La ricezione americana di Costantino
A Roma, un arco imponente all’estremità meridionale del Foro celebra la vittoria dell’imperatore Costantino sul rivale Massenzio nel 3121. Il presente contributo spiega il motivo per cui – nonostante la capitale della nazione americana debba il suo nome a un generale che divenne il primo presidente e ovunque vi siano statue di generali a cavallo – l’America non ha costruito un arco commemorativo o un museo per ricordare il contributo di Costantino alla vita politica americana. È questa la ragione per cui – a eccezione dei cristiani ortodossi2 – pochissimi americani venerano Costantino come un santo o un modello di buon governo. Nella prima parte della presente opera si esaminano dettagliatamente alcuni eventi della tarda antichità relativi alla vita di Costantino e a quanto compiuto da questo imperatore. Vi sono poi molti altri contributi che descrivono le modalità con cui la figura di Costantino ha fatto ritorno nel corso della storia, anche molti secoli dopo la sua morte, avvenuta nel 337. Si intende qui esaminare come l’autorappresentazione americana, concretizzatasi nel proprio impegno per il costituzionalismo, abbia recepito Costantino.
Negli Stati Uniti, l’interpretazione costituzionale si avvia solitamente quando si analizzano le disposizioni della Costituzione stessa, soprattutto nei casi su cui si esprime la Corte suprema. In questa sede si offriranno alcuni esempi di testi e casi americani in conflitto con elementi noti della biografia di Costantino e della ricezione della sua figura.
Costantino colse più volte ogni opportunità di unire il controllo militare e amministrativo di tutto il mondo mediterraneo: così come l’imperatore Diocleziano, egli prese il potere sconfiggendo militarmente i suoi avversari3. Massimiano si tolse la vita dopo che nel 308 Costantino lo catturò a Marsiglia. Dopo aver avuto una visione sulla sua vittoria e averla interpretata come la protezione divina del Dio dei cristiani4, Costantino sconfisse anche Massenzio a Roma, nella battaglia di ponte Milvio del 312. L’apice delle sue vittorie arrivò nel 324, con la sconfitta (e il conseguente assassinio) di Licinio, l’Augusto d’Oriente, a Adrianopoli e Crisopoli. Successivamente Costantino trasferì la capitale dell’Impero nei pressi di Adrianopoli, le diede il proprio nome (Costantinopoli) e avviò subito la realizzazione di importanti opere pubbliche volte a rinnovarla e fortificarla5. Al contrario di Diocleziano, nel corso del suo impero Costantino non venne mai meno al suo progetto di unificare il potere militare e quello esecutivo6.
Nel costituzionalismo americano, il potere militare è subordinato al controllo civile, e tutto il potere politico è diffuso, grazie alla separazione delle funzioni, e diviso, sia attraverso il rispetto del principio della distribuzione dei poteri ai governi federale e statale, sia attraverso i diritti riservati al popolo. Persino in tempo di guerra un presidente americano necessita dell’autorizzazione e dello stanziamento di fondi da parte del Congresso7. Anche nel caso in cui la Corte riconobbe la legittimità di alcune rivendicazioni di privilegi da parte dell’esecutivo, evidenziò subito che le richieste di compensazione, per correttezza procedurale, precludevano la possibilità di appellarsi a tale privilegio nel famoso caso dei nastri del Watergate che pose fine alla presidenza di Richard Nixon8.
Inoltre, dopo la sua conversione al cristianesimo, Costantino estese alla Chiesa benefici che essa prima non aveva: la domenica come giorno di riposo per tutti, sussidi a molti dei membri del clero e loro esenzione dal pagamento delle tasse, compensazione della perdita di proprietà da parte della Chiesa, e sostegno economico a un importante progetto architettonico relativo agli edifici sacri9.
Dopo l’ascesa di Costantino al potere esecutivo unitario, questi diresse rapidamente il proprio interesse verso il progetto di promozione e applicazione di una più forte unità teologica all’interno della Chiesa. Nel 325 indisse, e forse presiedette, il primo concilio ecumenico di Nicea, persino intervenendo nelle delibere10.
Dopo il concilio, Costantino promulgò una serie di leggi, che prevedevano la punizione dei cristiani eretici o sostenitori di opinioni devianti, e fu coinvolto personalmente nella controversia donatista del Nordafrica11. La sentenza di eresia emessa dall’Impero lo spinse a rendere il cristianesimo religio licita12. Questo cambiamento causò, a sua volta, una rivalutazione della condizione riconosciuta agli ebrei all’interno del diritto romano, in un momento in cui essi erano accusati erroneamente di perpetrare il crimine di ‘deicidio’ per avere causato la morte di Gesù13. Per quanto riguarda i seguaci del giudaismo e del vecchio pantheon romano delle divinità, Costantino dichiarò ai vescovi del suo tempo che egli stesso era un «vescovo investito da Dio per coloro che non facevano parte [della Chiesa]»14.
Le disposizioni americane riguardanti la libertà religiosa contraddicono in vario modo l’autorappresentazione di Costantino in merito all’autorità governativa. La versione della Costituzione americana del 1787 proibisce di considerare il requisito religioso come elemento dirimente nell’attribuzione di cariche pubbliche15. La versione del 1791, con l’annessa Carta dei diritti (Bill of Rights), priva il Congresso di qualsiasi potere legislativo che vada a sostegno di una religione established o che impedisca il libero esercizio religioso16. Diversi provvedimenti sulle tasse, emanati dai governi federali e statali americani, estendono o negano alle organizzazioni religiose e al loro clero varie forme di esenzione dalla tassazione17. Numerosi statuti e precedenti giuridici proibivano che per la costruzione di chiese fossero impiegati finanziamenti pubblici18. Nessun lettore attento delle Costituzioni americane e della storia della loro adozione affermerebbe che qualsiasi funzionario governativo della Repubblica possa definire e punire la devianza religiosa o l’eresia. In un caso del 1870 riguardante una disputa sul possesso di una proprietà della Chiesa, il giudice Miller espose in modo inconfutabile questo punto:
Le organizzazioni religiose ci si presentano allo stesso modo di altre associazioni di volontariato a scopi benevoli o caritatevoli, e i loro diritti di proprietà, o di contratto, sono protetti dalla legge in maniera equa, così come le azioni dei loro membri sono soggette ai suoi vincoli […]. I principi su cui dobbiamo basarci per prendere le appropriate decisioni sono quelli applicabili nella stessa misura a tutti coloro che appartengono a quella categoria, e il nostro dovere è semplicemente quello di applicare tali principi ai fatti che si presentano davanti a noi.
In questa nazione, viene concesso a tutti il pieno e libero diritto di dedicarsi a qualsiasi credo religioso, di praticare qualsiasi principio religioso, e di insegnare qualsiasi dottrina religiosa, purché non vengano violate le leggi etiche e di proprietà, e purché non vengano invasi i diritti del singolo individuo. La legge non conosce eresie, e si impegna a non sostenere alcun dogma, o a riconoscere alcuna setta19.
Non si intende, in questa sede, fornire una lettura attenta della logica delle decisioni giudiziarie, già reperibile in tanti altri lavori, molti dei quali, tuttavia, non prestano un’opportuna attenzione ai fatti storici20. Come ha scritto il giudice Holmes, «l’esperienza, non la logica, ha fatto la vita della legge»21. Tenendo conto di questa prospettiva, si esamineranno qui le esperienze storiche americane relative all’imperialismo, all’istituzione di Chiese di Stato e alla tolleranza religiosa nel periodo coloniale, e all’antimperialismo, alla destituzione delle Chiese e al libero esercizio religioso nel periodo della fondazione. Si concluderà affermando che il costituzionalismo americano respinge due importanti pietre angolari della politica di Costantino: l’unificazione dell’autorità militare dell’Impero e il coinvolgimento governativo nel definire, sostenere e imporre le credenze e le pratiche religiose22.
In questo capitolo sono inoltre discussi due importanti eventi successivi, che rafforzarono l’iniziale impulso a rifiutare la cristianità come materia di principio costituzionale. Nel XIX secolo, la migrazione verso l’America di persone che professavano molteplici fedi generò una maggiore diversità sociale, permettendo la prevalenza del pluralismo religioso su spiacevoli manifestazioni nativiste e di intolleranza etnica. Nel XX secolo il cattolicesimo romano – religione che, più di ogni altra al mondo, ancora difendeva le disposizioni politiche della cristianità – rinunciò formalmente a ritenere legittimo l’uso della violenza per la coercizione delle fedi e delle pratiche religiose. Gli americani ebbero un ruolo importante nel sostegno e nella redazione della Dignitatis Humanae (Dichiarazione sulla libertà religiosa) adottata dal concilio Vaticano II nel 1965. Emerse un più forte consenso sull’idea che la formazione e la sopravvivenza della Repubblica americana significassero, di fatto, un «addio alla cristianità»23.
Cristianità è da intendersi come alleanza simbiotica tra Impero e Chiesa, cui aveva dato vita Costantino (e ulteriormente sviluppata dagli imperatori Teodosio I e Teodosio II). Tale interazione tra potere politico e potere ecclesiastico fu portata avanti per secoli subendo molteplici trasformazioni, fino al momento in cui venne radicalmente messa in discussione e ripudiata all’interno delle Costituzioni – statali e federale – della nuova Repubblica americana. Persino i più devoti difensori di Costantino riconoscono che – così come avviene per l’accettazione del coniuge nel matrimonio – l’unione costantiniana tra Impero e Chiesa nella cristianità avveniva ‘nella buona e nella cattiva sorte’.
Costantino […] amava vedere il grande disegno senza curarsi troppo dei dettagli. Aveva un forte senso della giustizia e, quando veniva provocato da ciò che riteneva ingiusto, poteva essere autoritario, brutale, prepotente. Era aggressivo e ambizioso, ma sapeva essere anche uno stratega nell’autocontrollo e attendere che arrivasse la fine per il proprio avversario. Quando la situazione lo richiedeva, egli sapeva in che modo fare politica, arrivare a compromessi, e costruire il consenso […]. La sua religione arrivava al limite della superstizione; […] non smise mai del tutto di aspettarsi che l’analisi di un fegato o delle stelle potesse dare un indizio riguardo al futuro. Credeva che il Dio cristiano garantisse il successo delle sue guerre e che quello stesso Dio lo avesse chiamato per sostenere la Chiesa, per accrescere il cristianesimo nel mondo romano e per estendere la fede al di fuori di esso24.
Nella ‘buona sorte’, per secoli la cristianità permise un’interazione tra legge e religione tale da far emergere questioni di giustizia strutturale e gestirle in maniera pacifica25. Nella ‘cattiva sorte’, la cristianità non riuscì a rispettare la coscienza e cercò di imporre i credo e le pratiche religiosi sui cristiani eretici, sugli ebrei e sui musulmani attraverso metodi duramente coercitivi di cui persino i sostenitori più rigorosi dell’ortodossia, come Benedetto XVI, hanno riconosciuto il fallimento nel conformarsi alle richieste del Vangelo26. Ciò detto, il presente saggio non pretende di essere un’esplorazione dell’ampio tema della cristianità27, ma intende interpretare i due modi in cui l’America non perpetua il costantinianesimo nelle proprie disposizioni costituzionali.
È impossibile valutare il ruolo di Costantino nel mondo antico senza concentrarsi sulla relazione tra religione e politica in quel contesto. Allo stesso modo, non è possibile cogliere nello specifico la ricezione di Costantino da parte della Rivoluzione americana e della conseguente autorappresentazione costituzionale senza la comprensione di due elementi della Costituzione inglese, per come essi furono intesi in epoca moderna prima della crisi imperiale del 1765: le tendenze conflittuali – centripete e centrifughe – che andavano verso o si allontanavano dall’assolutismo monarchico, associate allo scoppio frequente della violenza dovuto alla rivendicazione della corona da parte degli avversari, e il ruolo della «Chiesa di Inghilterra, istituita per legge», in patria e nelle colonie, dopo l’affermarsi del riformismo inglese.
Prima di indagare il rapporto tra impero e colonie, è utile comprendere che cosa, di fatto, fosse il governo monarchico in Inghilterra. La Costituzione inglese non è un documento scritto, bensì una serie di cogenze o consuetudini che risalgono a secoli prima e che tendono a limitare gradualmente il potere reale strutturando e circoscrivendo il suo esercizio. Nel 1215 re Giovanni, in difficoltà con la Chiesa e la nobiltà, fu costretto a firmare la Magna Charta riconoscendo la libertà della Chiesa e i doveri del re nei confronti della nobiltà. Nel 1258 re Enrico III (1216-1272) accettò le Provisions of Oxford (Disposizioni di Oxford) – che instauravano un consiglio baronale permanente per il controllo delle cariche chiave della Corona –, e nel 1259 le Provisions of Westminster – che riformavano il sistema di common law. Il re annullò poi entrambe e ne conseguì la guerra civile. Simon de Montfort, Duca di Leicester – che era a capo dei baroni –, offrì ai cavalieri e ai proprietari terrieri un luogo per discutere (Parlement in lingua normanna). Monfort morì in battaglia, ma intanto era nata la Camera dei Comuni (House of Commons). Il re Edoardo III accettò la norma che stabiliva l’impossibilità di tassazione senza il consenso parlamentare, valida ancora oggi. Nel corso degli anni il potere regale e quello parlamentare aumentavano e diminuivano: durante l’‘alta marea’, il re si consultava con i membri della corte; con la ‘bassa marea’, fingeva di ascoltare e poi faceva ciò che più soddisfaceva ‘Sua Maestà il re’.
Come mostra la storia di Diocleziano e di Costantino (e di molti altri imperatori romani), la successione imperiale nella tarda antichità era spesso determinata da scontri armati sui campi di battaglia29. Per cogliere come tale schema si ripeté nel corso della storia inglese, bisognerebbe «rispolverare Shakespeare»30. Facendo riferimento all’Inghilterra come all’«isola scettrata», Shakespeare la definisce «Questo nuovo Eden – mezzo paradiso», e «questo seggio di Marte»31. L’Inghilterra all’epoca di Shakespeare – che coincide con la fine della dinastia dei Tudor e l’inizio di quella degli Stuart – era entrambe le cose.
Enrico IV, il primo re della casata dei Lancaster, salì al trono con l’uso della forza. Se potere equivale a diritto, che cosa impedisce a qualsiasi avversario che reclama il potere regale di commettere un regicidio? Riguardo a questo re, Shakespeare scrive: «Inquieto e senza pace sta sul guanciale il capo che cinge una corona»32.
Oppure, forse, Shakespeare si riferiva ai tempi di Enrico VII – primo re della casata dei Tudor –, che sconfisse Riccardo III (definito da Shakespeare un tiranno, se mai ce ne fu uno, poiché uccise due principi nella torre di Londra) nella battaglia di Bosworth, spogliando il defunto re non solo della corona regale, ma anche dei suoi indumenti, e lasciandone il corpo nudo sul campo di battaglia in pasto a uccelli e altri animali. In alternativa si può credere che Shakespeare pensasse anche a Enrico VIII, talmente consumato dal patriarcato e timoroso per la caduta della sua dinastia da divorziare e persino giustiziare tante mogli quante ne aveva sposate per avere un erede maschio; o a re Giacomo I, che credeva di poter tassare il popolo senza il consenso della Camera dei Comuni, e che, nel 1605, sopravvisse a malapena a un complotto contro la sua persona regale e la nobiltà d’Inghilterra durante la congiura delle polveri (Gunpowder Plot). E Shakespeare non sembra forse descrivere anche altri monarchi che vissero dopo la sua morte, avvenuta nel 1616? Come ad esempio Carlo I, che difese la prerogativa regale di tassare e andare in guerra come e quando soddisfaceva Sua Maestà sovrana e temuta, e che fu processato per tradimento e giustiziato nel 1649, dopo diverse, cruente guerre civili in Scozia, Inghilterra e Irlanda? O Giorgio III – ‘l’ultimo re d’America’ –, che nel 1776 mandò al di là dell’Atlantico la più grande forza anfibia mai vista fino a quel momento, per assicurarsi la sconfitta dei ribelli americani contro l’autorità regale e imperiale, solo per scoprire che l’esercito più potente del mondo si era arreso a Yorktown nel 1783, mentre la banda suonava The World Turned Upside Down?
Quando nel 1533 Enrico VIII asserì che egli era il capo supremo della Chiesa d’Inghilterra33, anticipò l’ostentazione dei Borbone in Francia («lo Stato sono io») con un’analoga ostentazione di potere sulla Chiesa di Inghilterra. Enrico non pronunciò mai le esatte parole «la Chiesa sono io», tuttavia il suo atteggiamento rievoca non solo il sostegno finanziario da parte di Costantino a favore della Chiesa, ma anche quello dell’imperatore che presiedette il concilio di Nicea nel 325 e che applicò l’insegnamento della Chiesa nell’ambito della legislazione antieretica.
Mutatis mutandis, difficoltà analoghe si presentarono nella Chiesa di Inghilterra. Con l’asserzione della supremazia del sovrano secolare sulla Chiesa da parte di Enrico VIII, giunse anche la legislazione che coniugava l’appartenenza alla religione established con le corrispondenti privazioni della libertà religiosa e di altre libertà civili verso coloro che non facevano parte della stessa. Diversi atti, emanati da un parlamento condiscendente, illustrano questa correlazione. Talvolta il solo titolo degli statuti indica che l’obiettivo cui si mirava era una comunità religiosa alla quale era riservato un trattamento discriminatorio o persino la persecuzione34. La realtà travolgente di una Chiesa established in Inghilterra viene descritta in molti atti parlamentari che la prediligono e concedono ai suoi membri benefici particolari35.
Tali statuti riflettevano la condizione di dominio da parte della cristianità quale era vissuta in Inghilterra e nelle colonie americane a partire dai primi anni del XVI secolo, per arrivare alla Rivoluzione americana, alla fine del XVIII36.
La realtà di una religione established – ma non il termine established – è alla base del concetto di cristianità a partire dal cambio di direzione di Costantino e Teodosio nel IV secolo. Analogamente, la prima comparsa del termine established non si trova in un atto del parlamento bensì in una norma, o canone della Chiesa, adottata nel 1604 per assicurare la corretta identificazione dei membri dell’istituzione ecclesiale anglicana, denominata the Church of England, by law established37, e che perciò si distingueva dai dissidenti o dai protestanti anticonformisti (ad esempio i presbiteriani e i battisti). Secondo quanto riportato dallo storico Thomas Curry:
In Inghilterra, il termine establishment faceva chiaramente riferimento alla Chiesa anglicana, approvata e sostenuta ufficialmente dal governo, e ciò escludeva i non anglicani, che costituivano probabilmente meno del dieci per cento della popolazione, dalle posizioni di potere, dai privilegi e dall’influenza sociale. In America, il bisogno costante di colonizzatori sempre più numerosi rese impossibile tale esclusività38.
I coloni americani erano, per la maggior parte, anglicani il cui sistema di governo e le cui modalità di preghiera e pensiero erano established, ad esempio in Virginia. Oppure – è il caso dei puritani nel New England – erano rifugiati fuggiti dall’anglicanesimo, che giudicavano oppressivo e violatore della coscienza. Il desiderio dei puritani di erigere una Chiesa modello – una ‘città sulla collina’ (City on the Hill) – non era indice della fine della cristianità nel Massachusetts più di quanto lo fosse stato la Riforma protestante nell’Europa continentale39. I puritani di Boston imposero persino la pena di morte a coloro che non facevano parte della loro religione, come la quacchera Mary Dyer40.
A Boston, il dominio della Chiesa puritana fece espellere Roger Williams dal Massachusetts, tuttavia Williams insistette per ottenere dai leader puritani del Commonwealth, durante l’interregno, un atto costitutivo che autorizzasse la creazione di Rhode Island come colonia libera da qualsiasi istituzione religiosa41. Williams mantenne l’atto costitutivo dopo la restaurazione della monarchia con re Carlo II.
