assunte»24. Infatti, ed anche qui limitandosi a qualche breve considerazione, la scelta normativa – nel senso di affidare all’interprete, sulla base di una valutazione dell’ordinamento nel suo complesso, la possibilità di individuare un atto o un fatto fonte di obbligazioni – è chiaramente operata dall’art. 1173 c.c.; e la consapevolezza dei possibili rischi connessi all’esercizio di questo potere del giudice, preziosa per evitare che essi si concretizzino, non può indurre a negare quella scelta. D’altra parte, il procedimento valutativo che può condurre, nel caso concreto, all’affermazione di un’ipotesi di responsabilità da contatto sociale, non è certo condizionato soltanto alla circostanza che il contatto sociale interessi beni costituzionalmente protetti25; ed infatti anche nella originaria elaborazione giurisprudenziale della teoria26 (ed ancora più chiaramente nella formulazione dottrinale che l’ha per prima accreditata27) l’argomento fondato sulla rilevanza costituzionale dei beni implicati si coniuga con quello della particolare intensità dell’affidamento che il paziente può ragionevolmente riporre sullo status professionale del medico e che concorre a creare un rapporto qualificato, tra il primo ed il secondo, così da rendere contrario alla sostanza economico-sociale del fenomeno respingere quel rapporto nell’area della responsabilità extracontrattuale. Occorre tuttavia dare atto che l’elaborazione dottrinale della categoria del contatto sociale qualificato sembra essere andata incontro ad una smentita, a livello di disciplina normativa dell’ipotesi di fatto con riferimento alla quale era stata, per la prima volta, affermata; e cioè la responsabilità, nei confronti del paziente, del medico inserito in una struttura ospedaliera pubblica o privata e con il quale il paziente stesso non abbia concluso un contratto d’opera professionale avente ad oggetto la prestazione di cura. Infatti, l’art. 7, co. 3, l. 8.3.2017, n. 24 afferma che «l’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente», così manifestando un’opzione qualificatoria della responsabilità del medico nel senso della natura extra-contrattule della medesima28.
1 Vedila pubblicata ad esempio in Resp civ. prev., 2016, 1492 ss., con nota di Scognamiglio, C., Responsabilità precontrattuale e contatto sociale qualificato.
2 Osserva Castronovo, C., La responsabilità precontrattuale, in Manuale di diritto privato europeo, II, a cura di C. Castronovo e S. Mazzamuto, Milano, 2007, 334 s., che «la responsabilità precontrattuale è andata incontro nella sua storia centocinquantenaria ad un destino paradossale. Tutti coloro che ne hanno approfondito l’aspetto teorico, da Jhering a Faggella, da Saleilles a Chironi, da Mengoni, a Benatti, a Turco, così come la totalità della dottrina tedesca, ne hanno affermato la natura contrattuale, anche se di età in età sono cambiati i punti di riferimento ai quali tale contrattualità ha potuto essere ricondotta», mentre «la giurisprudenza italiana e l’altra metà della dottrina italiana sostengono che la responsabilità precontrattuale ha natura aquiliana».
3 Il riferimento è alle sentenze di Cass., sez. I, 20.12.2011 n. 27648 e Cass., sez. II, 21.11.2011 n. 24438, pubblicate in Resp. civ. prev., 2012, 1944 ss., con nota di Scognamiglio, C., Tutela dell’affidamento, violazione dell’obbligo di buona fede e natura della responsabilità precontrattuale; Cass. n. 27648/2011 è annotata anche da Castronovo, C., La Cassazione supera se stessa e rivede la responsabilità precontrattuale, in Europa e dir. priv., 2012, 1227 ss. e da Della Negra, F., Culpa in contrahendo, contatto sociale e modelli di responsabilità, in Contratti, 2012, 238 ss.
