di Maurizio Stefanini
«Siamo vicini come non mai a raggiungere la pace», ha annunciato Juan Manuel Santos il 25 settembre 2014 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Eletto presidente il 20 giugno 2010 e insediato il 7 agosto 2010, Santos è stato riconfermato per il suo secondo mandato il 15 giugno 2014. Entrambe le volte l’ha spuntata al ballottaggio, ed entrambe le volte presentandosi come l’uomo che avrebbe potuto porre termine a una guerra civile che in pratica dura senza interruzione dal 1948, e che ha fatto almeno 220.000 morti. Nel 2010, tuttavia, quella che prospettava per porre fine alla lotta armata delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc) era una soluzione militare. Aureolato dei successi contro le stesse Farc ottenuti tra 2006 e 2009 come ministro della Difesa del suo predecessore Álvaro Uribe Vélez, prima fra tutti l’uccisione del numero due delle Farc Raúl Reyes e la liberazione di Íngrid Betancourt; e con l’immagine di delfino dello stesso Uribe, del cui Partido Social de Unidad Nacional era il candidato ufficiale. Nel 2014, invece, si è presentato con lo slogan alla Obama di ¡sí se puede!, e come l’uomo che poteva arrivare alla pace perché con le stesse Farc era riuscito a impostare una trattativa. Per questo aveva dovuto ottenere una mediazione del Venezuela e di Cuba, che ospita il negoziato. E per normalizzare i rapporti con Caracas e l’Avana, lasciati tesi da Uribe, Santos è arrivato a ritirare l’offerta di una base militare agli Stati Uniti. Dopo l’isolamento in cui la Colombia di Uribe si era ritrovata rispetto alla nuova ondata di governi latino-americani di sinistra, il recupero di status della Colombia di Santos è dimostrato dal fatto che da una parte il ministro degli Esteri colombiano María Ángela Holguín è stata indicata assieme all’ecuadoriano Ricardo Patiño e al brasiliano Luiz Alberto Figueiredo nella missione incaricata dall’Unasur di mediare tra governo e opposizione in Venezuela; dall’altra dal primo agosto 2014 l’ex-presidente colombiano Ernesto Samper Pizano è stato designato Segretario Generale dell’Unasur. Ciò però ha portato a una clamorosa rottura tra Santos e Uribe. Uribe ha dunque costruito un suo nuovo partito, si è fatto eleggere senatore e ha presentato contro il suo ex delfino un candidato che è arrivato in testa al primo turno, col 29,2% contro il 25,6%. Per spuntarla al ballottaggio con il 50,95% Santos ha dovuto dunque ottenere un decisivo appoggio da quella sinistra che quattro anni prima lo demonizzava, e che ora lo vede a sua volta come l’uomo di un negoziato che in realtà è complesso. Iniziata ufficialmente il 4 settembre 2012, sede all’Avana, mediatori Cuba e Norvegia, supervisori Cile e Venezuela, al momento la trattativa è arrivata ad accordi su tre dei cinque punti sul tappeto: una riforma agraria; la creazione di meccanismi per l’integrazione dei guerriglieri nella vita politica e civile; una nuova strategia di lotta alla droga. È dunque iniziata la discussione sullo spinosissimo tema delle vittime, che riguarda sia la necessità di indennizzi che la creazione di Commissioni della verità sul modello sudafricano. Risolto anche questo tema, resterebbe da decidere se ratificare gli accordi con un’Assemblea Costituente e/o con un referendum. Nel frattempo i combattimenti però continuano, solo interrotti dalle tregue con cui le Farc hanno facilitato il processo elettorale. E la scia di sangue dunque continua.
Santos ha avuto anche problemi con Panama, per un’accusa di paradiso fiscale. A suo favore ha però una favorevole congiuntura economica, che vede il pil crescere a livelli del 4,5-5%. Il governo promette che la pace con le Farc aggiungerebbe per lo meno altri due punti, ma non mancano studi economici che prospettano addirittura un raddoppiamento dei tassi di crescita. Sotto un altro punto di vista, l’immagine di ‘apertura’ del governo di Santos è stata ulteriormente accentuata dall’outing delle ministre del Commercio Cecilia Álvarez e dell’Educazione Gina Parody, che hanno reso nota la loro relazione.