William Penn – membro della Società degli amici – sperimentò personalmente il rigore della legislazione contro gli eretici. Dopo che la corona ebbe fatto chiudere un luogo di culto quacchero a Londra, Penn iniziò a predicare per le strade sfidando apertamente l’azione della corona. Venne arrestato per «predicazioni eretiche»42. Mentre si trovava ancora in prigione, Penn scrisse un famoso pamphlet – The Great Case of Liberty of Conscience – che apportava forti argomentazioni bibliche e politiche a favore della protezione della coscienza religiosa di ciascuno. Penn fu uno dei primi a rifiutare l’idea di cristianità nella sua totalità, e nel 1682 fondò la colonia della Pennsylvania, con una struttura di governo che rifiutava apertamente le principali caratteristiche del costantinianesimo: il potere governativo concentrato nelle mani di un solo leader e il controllo delle fedi e delle pratiche religiose. Tale colonia «apportò un’alternativa alla cristianità ed esercitò un’enorme influenza sulla crescita della libertà religiosa nelle colonie americane»43.
Nel 1685 Carlo II morì e gli succedette sul trono Giacomo II – cattolico romano. Le peggiori paure dei devoti puritani erano divenute realtà. Penn si dimostrò all’altezza della sfida che quest’insolita svolta degli eventi presentava. In due suoi pamphlet – Persuasive Moderation (1686) e Good Advice to the Church of England, Roman Catholik, and Protestant Dissenter (1687) – Penn fornì argomentazioni a favore della tolleranza universale, come aveva già fatto Lattanzio nel IV secolo: «La religione non può essere imposta. Va invece diffusa con parole e non con colpi di frusta, così che risulti un atto volontario [...]. Nessuno di noi è forzato alla fede contro la sua volontà, perché chi non abbia devozione fedele è inutile agli occhi di Dio»44. In quanto quacchero, Penn era in evidente disaccordo con la struttura gerarchica del sistema di governo cattolico romano (l’autorità della Chiesa), oltre che con le sue pratiche liturgiche e le forme del culto. Ciononostante, in entrambi i suoi pamphlet incluse espressamente i cattolici nel proposito del pieno rispetto della coscienza. Nel pamphlet Good Advice (1687), Penn esortò a fare di più, cioè ad abolire tutte le sanzioni penali per causa di fede o di culto, e tutte le prove di fedeltà religiosa che impedivano a chiunque rifiutasse di fare giuramento solenne di devozione religiosa ai dogmi della Chiesa established di ricoprire posizioni di governo.
L’anomalia rappresentata da un monarca cattolico non durò a lungo. Nel 1688, la Gloriosa rivoluzione ebbe come risultato l’abbandono del trono da parte di re Giacomo a favore di due devoti protestanti, Guglielmo III d’Orange e Maria Stuart. Nello stesso anno, John Locke rese pubblico, per lo meno in via anonima a un amico di Amsterdam, il testo della sua Lettera sulla tolleranza. Locke concluse: «Tollerare coloro che hanno opinioni differenti da altri in materia di fede è così tanto in accordo con il Vangelo di Gesù Cristo e con la più autentica ragione umana che pare mostruoso che gli uomini siano ciechi a tal punto da non percepire la necessità di trarne vantaggio in modo tanto chiaro»45. In ogni caso tra Locke e Penn vi è una differenza di fondo: il raggio di azione della tolleranza di Locke non è universale, come è invece per Penn. Le argomentazioni di Locke erano solamente a favore di protestanti dissenzienti e non di ebrei, cattolici, musulmani e religious-nones. Così come il filosofo, anche la legge era parziale più che universale. Nel 1689, l’Act of Toleration (atto di tolleranza) assicurava che il monarca sarebbe stato un protestante – una norma costituzionale presente ancora oggi – e limitava la tolleranza ai protestanti dissenzienti, escludendo espressamente i cattolici romani ricusanti (a meno di un loro eventuale giuramento solenne, contrastante, però, con la loro professione di fede) ed escludendo implicitamente ebrei, musulmani (chiamati ‘turchi’) e altri ‘infedeli’46. In America, l’Act of Toleration fu celebrato dalla maggioranza per la semplice ragione che la maggior parte dei coloni britannici erano protestanti dissenzienti cui era concessa la tolleranza47. Il problema costantiniano restava, poiché coloro che concessero la tolleranza ne imposero anche dei limiti. Come osservò il teologo gesuita John Courtney Murray, «l’intolleranza è un vizio terribile, ma la tolleranza non è certamente una buona virtù»48. In sintesi, alla fine del XVII secolo la cristianità proseguì sulla stessa strada; fu solo nel secolo successivo che si verificò un cambiamento esemplare contemporaneamente a nord e a sud della costa atlantica: gli americani, infatti, ripensarono sia l’instaurazione religiosa che la sua compagna, la tolleranza moderata.
Il 4 luglio 1776 è tipicamente associato al momento iniziale della Rivoluzione americana, in quanto legato alla Dichiarazione di indipendenza. Tuttavia la stessa Dichiarazione rivela che questa Rivoluzione ha una genealogia molto più ampia. Subito dopo la Gloriosa rivoluzione del 1688, John Locke affermò che alla base della rivoluzione vi erano tre principi, che si sarebbero imposti prepotentemente meno di un secolo dopo: 1. dal momento che tutti gli uomini sono «liberi, uguali e indipendenti per natura», nessuno può essere «soggetto al potere politico di un altro senza il suo proprio consenso»; 2. «il popolo dovrebbe giudicare se il sovrano o l’atto legislativo hanno o meno tradito la loro fiducia»; e 3. «quando per incapacità di chi ne ha l’autorità» il potere politico fallisce, «esso ritorna nelle mani della società e il popolo ha il diritto di agire da autorità suprema [...] o di costituire una nuova forma» di governo49. Gli americani conoscevano Locke e s’ispirarono a questi tre principi durante la serie di eventi conosciuti come la ‘crisi costituzionale’ o ‘crisi imperiale’, che ebbero luogo circa due secoli prima del fallimento finale della colonizzazione europea in Africa e in Asia, negli anni Sessanta del XX secolo.
Nel 1763, la Gran Bretagna sconfisse sonoramente la Francia in America settentrionale, nella cosiddetta guerra franco-indiana (il fronte nordamericano della guerra dei Sette anni). Una delle difficoltà di una vittoria troppo gloriosa in guerra è rappresentata dal successivo costo elevato dell’occupazione e delle disposizioni sulla difesa. Verso la fine del XVIII secolo questo duro controllo dell’economia imperiale condusse il parlamento a promulgare una serie di provvedimenti sulle entrate per assicurarsi che la Francia non rinnovasse il suo attacco ai sudditi di Sua Maestà. Dalla prospettiva britannica, questa era un’amministrazione responsabile: pianificare e stanziare in modo intelligente e ragionevole al fine di sostenere il flusso di commercio tra la madrepatria e le colonie, e per proteggere i sudditi del re, anche se questi non erano consapevoli di quanto il re tenesse i loro interessi vicino al suo cuore regale. Dalla prospettiva americana, lo Stamp Act50 – il primo tentativo da parte della corona di imporre una tassazione diretta sui coloni – fu condannato come incostituzionale nelle seguenti risoluzioni del Congresso sullo Stamp Act:
È essenziale e inscindibile per la libertà di un popolo, e per il diritto indiscusso dei cittadini inglesi, che non vengano imposte tasse su di loro, tranne che con il loro consenso, in via diretta o attraverso i loro rappresentanti.
Il popolo appartenente a queste colonie non è, e viste le sue circostanze locali non può essere, rappresentato nella Camera dei Comuni della Gran Bretagna.
I soli rappresentanti del popolo di queste colonie sono le persone scelte tra di loro e da loro, e […] nessuno, al di fuori del loro proprio legislatore, ha mai imposto loro costituzionalmente, né può farlo, una tassa51.
Nel 1765, John Adams del Massachusetts – più tardi destinato a diventare il secondo presidente della nuova Repubblica – iniziò a chiedere con insistenza l’indipendenza delle colonie dall’impero. Nel 1766 il Parlamento revocò lo Stamp Act, ma riasserì il suo potere di tassare le colonie dichiarando «completamente nulli e senza valore» tutti gli «ordini, i voti, le risoluzioni» coloniali «che negavano il potere del Parlamento di tassare le colonie»52. Durante tutte le fasi della crisi imperiale il parlamento insistette sul fatto che la Corona, in parlamento, era la sola sovrana sulle colonie. Nel 1767 il parlamento promulgò i Townshend Acts abbassando le tariffe doganali per diverse importazioni, ma intraprese fermamente la riscossione di questi dazi. Nel 1770 promulgò una tassa sul tè, alla quale alcuni cittadini di Boston risposero gettando il tè nella baia di Boston. I Coercive Acts del 1774 imposero la legge marziale ai coloni del Massachusetts, fecero chiudere il porto di Boston e assoggettarono i governatori civili al controllo militare. Tutto ciò portò, nel 1775, ai colpi sparati a Lexington e a Concord, che si udirono in tutto il mondo.
Il 1776 segna tre eventi di rilievo e importanti per capire la ricezione americana di quanto realizzato da Costantino: la pubblicazione del pamphlet di Thomas Paine, Common Sense, la Dichiarazione di indipendenza e le costituzioni degli Stati che strutturavano e limitavano i poteri dei leader politici. Tutte e tre queste serie di documenti rifiutavano completamente il governo monarchico e imperiale.
1. Common Sense. L’improvvisa comparsa dello scritto di Paine nelle locande da nord a sud della costa atlantica garantì un pubblico di lettori da venti a trenta per ciascuna copia del pamphlet. Esso cambiò la direzione della storia americana in modo più efficace rispetto a qualsiasi altro articolo giornalistico. Fino a quel momento, l’atteggiamento generale del malcontento americano era ben disposto verso lo stesso re Giorgio, che si pensava fosse male informato dai suoi ministri. Paine infranse completamente tale illusione, identificando Giorgio III con un tiranno determinato a opprimere e persino uccidere il proprio popolo su larga scala. Per centinaia di migliaia di americani, la lettura di Common Sense fu un momento di conversione decisiva non solo verso l’indipendenza dal Regno Unito, ma anche dall’imperialismo e dal governo monarchico in sé. Paine mise apertamente in discussione la legittimità del governo di Giorgio III in quanto re americano, sul piano politico e morale.
Paine sfidò i suoi lettori a considerare «l’idea chiara e corretta del progetto e dello scopo del governo». Spiegò che «la forza del governo e la felicità di coloro che vengono governati» non dipende «dall’inutile nome del re», ma «dalla capacità di coloro che vengono governati di impegnarsi in frequenti scambi per stabilire un interesse comune con tutte le parti della comunità», così da potersi sostenere «gli uni gli altri in modo reciproco e naturale».
Paine notò il problema evidente che si creava nel caso del re di un’isola che pretendeva di governare un «continente lontano»: la mancanza di «scambio frequente» tra America e Inghilterra. Sottolineò inoltre come qualsiasi impero si spinga troppo lontano dalla capitale (in questo caso fino Oltreoceano) superi i propri limiti:
Per ciò che riguarda il governo, non è facoltà della Gran Bretagna compiere la giustizia di questo continente: i suoi affari saranno presto troppo pesanti e complessi per poter essere gestiti con tollerabile comodità da un potere così lontano da noi e così poco informato su di noi; poiché se non possono conquistarci, non possono governarci. Il fatto di viaggiare sempre per tre o quattromila miglia con un resoconto o una richiesta, aspettando quattro o cinque mesi per una risposta, che una volta ottenuta ne richiederà altri cinque o sei per presentarla nel dettaglio nella propria terra, verrà considerata tra pochi anni folle e puerile – c’è stato un tempo in cui ciò era giusto, e c’è un tempo giusto per la sua fine53.
La disposizione di un parlamento bicamerale (la Camera dei Lord che rappresentava il re, e la Camera dei Comuni che rappresentava il popolo) conduce alla domanda più importante riguardo alla fonte dell’autorità che governa:
come arrivò il re a possedere un potere di cui il popolo teme di fidarsi, e che è sempre obbligato a controllare? Tale potere non poté essere il dono di un popolo saggio, e nessun potere, che necessita di essere controllato, può venire da Dio […].
Se i poteri di governo restano ancora nelle mani del re, questi avrà un effetto negativo sull’intera legislazione di questo continente. E poiché si è mostrato un nemico della libertà così inveterato scoprendosi tanto assetato di potere arbitrario, è o no l’uomo adatto per poter dire a queste colonie, «non farete altre leggi se non quelle che soddisfano la mia volontà»? E c’è forse qualche abitante americano così ignorante da non sapere che, secondo ciò che viene denominata la presente costituzione, questo continente non può promulgare leggi se non quelle che il re permette? E c’è forse qualche uomo così stolto da non vedere che (considerato ciò che è accaduto) egli non permetterà che venga promulgata alcuna legge qui, se non quella che più soddisfa il suo scopo?
Poiché «una sete di potere assoluto costituisce la malattia naturale della monarchia», ne risulta che «la monarchia e la successione hanno sparso (non in questo o quel regno solamente) ma in tutto il mondo, sangue e ceneri». La conclusione di Paine fu forte e chiara: «Tutto ciò che è giusto o naturale richiede una separazione. Il sangue della vittima, la voce in lacrime della natura grida: “è tempo di separarsi”».
2. Dichiarazione di Indipendenza. Pochi mesi dopo la pubblicazione del Common Sense, si riunì il secondo Congresso continentale a Philadelphia, e recepì unanimemente ciò che Paine aveva scritto come singolo giornalista indignato. Poiché si parla in un altro capitolo di Jefferson quale «nuovo Costantino»54, qui si affronterà solamente ciò che riguarda il suo lavoro di estensore principale della Dichiarazione55 e del Bill for Establishing Religious Freedom (il progetto di legge per l’instaurazione della libertà religiosa).
Subito dopo il 4 luglio, la notizia dell’immenso cambiamento da ‘Colonie Unite’ a ‘Stati Uniti d’America liberi e indipendenti’ era sulla prima pagina di tutti i giornali americani. Così come il Common Sense, anche la Dichiarazione ritraeva Giorgio III come una persona la cui storia costituisce una delle «ripetute ingiurie e usurpazioni, tutte aventi come oggetto diretto l’instaurazione in questi Stati di una tirannia assoluta». A riprova di ciò, la più celebre di tutte le richieste di risarcimento per le sofferenze subite comprendeva lamentele riguardanti il re che andavano al cuore del governo arbitrario e non rappresentativo:
Ha rifiutato di dare il proprio consenso alle leggi, la cosa più salutare e necessaria per il bene pubblico.
Ha proibito ai suoi governatori di approvare leggi di importanza immediata e pressante, fatto salvo il loro rinvio fino al conseguimento del suo consenso; e, qualora rinviate, se ne è completamente disinteressato.
Si è rifiutato di approvare altre leggi per accogliere vaste aree di persone, salvo che queste persone non abbandonassero il diritto a essere rappresentate all’assemblea legislativa, un diritto inestimabile per loro, che solo i tiranni giudicano tremendo56.
La Dichiarazione fondava il proprio impulso rivoluzionario su parole che rievocavano la Public Philosophy proclamata da Locke nel 1690:
Riteniamo che queste verità siano evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili dal loro Creatore; che tra questi vi siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità; che, per assicurare tali diritti, sono istituiti i governi tra gli uomini, che fanno derivare i loro poteri legittimi dal consenso di coloro che vengono governati; che ogni qualvolta una forma di governo distrugga tali fini, è diritto del popolo cambiarla o abolirla e istituire un nuovo governo, che si basi su tali principi, e che organizzi i suoi poteri in forma tale che loro giudicheranno realizzare con più probabilità la propria sicurezza e la propria felicità57.
3. Costituzioni statali e separazione dei poteri. Due settimane prima del 4 luglio, la Virginia aveva già dichiarato l’indipendenza del Commonwealth e pubblicato una costituzione strutturale e una Dichiarazione dei diritti. Subito dopo il 4 luglio, molti Stati iniziarono a fare esattamente ciò che la Dichiarazione richiedeva: intraprendere il compito di riunirsi in assemblee costituzionali per definire e strutturare una forma di governo repubblicana che ripudiasse il governo monarchico. Tutte le costituzioni statali riflettevano l’influenza di Montesquieu separando le funzioni e i poteri dei tre diversi rami del governo: legislativo, esecutivo e giudiziario. Gordon Wood, illustre storico della fondazione americana, ha evidenziato sia il carattere radicale della rivoluzione sia l’importanza cruciale del fatto che queste costituzioni erano tutti documenti scritti58.
Nel procedimento di ratifica da parte delle assemblee costituzionali degli Stati, i libellisti assunsero un ruolo significativo nell’offrire analisi costituzionali di alto livello per il pubblico comune59. Durante la crisi imperiale, John Dickinson aveva scritto Letters of a Pennsylvania Farmer (Lettere di un contadino della Pennsylvania); quando in Pennsylvania ebbe luogo il dibattito sulla ratifica, scrisse nuovamente, facendo un confronto fra il potere incontrollato di un re e quello limitato di un presidente:
È più in pericolo la nostra libertà, a causa di un presidente quale colui che avremo, o piuttosto quella degli inglesi, a causa di un monarca ereditario che ha vaste entrate – è assoluto nella costruzione e disposizione delle cariche, e nell’esercizio del potere esecutivo nella sua totalità – nel comando della milizia, della flotta, e degli eserciti, e nella direzione delle loro operazioni – nello stabilire fiere e mercati, la regolazione di pesi e misure, e della coniatura della moneta – che può convocare i parlamenti in un batter d’occhio, e dissolverli con un cenno del capo – che può, quando lo voglia, dichiarare guerra, pace e stipulare trattati in maniera irrevocabile vincolando la nazione – e che può concedere il perdono e i titoli di nobiltà, a suo piacimento?60
Dalla promulgazione dell’Act of Toleration nel 1689 sino all’inizio della cosiddetta crisi imperiale sopra menzionata, la maggior parte degli americani si accontentava di alcune forme di instaurazione religiosa in certe colonie o della tolleranza dei protestanti dissenzienti in altre. Appena prima e dopo la rivoluzione, entrambe queste modalità scelte per vivere la religione furono esaminate molto più attentamente. Alcuni guardarono all’esperienza di Rhode Island, ma il fatto che la Pennsylvania fosse sopravvissuta senza una religione established esercitò un’influenza significativa sull’importante allontanamento da una religione riconosciuta o semplicemente tollerata61. Nel momento in cui la Virginia ratificò il primo emendamento, il 15 dicembre 1791, il sentimento popolare si era schierato sia contro la religione riconosciuta sia contro le mezze misure che implicava la mera tolleranza di alcune religioni, e non di altre.
La delegittimazione della religione in America ebbe luogo allo stesso modo dell’ascesa e del declino di Roma: non in un solo giorno e non dappertutto nello stesso momento. Prima, durante e dopo la rivoluzione, gli americani lessero molti pamphlet e ascoltarono molti sermoni che coniugavano il rifiuto del governo imperiale-monarchico con quello di una religione riconosciuta dallo Stato. Jefferson e Madison furono i più illustri tra questi scrittori che univano questi desideri profondi e sovrapposti. Nel 1807, l’ex presidente John Adams richiamò con chiarezza la paura che tutto il New England aveva provato oltre mezzo secolo prima, quando, nel 1763, la Società per la propagazione del Vangelo aveva proposto di mandare un vescovo anglicano nel Massachusetts:
[Tale proposta] diffuse una preoccupazione generale verso l’autorità del Parlamento. Provocò un timore fondato e generale nei confronti dell’imposizione in America di vescovi, diocesi, chiese, sacerdoti, e decime da parte del Parlamento. Era noto che, in America, né il re, né il ministro, e neppure gli arcivescovi potevano nominare i vescovi senza una legge del Parlamento; e se il Parlamento poteva tassare i cittadini, i primi potevano instaurare la Chiesa di Inghilterra con tutti i suoi dogmi, articoli, prove, riti, e decime, e potevano vietare tutte le altre Chiese in quanto conventicole e centri in cui si venivano a creare scismi62.
Ma Adams, Jefferson e Madison non erano gli unici. Molti libellisti, compreso Paine, che era il più famoso, scrissero riguardo al bisogno di proteggere «la libertà civile e religiosa». Come fece notare in modo conciso Bernard Bailyn, l’illustre redattore dei libellisti dell’era rivoluzionaria: «Il sentimento contrario all’instaurazione e le argomentazioni costituzionali contro il potere parlamentare erano strettamente intrecciati sin dai primissimi anni prerivoluzionari»63.