4 Così Mengoni, L., Sulla natura della responsabilità precontrattuale, nota a Cass., 5.5.1955, n. 1259 e Trib. Roma, 24.1.1955, in Riv. dir. comm., 1956, II, 361 ss. in particolare, 364 (dove si trova il brano riprodotto nel testo)
5 Nota opportunamente Nivarra, L., La responsabilità contrattuale e i suoi attuali confini (testo provvisorio), relazione presentata al Convegno di Montepulciano del 1415 settembre 2012, I 10 anni della Schuldrechtsmodernisierung, 9-10 del dattiloscritto, consultato per la cortesia dell’Autore, che «l’obbligazione, come si legge in Cass. n. 589/1999, meglio si presta ad assecondare ‘l’esigenza che la forma giuridica sia il più possibile aderente alla realtà materiale’ là dove, come nel caso paradigmatico della culpa in contrahendo e in quelli che di essa ripetono l’impianto fondato sull’efficacia costitutiva della buona fede (mi riferisco alle ipotesi di responsabilità da ‘contatto sociale’ anche se poi, nell’esperienza italiana, si è assistito ad una curiosa inversione nell’ordine di ingresso entro l’orbita del danno contrattuale) si tratti di inquadrare, sono sempre parole della S.C. ‘una vicenda che non incomincia con il danno, ma si struttura prima come ‘rapporto’». Nel pensiero di Nivarra sono chiari gli echi della impostazione data al tema da Castronovo, C., La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio, in Europa e dir. priv., 2003, 123 ss., in particolare, 155 ss.; Id., La nuova responsabilità civile, III ed., Milano, 2006, 458 ss.; Id., Vaga culpa in contrahendo: invalidità responsabilità e la ricerca della chance perduta, in Europa e dir. priv., 2010, 1 ss., a sua volta nel solco del pensiero di L. Mengoni.
6 Infatti, è solo in qualche isolata sentenza di merito che era emersa la tesi della natura “contrattuale” della responsabilità precontrattuale: così, con particolare riferimento a casi di responsabilità da prospetto, Trib. Milano, 11.1.1988, in Giur. comm., 1988, II, 585 ss., con nota di Ferrarini, G., Investment banking, prospetti falsi e culpa in contrahendo, confermata da App. Milano, 2.2.1990, in Giur. it., 1992, I, 2, 49 ss., con nota di Arietti, M., Culpa in contrahendo e responsabilità da prospetto.
7 Qualificava, appunto, in questi termini la situazione dell’elaborazione giurisprudenziale in materia, Rovelli, L., La responsabilità precontrattuale, in Tratt. Bessone, XII, 2, Il contratto in generale, Torino, 2000, 347 ss., luogo dal quale sono ripresi i brani riferiti nel testo (e non è certamente un caso che l’Autore appena menzionato sia il Presidente di ambo i Collegi della Suprema Corte che avevano emesso le sentenze del 2011 citate alla nota 2 che hanno inaugurato l’orientamento poi confermato da Cass. n. 14188/2016); nota, più di recente, «la singolarità di un dibattito pressoché esclusivamente dottrinale, a fronte di un indirizzo giurisprudenziale assolutamente (monolitico e) consolidato nell’affermazione della natura aquiliana della responsabilità per culpa in contrahendo», anche D’Amico, G., La responsabilità precontrattuale, in Tratt. Roppo, V, Rimedi, t. 2, Milano, 2006, 1107.
