La riforma degli ospedali psichiatrici giudiziari
Una riforma del febbraio 2012 (d.l. 22.12.2011, n. 211, conv., con modificazioni, in l. 7.2.2012, n. 9) ha disposto il “definitivo superamento” degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 1° febbraio 2013. Non si tratta dell’abolizione della relativa misura di sicurezza detentiva – destinata all’autore di reato non imputabile e socialmente pericoloso – bensì della realizzazione di nuove strutture, su base regionale, ad esclusiva gestione sanitaria interna e con attività di vigilanza esterna, ove necessaria. La riforma è animata dal nobile intento di cancellare la vergogna degli attuali istituti, afflitti da carenze organizzative e di organico che hanno del tutto vanificato le funzioni di cura degli internati, e che si differenziano solo marginalmente dal carcere. Il termine ravvicinato previsto per l’attuazione, i ritardi già accumulati e l’ingente impegno di risorse, difficili da reperire in tempi di crisi economica, lasciano tuttavia pensare che sia alto il rischio che la riforma resti sulla carta.
Il ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario (O.P.G.) è la misura di sicurezza detentiva riservata, ai sensi dell’art. 222 c.p., agli autori di delitti dolosi puniti in astratto con la reclusione superiore nel massimo a due anni, che siano stati prosciolti per vizio totale di mente determinato da infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti o per sordomutismo, e che siano stati ritenuti socialmente pericolosi, essendo probabile che tornino a commettere nuovi reati.
Gli O.P.G. (prima della l. 26.7.1975, n. 375, Manicomi Giudiziari) sono rimasti, dopo la l. 13.5.1978, n. 180 (cd. legge Basaglia), le ultime strutture “chiuse” per la cura di infermi psichiatrici e, in particolare, degli autori di reato ritenuti non imputabili e, pertanto, non penalmente responsabili. Secondo il disegno del legislatore del 1930 – nell’ambito cioè del sistema sanzionatorio “a doppio binario”, che notoriamente caratterizza il codice Rocco –, gli O.P.G. sono destinati al controllo dell’autore non imputabile socialmente pericoloso; un controllo affidato al sistema penale, imponendone l’adeguamento alla malattia mentale1.
Quale misura di sicurezza destinata agli infermi di mente incapaci totali – che in quanto tali non possono essere destinatari di misure a carattere punitivo –, il ricovero in O.P.G. si muove inevitabilmente tra due polarità: la cura e la tutela dell’infermo, da una parte, e il contenimento – la neutralizzazione – della sua pericolosità sociale, dall’altra parte. Come ha riconosciuto la Corte costituzionale, un sistema che rispondesse a una sola di queste finalità (e così a quella di controllo dell’infermo “pericoloso”), e non all’altra, violerebbe il principio personalista (art. 2 Cost.) e non potrebbe ritenersi costituzionalmente ammissibile2. E infatti, se è vero che la pericolosità sociale degli internati negli O.P.G. richiede ragionevolmente misure atte a contenere tale pericolosità e a tutelare la collettività dalle sue ulteriori possibili manifestazioni, è altresì vero che la qualità di infermi di mente, propria degli internati negli O.P.G., richiede – anzi, impone allo Stato, per il rispetto del diritto alla salute garantito dall’art. 32 Cost. – misure a contenuto terapeutico non diverse da quelle normalmente riservate agli infermi psichici al di fuori del sistema penale3.