1. Common Sense. Nel 1776, Paine affrontò non solo i temi di monarchia e imperialismo, ma anche il tema scottante del momento: la libertà religiosa. Proprio come né l’autorità imperiale né quella monarchica potevano essere accettate, allo stesso modo la religione established – nelle forme di predilezione per gli anglicani o di tolleranza per i protestanti dissenzienti – era impossibile da riconciliare con le richieste di un diritto naturale all’autentica libertà religiosa. Paine non fece richiesta di un rinnovamento degli editti (protocolli) imperiali o degli Acts of Toleration real-parlamentari. Era arrivato il momento di sostituire la cristianità – un’alleanza tra Chiesa e impero – con un autentico e comune «libero esercizio religioso, che seguisse ciò che dettava la coscienza».
Nell’anno in cui iniziò la guerra rivoluzionaria, Paine sostenne che il compito del Congresso continentale era quello di «assicurare la libertà e la proprietà a tutti gli uomini e, soprattutto, il libero esercizio religioso, seguendo ciò che dettava la coscienza». Paine identificò nella realtà della «differenza di opinione religiosa tra le persone» il terreno comune, o la base da cui doveva partire il «dovere indispensabile di tutti i governi di proteggere tutti coloro che professavano secondo coscienza, da lì in avanti». Concluse affermando: «Se tutti la pensassimo allo stesso modo, le nostre disposizioni religiose vorrebbero delle argomentazioni a riprova di ciò; e, sulla base di questo principio liberale, considero le diverse denominazioni presenti tra di noi come figli della stessa famiglia, che si differenziano solamente in ciò che viene denominato, il loro nome di battesimo»64.
2. Il contributo di Madison: non la tolleranza religiosa, ma «il pieno e libero esercizio religioso». La Virginia era la maggiore e più influente colonia britannica in America. Nel maggio del 1776, nella città di Williamsburg, che prendeva il nome dal re che firmò l’Act of Toleration nel 1689, si riunì un’assemblea straordinaria di delegati, durante gli ultimi giorni del colonialismo. Il testo su cui si discuteva era una «Dichiarazione dei diritti per la rivoluzionaria Virginia». George Mason, il membro più anziano del comitato, propose quanto segue sulla libertà religiosa:
Che la religione, o il dovere che abbiamo verso il nostro Creatore divino e onnipotente e la maniera in cui lo adempiamo possano essere governati solamente da ragione e forte convinzione, non da forza o violenza; e, di conseguenza, da quella completa tolleranza nell’esercizio della religione, seguendo ciò che la coscienza detta, senza punizioni e restrizioni da parte del magistrato, a eccezione del caso in cui, seguendo il ‘colore’ della religione, qualche uomo disturbi la pace, la felicità o la sicurezza della società o dei singoli individui. E che sia dovere reciproco da parte di tutti praticare la tolleranza, l’amore e la carità cristiana gli uni verso gli altri65.
James Madison, il membro più giovane, aveva ventiquattro anni e nessuna esperienza in campo legale. Poiché voleva andare oltre la tolleranza, propose un cambiamento cruciale nella bozza preparata da Mason. Eliminò la restrizione riguardante l’impedimento della pace e attaccò il sostegno alla religione da parte dello Stato. Madison rifiutò senza paura l’intero programma sulla creazione di modi di praticare la tolleranza religiosa che avevano avuto luogo nel XVII secolo. Propose, al contrario, di sostituire l’espressione «completo e libero esercizio della religione»66. Tale cambiamento abissale nella storia intellettuale permise l’inizio della fine della cristianità.
3. Il Bill for Establishing Religious Freedom emanato da Jefferson. Nell’autunno del 1776, Thomas Jefferson, un membro della Camera dei delegati della Virginia, si buttò a capofitto in un’importante battaglia per porre fine all’instaurazione della Chiesa anglicana in Virginia, definendo nella propria autobiografia il suo compito come «la battaglia più dura in cui io mi sia mai impegnato»67. Il suo primo tentativo legale importante fu un Bill for Establishing Religious Freedom.
Nonostante l’elezione a governatore di Jefferson nel 1779, il suo progetto di legge fu respinto nello stesso anno. Egli commentò la ragione della sconfitta nella sua autobiografia: «Nonostante la maggioranza dei cittadini [della Virginia] fosse dissenziente, la parte prevalente dell’assemblea legislativa era formata da uomini della chiesa [anglicana]»68.
Nel 1784 Jefferson scrisse le sue Notes on Virginia, attaccando con violenza l’idea di una religione established, che nella mente di molti americani del XVIII secolo era associata all’importante cambiamento che Costantino iniziò nel IV secolo. Come scrisse Jefferson:
È possibile raggiungere l’uniformità religiosa? Milioni di uomini, donne e bambini innocenti, da quando è stato introdotto il cristianesimo, sono stati bruciati, torturati, puniti e imprigionati: eppure non abbiamo fatto un solo passo verso l’uniformità. Qual è stato l’effetto della coercizione? Rendere folle metà del mondo e ipocrita l’altra metà. Sostenere le azioni riprovevoli e l’errore in tutto il pianeta. Riflettiamo sul fatto che questo è abitato da miliardi di persone. Che queste persone probabilmente professano mille credo diversi. Che il nostro non è che uno delle migliaia. Che se solo uno di questi è corretto, e il nostro è quell’uno, dovremmo desiderare di vedere le 999 sette che vagano senza meta riunite nel circolo della verità. Ma contro tale maggioranza non possiamo realizzare questo progetto attraverso l’uso della forza. La ragione e la persuasione sono i soli strumenti praticabili. Per lasciare spazio a questo, deve essere concessa un’indagine più libera; e come possiamo desiderare che gli altri la concedano mentre noi stessi la rifiutiamo? Ma ogni Stato, sostiene un inquisitore, ha instaurato una religione. «Non ce ne sono stati due, affermo io, che abbiano instaurato la stessa». Questa è forse una prova dell’infallibilità dell’instaurazione? I nostri Stati associati della Pennsylvania e di New York, tuttavia, sono sopravvissuti a lungo senza alcuna instaurazione. Quando venne attuato, l’esperimento era nuovo e di dubbia riuscita. La risposta è andata oltre ogni immaginazione. Fioriscono senza limiti. La religione è ben sostenuta; di molti tipi, certo, ma tutti giusti quanto basta; tutti sufficienti a preservare la pace e l’ordine: o, nel caso in cui sorga una setta i cui principi sovvertissero le morali, il buon senso gioca in modo leale, ragiona e la respinge per il suo eccesso, senza dover sopportare il fatto che lo Stato abbia problemi con essa […]. È stata fatta la felice scoperta sul fatto che il modo di mettere a tacere le dispute religiose è quello di non prenderle in considerazione69.
4. Petizioni per il risarcimento della sofferenza in Virginia: Madison e migliaia di protestanti evangelici a sostegno del pieno e libero esercizio religioso. Come già detto, sia prima sia dopo il concilio di Nicea, Costantino finanziò generosamente il clero cristiano affinché fornisse istruzioni sulla fede cristiana. Una controversia nella Virginia postrivoluzionaria riguardo ai fondi per gli insegnanti di religione cristiana provocò un ulteriore ripudio del costantinianesimo in America. Prima della guerra, il sostentamento delle Chiese e dei ministri anglicani della Virginia era affidato a una tassa cui erano soggetti tutti i cittadini della colonia, fossero o meno membri della Chiesa established. Subito dopo, il Commonwealth, da poco indipendente, sospese questa tassa. A guerra finita, Thomas Jefferson si dimise da governatore per divenire il primo ambasciatore americano in Francia. Patrick Henry, suo successore, era consapevole del fatto che l’assemblea non sarebbe tornata al sostegno finanziario prerivoluzionario a favore della Chiesa established, pur avendo una maggioranza di membri anglicani. Perciò emanò un disegno di legge che sembrò apparentemente evitare il problema della delegittimazione. La vigilia di Natale del 1784, il governatore propose un disegno di legge (Bill Establishing a Provision for Teachers of the Christian Religion) che introduceva un sussidio per gli insegnanti di religione cristiana. Curry afferma:
Coloro che proposero tale disegno di legge lo difendevano in quanto avrebbe promosso il benessere generale della società rafforzando la moralità e l’armonia civica. Rifletterono se una tale disposizione sarebbe stata compatibile con la libertà religiosa poiché non permetteva preferenze o preminenza tra le Chiese, ovvero nessuna religione riconosciuta70.
Come detto sopra, nel maggio del 1776, durante l’assemblea costituzionale della Virginia, Madison aveva convinto i delegati – compresi anglicani quali George Mason e Patrick Henry – ad accettare un cambiamento significativo nelle idee, allontanandosi dalla «completa tolleranza religiosa» per avvicinarsi al «completo e libero esercizio religioso». Madison accettò nuovamente la sfida, e propose quindici motivazioni ben argomentate contro il progetto di legge emanato da Henry, nel raffinato ed efficace Memorial and Remonstrance. Il giudice Noonan fornisce un resoconto conciso di tutte le argomentazioni sostenute da Madison, suddividendole in tre sezioni: teologica, civica e storica71. Madison iniziò richiamando la Dichiarazione dei diritti della Virginia (1776), in cui ebbe un ruolo decisivo:
Riteniamo una fondamentale e innegabile verità il fatto «che la religione o il dovere che abbiamo verso il nostro Creatore e il modo in cui lo adempiamo possa essere guidato solamente da ragione e ferma convinzione, non da forza o violenza». Ne consegue dunque che la religione di ogni uomo deve essere lasciata alla ferma convinzione e coscienza di ciascuno; e ogni uomo ha diritto di esercitarla secondo quanto dettato da queste ultime72.
Invocò inoltre il ragionamento di Jefferson, contenuto nella Dichiarazione, sul consenso di coloro che sono governati, e concluse che nessun ramo del governo era autorizzato «ad andare oltre la grande barriera che difende i diritti del popolo. I governatori colpevoli di tale violazione oltrepassano il mandato da cui prendono la loro autorità, e divengono tiranni»73.
Pur non avendo fatto riferimento diretto a Costantino, Madison offrì comunque un’argomentazione storica identificando il momento preciso della tarda antichità – quasi quindici secoli prima della fine del XVIII secolo – in cui il cristianesimo divenne cristianità, iniziando come una minoranza perseguitata, per poi ricevere una tregua dalla tortura e dalle uccisioni grazie a decreti o protocolli di tolleranza, e divenendo infine la religione ufficiale riconosciuta dall’Impero. Quali sono, si chiese Madison, i risultati di tale transizione dal periodo di «massimo splendore» all’epoca in cui venne «incorporata nella politica civile»?
L’esperienza testimonia che le instaurazioni ecclesiastiche, invece di conservare la purezza e l’efficacia della religione, hanno portato a un’azione opposta. Per quasi quindici secoli, l’instaurazione legale del cristianesimo è rimasta sotto processo. Quali sono stati i risultati? Più o meno dappertutto, orgoglio e indolenza nel clero, ignoranza e servilismo nel mondo laico, e, in entrambi, superstizione, intolleranza e persecuzioni. Chiedete ai Maestri del cristianesimo riguardo all’epoca in cui questo ebbe il suo massimo splendore; di qualsiasi setta facciano parte, indicheranno le epoche precedenti alla sua incorporazione nella politica civile74.
Egli temeva che il progetto di legge emanato da Henry avrebbe fatto ripartire lo schema ricorrente dei «fiumi di sangue» versati «attraverso inutili tentativi da parte del braccio secolare di vietare qualsiasi differenza nell’opinione religiosa», distruggendo quella moderazione e quell’armonia che il controllo delle nostre leggi dall’interferenza con la religione ha prodotto tra le diverse sette. Fiumi di sangue sono stati versati nel vecchio mondo, attraverso inutili tentativi da parte del braccio secolare di porre fine alla discordia religiosa, vietando qualsiasi differenza nell’opinione religiosa […]. La scena americana ha provato che una libertà equa e completa, se è vero che non cancella del tutto, distrugge comunque in modo sufficiente la sua influenza ostile sulla salute e prosperità dello Stato. Se, avendo sotto gli occhi gli effetti benefici di questo sistema, iniziamo a diminuire i limiti della libertà religiosa, non conosceremo nomi di persone che incolperanno la nostra follia troppo duramente75.
Verso la fine della sua richiesta, Madison tornò alla Dichiarazione dei diritti della Virginia e all’unione dei diritti civili e religiosi – poteri limitati per il governo e nessun potere sulle fedi religiose – che risuonò profondamente nella letteratura dei pamphlet dell’epoca rivoluzionaria e postrivoluzionaria:
Il diritto uguale per tutti i cittadini al libero esercizio della propria religione, seguendo ciò che detta la coscienza», viene difeso, con la stessa importanza, insieme a tutti gli altri nostri diritti. Se torniamo alla sua origine, esso è egualmente un dono della natura; se soppesiamo la sua importanza, non può esserci meno caro […]. Potranno spogliarci proprio del nostro diritto di suffragio, ed elevarsi in un’assemblea indipendente ed ereditaria o, bisognerebbe dire, che essi non hanno l’autorità di promulgare, all’interno della legge, il progetto di legge che stiamo considerando76.
Il progetto di legge del governatore Henry provocò numerose altre petizioni. La più famosa fu firmata da circa 4.899 sostenitori, più del triplo rispetto ai 1.522 che firmarono la Remonstrance di Madison77. Questi richiedenti basavano la loro opposizione al disegno di legge sulla convinzione che la proposta di Henry fosse «contraria allo spirito del Vangelo, e della Carta dei diritti». Questa petizione attribuisce espressamente a Costantino l’inizio del processo d’instaurazione della Chiesa cristiana con tutte le relative difficoltà derivanti da quella straordinaria decisione.
È certo che il santissimo autore della nostra religione sostenne e conservò il suo Vangelo nel mondo per diverse centinaia di anni, non solo senza l’aiuto del potere civile, ma contro tutti i poteri della terra. La magnifica purezza dei suoi precetti e il lodevole comportamento dei suoi ministri (dotati della benedizione divina) si fece, strada oltre qualsiasi opposizione: e non fu una situazione migliore per la Chiesa quando Costantino per primo instaurò il cristianesimo secondo la legge umana, sebbene ci sia stata una tregua dalla persecuzione. Ma quanto tempo passò prima che la Chiesa fosse invasa dall’errore, dalla superstizione e dall’immoralità78.
Curry riassume lo spirito e il contenuto di queste petizioni evangeliche: «La vera religione trionferebbe non con la trasformazione dei ministri in funzionari civili, ma con l’esempio e la predicazione dei ministri motivati dalla fedeltà, dalla pietà e dallo spirito di Dio»79. Il volume e l’intensità di queste petizioni, aggiunge, sommerse la proposta del governatore Henry. Madison si rese conto che c’erano i voti per attuare il Bill for Establishing Religious Freedom di Jefferson, che era stato sconfitto nel 1777, ma che ora divenne rapidamente la legge del Commonwealth. La dichiarazione affermava sostanzialmente:
Nessun uomo sarà obbligato a frequentare o sostenere alcun culto, luogo o ministero religioso, né sarà forzato, controllato, molestato o oppresso nel corpo e nei beni che possiede, né soffrirà altrimenti, sulla base delle sue opinioni o delle sue credenze religiose; ma ogni uomo sarà libero di professare, e sostenere con argomentazioni, le sue opinioni religiose, e le stesse non diminuiranno, non aumenteranno né colpiranno in nessun modo le sue funzioni civili80.
Curry scrisse Farewell to Christendom soprattutto poiché, dopo aver letto le opinioni della corte, arrivò alla conclusione che «la discussione sul significato storico del primo emendamento ha raggiunto un punto di scompiglio e possibile disgregazione»81. La Corte suprema degli Stati Uniti, nelle sue opinioni riguardanti il sostegno pubblico dell’istruzione nelle scuole religiose americane, ha fatto riferimento di tanto in tanto a questo episodio avvenuto in Virginia. L’utilizzo di tale materiale da parte della Corte, tuttavia, è erroneo in molti punti. In primo luogo, i giudici dividono le due disposizioni del primo emendamento, riguardanti la delegittimazione e il libero esercizio religiosi, come se fossero discordanti e in conflitto tra loro, mentre nella discussione del XVIII secolo esse erano concordanti e complementari. Curry afferma:
Dividendo il primo emendamento in due ‘affermazioni’, ognuna con la sua finalità, la Corte suprema fece una congettura errata alla base riguardo alla natura dell’emendamento. Identificando il libero esercizio religioso con la tolleranza religiosa e l’assenza di coercizione, bloccò l’accesso verso il ricco sviluppo storico della libertà religiosa nell’America coloniale, ponendo in tal modo un onere insostenibile sull’assenza di instaurazione82.
In secondo luogo, una volta deciso che la discussione sulla libertà religiosa li ha posti davanti a un dilemma di scelta, i giudici ipotizzano erroneamente che qualsiasi cosa coinvolga i finanziamenti pubblici debba essere considerata un problema di delegittimazione. Al contrario, le petizioni – compresa la Remonstrance di Madison, l’unico testo che la Corte cita – utilizzano ripetutamente il linguaggio del libero (o volontario) esercizio della religione, garantito nella Dichiarazione dei diritti della Virginia del 1776. Ad esempio, in Virginia i richiedenti domandarono di essere lasciati «completamente liberi in materia di religione e riguardo al modo di sostenere i relativi ministri»83. In terzo luogo, alcuni giudici e avvocati cercano a volte di giustificare «l’aiuto non preferenziale» all’istruzione come costituzionalmente concesso sulla base del linguaggio usato nella proposta di legge di Henry. Secondo quanto afferma Curry, tale conclusione non si basa sull’attenzione verso ciò che stava realmente accadendo in Virginia durante questa controversia, ma è decontestualizzata e destoricizzata, e si basa su una logica formalista astratta:
Le parti coinvolte nella discussione hanno perso il contatto con il contesto storico dell’emendamento […]. Nel dibattito moderno, entrambe le parti fanno affidamento sulla logica, sulla valutazione astratta del comportamento, che non considera la reale esperienza storica, piuttosto che sulla rivalutazione del modo in cui le persone agiscono e hanno agito, specialmente riguardo alla religione. Solo astraendo il General Assessment Bill (progetto di legge sulla valutazione generale) dal suo contesto storico, i commentatori moderni possono trovarvi una proposta di sostegno non preferenziale. Per la maggior parte della popolazione della Virginia dell’epoca ciò era tutto tranne non preferenziale. Sapevano che era essenzialmente un tentativo di salvare la precedente Chiesa established, che aveva perso il suo sostegno statale e soffriva all’interno di un sistema di volontariato. Lo videro come un tentativo di utilizzare il potere dello Stato a beneficio di un solo gruppo religioso. Quest’atteggiamento da parte loro spiega il motivo per cui non cambiarono mai la loro definizione di instaurazione in preferenziale84.
Curry ci ricorda inoltre l’assoggettamento dei predicatori battisti alle molestie e ai crimini, durante le punizioni, nel periodo dell’instaurazione anglicana in Virginia, appena prima della guerra rivoluzionaria:
I ministri battisti in Virginia continuavano a subire persecuzioni e a rimanere in prigionia per la loro predicazione alla vigilia della Rivoluzione americana. Persino dopo lo scoppio della guerra, i richiedenti anglicani informarono l’assemblea legislativa della Virginia del loro timore per il progredire di alcuni «dissenzienti dalla Chiesa established», che stavano «persuadendo le persone ignoranti e sprovvedute ad abbracciare le loro dottrine erronee». Chiesero che questi gruppi venissero limitati dalla legge statale in maniera adeguata. Inoltre, dopo la fine della guerra, le persone che non facevano parte della professione di fede anglicana continuarono a essere vittime delle restrizioni sociali e religiose85.
Sullo sfondo di questo contesto, altri due testimoni – Isaac Backus e John Leland, entrambi a capo dei predicatori battisti – spiegano il motivo per cui in America ci fu un’opposizione così forte alla soluzione costantiniana che dava una preferenza particolare a una Chiesa established, violando in tal modo il diritto naturale di coloro che non ne erano membri al completo e libero esercizio della loro personale dedizione alla fede. Sia Backus sia Leland fecero risalire espressamente gli errori relativi all’instaurazione della religione a Costantino.