8 Una rassegna sicuramente incompleta delle sentenze della Suprema Corte successive a quelle del 2011 più volte menzionate, e che si soffermino, sia pure incidentalmente, sulla questione della natura della responsabilità precontrattuale consente invero di riscontrare che: Cass., S.U., ord. 27.2.2012, n. 2926, intervenuta su una questione di giurisdizione, richiama un precedente orientamento di legittimità nel senso della natura senz’altro aquiliana della responsabilità da prospetto; Cass., 20.3.2012, n. 4382, afferma essere «jus receptum che la responsabilità precontrattuale della p.a. è configurabile in tutti i casi in cui l’ente pubblico nelle trattative e anche nelle relazioni con i terzi abbia compiuto azioni e, così agendo, sia incorso nel compimento di atti contrastanti con i principi di correttezza e buona fede, cui è tenuta nell’ambito del rispetto dei doveri primari, ormai dalla valenza anche costituzionale, garantiti dall’art. 2043 c.c.»; Cass., 10.8.2012, n. 14400, sia pure del tutto incidentalmente, dà atto che la responsabilità precontrattuale «secondo la tradizionale (benché controversa) impostazione della giurisprudenza» ha natura aquiliana (e proprio su questa premessa, attraverso una – peraltro, del tutto condivisibile – precisazione, nel senso che «la responsabilità nella quale incorre ‘il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta’ (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell’accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa discenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente quale che ne sia la fonte» perviene a qualificare come contrattuale, nel senso appena cennato, la responsabilità discendente dalla violazione dell’obbligo posto dall’art. 106 TUF; Cass., 10.1.2013, n. 477 aveva senz’altro ribadito, sia pure senza particolare approfondimento, che la responsabilità precontrattuale della p.a. si colloca nel quadro dell’art. 2043 c.c.
9 Infatti, Cass., 14.3.2017, n. 6587 riafferma, sia pure senza prendere posizione sul più recente orientamento di segno contrario, la natura extracontrattuale della responsabilità precontrattuale; altrettanto fa, ma del tutto incidentalmente e di nuovo senza uno specifico apparato argomentativo, Cass., S.U., 27.4.2017, n. 10413; Cass., S.U., 4.7.2017, n. 16419, con ogni probabilità in relazione alla particolare natura della decisione che le era demandata – si trattava di un regolamento di giurisdizione – rimette la qualificazione al giudice ordinario, cui rinvia la causa.
10 Cfr., ad esempio, Bianca, C.M., Diritto civile, III ed., Il contratto, Milano, 2004, 161 ss.; Patti, G.Patti, S., Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 1993, 45.
11 Così Cass., S.U., 26.6.2007, n. 14712, in Corr. giur., 2007, 1706 con nota di Di Majo, A., Contratto e torto: la responsabilità per il pagamento di assegni non trasferibili.
12 Si tratta della decisione C. giust., 17.9.2002, C334/00, Tacconi, che si legge, tra gli altri luoghi, in Riv. dir. int., 2003, 808 ss.; Cass. n. 14188/2016 richiama, invece, e forse non del tutto pertinentemente, C. giust., 17.6.1992, C261/91, laddove quest’ultima aveva affermato che costituisce materia contrattuale ogni relazione giuridicamente rilevante tra due parti, ossia un obbligo liberamente assunto da una parte nei confronti dell’altra, pure in assenza di un formale atto negoziale.
13 Così Castronovo, C., La responsabilità precontrattuale, cit., 336; anche D’Amico, G., La responsabilità, cit., 1110, il quale taccia giustamente come inaccettabile la tesi secondo la quale in difetto di un obbligo discendente da un contratto, inteso come atto, non possa affermarsi la sussistenza di una responsabilità (a questo punto cd.) contrattuale.
14 In questo senso, di nuovo, Castronovo, C., La responsabilità precontrattuale, cit., 337 s., il quale osserva che «la non responsabilità … è possibile a sua volta soltanto ove si assuma la prospettiva tradizionale del common law che si dice adversarial di contrapposizione tra le parti ciascuna delle quali è qualificata soltanto dalla libertà contrattuale che esercita»; ma tale prospettiva è preclusa «nel diritto continentale che alla libertà di contrarre aggiunge quella di farlo in buona fede, considerando le trattative fattispecie di un risarcimento possibile: in questi termini la responsabilità che se ne ipotizza non può che essere contrattuale».
15 Cfr., ad esempio, Patti, G.Patti, S., Responsabilità precontrattuale, cit., 44 s., i quali rilevano una sostanziale indifferenza, ai fini del riparto dell’onere della prova, della soluzione nel senso della natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità.
16 Della Negra, F., op. cit., 243, osserva che, secondo il modello della responsabilità contrattuale, la responsabilità precontrattuale dovrebbe essere integrata dal mero inadempimento dell’obbligazione di comportarsi secondo buona fede, mentre si renderebbe necessaria anche la dimostrazione del danno contra jus, nel senso della lesione dell’affidamento legittimo: ma, per la critica di tale assunto, si veda nel testo.