1.1 Il fallimento degli O.P.G. e l’esigenza di una riforma
Notoriamente la prassi è tuttavia – da sempre – lontana dal disegno legislativo e dalla conformità ai principi costituzionali. Salvo qualche eccezione, gli O.P.G. (almeno quattro dei sei presenti sul territorio nazionale) sono infatti istituzioni segreganti e “totali”, che si differenziano solo marginalmente dal carcere4, afflitti da carenze organizzative e di organico che hanno del tutto vanificato le funzioni di cura degli internati5. Come ha certificato nel 2011 la relazione di una commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale6, la dotazione numerica del personale sanitario, infermieristico e ausiliario presente negli O.P.G. è carente rispetto alle necessità clinico-terapeutiche dei pazienti, anche e soprattutto con riferimento alle necessarie competenze mediche specialistiche. È emblematico, in proposito, quanto è emerso da un sopralluogo a sorpresa effettuato nel 2010 da alcuni componenti della suddetta commissione parlamentare presso l’O.P.G. di Barcellona Pozzo di Gotto (ME): un solo medico (per giunta non psichiatra) per 329 degenti (ai quali si aggiungono due infermieri, un solo educatore e quarantacinque agenti di polizia penitenziaria).
1.2 Il superamento degli attuali istituti carcerari attraverso la loro “sanitarizzazione”
Sul piano degli interventi normativi, un lento cammino verso il doveroso e non più procrastinabile adeguamento della realtà degli O.P.G. ai principi costituzionali è stato intrapreso, da poco più di una decina di anni, prevedendo una progressiva “sanitarizzazione” di quegli istituti, attuata trasferendo le funzioni sanitarie afferenti agli ospedali psichiatrici giudiziari dapprima dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Ministero della giustizia) al Servizio Sanitario Nazionale (art. 113 d.P.R. 22.6.1999, n. 230) e, poi, alle regioni (art. 5 d.p.c.m. 1.4.2008).
Una nuova e nelle intenzioni del legislatore “definitiva” tappa di quel cammino è rappresentata da una recente riforma, operata dal Parlamento con la l. 17.2.2012, n. 9, di conversione in legge del decreto-legge 22.12.2011, n. 211, recante Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri. L’art. 3 ter del citato decreto-legge, inserito in sede di conversione in legge attraverso un emendamento d’iniziativa parlamentare, detta infatti Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e fissa nella ravvicinata data del 1° febbraio 2013 il termine per il completamento del previsto processo di superamento degli attuali O.P.G. Il Parlamento ha così inserito in un provvedimento governativo volto a fronteggiare l’emergenza del sovraffollamento delle carceri una serie di disposizioni che mirano a risolvere un’altra e non meno allarmante emergenza, relativa ad istituti altrettanto “totali”, nei quali quotidianamente si assiste alla lesione dei diritti fondamentali dell’uomo – di quello alla salute, in primis. Va peraltro subito chiarito che la legge di riforma non prevede la formale abolizione della misure di sicurezza in esame, né incide direttamente sulla relativa disciplina penalistica: ha invece il più limitato – ma non meno ambizioso – obiettivo di cambiare finalmente il volto delle strutture nelle quali avviene l’internamento delle persone sottoposte alla misura di sicurezza di cui si tratta e, con esso, le condizioni di vita di quelle stesse persone.
Gli attuali sei O.P.G. presenti in Italia – rispettivamente, a Barcellona Pozzo di Gotto, Napoli, Aversa, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, e Castiglione delle Stiviere – dovranno essere sostituiti, nel brevissimo termine previsto dal legislatore, da strutture che si caratterizzeranno per l’esclusiva gestione sanitaria al loro interno, essendo la presenza di agenti di polizia limitata alla «attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna», per di più solo «ove necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati». Per favorire la conservazione dei rapporti familiari e sociali dell’internato, la legge di riforma stabilisce inoltre – analogamente a quanto è previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario in relazione agli istituti di pena – il principio secondo cui alle strutture di cui si tratta dovranno essere destinati soggetti provenienti, di norma, dal territorio regionale di ubicazione delle medesime (si pensi emblematicamente, per toccare con mano il possibile impatto della riforma, che solo l’O.P.G. di Castiglione delle Stiviere è dotato di una sezione femminile, nella quale sono internate donne provenienti da tutta Italia, isole comprese).