5. Isaac Backus. Considerato il più illustre storico di battismo e di quaccherismo del New England, Backus fu «lo scrittore più incisivo e più enfatico che l’America ebbe a difesa della teoria evangelica o del pietismo riguardo alla separazione tra Stato e Chiesa»86. Nel 1773 Backus scrisse:
Lo Stato è armato della spada per mantenere la pace, perché siano rispettati i diritti civili di tutti gli uomini e di tutte le società e per punire coloro che li violano. E dove queste due tipologie di governo, e le relative armi, sono ben distinte, e rese migliori secondo la vera natura e il fine della loro istituzione, gli effetti sono positivi, e non interferiscono in alcun modo tra loro: ma laddove sono stati uniti, non esiste lingua né penna che possa descrivere in modo esauriente i danni che ne sono risultati […]. Ora è noto a tutti che questo capo glorioso [Gesù] non fece uso della forza secolare87.
Nel 1788, alla convenzione di ratifica del Massachusetts, Backus fece risalire espressamente la genealogia degli errori della religione established a Costantino:
Molti sembrano essere davvero preoccupati al riguardo, ma nulla è più evidente, sia che si guardi alla ragione sia che si faccia riferimento alle Sacre Scritture, del fatto che la religione sia sempre una questione tra Dio e i singoli individui; perciò nessun uomo o gruppo di uomini può imporre prove di fede di alcun tipo, senza che vengano violate le prerogative essenziali di nostro Signore Gesù Cristo. I ministri per primi assunsero questo potere in nome del cristianesimo; successivamente, Costantino approvò tale pratica, quando adottò la professione di fede cristiana, in quanto motore della linea politica dello Stato. E se si compie una ricerca sulla storia di tutte le nazioni da quel giorno a oggi, ne risulterà che l’imposizione di prove religiose è stato lo strumento più potente della tirannia nel mondo. E gioisco nel vedere così tanti membri della piccola nobiltà che non rinunciano ai diritti della coscienza, riguardo a una questione così grande e importante88.
6. John Leland. Come Backus, anche Leland fu un predicatore battista e un importante sostenitore di una carta dei diritti federale. Nel 1791 – l’anno in cui fu ratificato il primo emendamento – Leland affrontò il problema della persistenza, in alcuni Stati, di un giuramento solenne richiesto a quanti ambivano a cariche elettive. Leland spiegò il motivo per cui tali giuramenti fossero un male:
La natura di tali instaurazioni […] è quella di tenere lontani gli uomini migliori dalla carica civile. Gli uomini giusti non possono credere ciò che non possono credere; e non aderiranno a ciò che rifiutano di credere, e non faranno un giuramento solenne per sostenere ciò che concludono essere un errore: e dato che gli uomini migliori si differenziano nel giudizio, potrebbero essercene un po’ in ogni Stato: i loro talenti e la loro virtù danno loro il diritto di ricoprire le cariche più importanti, eppure, dato che sono in disaccordo con il credo riconosciuto dello Stato, non possono – e non ricopriranno tali cariche, laddove le persone malvage non si fanno scrupolo nel fare qualsiasi giuramento89.
D’altra parte, sostiene Leland, la religione riconosciuta diffonde ignoranza e superstizione, e rende legittima la persecuzione:
Gli uomini privi di ispirazione e fallibili fanno delle loro opinioni prove di ortodossia, e utilizzano i loro sistemi, come Procuste utilizzava la sua incudine a forma di letto, per distendere e misurare la coscienza di tutti coloro che passano loro vicino. Laddove non viene assicurata la tolleranza verso i non conformisti, prevale l’ignoranza o la superstizione, o si scatena la persecuzione; e se la tolleranza viene assicurata limitatamente ai non conformisti, la mente degli uomini è orientata ad abbracciare quella religione che viene favorita e coccolata dalla legge90.
In Europa, il cosiddetto principio di pace definito dal Trattato di Westfalia (1648) aveva richiesto che i sudditi di una regione adottassero i credo e le pratiche religiosi del proprio sovrano (cuius regio, eius religio). Circa un secolo e mezzo dopo, in America, Leland criticò questo approccio alla religione established:
Non esistono due regni o Stati che stabiliscono lo stesso credo o gli stessi formulari di fede (e ciò da solo già è prova della loro debolezza). In un regno un individuo è condannato perché non crede in una dottrina, mentre in un altro regno, verrebbe condannato se vi credesse. Nessuna di queste instaurazioni può essere giusta, ma entrambe possono essere, e certamente sono, sbagliate91.
Come Backus, anche Leland fece risalire espressamente a Costantino le origini di tutte queste difficoltà legate alla religione established:
Proibire la libertà civile e religiosa a tutti i non conformisti [...] fu l’errore che commise il governo di Costantino, che fu il primo a instaurare la religione cristiana per legge, e successivamente condannò gli ebrei e i pagani, e bandì gli eretici ariani […]. Una devozione esagerata verso un sistema o una setta particolari […] diede vita alla prima instaurazione religiosa umana, da parte di Costantino il grande. Essendosi convertito al sistema cristiano, lo instaurò nell’Impero romano, obbligò i pagani a sottomettervisi, e bandì gli eretici cristiani, costruì cappelle eleganti a spese dello Stato, e impose stipendi onerosi per i predicatori. Tutto ciò venne fatto per amore della religione cristiana: ma il suo amore operò in modo poco attento; poiché causò alla Chiesa cristiana più danni rispetto a quelli causati da tutti gli imperatori che compirono le persecuzioni. Si racconta che in quel giorno si udì una voce dal cielo, che disse: «Ora il veleno sgorga nelle chiese». Se questa voce non fu udita, fu comunque una verità; poiché da quel giorno a oggi la religione cristiana è stata trasformata in una staffa per montare il destriero della popolarità, del benessere e dell’ambizione92.
Già nel XVII e nel XVIII secolo, una delle motivazioni per la migrazione degli europei in America era che il «coraggioso nuovo mondo» offriva un’alternativa difficile, ma accettabile, al conformarsi dei sudditi ai credo e alle pratiche religiosi del principe locale. Nel suo Common sense, Thomas Paine tracciò una linea parallela fra la tirannia dell’instaurazione religiosa che portò alla fuga dei coloni inglesi dalla madrepatria e una tirannia simile, che perseguitò i loro discendenti nel 1776:
Questo nuovo mondo è stato l’asilo cercato dai perseguitati di tutta l’Europa, amanti della libertà civile e religiosa. Sono fuggiti in questo posto, non scappando dai teneri abbracci della madre, ma dalla crudeltà del mostro; e finora resta valido il fatto che in Inghilterra, la stessa tirannia che portò i primi migranti ad allontanarsi da casa, continua a perseguitare i loro discendenti94.
Nel 1785 anche James Madison si interessò ad alcuni rifugiati dalla persecuzione in Europa, fuggiti in America per cercare con tutte le loro forze di vivere e respirare liberamente. Nel suo scritto Memorial and Remonstrance descrisse l’ospitalità americana nei confronti dei perseguitati come «la gloria della nostra Nazione», in forte contrasto con il progetto di legge del governatore Henry, paragonato a un faro che avvisa i futuri richiedenti asilo di stare lontani da un’America inospitale:
L’instaurazione che viene proposta è un allontanamento dalla politica generosa, che, offrendo asilo ai perseguitati e agli oppressi di ogni nazione e religione, promise alla nostra nazione la gloria, e l’aumento del numero dei suoi cittadini. Che triste macchia di improvvisa degenerazione rappresenta tale progetto di legge? Invece di mantenere a lungo l’asilo per i perseguitati, è esso stesso un segnale di persecuzione. Destituisce dal rango di cittadini equi tutti coloro la cui opinione religiosa non sottostà a quelle dell’autorità legislativa. Per quanto si differenzi, nella sua forma presente, dall’inquisizione, si distingue da questa solo nel grado: la prima è il passo iniziale, la seconda è l’ultimo, nel percorso dell’intolleranza. Il sofferente magnanimo che si trova sotto questo flagello crudele nelle regioni straniere, deve vedere il disegno di legge come un faro sulla nostra costa, che lo avverte di cercare qualche altro paradiso, dove la libertà e la filantropia, nella loro dovuta misura, possono offrire una pace più sicura alle sue preoccupazioni95.
Madison continuò a sperare che l’America non sarebbe mai stata minacciata dall’instaurazione di alcuna religione, poiché correlava il maggiore pluralismo religioso alla scarsa probabilità che in America una singola fazione religiosa sarebbe mai riuscita a imporre le proprie opinioni sugli altri. Madison vide il suo desiderio realizzarsi. Sin dai primi anni della Repubblica, i movimenti religiosi totalmente sconosciuti in Europa – i discepoli di Cristo, i milleriti e i mormoni – «osarono puntare in alto, sormontare le rigide eredità culturali, lavorare insieme per essere liberi come individui»96. E ciò non fu che l’inizio di una diversità che, in America, sarebbe cresciuta per includere centinaia di diverse «denominazioni» – un termine che spesso confonde gli europei, che hanno familiarità con Ernst Troeltsch e la sua divisione teologica delle comunità religiose in culti e sette97 – ognuna con una sua identità, se non addirittura una visione politica e una serie di credenze completamente diverse, con o senza un vero e proprio credo.
Thomas Curry descrive l’importanza della migrazione cattolica in America, all’inizio del XIX secolo, per ottenere la libertà religiosa:
A cominciare dal 1820, molti cattolici, provenienti principalmente dalla Germania e dall’Irlanda, arrivarono in America. Durante gli anni Quaranta del XIX secolo ciò che era stata una corrente costante divenne un fiume in piena. A partire dal 1850, il cattolicesimo costituì la denominazione religiosa maggiore negli Stati Uniti. I cattolici portarono con loro una cultura, dei costumi, una visione del mondo e una pratica religiosa diversi. Di conseguenza, per oltre un centinaio di anni a venire, il bisogno di adattarsi alla loro presenza mantenne il paese in uno stato di turbamento che spesso arrivò a momenti di grande agitazione. A sua volta, l’ostilità che incontrarono plasmò ai cattolici americani. Nel reagire a ciò, trasformarono la nazione, progredirono nella causa della libertà religiosa e contribuirono alla crescita di una società pluralistica98.
Nello stesso periodo, anche gli ebrei europei migrarono in America in numero significativo99. Curry riconosce correttamente il momento di grande agitazione dell’ostilità che gli immigranti cattolici affrontarono al loro arrivo in America. Allo stesso modo, gli immigranti ebrei affrontarono ondate di ostilità molto prima dell’invenzione europea della parola ‘antisemitismo’100. Ma questa ostilità contro l’estraneo religiosamente deviante è la presenza ombreggiata di un Costantino americano? I gruppi di odio più importanti in America, come il Know-Nothing, l’American Protective Association, il partito nativista, e il Ku Klux Klan, non dovrebbero essere identificati come ‘nuovi Costantino’, poiché l’idea che sta dietro l’editto di Milano garantisce «la pratica aperta e libera» del proprio culto non solo a coloro che aderiscono alla religione civile romana, ma anche «a tutti gli altri, compresi i cristiani»101. Questi gruppi sono più simili a un Diocleziano dei giorni nostri, anche se non sono così selvaggi quanto il loro Augusto predecessore e senza dubbio non sono consapevoli della loro antica genealogia.
Bisogna inoltre riconoscere che il fine della legislazione antieretica di Costantino era far sì che gli estranei alla religione imparassero il limite della tolleranza. È innegabile che i vigilantes del XIX secolo e dei primi anni del XX abbiano fatto capire agli estranei ebrei e ai cattolici i limiti della loro ‘tolleranza’, impegnandosi in una violenza insensata e brutale contro questi immigrati102. Come nel passato, i limiti della pazienza dei ‘tolleranti’ furono inizialmente difesi in termini che solitamente non oltrepassavano lo standard della Golden Rule (la regola d’oro), e successivamente vennero attuati con vigore: gli ebrei non accettano Gesù, la fedeltà dei cattolici è scissa (tra America e Vaticano). Il grado di tale violenza è la misura dell’incompleta e graduale transizione dell’America da una terra che tollerava semplicemente la religione a una che assapora la delegittimazione e il libero esercizio religioso.
Curry evita l’esagerazione, trattenendosi dal descrivere questo periodo come un momento di persecuzione o di martirio religioso. Il termine ‘persecuzione’ descrive in modo adeguato la crudeltà di imperatori quali Diocleziano, che sporadicamente, velocemente e brutalmente torturarono e uccisero i cristiani nel mondo antico. Il termine ‘martirio’, inoltre, invita a riflettere su una dimensione profondamente positiva dell’etica umana: martyrion in greco significa ‘testimonianza sincera’103. In queste circostanze, il racconto della verità comprende un coraggioso rifiuto del sacramentum fidei, o giuramento di lealtà all’imperatore, come se egli fosse divino (‘Augusto’ o ‘Cesare è il Signore’), ma anche il racconto della verità inteso come fedeltà alla devozione del martire preesistente all’impegno del battesimo – «Gesù è Signore» (1 Cor 12,3) – o, come riporta Plinio il Giovane, all’eucaristico «canto di inni a Cristo come se egli fosse Dio» (cfr. Fil 2,11)104.
Durante l’ultima campagna elettorale per le presidenziali del 2012, un comitato di vescovi cattolici ha pubblicato un documento intitolato Our Most Cherished Liberty, suggerendo che oggi la libertà religiosa in America è in pericolo105. Il fatto che una tale partecipazione di leader religiosi alla discussione riguardo a temi di interesse pubblico sia totalmente garantita dalla Costituzione è parte del genius delle disposizioni americane sulla libertà religiosa106. Sono seguiti dei dibattiti sulla precisione e sull’accortezza del documento, ma anche questa, nella politica americana, è una forma di discorso garantito.
Una delle tematiche richiamate dai vescovi era che ‘l’era del martirio non si è conclusa’. Il contesto di tale affermazione fa riferimento alla vera sofferenza presente in altri paesi sconosciuti, ma molti vescovi non interpretarono questo documento limitatamente ai gravi abusi di diritti costituzionali in paesi esteri da parte di regimi che violano gravemente i diritti umani, ma anche in riferimento a una norma emanata dall’amministrazione Obama, che esige che università e ospedali cattolici paghino – in quanto parte dell’assicurazione sanitaria dei loro dipendenti – i contraccettivi o, in caso di rifiuto, siano tassati per un ammontare equivalente.
Più di una voce cattolica si è levata. Ad esempio, Commonweal – una rivista cattolica laica – ha pubblicato una raccolta di saggi che vedono in modo molto diverso le norme emanate dall’amministrazione Obama107. Altri cattolici, compresi George Weigel e Robert George, hanno respinto la posizione di Commonweal. La domenica di Pasqua, durante un’omelia, un vescovo cattolico ha paragonato Obama ai tiranni assolutisti del XIX e del XX secolo quali Clemenceau e Bismarck, Hitler e Stalin. Nicholas Cafardi, un cattolico laico con competenze sia di diritto canonico sia di diritto costituzionale americano, ha criticato pubblicamente quest’azione in quanto mendace, spietata e come probabile violazione del codice federale sulle imposte, che vieta la campagna politica da parte di organizzazioni esentasse108. Dopo aver vinto le elezioni, nel 2013 l’amministrazione Obama ha emanato un regolamento che solleva i suddetti istituti cattolici dagli obblighi della precedente norma. Ciò non ha posto fine alla controversia, ma quanto meno nessuno ha ancora proposto Obama come plausibile candidato per la lista dei ‘nuovi Costantino’.
Per tornare alla generazione della fondazione, l’interruzione dell’egemonia protestante fu cruciale per la speranza di Madison sulla fioritura della libertà religiosa nella nazione americana, come conseguenza del fatto che la diversità umana genera diversità religiosa. Quest’ultima impedisce l’eventualità che il potere si concentri nelle mani di una singola ‘fazione’ religiosa e che essa possa imporre la fedeltà alle proprie credenze e pratiche religiose. Madison aveva fiducia nel fatto che un maggiore pluralismo avrebbe assicurato l’impossibilità di controllo o repressione della politica americana da parte di movimenti religiosi109.
Anche altri fattori spiegano la consistenza del pluralismo religioso in America. In qualunque modo sia stato raggiunto, il pluralismo desiderato al momento della fondazione – E Pluribus Unum – è la regola sociologica che oggi in America ha più forza. Tale pluralismo è dimostrato con regolarità sia dalla comparsa, ogni anno, di nuovi gruppi religiosi, sia dall’aumento costante dei religious-nones, il cui numero è attualmente stimato intorno al 20%110. In un tale ambiente, che possibilità avrebbe un Costantino americano di imporre un’unità dottrinale sulla base dei principi di Nicea? Oppure, come potrebbe apparire una legislazione antieretica?
Porsi queste domande significa spiegare il motivo per cui Costantino non venne esaltato nella Rivoluzione americana o emulato nelle disposizioni costituzionali che ne derivarono.
Si è visto il motivo per cui l’America non ha una legislazione antieretica come quella che diversi imperatori e principi, dopo Costantino, promulgarono e imposero nei secoli della cristianità. Bisogna comunque riconoscere che molti americani (circa il 25% della popolazione) appartengono a una Chiesa che approvò ufficialmente tali leggi appena mezzo secolo fa.
Qual era l’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica sulla libertà religiosa prima del 1965? Alcuni cattolici tendono a trascurare questa domanda, poiché si sentono a disagio, o a immaginare una continuità perfetta tra l’insegnamento cattolico prima e dopo il concilio Vaticano II. Ciò non sempre è possibile, e neppure – come ha affermato Benedetto XVI – sempre auspicabile111. Come ha osservato il giudice John Noonan, esperto di queste tematiche, nel caso della libertà religiosa è particolarmente difficile mettere d’accordo l’insegnamento del Vaticano II, la dottrina dei Dottori della Chiesa, compresi Agostino e Tommaso d’Aquino, e quattro papi del XIX secolo: Leone XII (1823-1829), Gregorio XVI (1831-1846), Pio IX (1846-1878), Leone XIII (1878-1903)112. Noonan ha recentemente notato che, fino al 1964, i funzionari113 e i teologi 114 della Chiesa cattolica insegnavano ancora che se le persone erano eretiche, era corretto costringerle, o, in ogni caso, costringerle psicologicamente, e se lo Stato era cattolico potevano essere costrette usando la forza fisica. Quello era l’insegnamento standard […]. Il magistero ordinario, tutti i vescovi, tutti i teologi avevano insegnato che la repressione dell’eresia era la cosa appropriata da fare per tutti gli Stati cattolici115.
Non è questo il luogo per esplorare a fondo come sia accaduto che, durante i secoli della cristianità, la Chiesa e l’Impero abbiano forgiato una visione del dovere dello Stato di colpire, o persino uccidere gli eretici. Né si intende qui spiegare il motivo per cui ci volle così tanto prima che la Chiesa cambiasse il proprio insegnamento riguardo a questo tema. Una semplice ipotesi è sufficiente. Si è già detto che, quando i giudici e gli avvocati interpretano in maniera astorica, le loro dichiarazioni possono risultare inadeguate, poiché non prendono in considerazione o non spiegano dati rilevanti. La riflessione teologica può soffrire di un simile vizio metodologico. Il migliore o forse l’unico rimedio alla disattenzione è l’attenzione. Solo in questo le intuizioni possono correggere precedenti comprensioni incomplete, sviste o equivoci.
La domanda più interessante da porsi in questo capitolo riguarda il modo in cui i padri del concilio provenienti da tutto il mondo riuscirono a imparare gli uni dagli altri quando si riunirono, dal 1962 al 1965. Dal resoconto burocratico del concilio si evince la rapidità con la quale procedettero le diverse commissioni incaricate di preparare e rivedere i testi che furono infine promulgati come i sedici documenti del Vaticano II. Tuttavia, per spiegare la mutevolezza delle posizioni dei padri del Concilio, è anche necessario ricordare che la grande maggioranza di loro si trovava a San Pietro cinque giorni a settimana per un’ora di preghiera e due ore di conversazione sui testi teologici in latino. Intense conversazioni intellettuali e cambi di orizzonte ebbero luogo in tutta Roma durante l’autunno di quei quattro anni, sia in aula sia fuori, davanti a un bicchiere di vino o a un caffè. Mentre i vescovi ascoltavano altri vescovi, apprendevano riguardo a questioni cattoliche, in particolare alle necessità urgenti del mondo che loro tutti servivano, ma negli stili e nei modi adattati alle peculiarità delle Chiese locali. Strinsero legami di solidarietà che erano importanti almeno quanto lo erano stati i pedici della lettera iota in un precedente concilio. Attraverso la loro attenzione reciproca appresero di più riguardo alla collegialità di quanto potessero fare attraverso la rilettura dell’ultima versione del capitolo tratto da Lumen Gentium prima di addormentarsi in un convento o in un monastero, in un appartamento o in un hotel elegante.
