Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le opinioni riguardo le arti meccaniche nel corso della storia sono svariate: se nell’antichità classica vengono ampiamente svilite, giungendo alla separazione di scienza e tecnica come certo e probabile, in età ellenistica viene introdotta la distinzione fra arti onorevoli e disonorevoli; nel I secolo a.C. Cicerone arriva a giudicare il lavoro degli operai degradante, mentre cinque secoli più tardi Cassiodoro difende le arti meccaniche sostenendo la loro utilità nell’ottica di una sempre maggiore conoscenza della natura.
Anno 476: il sempre più sofferente impero romano d’Occidente cessa di esistere lasciando libero il campo al conflitto tra le popolazioni barbare collocate all’interno e all’esterno dei confini. Il declino era però già cominciato: il salvataggio dell’Impero romano tentato prima dall’imperatore Diocleziano con la divisione tra Oriente e Occidente, poi da Costantino il Grande e da Teodosio, che avevano accolto il cristianesimo ufficialmente all’interno dello stato, non si era rivelato sufficiente a restituire vigore all’enorme struttura.
Le invasioni accelerano un declino già da tempo manifestatosi: la campagna è in rovina, la popolazione in calo, esercito e amministrazione perdono il controllo e i monumenti, distrutti, divengono cave da cui estrarre pietre, colonne e ornamenti. Paolo Diacono descrive in memorabili pagine i disastrosi effetti della peste nera entrata in Europa dall’Oriente alla metà del 500. Il regresso economico porta il declino della cultura scientifica fiorita nell’antichità. Nel 529 l’Accademia e il Liceo di Atene sono chiusi da Giustiniano, imperatore dal mentre il Museo di Alessandria e la Biblioteca verranno definitivamente distrutti dagli Arabi nel 641.
Tuttavia, anche in questo scenario vi sono aree dell’Occidente in cui le conoscenze tecniche sopravvivono tenacemente. La pratica del fare trova soprattutto nei monasteri e nei chiostri il proprio spazio, contribuendo, tra l’altro, alla rivalutazione positiva del lavoro e delle tecniche artigianali. I doveri della liturgia mettono in luce quanto importante fosse saper leggere e scrivere, mentre la necessità di essere autosufficienti conferisce una valenza positiva alla pratica, attorno alla quale si crea un’atmosfera favorevole. All’interno del monastero cresce una nuova comunità di studiosi, dedita non solo all’analisi dei testi sacri, ma anche all’apprendimento delle artes secondo esigenze di istruzione legate non esclusivamente al culto. Dall’abbazia di Montecassino si diffonde, a partire dal 529, il messaggio di san Benedetto in base al quale il tempo del monaco deve essere diviso in maniera equilibrata tra lavoro intellettuale, manuale e preghiera: i tre pilastri del movimento benedettino.
Tra il V e il X secolo scarseggia la produzione di opere originali, mentre prevale la volontà di non vedere disperso il sapere accumulato per secoli. Il lavoro degli enciclopedisti permette alle classi colte dell’Occidente di mantenere un contatto con la cultura antica: il pensiero di Plinio il Vecchio, Galeno, Vitruvio e Claudio Tolomeo sopravvive in questi testi, non privi di informazioni di carattere naturalistico, scientifico e tecnico. Lo schema pliniano della Naturalis Historia viene riadattato alla cultura dell’epoca che cerca nella varietà della natura un modo attraverso il quale interpretare le Sacre Scritture e lodare la grandezza del Signore.
L’attività scientifica dei conventi dell’alto Medioevo si concretizza nella produzione di opere enciclopediche che sintetizzano la scienza tramandata dall’antichità e mediata dai Padri della Chiesa congiuntamente a conoscenze relative al mondo contemporaneo. Queste opere non sono prive di temi tecnici, che d’altro canto trovavano espressione proprio dentro i monasteri. Il ripensamento sulle arti meccaniche, notevolmente svilite nell’antichità classica, obbliga a trovare un punto d’incontro tra la tradizione aristotelica che aveva dominato negli ambienti aristocratici e filosofici e la situazione attuale. Nell’antichità la cultura ufficiale aveva sancito la separazione tra scienza e tecnica come differenza tra certo e probabile, tra teoria e pratica, tra vita contemplativa e vita attiva. Con il termine artes erano indicate tutte le attività lavorative mirate alla produzione di qualcosa e in età ellenistica era stata introdotta un’ulteriore divisione tra arti onorevoli e disonorevoli. Nel I secolo a.C. Cicerone, in un celebre passo del De officiis (1, 150-151) aveva affermato che “tutti gli operai esercitano una professione degradante; il lavoro manuale non può avere alcun segno di nobiltà. Minimamente poi devono riscuotere approvazione quelle professioni destinate a soddisfare i piaceri materiali…”. Cicerone salvava, oltre alle arti liberali, il diritto e le conoscenze di agricoltura e architettura. D’altro canto, i Disciplinarum libri IX composti sul finire del I secolo a.C. da quel Varrone che già gli antichi riconoscevano come uomo di grandissima sapienza, inserivano accanto alle sette arti liberali la medicina e l’architettura.