Il legislatore (art. 3 ter, co. 2, d.l. n. 211/2011, cit.) ha poi delegato la definizione di ulteriori requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, anche con riguardo ai profili di sicurezza, relativi alle strutture di cui sopra, a un decreto ministeriale che mentre scriviamo non è ancora stato adottato, nonostante sia ampiamente decorso il termine (31 marzo 2012) fissato per la relativa adizione. Al momento si ha notizia solo di uno schema di decreto ministeriale7, che prevede in particolare la creazione di piccole comunità terapeutiche, ciascuna con un numero massimo di 20 posti letto, gestite esclusivamente da personale sanitario e, in particolare, dalle aziende sanitarie locali, sotto la direzione dei dipartimenti di salute mentale. Nelle strutture, ciascuna dotata di area verde all’esterno, dovranno essere presenti locali per attività sanitarie e di servizio comune, comprese le attività lavorative e riabilitative. Per l’assistenza e la gestione di 20 pazienti è prevista come necessaria la seguente dotazione di personale (nella realtà attuale del tutto futuristica): dodici infermieri; sei operatori socio sanitari a tempo pieno, due medici psichiatri a tempo pieno con reperibilità medico-psichiatrica notturna e festiva; un educatore o tecnico della riabilitazione psichiatrica a tempo pieno; uno psicologo a tempo pieno; un assistente sociale e un amministrativo per fasce orarie programmate. La responsabilità della struttura sarà assunta da un medico dirigente psichiatra.
La riforma prevede perentoriamente (art. 3 ter, co. 4, d.l. n. 211/2011, cit.) che a decorrere dal 31 marzo 2013 la misura di sicurezza del ricovero in O.P.G. sarà eseguita esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie di cui sopra, fermo restando – in conformità alla disciplina generale della misura di sicurezza prevista dal codice penale – che le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono senza indugio essere dismesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale. Ed è inoltre previsto (art. 3 ter, co. 9, d.l. n. 211/2011, cit.) che qualora le Regioni non provvedano, entro il 1° febbraio 2013, a quanto di loro competenza per il superamento degli O.P.G. – a partire dalla realizzazione e riconversione delle strutture – il Governo provvederà in via sostitutiva, ai sensi dell’art. 120 Cost.
1.3 Estensione della riforma alle case di cura e di custodia
Va peraltro segnalato che la riforma sin qui descritta, per espressa previsione del citato art. 3 ter d.l. n. 211/2011, si estende alla misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di cura e di custodia, di cui agli artt. 219 s. c.p., destinata ad autori di delitti dolosi, socialmente pericolosi e semi-imputabili, la cui capacità di intendere e di volere al momento del fatto era cioè grandemente scemata in ragione di infermità psichica, cronica intossicazione da alcool o stupefacenti, ovvero sordomutismo. Si tratta, in questo caso, di una misura di sicurezza detentiva che riguarda autori di reato penalmente responsabili e pertanto condannati, a una pena diminuita in ragione della loro semi-imputabilità e che deve di regola eseguirsi prima dell’internamento nella casa di cura e di custodia.
L’istituzione delle case di cura e di custodia non è però in realtà mai avvenuta: si tratta, infatti, nel migliore dei casi, di sezioni o reparti degli O.P.G.8, quanto non, direttamente, dell’internamento tout court negli stessi O.P.G. (nelle medesime celle o stanze), dei quali le case di cura e di custodia – esistenti solo sulla carta – condividono le segnalate gravi disfunzioni. Di qui la necessità, soddisfatta dal legislatore del 2012, di estendere la riforma sopra illustrata anche a tale ultima misura di sicurezza, che in base all’art. 3 ter, co. 4, d.l. n. 211/2011 dovrà pertanto eseguirsi, a decorrere dal 31 marzo 2013, nelle comunità terapeutiche di si è detto.