Non fu nessun imperatore come Costantino a convocare il Vaticano II. Fu un affabile e amorevole pastore proveniente da Sotto il Monte, in provincia di Bergamo, che chiarì sin dall’inizio che avrebbe voluto un dibattito che trattasse l’aggiornamento della riforma della Chiesa. Come fu possibile realizzare ciò? Grazie alla maggiore attenzione da parte dei vescovi alla realtà delle persone che essi servivano, alla maggior comprensione dei loro veri bisogni, alla maggior ragionevolezza nel differenziare ciò che contava davvero per l’identità cattolica da ciò che aveva ormai perso importanza (per cui Giovanni XXIII fornì una ‘trinità’ di tematiche facili da ricordare: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas»), e grazie a una loro maggiore responsabilità nei confronti del bene della Chiesa e del mondo.
Fu certamente un ‘concilio pastorale’, ma ciò non significa che i pastori non abbiano bisogno di essere perspicaci. Al contrario, la forte urgenza pastorale che guidava il Vaticano II richiese di affrontare pesanti temi teologici, compreso quello della natura della Chiesa – sia in preghiera sia dopo essere ritornati in contatto con il mondo –, della rivelazione biblica e del modo in cui la predicazione dovesse essere riformata, della riforma della liturgia resa accessibile alla gente, del pentimento per ogni passata ostilità e per la tragedia degli ebrei, del rinnovamento e del sostegno di relazioni più profonde con altri cristiani, che sono intesi prima di tutto e soprattutto come fratelli e sorelle, e della fine della guerra nel Sud-Est asiatico che era già divenuta aspra e di cui non si vedeva apparentemente la fine, nonostante il nuovo papa fosse stato a New York per pregare le nazioni in francese: «Jamais plus la guerre; la guerre jamais plus».
Nessuno di coloro che a Roma incontrò Dorothy Day o Helder Camera scordò mai più quell’incontro. Nessuna superpotenza, in un mondo pericolosamente armato, poteva essere fiera delle proprie armi nucleari dopo aver letto quell’unica riga della Gaudium et Spes: «Qualsiasi atto di guerra che sia rivolto indiscriminatamente ai civili è un crimine contro Dio e contro l’umanità e merita di essere condannato senza equivoci e ambiguità». Molti vescovi memorizzarono queste parole e le utilizzarono spesso con i loro governi.
In questa situazione un Torquemada o un Bellarmino difficilmente avrebbero prevalso, né facilmente la cristianità sarebbe sopravvissuta. Prima che i vescovi arrivassero a Roma nel 1962, la regola aurea aveva già portato molti di loro a riconoscere «l’assurdità della richiesta di libertà religiosa per la loro religione e per nessun’altra»116. Circa due secoli dopo l’addio americano alla cristianità, i vescovi di tutto il mondo avevano incontrato quelli americani, e sentito parlare di una Chiesa che prosperava senza privilegi e immunità dal governo, e che dava un significativo contributo al mondo attorno a sé. Nella terza sessione nessuno sapeva quanto sarebbe stato vicino il voto sulla libertà religiosa. Alla fine della quarta sessione, il concilio Vaticano II approvò il testo finale della Dignitatis Humanae Personae – la dichiarazione sulla libertà religiosa – con 2.308 voti a favore e 70 contrari. Persino i cardinali Ottaviani e Ruffini votarono a favore. Paolo VI promulgò il testo il giorno seguente, a centouno anni dal giorno in cui Pio IX aveva condannato il male della libertà religiosa nella sua enciclica Quanta Cura.
Il giudice Noonan riassume questo cambiamento importante come segue:
Il concilio Vaticano II insegnò che la libertà di credo religioso era un diritto umano sacro; che tale libertà si fondava sulle esigenze della persona umana; che questa libertà veniva contemporaneamente trasmessa dalla rivelazione cristiana; e che il tipo di rispetto che doveva essere mostrato per la libertà di credo umano era stata insegnata sin dall’inizio da Gesù e dagli apostoli, che non cercarono di forzare la volontà umana, ma di persuaderla. Ora non veniva fatta nessuna distinzione tra la libertà religiosa degli eretici, un tempo calpestata nella teoria e nella pratica. Ora tutti gli esseri umani erano visti come possessori del prezioso diritto di credere e praticare seguendo i propri principi di fede. La libertà religiosa venne riconosciuta in quanto necessità della natura umana e della rivelazione. L’interferenza dello Stato sulla coscienza veniva denunciata117.
Il cardinale Joseph Beran – che era stato testimone delle atrocità del totalitarismo in Cecoslovacchia – pregò il concilio di evitare l’ipocrisia e riconoscere il bisogno di «pentimento per i peccati commessi in questo campo nei secoli passati», come il rogo di Jan Hus e la «conversione» forzata dei boemi118. Il testo finale omise una sincera litania di gravi atrocità commesse nel nome della relazione simbiotica tra Chiesa e impero conosciuta come cristianità – comprese le crociate e le inquisizioni in Spagna e nella Roma papale, e i decreti de hereticis comburendis. Lasciò a noi questo importante lavoro di metanoia. Non spiegò il modo in cui questo enorme cambiamento fosse avvenuto, ma un laico cattolico ha offerto la seguente spiegazione:
Lo sviluppo politico del mondo verso un governo democratico; lo sviluppo filosofico verso la comprensione della persona umana e la ricerca della verità da parte della persona umana; l’esperienza negativa dei terribili regimi totalitari; l’esperienza positiva della libertà religiosa con la Costituzione americana – questi sviluppi e queste esperienze avevano reso insopportabile lo sviluppo dottrinale dell’intolleranza e fatto apparire, in questo campo, i difensori della vecchia ortodossia come creature di caverne in cui la luce del sole non era mai penetrata119.
Il giudice Noonan affrontò inoltre un’altra domanda rimasta inespressa, che si nascondeva appena sotto la superficie della Dichiarazione sulla libertà religiosa:
Se millecinquecento anni di dottrina potevano essere cancellati da un concilio e dal papa, perché il nuovo insegnamento non poteva essere a sua volta sconfitto? La domanda poteva trovare una risposta vincente solamente nei credenti che vedevano la sintonia del nuovo insegnamento con i comandamenti di Cristo sull’amore. Secondo loro, c’era una bassa probabilità che la Dignitatis humanae personae venisse revocata, così come scarsa era la possibilità di trasformare una quercia in una ghianda o una pianta di senape in un seme120.
Infine, non è possibile riflettere sulla conquista del Vaticano II, nel dire addio alla cristianità, senza riconoscere il ruolo straordinario assunto dal filosofo e teologo gesuita John Courtney Murray, uno dei commentatori più accorti dell’esperienza americana121. Dopo le proteste che giunsero a Roma sull’ortodossia di Murray riguardo alla questione Chiesa-Stato, il suo ordine religioso – la Compagnia di Gesù – gli ordinò di trattenersi dalla pubblicazione delle sue riflessioni sulla matrice storica all’interno della quale i leader religiosi della Chiesa avevano condannato inutilmente l’idea essenziale della libertà religiosa122. A causa delle sue intuizioni, che offrivano un punto di vista più alto sulla punizione di ‘pensieri devianti’, e indicavano perciò una soluzione per la Chiesa e per il mondo, Murray venne messo a tacere proprio riguardo all’argomento che comprese così bene. Un problema ricorrente della censura è, ovviamente, il fatto che essa ostacola inutilmente quanti hanno cose importanti da dire. Il peso dell’errore ricade di conseguenza sia sugli oratori sia su coloro che vogliono ascoltare. In questo caso, l’arcivescovo che si unì alla denuncia di Murray a Roma negli anni Cinquanta utilizzò la sua considerevole influenza per far partecipare il gesuita al concilio come peritus o esperto, nel 1960. La padronanza superba di Murray delle vicende storiche, così come la sua acuta mente teologica e il suo cuore generoso e sensibile, influirono più di chiunque altro nel concilio sui recalcitranti.
Esiste un Costantino americano in questa storia? I teologi che denunciarono Murray a Roma erano dei ‘Costantino americani’? Lo era l’arcivescovo che pure denunciò Murray a Roma? Lo era il gesuita che censurò l’opera di Murray? Tutti loro erano americani. Nessuno di loro smise di pensare alla propria genealogia tardoantica. Se l’avessero fatto, probabilmente non avrebbero pensato a Costantino come a un antenato intellettuale.
Nell’immaginario della cristianità, i leader della Chiesa hanno bisogno di politici quanto i leader politici hanno bisogno di vescovi. Nel corso dei secoli, a volte l’Impero controllò la Chiesa, e altre volte la Chiesa dominò l’Impero. Raramente fino alla fine del XVIII secolo qualcuno immaginava che entrambi sarebbero stati meglio senza un coinvolgimento simbiotico. Negli ultimi cinquant’anni dalla fine del Vaticano II, i leader della Chiesa hanno dimostrato di poter raggiungere una situazione di pace maggiore tra loro senza la forza coercitiva della legge o le minacce di violenza per indurre all’osservanza. Alcuni esempi di pellegrini che viaggiarono verso i reciproci luoghi sacri mostrano la possibilità di costruire un mondo oltre la cristianità e senza un Costantino redivivo.
Nel 1964, Paolo VI e il patriarca ecumenico Athenagoras I si incontrarono a Gerusalemme per avviare un riavvicinamento tra il cristianesimo orientale e occidentale. Quest’incontro portò entro un anno alla nota Dichiarazione comune a Roma e a Costantinopoli del 7 dicembre 1965123. Questo modo di immaginare l’‘oikumene’ – o mondo abitato del Mediterraneo – è molto diverso dall’idea di concilio ecumenico, quale convocato dall’imperatore Costantino a Nicea (nel 325), a cui partecipò e che presiedette, e che successivamente utilizzò come criterio di ortodossia per costringere gli eretici a conformare le loro opinioni e le loro consuetudini liturgiche alle verità conciliari, pena le severe punizioni imperiali124.
Nel 1979 Giovanni Paolo II fece visita al patriarca Dimitrios I nella cattedrale di S. Andrea a Costantinopoli. I patriarchi di Roma e della Nuova Roma stabilirono una Dichiarazione comune:
Il dialogo della carità […], radicato in una fedeltà completa all’unico Signore Gesù Cristo e alla sua volontà sulla sua Chiesa [...], ha aperto la strada a una comprensione migliore delle nostre reciproche posizioni teologiche e, in tal modo, a nuovi approcci verso il lavoro teologico e a un nuovo atteggiamento rispetto al comune passato delle nostre Chiese […].
Desideriamo che il progresso nell’unità apra nuove possibilità di dialogo e collaborazione con i credenti di altre religioni, e con tutti gli uomini di buona volontà, per fare in modo che l’amore e la fratellanza prevalgano sull’odio e sull’ostilità tra gli uomini. Speriamo in questo modo di contribuire a un futuro di vera pace nel mondo. Invochiamo questo dono fatto da colui che era, che è e che viene, Cristo nostro unico Salvatore e nostra vera pace125.
Giovanni Paolo II insegnò che «una scusa è peggiore e più terribile di una bugia, poiché una scusa è una bugia prudente». Agendo sulla base di questa intuizione, nel 2001 il papa inviò scuse formali al patriarca Bartolomeos I per le azioni che in questo secolo sono imputabili come crimini di guerra e crimini contro l’umanità: stupro, assassinio di civili disarmati, saccheggio su vaste aree e grave furto di beni culturali. L’illustre storico di Cambridge, Steven Runciman, sottolineò la rilevanza di tali crimini: «Non vi fu mai un crimine contro l’umanità più grande della quarta crociata»126. Il fatto che queste crociate demolirono proprio la fortificazione ordinata da Costantino per proteggere la città che portava il suo nome rendendola vulnerabile al successivo attacco e alla conquista da parte degli ottomani nel 1453 è una delle ironie della storia.
Le uniformi che indossavano questi soldati ci riportano alla visione/sogno di Costantino alla vigilia della battaglia di ponte Milvio127. I soldati che perpetrarono questi crimini indossavano mantelli e utilizzavano scudi con il simbolo della croce, di qui il nome di ‘crociati’128. Quest’associazione della croce di Gesù con la vittoria militare è evidente sia nelle battaglie di Costantino sia nelle crociate. Il quesito ermeneutico non è ‘che cosa farebbe Gesù?’. Quattro testimoni del I secolo riportarono ciò che fece e ciò che rifiutò di fare il Venerdì santo: morì, e rifiutò di uccidere o di lasciare che i suoi discepoli usassero la forza delle armi per salvarlo o per espellere l’esercito imperiale romano dalla Giudea. I racconti della Passione dei quattro Vangeli, ovviamente, non sono trascrizioni letterali di testimoni oculari degli eventi storici, ma sono abili fusioni di testi biblici tesi a illuminare il significato teologico della morte di Gesù129, così come fu celebrata liturgicamente nei pasti consumati nell’area del Mediterraneo, dove fu spezzato e distribuito il pane in sua memoria130. Tuttavia, vista la meticolosità di ogni evangelista, gli studiosi convengono fortemente su tre aspetti importanti della vita e della morte di Gesù: fu un ebreo, un abitante della Galilea e un predicatore di pace131.
Il quesito ermeneutico riguarda noi. Nei primi anni del XXI secolo che cosa dovremmo fare di queste memorie? Celebrare la vittoria di Costantino su Massenzio nel segno della croce? Celebrare l’invito di Urbano II alla serie di guerre senza fine contro i musulmani132? Celebrare la furia contro la città di Costantino nella quarta crociata? La risposta data da tre papi contemporanei e dall’attuale patriarca ecumenico alle ultime tre domande è decisamente negativa.
Nel 2004 – anno in cui si ricordavano gli ottocento anni dalla fine della quarta crociata – Giovanni Paolo II risarcì la Chiesa orientale ortodossa restituendo le reliquie dei santi Giovanni Crisostomo e Gregorio Nazianzeno, che erano state rubate dalla chiesa di Santa Sofia durante la guerra dei cristiani d’Occidente contro i cristiani d’Oriente.
Un anno più tardi, il patriarca ecumenico Bartolomeos giunse a Roma per prendere parte ai funerali di Giovanni Paolo II. Nel 1979 l’allora arcivescovo di Monaco Joseph Ratzinger prese parte alla delegazione che accompagnò il papa durante la prima visita del Vaticano alla cattedrale di S. Andrea a Istanbul. Nel 2006, Ratzinger tornò a Costantinopoli/Istanbul in veste di pontefice, ricordando la Dichiarazione comune del 1965 tra Paolo VI e il patriarca Athenagoras, e la loro «coraggiosa decisione di rimuovere il ricordo degli anatemi del 1054».
Questi viaggi da parte dei capi della Chiesa verso le reciproche terre e luoghi sacri sono modelli di fratellanza cristiana, che nel nostro mondo post-costantiniano non ha avuto bisogno di essere imposta da ordini imperiali o politici.
Se è vero che le comunità religiose non necessitano di previa approvazione del governo per occuparsi dei loro timori riguardanti una maggiore unità religiosa, ciò vale anche per il loro dovere di parlare in modo libero, risoluto e saggio riguardo a questioni di comune interesse sociale. Una delle conseguenze del pluralismo delle comunità religiose in America consiste nel fatto che le loro voci sulla giustizia sociale sono mescolate. Dal momento della fondazione fino a oggi, le comunità religiose in America hanno affrontato un’ampia varietà di temi scottanti in materia di politica sociale, compresi l’abolizione della schiavitù, la giustizia razziale, di genere, ambientale e il progresso dei diritti dei lavoratori.
Nelle disposizioni costituzionali americane, le organizzazioni religiose e i funzionari della pubblica amministrazione non sono uniti. Hanno preoccupazioni indipendenti che a volte si sovrappongono, ma divergono anche nettamente, soprattutto riguardo a temi controversi come l’aborto, la pena di morte e la guerra133. Ad esempio, alla fine del primo mandato del presidente Reagan, i vescovi cattolici americani – dopo aver consultato a lungo il laicato – pubblicarono un’importante lettera pastorale mettendo in discussione la moralità degli ampi arsenali nucleari all’epoca mantenuti dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica134: certamente non il tipo di comportamento che Costantino si sarebbe aspettato dai vescovi del suo secolo. Inoltre, nei casi in cui le voci delle comunità sono attenuate, il motivo spesso risiede nell’autocensura o nella vigliaccheria, non nei decreti governativi.
Per paura che l’immagine del cattolicesimo moderno potesse apparire rigidamente conformista all’ortodossia che Costantino promosse nella sua epoca, nel 1987 George Weigel – uno dei massimi studiosi cattolici neoconservatori – pubblicò un’opera importante, in cui attaccò i vescovi per l’«abbandono incauto» dell’eredità cattolica sulla guerra e sulla pace. Denigrò anche illustri pensatori cattolici riguardo a questi temi – Dorothy Day, James Douglass, J. Bryan Hehir, Thomas Merton e Gordon Zahn – per «aver impoverito la tradizione cattolica»135. Weigel venne contestato. L’illustre intellettuale pubblico cattolico, Peter Steinfels – ultimo redattore di Commonweal e redattore della sezione religiosa per il New York Times –, notò come Weigel fosse vago in molti punti essenziali della sua argomentazione e ricorresse persino a gravi distorsioni delle opinioni di coloro che criticava. «Se l’eredità cattolica deve essere messa al sicuro», scrisse Steinfels, «ciò non verrà fatto riducendo le sue condizioni per adeguarla alla nostra [scil. americana] politica»136.
Nonostante questo energico scambio di vedute su uno dei più preoccupanti temi morali del giorno, Peter Leithart, un devoto apologeta di Costantino, sostiene:
Tutti gli Stati moderni, di regime totalitario o democratico, rinunciano al sistema costantiniano […]. Gli Stati moderni, per prima cosa, non accolgono la Chiesa, in quanto vera e propria città, al loro interno. Sono favorevoli ad accoglierla nel caso in cui essa accetti di moderare le proprie rivendicazioni, di limitarsi a mera religione, o a devozione privata, liturgia estetica, devozione spirituale. Gli Stati moderni sono felici di essere come Diocleziano, sostenendo i sacerdoti come fossero funzionari imperiali. Tuttavia gli Stati moderni non accoglieranno un concorrente137.
Questa lettura dello stato della relazione tra governo e comunità religiose in America non è né descrittiva né normativa. Le comunità religiose hanno il diritto di dire apertamente ciò che pensano riguardo a questioni di interesse pubblico, come qualsiasi altra organizzazione no-profit, e lo fanno in modo energico da secoli138. In questo caso, la Chiesa cattolica affrontò il tema delle armi nucleari con attenzione e a più voci. E l’impero non controbatté, né trattò la Chiesa come uno dei suoi settori.
«Ancora una volta alla breccia»139: è possibile parlare di un Costantino americano?
Si è visto come la Rivoluzione americana e gli assetti costituzionali che seguirono rifletterono un ripudio importante del potere regale e imperiale accentrato e, nello specifico, rifiutarono il potere governativo sulle credenze e le pratiche religiose. La domanda d’apertura – è possibile parlare di un Costantino americano? – si è dimostrata essere assillante e ricorrente. Perciò merita di essere ripresa per conclusione.
Negli anni Ottanta il ministro del Tesoro italiano Beniamino Andreatta suggerì che il presidente Ronald Reagan aveva iniziato una nuova era ‘costantiniana’. Se tale commento mai arrivò alla scrivania del presidente, la totale mancanza di interesse da parte di Reagan per la politica imperiale della tarda antichità potrebbe averlo portato a prendere come un complimento il commento di Andreatta, o forse lo ignorò come un altro caso di ‘bellezza (o bestialità) negli occhi di chi guarda’. Al contrario della generazione che fondò l’America, la gente comune è poco consapevole della propria storia, fatto salvo quella delle civiltà antiche.