17 Cfr., per questa notazione, Cuffaro, V., Responsabilità precontrattuale, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1267, che pone l’accento, in questa prospettiva, sulla identità delle soluzioni cui si perviene quanto al problema dell’area del danno risarcibile; Rovelli, L., La responsabilità, cit., 349; G. D’Amico, La responsabilità, cit., 1108, il quale, peraltro, 1115 ss., individua, con riferimento ai temi delle regole sulla distribuzione dell’onere della prova, dell’estensione dei danni risarcibili e della disciplina della prescrizione i punti di emersione della rilevanza del problema qualificatorio.
18 Colta puntualmente, come si rammentava poc’anzi, da D’Amico, G., La responsabilità, cit., 1119, il quale pure richiama l’opinione di Rovelli, L., La responsabilità, cit., 339, secondo la quale l’azione di risarcimento del danno derivante da un fatto integrante responsabilità precontrattuale sarebbe pur sempre assoggettata alla prescrizione quinquennale, quando esso sia avanzata in relazione ad un contratto annullabile per vizio del consenso.
19 Nel caso deciso da Cass. n. 27648/2011 si trattava del contratto di un professionista con una p.a. che aveva avuto un principio di esecuzione da parte del primo e che era poi rimasto definitivamente inefficace a causa della mancata registrazione da parte della Corte dei conti; nel caso deciso da Cass. n. 14188/2016 si trattava della mancata approvazione da parte dell’amministrazione appaltante di un contratto ad evidenza pubblica che, analogamente, ne aveva determinato l’inefficacia.
20 Cfr., sul punto, Castronovo, C., Vaga culpa, cit., 16 ss., dove si sottolineano le affinità tra la nozione di Sonderverbindung e quella di special relationship, osservandosi ancora che «nella categoria del rapporto obbligatorio precontrattuale ha trovato infine proiezione giuridico – formale quell’affidamento che in misura finalmente plausibile ha dato fondamento a quella che in origine fu vista come culpa in contrahendo».
21 Cfr. Di Majo, A., La Modernisierung del diritto delle obbligazioni in Germania, in Europa e dir. priv., 2004, 354 ss.
22 Cfr., in particolare, Barcellona, M., Trattato della responsabilità civile, Torino, 2011, 65 ss.; Zaccaria, A., Der aufhaltsame Aufstieg des sozialen Kontakts (la resistibile ascesa del contatto sociale), in Riv. dir. civ., I, 2013, 77 ss.; Id., La natura della responsabilità per culpa in contrahendo secondo il punto di vista del gambero, in Riv. dir. civ., 2015, I, 344 ss.
23 Giorgianni, M., La «parte generale» delle obbligazioni a cinquanta anni dall’entrata in vigore del codice civile, Contr. e impr., 1993, 482 e già Id., L’obbligazione. La parte generale delle obbligazioni, Milano, 1968, 29.
24 Così Zaccaria, A., La natura della responsabilità, cit., 353.
25 Secondo la critica, che si risolve in sostanza in un tentativo di reductio ad absurdum della teoria del contatto sociale svolta da Zaccaria, A., La natura della responsabilità, cit., 351.
26 Che si deve, com’è noto, a Cass., 20.1.1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, 3332.
27 Si tratta ovviamente del contributo di Castronovo, C., L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Studi in onore di Luigi Mengoni, Milano, 1995, 147 ss.
28 Cfr., per i primissimi commenti, Travaglino, G., Vaghi appunti sulla riforma della responsabilità sanitaria, in Giustiziacivile.com, editoriale del 3 marzo 2017; Quadri, E., Il parto travagliato della riforma in materia di responsabilità sanitaria, ivi, editoriale del 27 marzo 2017; Gattari, P., Prime riflessioni sulla riforma della responsabilità civile da attività sanitaria (L. 8 marzo 2017 n. 24 ), ivi, articolo del 31 marzo 2017.