Intervenendo a un convegno sulla giustizia, nell’estate del 2011, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso un’opinione che i difensori dei diritti umani non possono che sottoscrivere: «l’estremo orrore degli ospedali psichiatrici giudiziari è inconcepibile in qualsiasi Paese appena appena civile»9.
L’orribile realtà degli O.P.G. continua ad essere nascosta e ai più invisibile: nonostante encomiabili battaglie civili promosse nel mondo dell’associazionismo e da alcuni gruppi politici, è infatti una realtà che si colloca a margine del dibattito politico, dell’interesse mediatico e dell’opinione pubblica. Interessa poco più di mille persone10 – tanti sono gli sfortunati “clienti” di quegli istituti, tra internati in O.P.G. e in casa di cura di cura e di custodia, letteralmente dimenticate dalla società civile (forse perché – è amaro ma realistico dirlo – fa comodo non vedere quel che non si vuole vedere: la malattia mentale, con i connessi problemi di tutela della collettività).
Eppure, come dimostrano le parole della Prima carica dello Stato, si tratta di una realtà nota alle istituzioni. Sconcertante a dir poco è il quadro che emerge dalla Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli O.P.G., approvata nel luglio del 2011 dalla Commissione parlamentare di inchiesta cui già si è fatto cenno. La Relazione non si limita a denunciare come siano «gravi e inaccettabili le carenze strutturali e igienico-sanitarie rilevate in tutti gli O.P.G., ad eccezione di quello di Castiglione delle Stiviere e, in parte di Napoli», e come gli O.P.G. «presentano un assetto strutturale assimilabile al carcere o all’istituzione manicomiale, totalmente diverso da quello riscontrabile nei servizi psichiatrici italiani». La Relazione dà infatti conto dell’esito di alcuni sopralluoghi a sorpresa in tutte le strutture, effettuati nel 2010, che fanno toccare con mano – ancor più attraverso le scioccanti riprese video, reperibili in internet e parte integrante della relazione stessa – una realtà di assoluto degrado nella quale, quotidianamente, nel nostro paese, si violano i diritti fondamentali dell’uomo. Celle piccole, anguste, sovraffollate e sporche (a Barcellona Pozzo di Gotto, ad esempio, si avverte ovunque «un lezzo nauseabondo per la presumibile presenza di urine sia sul pavimento sia sugli effetti letterecci»); servizi igienici «luridi, con urine sul pavimento e cattivo odore che si avverte in molti ambienti» (così a Montelupo Fiorentino); tre docce per cinquantotto persone (così a Reggio Emilia); «inesistenza di attività educative o ricreative e sensazione di completo e disumano abbandono»; degenti che si trovano «nella assoluta indifferenza, oltre ad indossare abiti vecchi e sudici» e che, loro malgrado, si presentano «sporchi e maleodoranti»; contenzione di persone nude, legate a letti, anche metallici, con strette legature a mani e piedi, che impediscono ogni movimento (così, durante il sopralluogo, a Barcellona Pozzo di Gotto e a Reggio Emilia).
Va dunque indubbiamente salutata con estremo favore l’iniziativa parlamentare che ha condotto all’introduzione delle illustrate disposizioni volte al “definitivo superamento” degli O.P.G., accompagnata dall’assegnazione di risorse finanziarie alle regioni (120 milioni di euro per il 2012, e 60 milioni di euro per il 2013, destinate alla realizzazione e alla riconversione delle strutture, ai quali vanno aggiunti 38 milioni di euro per la copertura degli oneri di gestione delle relative attività: art. 3 ter, co. 6 -7, d.l. n. 211/2011, cit.).
É stato detto, in modo del tutto condivisibile, che il superamento definitivo degli O.P.G. appare, più che una riforma attuata, «una bellissima scommessa»11. Il legislatore, sulla carta, ha impresso alla riforma ritmi serrati – scadenze ravvicinate –, che tuttavia il governo del Paese, centrale e periferico, ha già mostrato di non reggere: le date indicate sono così ravvicinate che è impossibile rispettarle. Si è già detto infatti della mancata adozione, nel termine previsto, del decreto ministeriale – approvato d’intesa con la Conferenza Stato-regioni – che deve stabilire i requisiti delle strutture destinate a sostituire gli attuali O.P.G.