Andreatta aveva motivo di preoccuparsi, anche se non elaborò né approfondì il proprio commento, lasciando riflettere il pubblico sul suo significato. In primo luogo, la preoccupazione di Andreatta riguardava probabilmente la tendenza americana a prendere decisioni sulla politica economica senza considerare le loro conseguenze per i paesi amici e alleati europei. Ad esempio, il suo ruolo di economista lo portò a conoscenza dei costi elevati, per gli europei, causati dalla politica monetaria americana che manteneva bassi i tassi di interesse. In ogni caso, è bene ribadirlo, ciò non dipende dalla Casa Bianca, bensì dal Federal Reserve Board, che è indipendente.
In secondo luogo, Andreatta era anche un politico attento alla protezione dei diritti umani – nello specifico, non avrebbe mai fatto il commento di ammirazione su Mussolini che ha fatto recentemente Silvio Berlusconi140. Andreatta era consapevole del ruolo importante che aveva l’America nella guida del ripudio all’uso della tortura dopo il secondo conflitto mondiale141. Ciò che non è risaputo, è che Andreatta era anche a conoscenza del fatto che agli inizi degli anni Ottanta l’amministrazione Reagan estese in segreto l’uso della tortura in tutta l’America Latina attraverso un programma noto come la ‘scuola delle Americhe’142. Non è una consolazione per gli americani o i loro critici europei sapere che questo orientamento verso la tortura non iniziò con Reagan, ma durante la guerra del Vietnam143. Andreatta visse fino al 2007 ed era senza dubbio a conoscenza dell’approvazione della tortura durante l’amministrazione del presidente George W. Bush144, ma non sostenne mai che il suo commento sulla ‘nuova era costantiniana’ in America fosse riferito alla tortura.
In terzo luogo, Andreatta era a conoscenza dell’aumento della spesa militare sotto Reagan, ma evidentemente non sapeva che questa politica era iniziata con il presidente Jimmy Carter145. Tale politica alla fine portò Reagan e il primo ministro sovietico Michail Gorbačëv a un’importante distensione della Guerra fredda formalizzata nel Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) del 1987, annunciato durante il loro summit a Reykjavík un anno prima.
In quarto luogo, un momento rappresentativo delle relazioni Est-Ovest durante la Guerra fredda è il discorso di Reagan del 1987 presso la porta di Brandeburgo davanti al famigerato muro che divideva Berlino in due. Il personale di Reagan non volle che il presidente facesse troppa pressione su Gorbačëv, per timore che ciò avesse un impatto negativo sul suo rinnovamento della politica sovietica espresso con i termini perestroika (ristrutturazione) e glasnost (apertura). Il presidente, tuttavia, insistette nel pronunciare con entusiasmo le parole in corsivo che il personale aveva escluso dal suo testo:
Accogliamo il cambiamento e l’apertura; poiché crediamo che la libertà e la sicurezza vadano di pari passo, che il progresso della libertà umana possa solamente rafforzare la causa della pace mondiale. C’è un gesto che i sovietici possono fare e che sarebbe inequivocabile, che farebbe progredire notevolmente la causa della libertà e della pace. Segretario generale Gorbačëv, se vuole la pace, se vuole la prosperità dell’Unione Sovietica e dell’Europa orientale, se vuole la liberalizzazione, venga davanti a questa porta. Signor Gorbačëv, apra questa porta. Signor Gorbačëv, signor Gorbačëv, abbatta questo muro!146
Dopo la caduta del muro, le voci riguardo a ‘un’alleanza sacra’ tra Giovanni Paolo II e Reagan sono state incessanti. Ad esempio, Massimo Faggioli ha collegato recentemente queste due figure a coloro che portarono alla caduta del muro: «La Chiesa Cattolica mostrò il proprio potere spirituale, culturale e politico quando Giovanni Paolo II – con l’aiuto di Ronald Reagan – fece crollare il muro di Berlino e pose fine al governo comunista nell’Europa dell’Est»147. Wojtyła e Reagan furono in effetti partecipi di questi fatti, non spettatori. Ma se il metodo scientifico in generale e la Rivoluzione americana in particolare ci insegnano qualcosa, è che un cambiamento di paradigma di tale entità non accade solamente perché uno o due ‘grandi uomini della storia’ lo dicono148. In Polonia non sono da ricordare solamente Wojtyła e Walesa, ma anche centinaia di sacerdoti che formarono migliaia di lavoratori per sconfiggere le inaccettabili condizioni contrattuali nei cantieri navali e nelle miniere, poiché queste violavano la dignità umana. Analogamente, non furono un vescovo cattolico a Roma o un presidente americano a Washington che agirono come organizzatori delle comunità nella Germania dell’Est, bensì, piuttosto, molti pastori luterani che organizzarono ‘conventicole’ o piccole assemblee illegali, ma molto efficaci, nel seminterrato delle loro chiese per fortificare il coraggio dei loro membri a opporsi alla crudeltà dell’imposizione, da parte della Stasi (il Ministero per la Sicurezza di Stato), di conformarsi politicamente all’ideologia della Repubblica democratica di Germania di Erik Honeker. E, se ci si attiene al modello del ‘grande uomo della storia’, bisognerebbe almeno riconoscere il ruolo di Michail Gorbačëv, che nel momento cruciale dell’apertura della breccia a Berlino rifiutò di comportarsi allo stesso modo dei capi comunisti che avevano ordinato l’arrivo dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956 e a Praga nella primavera del 1968.
In tutti gli eventi scioccanti che ebbero luogo negli anni Ottanta, è improbabile che vi fosse una consapevolezza conscia del costantinianesimo. Ad esempio, George Weigel – biografo e amico stretto di Giovanni Paolo II – descrive gli interessi sovrapposti di Wojtyła e Reagan come «la causa della libertà e la promozione dei diritti umani nel contesto dell’epoca, per le loro rispettive critiche della teoria e pratica comuniste», e conclude: «nessuno dei due venne inquadrato nelle categorie concettuali della Realpolitik»149.
Quale di questi aspetti, se ne esiste uno, della linea politica di Reagan determinò il commento di Andreatta? Nessuno di questi scenari moderni supporta un’identificazione troppo superficiale di Reagan con un Costantino redivivo. E nemmeno i vescovi americani che nel 1984 – con l’aiuto di migliaia di laici in tutta l’America – scrissero la lettera pastorale sulla guerra e sulla pace sfidando direttamente le politiche nucleari di Reagan assomigliano a coloro che vennero riuniti dall’imperatore a Nicea nel 324. Weigel non è Lattanzio, e Steinfels non è un nuovo Eusebio. Mentre aumentano i nomi dei candidati al titolo di ‘nuovo Costantino’, aumenta anche il rischio di anacronismo e identificazione sbagliata.
I gravi errori storici sottolineati nel paragrafo precedente sono rilevanti per la ricerca di un ‘Costantino americano’. Forse la Corte suprema dovrebbe essere candidata a questo dubbio privilegio per non aver compreso affatto l’allontanamento di Madison dalla mera tolleranza nel 1776, così come Costantino, coinvolto nella persecuzione dell’eresia, non comprese il pensiero di Lattanzio prima dell’editto di Milano, sul fatto che la vera tolleranza – non la tolleranza solo verso alcuni gruppi concepita da Locke – dovesse comprendere tutti ed essere universale.
La Corte ricadde nello stesso errore, e ciò portò a conseguenze concrete. Nel caso principale del XIX secolo sulle dispute riguardo alla proprietà della Chiesa (Watson v. Jones), discusso in precedenza, la Corte decise correttamente che non era suo diritto offrire alle comunità religiose idee migliori sul modo di strutturarsi e governarsi, poiché, in breve, «la legge non conosce eresia». Dopo decenni di decisioni affidabili basate su un modello anticostantiniano, la Corte decise che le corti potevano prendere decisioni in tali casi applicando i «principi neutrali di legge»150. Curry identifica due errori in questo scorretto ritorno verso la cristianità: 1. «I documenti essenzialmente religiosi possono essere letti in termini esclusivamente secolari» e 2. «la Corte è il giudice della dottrina religiosa poiché ha il potere di decretare quando non vi è coinvolgimento di ‘controversia dottrinale’»151.
Il risultato è stato caotico perché le Corti del Kentucky hanno una visione congregazionale della Chiesa episcopale, mentre quelle del Michigan hanno una concezione gerarchica. La confusione si estende poi alla Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti, e varia a seconda della posizione della Chiesa locale, di quella della Pennsylvania o di quella adiacente del Maryland. E la Corte suprema non ha rivisto alcun caso dal 1979 per chiarire la confusione che ha creato. E, ciò che più disarma, se si cerca di decidere se la Corte sia un ‘nuovo Costantino’, è constatare che nessuno lo noterebbe o a nessuno importerebbe.
Il saggio di Peter Brown, che definisce il saeculum come «l’elefante nella stanza» del Warburg Institute nei giorni ancora bui del secondo dopoguerra europeo152, suggerisce un secondo utilizzo della stessa metafora per descrivere un altro grande fenomeno su cui stranamente si sorvola. Nessuno di coloro che erano consapevoli del potere distruttivo della guerra globale fallì nel riconoscere l’intento dei politici francesi e tedeschi nel rendere un’altra guerra continentale europea «non solo impensabile ma impossibile materialmente» quando, nel 1950, invitarono l’Italia e i paesi del Benelux a unirsi per formare una struttura transnazionale che regolasse tre aree senza le quali nessuna nazione moderna sarebbe potuta andare in guerra: il carbone, l’acciaio e l’energia atomica. Né, dopo il 1989, si può fare a meno di notare come ci fu un riallineamento militare europeo, mentre il patto di Varsavia si dissolse con la creazione della Nato senza che fosse sparato un solo colpo. E, per quanto si possa premiare l’Unione Europea con il Nobel per la pace, questa ha alle spalle una storia di successi e insuccessi. Nonostante tutti questi sviluppi fossero e siano importanti, non possono essere qualificati come un ‘elefante nella stanza’, poiché chiunque poteva notare e commentare tali eventi.
L’elefante che attualmente occupa così tanto spazio nel salotto è l’America, che descrisse la propria Rivoluzione come un novus ordo saecolorum, e lo afferma ancora oggi su ogni banconota da un dollaro. Ma se questa promessa sia meravigliosa o dannosa dipende dal significato che le si attribuisce, perché la questione americana è carica di polivalenza. Da un lato, questo nuovo ordine potrebbe rappresentare lo ‘Spirito del ‘76’, cioè le verità manifeste del fatto che tutti gli esseri umani sono dotati di diritti inalienabili e dei corrispondenti doveri di istituire strutture di autogoverno progettate per eliminare il dispotismo assoluto e la tirannia. Il concetto di uguaglianza fu corretto in una seconda rivoluzione costituzionale: nell’adozione di tre emendamenti sulla razza dopo la guerra civile e nel tuttora attivo movimento per abolire l’apartheid americana nell’ambito della lotta per i diritti civili degli anni Sessanta153, nell’emendamento che assicurava la rappresentanza alle donne nel 1920 e nell’odierno movimento per promuovere l’uguaglianza di genere154. E poteva rappresentare molti altri beni sociali che l’America ha attualmente a cuore e ha sostenuto generosamente in tutto il mondo.
Dall’altra parte, non è possibile negare l’esistenza di questo elefante155. L’età dell’elefante dipende da quando si immagina che il cucciolo sia nato. È stato quando il presidente Jefferson acquisì la Louisiana per tre milioni di dollari dalla Francia poiché Napoleone era in bancarotta? L’elefante ha cominciato a crescere quando il presidente Jackson espropriò la nazione Cherokee e spedì questi indiani attraverso un lungo percorso di lacrime dalla Georgia all’Oklahoma nel 1832, o quando il presidente Polk cercò di espandere i confini della nazione facendo guerra al Messico dal 1846 al 1848?156 O forse l’elefante divenne un adolescente indisciplinato quando l’esercito concluse le guerre di estromissione degli indiani dalle loro terre tribali cosicché la «nostra terra»157 potesse finalmente raggiungere il suo «destino manifesto»158, allungandosi «da mare a mare luccicante»159? O forse il nostro elefante imparò a mentire quando il presidente William McKinley giustificò la guerra contro la Spagna non come espansione territoriale, ma come sforzo di portare il cristianesimo nelle Filippine160? O raggiunse l’età della saggezza quando era rimasto solo un altro elefante gigante in piedi dopo la Seconda guerra mondiale? E perse forse la sua memoria da elefante sui poteri divisi e separati dopo gli attacchi dell’11 settembre, giustificando il progetto di un ‘secolo americano’ con una guerra al terrorismo situata principalmente nei paesi musulmani e progettata per durare decenni in un futuro indefinito?
Comunque vengano datate la nascita e la crescita di questo elefante, Joseph Ellis – storico della Rivoluzione americana – recentemente ha descritto questo fenomeno in modo conciso: «il potere imperiale egemonico dell’America in un contesto globale»161. Questo tema è vastissimo e non si limita all’uno o all’altro partito. L’elefante viene e va, e il presidente in carica normalmente invoca il ‘privilegio esecutivo’ o la ‘sicurezza nazionale’ o il ‘terrorismo globale’ a sostegno di un ‘potere esecutivo unitario’. Mentre Bush serviva la sua nazione come presidente, vennero dichiarati riservati dei memoranda legali che pretendevano di giustificare la tortura. Nel 2009 il presidente Obama ordinò la pubblicazione dei documenti; il procuratore generale Holder li pubblicò immediatamente e promise allo stesso tempo l’immunità a tutti i sospetti violatori delle convenzioni internazionali e del diritto nazionale legati alla tortura. Nel 2013, il Senato – controllato dal partito democratico – sta facendo pressione per il rilascio delle giustificazioni legali che l’amministrazione ha sollecitato a causa di una politica di assassini extragiudiziali che ha sollevato domande costituzionali rilevanti riguardo all’erosione dell’autorità legislativa del Congresso, della sentenza giudiziale dei crimini e dell’amministrazione della pena.
Alla fine, forse tutto ciò che si può dire è che un ‘Costantino americano’ è un fantasma essenziale – come Amleto nell’opera teatrale danese o Banquo nell’opera teatrale scozzese – senza il quale potrebbero esserci atrocità anche peggiori se non si riuscisse a notare la presenza di questi fantasmi nel dramma che si sta consumando in America. Nonostante la guerra al terrorismo sia più una metafora mortale che una categoria legalmente significativa, la tradizione americana della separazione dei poteri è talmente cruciale per il significato costitutivo dell’esperienza americana che nessun presidente – Bush o Obama che sia – dovrebbe sminuirne l’importanza rivendicando un potere accentrato simile a quello di Costantino il Grande.
Una storia più ampia supporta inoltre questa conclusione: non la storia del popolo americano, ma la storia di questo pianeta Terra – chiamato anche Madre Terra – limitato e vulnerabile, e il fatto che ora condividiamo quest’astronave con miliardi di altre persone.
Questi fatti sottolineano che né la Chiesa né l’impero costituiscono la Città di Dio di Agostino, ma sono entrambi semplicemente aspetti dell’unica città in cui coabitiamo, una città terrena. Ciononostante, in questo momento delicato tra la civitas terrena e la Civitas Dei, l’illustre filosofo canadese Bernard Lonergan ha sollecitato a una responsabilità maggiore per la vita comunitaria in questa vasta città terrena. La città non è chiamata Roma o Nuova Roma, ribattezzata in onore di un imperatore come ‘città di Costantino’. Non è la Londinium coloniale, o la Nuova Londra. Non è York (dove Costantino fu dichiarato Augusto dal suo esercito) o New York (Nuova York). Non è Washington o nessun altro luogo nominato in onore di un generale come Costantino. Lonergan la chiamò cosmopolis, la città del mondo. Non è una superpotenza o un impiccione che divora tutte le nostre peculiarità. Non è un esercito o una flotta o una forza aerea imperiale che unisce le nazioni con il dominio e la forza. È un metodo onnicomprensivo che ci permette di divenire più umani e più benevoli attraverso una maggiore attenzione, intelligenza, ragionevolezza e responsabilità162.
Per riassumere: la riflessione critica al tempo della Rivoluzione americana portò a punti di vista più alti sui limiti richiesti all’autorità una volta che il consenso di coloro che vengono governati è riconosciuto come fonte dell’autorità governativa. Ciò generò due conseguenti intuizioni nelle Costituzioni statale e federale: la separazione e la divisione dei poteri governativi, e l’abolizione del potere di governo sulle credenze e le pratiche religiose, riservando al governo il potere di promulgare le leggi necessarie e adatte a difendere l’ordine pubblico, o la sicurezza e la pace di tutti. Entrambe queste intuizioni sembrano in conflitto con il racconto centrale di Flavio Valerio Costantino.
L’anniversario di questo importante documento nella straordinaria carriera di Costantino permette di ammirare il rifiuto, da parte dell’imperatore, del programma generale di Diocleziano, che prevedeva la persecuzione dei cristiani e l’eliminazione degli spettacoli dei gladiatori come forma d’intrattenimento per le masse. Tuttavia, non bisogna adorare il Costantino che, nell’attuare e far rispettare gli editti antieretici, dimenticò l’insegnamento di Lattanzio sul fatto che la libertà in queste sfere dovrebbe essere estesa a tutti, poiché l’integrità della mente e del cuore non può essere forzata in maniera efficace. La libertà religiosa non è un pretesto per commettere crimini. Nella Roma della tarda antichità, sia i credenti ortodossi sia gli eretici erano soggetti all’arresto e alla persecuzione a causa della loro violenza, che disturbava la pace di tutte le città. Oggi in America vale la stessa cosa, ma è positivo il fatto che il governo non abbia potere per punire un eretico che non si conforma all’insegnamento ufficiale di una qualche comunità religiosa.
Così come l’Inghilterra dei Tudor e degli Stuart, il mondo moderno è stato pieno di violenza. Il secolo appena trascorso è forse il più tristemente noto a tal riguardo. Un conflitto mondiale richiese la presenza di circa dieci milioni di soldati, marinai e aviatori, in una guerra definita ‘grande’. Due decenni dopo, un’altra guerra mondiale richiese la presenza di altri dieci milioni di soldati, marinai e aviatori in una guerra definita ‘buona’, oltre ad almeno altri quaranta milioni di civili disarmati uccisi nelle loro case, mentre andavano a scuola o al lavoro. Dalla guerra contro gli armeni nel 1915 alla guerra contro i tutsi nel 1994, gli ultimi cento anni sono stati un secolo di genocidi, persino prima che Rafael Lemkin, un sopravvissuto polacco, desse a queste atrocità il nome di ‘genocidio’ nel 1944, presso la scuola di legge di Yale.
Tra questi tragici eventi, la Shoah spicca in quanto particolarmente atroce in virtù dell’enormità del danno. È vero, Costantino non commise tali crimini di guerra o crimini contro l’umanità. Bisogna lasciar fare i nazisti ai nazisti. Costantino non fu Hitler, né Diocleziano. Tutti noi, tuttavia, dobbiamo riconsiderare le terribili conseguenze della coercizione della fede che Costantino permise e perseguì all’alba della cristianità. Il desiderio di dare la caccia all’errore teologico peggiorò sempre di più con l’ampliarsi a dismisura della rete imperiale ed ecclesiastica, e passò dagli eretici cristiani agli ebrei, che furono chiamati a rispondere per la loro fede nelle Inquisizioni di Spagna e Roma163. Alla fine, una caccia all’eresia di questo tipo porta alle pulizie etniche e a sentire l’odore penetrante della carne e del sangue umani bruciati nei forni di Auschwitz-Birkenau, Belzec, Chelmno, Majdanek, Sobibor e Treblinka. Rabbi Greenberg affermò con vigore l’esigenza di un’umiltà teologica che deve essere uno standard per tutti noi nell’era del post-olocausto: «Nessuna asserzione, teologica o di altro genere, che in presenza di bambini che bruciano non sarebbe convincente, dovrebbe essere fatta»164.
Ora il mondo può solo gioire della libertà religiosa dichiarando in modo inequivocabile che questo diritto è innato nella dignità umana ed è perciò un diritto umano e civile universale per tutti. Il riconoscimento di questa verità nel Vaticano II fu particolarmente liberatorio per una comunità religiosa che era divenuta così desiderosa di accontentare Cesare da dimenticare o abbandonare spesso la sua principale ragion d’essere: servire il mondo vivendo il suo Vangelo di pace e giustizia un tempo predicato da un ebreo emarginato che diede la propria vita per il mondo, ma non chiese mai a nessuno di uccidere un’altra anima165.