Del resto, anche l’antichità aveva conosciuto una tradizione che valutava l’attività pratica in modo non negativo e il cui portavoce principale era il filosofo Posidonio, secondo il quale ai sapienti si doveva l’invenzione di molte tecniche che avevano consentito all’uomo di passare da uno stadio primitivo a uno più evoluto.
La divisione delle discipline nelle sette arti liberali è dunque già presente nel mondo antico, ma troverà una più rigida caratterizzazione nell’alto Medioevo. Sotto il fuorviante titolo di Nozze di Mercurio e Filologia, Marziano Capella, grammatico africano vissuto nel V secolo, presenta le sette personificazioni della cultura come il corteo di Filologia nel giorno del suo matrimonio con Mercurio.
Le descrizioni di Marziano Capella, che forniscono una fisionomia e attributi tipici delle sette discipline alle personificazioni del sapere, avranno notevole fortuna per tutto il Medioevo costituendo inoltre il materiale di base per scultori e artisti che lavoreranno nel XII e XIII secolo al repertorio decorativo delle grandi cattedrali. Se Marziano Capella esclude la medicina e l’architettura dal novero delle arti liberali, Agostino invece individua nella conoscenza di agricoltura, navigazione e della stessa medicina argomenti degni di essere studiati perché capaci di conferire maggior valore alle opere del Signore. In un brano del De civitate Dei (22, 24), Agostino dichiara che tutte le arti appartengono all’intelletto umano e che tra di esse vi è una sola distinzione, tra quelle necessarie e quelle destinate al piacere e quindi considerate pericolose.
Profondo conoscitore dei classici che i monaci trascrivono nel monastero di Vivarium in Calabria, Cassiodoro è convinto che anche le arti meccaniche contribuiscano alla conoscenza della natura. Assai interessato alla tecnica, Cassiodoro si occupa di meridiane, orologi ad acqua e lucerne dotate di un dispositivo per rimanere accese a lungo, temi già presenti nella letteratura scientifica di età ellenistica. Celebre la lettera scritta per Teodorico, in cui chiede a Boezio di preparare un orologio solare e uno ad acqua per il re dei Burgundi: nell’elogiare la notevolissima opera di studio e traduzione dei classici di Boezio, Cassiodoro mette in luce l’abilità del meccanico capace di svelare i segreti della natura e imitarli attraverso la tecnica.
In un quadro concettuale non diverso si pone Isidoro di Siviglia, che considera la meccanica una parte della fisica assieme ad astrologia e medicina, in connessione con il quadrivio. Nelle Etymologiae, la sua grande opera enciclopedica, Isidoro sostiene che i nomi delle parole, cui riserva particolare attenzione, siano la chiave per capire la natura delle cose. Particolare importanza conferisce alla medicina, definita una seconda filosofia perché in grado di abbracciare tutte le arti liberali. Una parte dell’opera di Isidoro è dedicata all’esame della natura e in essa vi sono gli elementi per un vero e proprio inventario di tutto ciò che riguarda l’uomo, gli animali, la Terra e le sue parti. Opera destinata a enorme diffusione nel Medioevo, le Etymologiae di Isidoro presentano per ogni soggetto una selezione di brani sintetizzati dalle opere note e in circolazione; l’attenta indagine sull’origine dei termini permette al lettore di risalire al principio della conoscenza. La nuova dignità della meccanica trova ulteriore conferma nell’opera di Rabano Mauro. L’erudito tedesco, maestro nella scuola del monastero benedettino di Fulda, centro di diffusione della cultura classica e del cristianesimo in Germania, scrive numerosi testi tra cui i 22 libri del De rerum naturis, un’enciclopedia universale sul tipo di quella di Isidoro di Siviglia.
Mosso dall’intenzione di avvicinare al cristianesimo il contenuto delle Etymologiae, Rabano Mauro crea la prima enciclopedia allegorica del Medioevo. Rispetto a Isidoro, Rabano Mauro ritiene che la disciplina meccanica debba contemplare soprattutto la capacità di lavorare la pietra, il metallo e il legno, cioè le arti produttive tradizionali.
A Giovanni Scoto Eriugena (810-880) dobbiamo l’espressione “arti meccaniche”, documentata nel commento all’opera di Marziano Capella in un passo in cui descrive le sette arti meccaniche che Filologia ha dato in dote a Mercurio: esse possono esistere nell’individuo parallelamente alle arti liberali, ma, mentre le prime sono un prodotto dell’uomo, le seconde sono insite nell’anima.