Dato che l’America ha avuto un ruolo significativo nel promuovere il costituzionalismo (specialmente attraverso la promozione della virtù repubblicana, della separazione dei poteri e della vera libertà religiosa per tutti, nei dovuti limiti), questo capitolo si conclude con una benedizione, nonostante se ne sia abusato dopo gli atroci attacchi dell’11 settembre 2001: «God bless America» (Dio protegga l’America). Secoli dopo la fine della cristianità, nel mondo post-costantiniano in cui ora viviamo, tuttavia, qualsiasi benedizione nazionalista di questo tipo deve essere riformata attraverso la canzone «Song of Peace» (canzone di pace) degli artisti Peter, Paul e Mary, e cantata sulle note di Finlandia di Jean Sebelius:
This is my song, Oh God of all the nations / A song of Peace for lands afar and mine. / This is my home, the country where my heart is; / Here are my hopes, my dreams, my sacred shrine. / But other hearts in other lands are beating, / With hopes and dreams as true and high as mine. / My country’s skies are bluer than the ocean, / And sunlight beams on cloverleaf and pine. / But other lands have sunlight too and clover, / And skies are everywhere as blue as mine. / Oh hear my song, oh God of all the nations, / A song of Peace for their land and for mine. / May Truth and Freedom come to every nation; / May Peace abound where strife has raged so long; / That each may seek to love and build together, / A world united, righting every wrong; / A world united in its love for freedom, / Proclaiming Peace together in one song166.
1 Su questo tema si veda il contributo di A. Bravi in questa stessa opera.
2 Su questo tema si veda il contributo di Th. Pratsch in questa stessa opera.
3 Su questo tema si veda il contributo di V. Neri, Costantino e le guerre civili. Storia e storiografia in questa stessa opera.
4 Su questo tema si vedano i contributi di M. Della Valle, La croce (il simbolo e il monogramma), e F. Mandreoli in questa stessa opera; cfr. anche: J. Carroll, Constantine’s Sword: The Church and the Jews: A History, Boston-New York 2001, pp. 164-194; P.J. Leithart, Defending Constantine: The Twilight of an Empire and the Dawn of Christendom, Downers Grove (IL) 2010, pp. 68-96.
5 Su questo tema si vedano i contributi di A. Paribeni e A. Ricci in questa stessa opera. Per quanto riguarda la distruzione delle fortificazioni di questa città durante la quarta crociata da parte dei soldati cristiani – contrassegnati con il segno della croce –, si veda infra.
6 Su questo tema si vedano i contributi di Av. Cameron e V. Neri, Monarchia, diarchia, tetrarchia in questa stessa opera.
7 Youngstown Sheet & Tube Co. v. Sawyer, 343 U.S. 579 (1952).
8 United States v. Nixon, 418 U.S. 683 (1974).
9 Nella maggior parte delle costruzioni dell’epoca veniva riprogettata la basilica romana – un luogo di discussioni legali e transazioni commerciali – per renderla uno spazio che accogliesse il crescente numero di fedeli cristiani. Su questo tema si veda il contributo di F. Guidobaldi, Leggere l’architettura costantiniana in questa stessa opera. Elena, la madre di Costantino, intraprese la costruzione di chiese in Palestina per ricordare i luoghi associati a vari momenti della vita e morte di Gesù, come la chiesa della Natività a Betlemme e la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.
10 Su questo tema si vedano i contributi di M. Simonetti, Il concilio, e D. Dainese, Concili e sinodi, in questa stessa opera.
11 Su questo tema si vedano i contributi di M. Perrin e M.V. Escribano in questa stessa opera.
12 Nel 380 l’imperatore Teodosio I proclamò: «Desideriamo che tutte le nazioni soggette alla nostra clemenza e moderazione continuino a professare la religione che fu consegnata ai romani dal divino apostolo Pietro, così come è stata preservata dalla fedele tradizione» (Cod. Theod. XVI 1,2). Nel giro di un anno, il desiderio dell’imperatore divenne un ordine: «Ordiniamo che tutte le Chiese si arrendano immediatamente alla volontà di quei vescovi che riconoscono che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un’unica magnificenza e virtù, una stessa gloria e un unico splendore – essi sono quei vescovi che non si discostano per distinguersi empiamente dagli altri e che affermano bensì il concetto di Trinità attestando l’esistenza di tre Persone e dell’unità divina» (Cod. Theod. XVI 1,3). Si veda J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom: History, Cases, and Other Materials Relating to the Interaction between Religion and Government, 20113, pp. 100-101.
13 Su questo tema si veda il contributo di P. Fumagalli in questa stessa opera; cfr. anche A. Linder, The Jews in Roman Imperial Legislation, Detroit 1987 (testi di decreti, editti e rescritti imperiali, con commentario contestuale), e J. Carroll, Constantine’s Sword, cit. Nel 1965, il concilio Vaticano II ripudiò l’idea secondo cui gli ebrei di epoche successive sarebbero stati responsabili della morte di Gesù. Cfr. Declaration on the Relation of the Church to Non-Christian Religions, Nostra Aetate, 28 ottobre 1965, che aggiunge: «nel rifiuto di qualsiasi persecuzione contro gli uomini, la chiesa, consapevole del patrimonio che condivide con gli ebrei e mossa non da ragioni politiche ma dall’amore spirituale del Vangelo, denuncia l’odio, le persecuzioni, le dimostrazioni di antisemitismo, dirette contro gli ebrei in qualsiasi momento e da chiunque». Si veda inoltre il documento (ad opera della Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei del 1998) We Remember: A Reflection on the Shoah, Vatican City 1998, consultabile on line: http://www. vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/documents/rc_pc_chrstuni_doc_16031998_shoah_en.html (2 gen. 2013).
14 A.H.M. Jones, Constantine and the Conversion of Europe, London 1948, p. 204. Jones aggiunge: «Sia le sue parole che le sue azioni dimostrano che si considerava responsabile davanti a Dio per il benessere interno della Chiesa, specialmente per la sua unità. Tuttavia, sentiva che Dio, nel dargli il potere sovrano, lo aveva investito di una particolare responsabilità verso [tutti] i suoi sudditi».
15 Costituzione americana, art. VI 3; si veda inoltre Torcaso v. Watkins, 367 U.S. 488 (1961) (nessuno Stato precluderà a un miscredente la possibilità di ricoprire una carica pubblica).
16 «Il Congresso non emanerà alcuna legge che ubbidisca a una religione riconosciuta o che proibisca il libero esercizio di questa» (Costituzione americana, emendamento I – ratificato nel 1791) e «Nessuno Stato priverà le persone della vita, della libertà, o della proprietà senza il dovuto processo legislativo […] o negherà la protezione equa da parte delle leggi» (Costituzione americana, emendamento XVI – ratificato nel 1868).
17 Walz v. Tax Commission of the City of New York, 397 U.S. 664 (1970), ma si veda Diffenderfer v. Central Baptist Church of Miami, 404 U.S. 412 (1972); Murdock v. Pennsylvania, 319 U.S. 105 (1943); Follett v. McCormick, 321 U.S. 573 (1944); Texas Monthly, Inc. v. Bullock, 489 U.S. 1 (1989); Jimmy Swaggart Ministries v. Calif. State Board of Equalization, 493 U.S. 378 (1990).
18 Tilton v. Richardson, 403 U.S. 672 (1971).
19 Watson v. Jones, 80 U.S. 679, 714, 729 (1871); Thomas v. Review Board, 450 U.S. 707 (1981): «corti e non giudici delle interpretazioni delle scritture»; K. Greenwalt, Hands Off! Civil Court Involvement in Conflicts over Religious Property, in Columbia Law Review, 98 (1998), pp. 1843-1907.
20 Alcuni commentatori sono fortemente ancorati, in materia di libertà religiosa, a una ricerca storica affidabile: Th.J. Curry, Farewell to Christendom: The Future of Church and State in America, New York 2001, e P. Hamburger, Separation of Church and State, Cambridge (MA) 2002.
21 O. Holmes, The Common Law, Boston 1881, p. 1.
22 Su questo tema si veda il contributo di V. Pacillo in questa stessa opera.
23 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit.
24 P.J. Leithart, Defending Constantine, cit., pp. 301-302.
25 O. O’Donovan, The Desire of Nations: Rediscovering the Roots of Political Theology, Cambridge-New York 1996; O. O’Donovan, J.L. O’Donovan, From Irenaeus to Grotius: A Sourcebook in Christian Political Thought, 100-1625, Grand Rapids 1999; H.J. Berman, Law and Revolution, I, The Formation of the Western Legal Tradition, Cambridge (MA) 1983; II, The Impact of the Protestant Reformations on the Western Legal Tradition, Cambridge (MA) 2003; J. Witte, Law and Protestantism: The Legal Teachings of the Lutheran Reformation, Cambridge-New York 2002; Id., The Reformation of Rights: Law, Religion and Human Rights in Early Modern Calvinism, Cambridge-New York 2007; i contributi di M. Rizzi, J. Miethke e R. Saccenti in questa stessa opera.
26 J. Carroll, Constantine’s Sword, cit.
27 P. Brown, The Rise of Western Christendom: Triumph and Diversity. A.D. 200-1000, Oxford 1996; S. Hauerwas, After Christendom? How the Church Is To Behave if Freedom, Justice and a Christian Nation Are Bad Ideas, Nashville 1999.
28 Riccardo II, Atto II, Scena I, in William Shakespeare, tutto il teatro, a cura di A. Lombardo, Roma 2009.
29 Su questo tema si veda il contributo di R. Burgess nella presente opera.
30 Dalla commedia musicale Kiss Me, Kate del 1948.
31 William Shakespeare, Riccardo II, atto II, scena I, in William Shakespeare, tutto il teatro, cit.
32 William Shakespeare, Enrico IV, parte II, atto III, scena I, trad. it. M.A. Andreoni d’Ovidio, Roma 2009.
33 Supremacy Act, 25 Henry VIII, c. 2 (1534). Su questo tema si vedano il contributo di R. Price in questa stessa opera e J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 285-311.
34 Anti-Catholic legislation: Act against Jesuits and Seminarists, 27 Eliz. I, c. 2 (1585); Popish Recusants Act, 35 Eliz. I, c. 2 (1592); Act concerning Jesuits and Seminary Priests, 1 & 2 James I, c. 4 (1604); Act against Popish Recusants, 3 James I, c. 4 (1605). Legislation against non-established Protestants: Act against Puritans, 35 Eliz. I, c. 1 (1593); Five Mile Act, 17 Chas. II, c. 2 (1664); The Conventicle Act, 22 Chas. II, c. 1 (1670); Test Act, 25 Chas. II, c. 2 (1673); e Second Test Act, 30 Chas. II, c. 1 (1678). J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 302-304, 311.
35 Act for Uniformity of Service and Administration of the Sacraments throughout the Realm, 2 and 3 Edward VI, c. 1 (1549); Act of Uniformity, 1 Eliz. I, c. 2 (1559). J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 299-301.
36 Th.J. Curry, The First Freedoms: Church and State in America to the Passage of the First Amendment, New York 1986.
37 Constitutions and Canons Ecclesiastical, 1604. Latin and English, ed. by J.V. Bullard, London-Milwaukee 1934; E.R. Rodes, Law and Modernization in the Church of England: Charles II to the Welfare State, Notre Dame 1991, p. 84; Id., Lay Authority and Reformation in the English Church: Edward I to the Civil War, South Bend (IN) 1982, pp. 156-157.
38 Th.J. Curry, The First Freedoms, cit., p. 105; cfr. anche pp. 105-133.
39 J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 275-284.
40 J.T. Noonan, The Lustre of Our Country: The American Experience of Religious Freedom, Berkeley 2008, cap. II, To Kill a Quaker, To Beat a Baptist: Religious Liberty before the Revolution, pp. 41-58.
41 Th.J. Curry, The First Freedoms, cit., pp. 15-19, 91, 93; J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 437-446; J. Barry, Roger Williams and the Creation of the American Soul: Church, States and the Birth of Liberty, New York 2012.
42 Conventicle Act, 16 Charles II, c. 4 (1664), proibì le conventicole o le piccole assemblee religiose non autorizzate, che contassero più di cinque persone.
43 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., p. 26; Id., The First Freedoms, cit., pp. 73-75, 93; J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 365-380, 448-455.
44 Lact., inst. V 20 (PL 6, c. 614), citato in J.T. Noonan, The Lustre of Our Country, cit., pp. 27, 46, 362; Id., A Church That Can and Cannot Change. The Development of Catholic Moral Teaching, Notre Dame (IN) 2005, p. 150.
45 John Locke, Letter Concerning Toleration, ed. by J.H. Tully, Indianapolis (IN) 1983, p. 25; J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, pp. 386-407; J. Waldron, God, Locke and Equality: Christian Foundations in Locke’s Political Thought, Cambridge 2002.
46 M. Borden, Turks, Jews, and Infidels, Chapel Hill (NC) 1984.
47 Th.J. Curry, The First Freedoms, cit., pp. 27-28, 50, 54, 64, 79, 99, 135, 174.
48 J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., p. XXI.
49 Cfr. John Locke, Second Treatise of Government, ed. by C.B. Macpherson, Indianapolis (IN) 1980, pp. 52 e 123-124.
50 Duties in American Colonies Act, 5 Geo. III, c. 12 (1765). Lo specifico oggetto tassato – ogni foglio di carta – era un fattore di dissuasione giornaliero nei confronti di due soggetti sociali in grado di dare voce alla pubblica critica della Corona, i giornalisti e gli avvocati.
51 Principles and Acts of the Revolution in America, ed. by H. Niles, New York 1876, p. 163; E. Morgan, H. Morgan, The Stamp Act Crisis: Prologue to Revolution, Chapel Hill (NC) 1953.
52 American Colonies Act, 6 Geo. III, c. 12 (1766).
53 Il testo integrale dell’opera è disponibile on line all’indirizzo http://www.gutenberg.org/ebooks/147 (2 genn. 2013).
54 Su questo tema si veda il contributo di H. Schlange-Schöningen, La ricezione di Costantino nelle monarchie dell’Europa moderna, in questa stessa opera.
55 Thomas Jefferson preparò la prima stesura della Dichiarazione, che fu rivista dapprima da altri quattro membri del comitato per la stesura (John Adams, Benjamin Franklin, Richard Livingston, e Roger Sherman) e successivamente da altri membri del Congresso continentale. Cfr. G. Wills, Inventing America: Jefferson’s Declaration of Independence, New York 1978; P. Maier, American Scripture: Making the Declaration of Independence, New York 1997.
56 Consultabile on line: http://www.archives.gov/ exhibits/charters/declaration_transcript.html (2 genn. 2013).
57 Ibidem.
58 G.S. Wood, The Radicalism of the American Revolution, New York 1991, pp. 77-92 (sull’autorità politica) e pp. 95-109 (sulla repubblicanizzazione della monarchia); Id., The Creation of the American Republic, 1776-1787, Chapel Hill (NC) 1969, pp. 259-260, 292-293 (superiorità della versione scritta di una legge fondativa o fondamentale).
59 B. Bailyn, Pamphlets of the American Revolution, 1750-1776, Cambridge (MA) 1965, p. 151 (che tratta del sermone di Jonathan Parson sul giorno del massacro, Freedom from Civil and Ecclesiastical Slavery, Newburyport 1774), e 150-159; Id., The Ideological Origins of the American Revolution, Cambridge (MA) 1967, pp. 246-272 (che tratta dell’opposizione rivoluzionaria alla religione riconosciuta).
60 John Dickinson, Letter 9, Letters of Fabius (1788), in Pamphlets of the Constitution of the United States, ed. by P. Ford, Brooklyn 1888, p. 212.
61 Th.J. Curry, The First Freedoms, cit., pp. 160-161; M. McConnell, The Origins and Historical Understanding of Free Exercise of Religion, in Harvard Law Review, 103 (1990), pp. 1473-1480; A.M. Adams, Ch.J. Emmerich, Nation Dedicated to Religious Liberty: The Constitutional Heritage of the Religion Clauses, Philadelphia 1990.
62 The Works of John Adams, ed. by C. Adams, X, Boston 1856, p. 288.
63 B. Bailyn, The Ideological Origins, cit., p. 251; più in generale, pp. 246-272 (che riporta diversi esempi dell’unione tra libertà civile e religiosa).
64 Il testo integrale dell’opera è disponibile on line all’indirizzo http://www.gutenberg.org/ebooks/147 (2 gen. 2013).
65 George Mason, Draft Proposal of Virginia Declaration of Rights, 15, in Papers of James Madison, ed. by W. Hutchinson, W. Rachal, I, Charlottesville (VA)-London 2007, p. 96 (il corsivo è dell’autore); J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 471-472.
66 J. Madison, Revised Draft of Proposal of Virginia Declaration of Rights, cit., I, p. 174 (il corsivo è dell’autore); J.T. Noonan, The Lustre of Our Country, cit., pp. 69-70; J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 472-474.
67 Thomas Jefferson, Autobiography, in Writings of Thomas Jefferson, ed. by A. Bergh, Washington (DC) 1907, p. 57.
68 Ivi, p. 58.
69 Thomas Jefferson, Notes on Virginia (1784), in Thomas Jefferson. Writings, ed. by M. Peterson, New York 1984, pp. 285-286; J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 478-479.
70 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., p. 29.
71 J.T. Noonan, The Lustre of Our Country, cit., pp. 72-74.
72 J. Madison, Memorial and Remonstrance, 1785, § 1, in Papers of James Madison, cit., VIII, pp. 298-304; J.T. Noonan, The Lustre of Our Country, cit., pp. 69-70.
73 J. Madison, Memorial and Remonstrance, cit., § 2.
74 Ivi, § 7 (il corsivo è dell’autore).
75 Ivi, § 11.
76 Ivi, § 15.
77 Editorial Note, in Papers of James Madison, VIII, cit., pp. 295-298; J. Rakove, Original Meanings. Politics and the Making of the Constitution, New York 1996, p. 311. Th.E. Buckley, Church and State in Revolutionary Virginia, 1776-1787, Charlottesville (VA) 1977.
78 Prince George County Petition, Nov. 28, 1785, citato in Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., pp. 123-124; J. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 488-489.
79 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., p. 29.
80 Thomas Jefferson, Writings, cit., p. 348; J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 481-483.
81 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., p. 68.
82 Ibidem; J.T. Noonan, The End of Free Exercise?, in DePaul Law Review, 42 (1992), pp. 567-582, in partic. 567.
83 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., p. 30.
84 Ivi, pp. 41, 68-69.
85 Ivi, p. 40.
86 Isaac Backus on Church, State, and Calvinism: Pamphlets, 1754-1789, ed. by W.G. McLoughlin, Cambridge 1968, p. 1.
87 Isaac Backus, An Appeal to the Public for Religious Liberty (Boston 1773), in Political Sermons of the American Founding Era, 1730-1805, ed. by E. Sandoz, Indianapolis (IN) 1998, pp. 337-338.
88 Isaac Backus, Speech at Massachusetts Ratifying Convention (4 febbraio 1778), in The Debate on the Constitution, ed. by B. Bailyn, New York 1993, I, p. 931 (il corsivo è dell’autore).
89 John Leland, The Rights of Conscience Inalienable (New London 1791), in Political Sermons, cit., p. 1083.
90 Ivi, p. 1087.
91 Ivi, p. 1088.
92 Ivi, pp. 1083, 1088-1089 (il corsivo è dell’autore).
93 The Lustre of Our Country: The American Experience of Religious Freedom, J.T. Noonan, Berkeley-Los Angeles (CA)-London 1998.
94 Si veda http://www.gutenberg.org/ebooks/147 (2 gen. 2013).
95 J. Madison, Memorial and Remonstrance, cit., § 9; J.T. Noonan, The Lustre of Our Country, cit., pp. 69-70.
96 N.O. Hatch, The Democratization of Christianity and the Character of American Politics, in Religion and Politics: From the Colonial Period to the Present, ed. by M.A. Noll, L.E. Harlow, New York 2007, p. 100.
97 Cfr. E. Troeltsch, Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen, Tübingen 1912.
98 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., pp. 54-55.
99 Cfr. Central European Jews in America, 1840-1880: Migration and Advancement, ed. by J. Gurock, New York 1998; East European Jews in America, 1880-1920: Immigration and Adaptation, ed. by J. Gurock, New York 1998; si veda anche la mostra allestita dalla Library of Congress, A Century of Immigration, 1820-1924, http://www.loc.gov/exhibits/haventohome/haven-century.html (2 gen. 2013).
100 Anti-Semitism in America, ed. by J. Gurock, New York 2000.
101 Lact., mort. pers. 44. Lattanzio era un cristiano convertito che divenne precettore dei figli di Costantino. Era convinto che la libertà in campo religioso dovesse estendersi a tutti poiché l’integrità della mente e del cuore non può essere forzata in modo efficace; si veda E. DePalma Digeser, The Making of a Christian Empire: Lactantius and Rome, Ithaca (NY) 2000.
102 Cfr. J. Higham, Strangers in the Land: Patterns of American Nativism. 1860-1925, New Brunswick (NJ) 1955; G. Myers, History of Bigotry in the United States, New York 1943.
103 Si veda, ad esempio, il racconto del martirio di Policarpo nel 150 d.C., in J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 81-83.
104 Ivi, pp. 71-73.
105 Cfr. United States Conference of Catholic Bishops, Our Most Cherished Liberty, Washington 2012, consultabile on line: http://www.usccb.org/ issues-and-action/religious-liberty/our-first-most-cherished-liberty.cfm (2 gen. 2013).
106 J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 1378-1434.
107 Si veda W. Galston, P. Steinfels, M. Moreland et al., The Bishops & Religious Liberty, in Commonweal, June 2012, consultabile on line: http://commonwealmagazine.org/bishops-religious-liberty (2 gen. 2013).
108 Si veda N. Cafardi, Politics and the Pulpit, in America, July 2012, consultabile on line: http://americamagazine.org/issue/5147/article/politics-and-pulpit (2 gen. 2013).
109 Si vedano gli articoli di James Madison in The Federalist Papers (nn. 10 e 51) del 1788.
110 Si veda l’U.S. Religious Landscape Survey a cura del Pew Charitable Trust, One-in-Five Adults Have No Religious Affiliation, www.pewtrusts.org/ our_work_report_detail.aspx?id=85899422656&category=568 (2 gen. 2013), datato 10 ottobre 2012.
111 J.A. Komonchak, Novelty in Continuity: Pope Benedict’s Interpretation of Vatican II, in America, 200 (2009), pp. 10-16. L’autore di quest’articolo è il redattore, insieme a Giuseppe Alberigo, di The History of Vatican II, 5 voll., Maryknoll (NY)-Leuven 1995-2006.
112 J.T. Noonan, A Church That Can and Cannot Change, cit., p. 154.
113 Fino alla vigilia del Vaticano II, il cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio del Vaticano, ora noto come Congregazione per la dottrina della fede, pubblicò quest’opinione. Cfr. A. Ottaviani, Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, II, Città del Vaticano 19604, p. 55.
114 Fra i teologi che lo fecero vi fu il grande attivista sociale cattolico dei primi anni del XX secolo, monsignor John A. Ryan: J.A. Ryan, M.F.X. Millar, The State and the Church, New York 1922, pp. 35-39; J.A. Ryan, F. Boland, Catholic Principles of Politics, New York 1940, pp. 317-321; si veda anche J. Fenton, Toleration and the Church-State Controversy, in American Ecclesiastical Review, 130 (1954), pp. 330-343, in partic. 341.
115 J.T. Noonan, Discussion with Avery Dulles, S.J., in Church Authority in American Culture. The Second Cardinal Bernardin Conference, ed. by P.J. Murnion, New York 1999, pp. 103-104.
116 J.T. Noonan, A Church That Can and Cannot Change, cit., p. 155.
117 Ivi, cit., p. 154.
118 J.T. Noonan, The Lustre of Our Country, cit., p. 347.
119 J.T. Noonan, A Church That Can and Cannot Change, cit., p. 158.
120 Ibidem.
121 J.C. Murray, Governmental Repression of Heresy, in Proceedings of the Catholic Theological Society of America, 3 (1948), pp. 26-98; Id., We Hold These Truths: Catholic Reflections on the American Proposition, New York 1960; Id., The Problem of Religious Freedom, New York 1965; Id., Religious Liberty: Catholic Struggles with Pluralism, Louisville 1993 (che raccoglie, editi da J. Leon Hooper, gli articoli di Murray su papa Leone XIII in Theological Studies); R.W. McElroy, The Search for an American Public Theology: The Contribution of John Courtney, New York 1989; P. Pavan, The Right to Religious Freedom in the Conciliar Declaration, in Religious Freedom, ed. by N. Edelby, T. Jiménez-Urresti, New York 1966, pp. 37-52; P. Pavan, Declaration on Religious Freedom, in Commentary on the Documents of Vatican II, ed. by H. Vorgrimler, New York 1969, IV, pp. 49-86.
122 D.E. Pelotte, John Courtney Murray: Theologian In Conflict, New York 1976, pp. 34-58.
123 Si veda la dichiarazione siglata congiuntamente da papa Paolo VI e dal patriarca ecumenico Athenagoras I (Joint Catholic-Orthodox Declaration, del 7 dicembre 1965); cfr. http://www.vatican.va/ holy_father/paul_vi/speeches/1965/documents/hf_p-vi_spe_19651207_common-declaration_en.html (2 gen. 2013).
124 Su questi temi si vedano i contributi di M. Perrin, M.V. Escribano e A. Cadili in questa stessa opera.
125 Cfr. http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/ch_orthodox_docs/rc_pc_chrstuni_doc_19791130_jp-ii-dimitrios-i_en.html (2 gen. 2013).
126 J.C.S. Runciman, History of the Crusades, III, The Kingdom of Acre and the Later Crusades, Cambridge 1954, p. 130.
127 Si veda J. Carroll, Constantine’s Sword, cit., pp. 165-194; P.J. Leithart, Defending Constantine, cit., pp. 68-96.
128 Su questo tema si veda il contributo di F. Mandreoli in questa stessa opera; cfr. J.C.S. Runciman, History of the Crusades, III, cit., p. 130. Runciman concluse la sua opera in tre volumi sulle crociate sostenendo: «I trionfi della crociata erano i trionfi della fede. Ma la fede senza la saggezza è pericolosa. A causa delle leggi inflessibili della storia, tutto il mondo paga per i crimini e le follie di ciascuno dei suoi cittadini. Nella lunga sequenza dell’interazione e fusione tra Oriente e Occidente, da cui si è sviluppata la nostra civiltà, le crociate furono un episodio tragico e devastante. Mentre osserva, tornando indietro di secoli, la loro storia valorosa, lo storico deve trovare la sua venerazione coperta dal dolore di fronte alla testimonianza sui limiti della natura umana che questa offre. Ci fu tanto coraggio e poco onore, tanta devozione e poca comprensione. Gli alti ideali erano macchiati dalla crudeltà e dall’avidità, l’impresa e la resistenza da una cieca e limitata convinzione di rettitudine; e la guerra santa in sé non fu niente più che un lungo atto di intolleranza in nome di Dio, e ciò è peccato contro lo Spirito Santo» (ivi, p. 480).
129 R.E. Brown, The Death of the Messiah: From Gethsemane to the Grave. A Commentary on the Passion Narratives in the four Gospels, 2 voll., New York 1994; J.D. Crossan, Who Killed Jesus? Exposing the Roots of anti-Semitism in the Gospel, San Francisco 1995; E.R. Martinez, The Gospel Accounts of the Death of Jesus, Rome 2008; D. Senior, The Passion of Jesus Christ in the Gospel of Matthew, Collegeville (MN) 1990; Id., The Passion of Jesus Christ in the Gospel of Mark, Collegeville (MN) 1984; Id., The Passion of Jesus Christ in the Gospel of Luke, Collegeville (MN) 1992; Id., The Passion of Jesus Christ in the Gospel of John, Collegeville (MN) 1991.
130 W.T. Cavanaugh, Torture and Eucharist. Theology, Politics, and the Body of Christ, Oxford 1998.
131 R.B. Hays, The Moral Vision of the New Testament: Community, Cross, New Creation. A Contemporary Introduction to New Testament Ethics, New York 1996; J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, IV, New York 2009, pp. 478-575; per una controargomentazione sulla legittimità della violenza, si veda P.J. Leithart, Defending Constantine, cit., pp. 255-278.
132 Abbonda l’ironia su questa relazione inversa di Chiesa e impero rispetto a quella di Costantino a Nicea. Il papa appariva ora come pontifex maximus dell’Impero, che imponeva una giurisdizione universale su tutti i regni, dichiarava guerra e mandava persino i vescovi al fronte per guidare le truppe. Nell’XI secolo, la saggezza pratica di papa Urbano consistette nel portare i soldati cristiani dell’Europa a non uccidersi più reciprocamente, mandandoli invece in Terrasanta per uccidere ebrei e musulmani. La giustificazione teologica è persino peggiore: l’indulgenza del papa per gli uccisori che fossero tornati vittoriosi. Le indulgenze sono una curiosa invenzione della Chiesa, che sostituisce alla metanoia o all’onesta sottomissione della propria vita a Dio le opere umane (in questo caso, la violenza) come unica condizione per ricevere il dono gratuito della misericordia divina. Tre secoli più tardi, Martin Lutero predicò una teologia della croce profondamente connessa alla grazia e al perdono, e si oppose con tenacia alla pratica delle indulgenze, che poneva lo sforzo umano, piuttosto che la misericordia divina, al centro dell’esperienza di grazia. I commentatori della tarda antichità sopra citati, appartenenti all’epoca della Rivoluzione americana – compresi Madison, Backus e Leland –, notarono che uno dei lati negativi della cristianità post-costantiniana è la conseguente e attuale corruzione del ministero della Chiesa.
133 J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 1378-1434 (che raccoglie materiali sulla storia della partecipazione alla vita pubblica americana da parte delle comunità religiose).
134 Si veda il documento The Challenge of Peace: God’s Promise and Our Response della United States Catholic Conference, Washington (DC) 1984.
135 G. Weigel, Tranquillitas Ordinis: The Present Failure and Future Promise of American Catholic Thought on War and Peace, New York 1987; si veda anche J.T. Johnson, G. Weigel, Just War and the Gulf War, Washington (DC) 1991.
136 P. Steinfels, The Heritage Abandoned, in Commonweal, 114 (1987), pp. 530-534, in partic. 530.
137 P.J. Leithart, Defending Constantine, cit., p. 303.
138 Si veda J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 1383-1434.
139 William Shakespeare, Enrico V, Atto III, Scena I, in Id., tutto il teatro, cit.
140 Cfr. gli articoli Mussolini fece cose giuste. Leggi razziali la sua colpa peggiore, in http://www.repubblica.it/ politica/2013/01/27/news/berlusconi_leggi_razziali_peggiore_cola_di_mussolini-51385687/ (27 gen. 2013) e J. Hooper, Berlusconi causes outrage by praising Mussolini on Holocaust Memorial Day, in http://www.guardian. co.uk/world/2013/jan/27/berlusconi-praise-mussolini-holocaust-memorial-day?CMP=twt_fd (28 gen. 2013).
141 Si vedano la Convenzione (III) di Ginevra, Disposizioni generali, art. 3 (1949), e la Convenzione contro la tortura (1984).
142 Il programma militare americano di addestramento della polizia e delle forze di sicurezza dei paesi dell’America Latina operò nell’area del Canale di Panama dal 1946 al 1999, e successivamente senza interruzione in Georgia, a Fort Benning. Secondo il SOA Watch, «Centinaia di migliaia di abitanti dell’America Latina sono stati torturati, violentati, assassinati, sono ‘scomparsi’, forzati a divenire rifugiati, e sono stati massacrati da coloro che erano stati addestrati nella scuola degli assassini»: si veda http://www.soaw.org/site/type. php?type=8 (2 gen. 2013).
143 La Cia cooperò con il governo di Saigon a un progetto clandestino, il cui nome in codice era Operazione Fenice, che, si stima, portò alla tortura e all’assassinio di 40.000 soldati vietcong e contadini sospettati di collaborare con loro. Richard Helms, l’agente della Cia a Saigon incaricato dell’operazione, divenne ambasciatore e più tardi il direttore della Cia. Si veda S. Karnow, Vietnam: A History, New York 1983; D. Valentine, The Phoenix Program, New York 1990.
144 Si veda M. Danner, Torture and Truth: America, Abu Ghraib and the War on Terror, New York 2004; The Torture Papers: The Road to Abu Ghraib, ed. by K.J. Greenberg, J.L. Dratel, A. Lewis, New York 2005; The Torture Debate in America, ed. by K.J. Greenberg, New York 2006.
145 Nella visione secondo cui l’America e il papato sono protagonisti importanti nella ‘nuova epoca costantiniana’, alcuni hanno suggerito che papa Giovanni Paolo II invitò il presidente Carter a comportarsi come un nuovo Costantino, proteggendo la civiltà cristiana da nemici esterni e interni. Carter divenne celebre per aver elaborato note contemporanee dettagliate degli incontri fatti durante la sua presidenza. La Carter Presidential Library contiene i minuti di conversazione del presidente con il papa Giovanni Paolo II in occasione della prima visita di quest’ultimo in America, nell’ottobre del 1979, tuttavia questo tema non viene menzionato.
146 R. Reagan, Remarks on East-West Relations at the Brandenberg Gate in West Berlin (June 12, 1987), cfr. http://www.reagan.utexas.edu/archives/speeches/1987/061287d.htm (2 gen. 2013).
147 M. Faggioli, Exit Signs: Benedict XVI & the Bureaucratization of the Church, in Commonweal, February 2013, consultabile on line: http://www.commonwealmagazine.org/exit-signs-1 (2 gen. 2013).
148 G.S. Wood, The Radicalism of the American Revolution, cit.; si veda Th.S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, New York 1962; per una valutazione più precisa del ruolo di Wojtyła nella trasformazione della Polonia, si veda J. Barnes, H. Whitney, John Paul II and the Fall of Communism, consultabile on line, http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/ shows/pope/communism/ (2 gen. 2013).
149 G. Weigel, The End and the Beginning: Pope John Paul II – The Victory of Freedom, the Last Years, the Legacy, New York 2010, p. 127; si veda anche Id., Witness to Hope: The Biography of Pope John Paul II, New York 1999.
150 Jones v. Wolf, 443 U.S. 579 (1979).
151 Th.J. Curry, Farewell to Christendom, cit., pp. 74-75.
152 Su questo tema si veda il contributo di P. Brown in questa stessa opera.
153 Costituzione americana, emendamento XIII (1865); emendamento XIV (1868); emendamento XV (1870); si veda A.R. Amar, The Bill of Rights: Creation and Reconstruction, New Haven 1998.
154 Costituzione americana, emendamento XIX (1920); si veda L.K. Kerber, No Constitutional Right to Be Ladies: Women and the Obligations of Citizenship, New York 1998.
155 Per una visione capovolta della storia americana, ben fornita di esempi sulla violenza inutile e infruttuosa, si veda H. Zinn, A People’s History of the United States, New York 1999; e R.R. Ruether, America, Amerikkka: Elect Nation and Imperial Violence, London-Oakville (CT) 2007.
156 L’opposizione a questa guerra da parte di Abraham Lincoln, in quanto giovane deputato del Congresso per i whig dell’Illinois, garantì che sarebbe stato membro della Camera dei Rappresentanti per un solo mandato. Si veda R. Johannsen, To the Halls of the Montezumas: The War with Mexico in the American Imagination, New York 1985.
157 Si veda Lyng v. Northwest Indian Cemetery Protective Association, 485 U.S. 439 (1988). Questo è un classico esempio, nella storia americana, dell’unione tra la separazione dei poteri e la libertà religiosa. Lyng fu un ministro del ramo esecutivo che autorizzò i piani per la costruzione a spese del contribuente di una strada, che attraversava una foresta federale, per permettere ai locatari di effettuare il raccolto ed eliminare il legname da questa foresta. Gli indiani d’America lo citarono in giudizio presso la Corte federale poiché imponeva la costruzione della strada lungo un luogo di sepoltura considerato per secoli terra sacra dalla loro tribù. La Corte suprema riconobbe che il completamento del progetto avrebbe avuto «conseguenze devastanti» per le credenze religiose degli indiani, ma permise al governo di procedere con la costruzione della strada poiché «dopotutto, è la nostra terra». La controversia portò la questione all’attenzione del Congresso, che rifiutò di stanziare fondi federali per la costruzione della strada. Si veda J.T. Noonan, E. Gaffney, Religious Freedom, cit., pp. 872-888.
158 J.L. O’Sullivan, Manifest Destiny, in Democratic Review, 17 (1845), pp. 5-10.
159 «From sea to shining sea», come recita letteralmente il testo di America the Beautiful scritto nel 1913 da Katharine Lee Bates.
160 Si veda B.W. Tuchman, The Proud Tower. A Portrait of the World Before the War, 1890-1914, New York 1998; L.L. Gould, The Spanish-American War and President McKinley, New York 1996.
161 Si veda J.J. Ellis, Founding Brothers. The Revolutionary Generation, New York 2000.
162 B.J.F. Lonergan, Insight: A Study of Human Understanding, Toronto 19925, p. 266. Un altro illustre teologo canadese, Gregory Baum, spiega l’approccio di Maurice Blondel verso l’autotrascendenza: si veda G. Baum, Man Becoming: God in Secular Experience, New York 1970.
163 Su questo tema si vedano i contributi di P. Fumagalli, M. Perrin, M.V. Escribano, A. Marcone, Persecuzioni e tolleranza cristiana e pagana, M. Simonetti, Eresia, arianesimo e dottrina trinitaria, A. Cadili, A. Guasco in questa stessa opera. Si veda anche J. Carroll, Constantine’s Sword, cit., pp. 164-194.
164 R.I. Greenberg, Cloud of Smoke, Pillar of Fire. Judaism, Christianity, Modernity after the Holocaust, St. Paul (MN) 1989; si vedano anche The Holocaust as Interruption and the Christian Return to History, ed. by E. Schüssler-Fiorenza, D. Tracy, Edinburgh 1984; J.H. Yoder, The Jewish-Christian Schism Revisited, Grand Rapids 2003; E.H. Flannery, The Anguish of the Jews: Twenty-Three Centuries of Antisemitism, New York 1985.
165 Si veda J.H. Yoder, The War of the Lamb: The Ethics of Nonviolence and Peacemaking, Grand Rapids 2009; The Wisdom of the Cross: Essays in Honor of John Howard Yoder, ed. by S. Hauerwas, C. Huebner, H. Huebner et al., Grand Rapids 1999; R.B. Hays, The Moral Vision of the New Testament, cit.; J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, IV, cit., pp. 478-575; per una controargomentazione sulla legittimazione generale della violenza militare, si veda P.J. Leithart, Defending Constantine, cit., p. 333 (che rifiuta la visione secondo cui Gesù era un pacifista poiché «la Bibbia è dall’inizio alla fine una storia di guerra», che cita racconti biblici di battaglie molto probabilmente mai avvenute nella storia umana), p. 335 (che suggerisce che Gesù «rianima e perpetua» la dinastia di Davide!); ma si veda p. 255 (che elogia When War is Unjust: Being Honest in Just War Thinking, Eugene (OR) 20012, di John Howard Yoder, in quanto «trattamento etico attento e probatorio dell’argomento» e «molto laborioso per essere semplici intellettuali sulla guerra»).
166 «Questa è la mia canzone, o Dio di tutte le nazioni, / Una canzone di pace per la mia terra e per le terre lontane. / Questa è la mia casa, il paese in cui si trova il mio cuore; / Qui si trovano le mie speranze, i miei sogni, il mio luogo sacro. / Ma vi sono altri cuori che battono in altre terre, / Con speranze e sogni veri e alti quanto i miei. / I cieli del mio paese sono più azzurri dell’oceano, / E la luce del sole illumina le foglie del trifoglio e il pino. / Ma anche altre terre hanno la luce del sole e il trifoglio, / E dovunque i cieli sono blu come i miei. / Oh ascolta la mia canzone, o Dio di tutte le nazioni, / Una canzone di pace per le loro terre e per la mia. / Possano la verità e la libertà arrivare in ogni nazione; / Possa la pace abbondare laddove il conflitto è durato con violenza per tanto tempo; / Che ognuno cerchi di amare e costruire insieme / Un mondo unito, che raddrizza tutto ciò che è sbagliato; / Un mondo unito nel suo amore per la libertà, / Che annuncia la pace in un’unica canzone».