Le prospettive di effettività della riforma, d’altra parte, sono tutt’altro che rosee se si pensa – ponendo mente alla grave crisi economica attraversata dal Paese – al notevole investimento finanziario necessario per la realizzazione di una pluralità di comunità terapeutiche, dislocate in tutte le regioni e per di più con l’abbondanza di personale di cui si è detto; investimento in relazione al quale è verosimile ritenere che risulti insufficiente lo stanziamento di risorse disposto dalla legge di riforma.
Il rischio è d’altra parte che, come già accade per i livelli delle prestazioni del servizio sanitario nazionale, nella migliore delle ipotesi la legge di riforma degli O.P.G. troverà attuazione, nel territorio, a macchia di leopardo. Ed è un rischio che potrà essere scongiurato solo attraverso un serio e fattivo impegno delle istituzioni, centrali e periferiche, e una virtuosa collaborazione tra le stesse (tra Stato e regioni, in primis), imposto dal rispetto dei diritti fondamentali, ancora oggi sacrificati quotidianamente negli O.P.G. D’altra parte, anche nella prospettiva del contenimento dei costi, alcune scelte potrebbero essere ripensate, a partire da quella della creazione di tante piccole strutture, in ciascuna regione, che corrispondono inevitabilmente ad altrettanti centri di costo.
Una riforma degli O.P.G. che aspiri ad essere effettiva – a garantire il diritto alla salute dei degenti, da un lato, e la neutralizzazione della loro pericolosità sociale, dall’altra parte – deve insomma necessariamente fare i conti con la realtà dei costi connessi alla misura; costi che potrebbero essere ridotti, in futuro, ponendo mano alla disciplina del codice penale, con interventi che confinino l’O.P.G. al ruolo di extrema ratio, tra le misure di sicurezza. In questa direzione un passo fondamentale è stato compiuto dieci anni fa dalla Corte costituzionale, che ha spezzato un rigido automatismo sanzionatorio dichiarando parzialmente illegittimo l’art. 222 c.p., nella parte in cui non consentiva al giudice di adottare, in luogo del ricovero in O.P.G., una diversa misura di sicurezza (es., la libertà vigilata) idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità12. Un ulteriore passo – de jure condendo – potrà essere compiuto in futuro se, in ossequio ai principi di proporzione e di sussidiarietà, il legislatore facesse propria l’indicazione di chi, in dottrina, propone di limitare la nozione di pericolosità sociale con riferimento tanto ai reati presupposto quanto ai reati attesi per effetto del giudizio prognostico, limitandoli a gravi reati contro la persona, la libertà sessuale e l’incolumità pubblica13.
1 Cfr., da ultimo, Pelissero, M., Il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari nel tempo della crisi, in Dir. pen. e processo, 2012, 1018.
2 Cfr. C. cost., 18.7.2003, n. 253, in Giur. cost., 2003, 2109 s., con nota di Famiglietti, A., Verso il superamento della “pena manicomiale”.
3 Così C. cost., 18.7.2003, n. 253, cit.
4 Cfr. Marinucci, G.-Dolcini, E., Manuale di diritto penale. Parte generale, IV ed., Milano, 2012, 673.
5 Cfr. C. cost., 27.7.1982, n. 139, in Giur. cost., 1982, 1191 s.
6 V. Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari del 20 luglio 2011 della Commissione parlamentare d’inchiesta, in www.senato.it.
7 Tale schema è reperibile in www.unificata.it.
8 Cfr. Marinucci, G.-Dolcini, E., Manuale, cit., 671.
9 Cfr. www.lapresse.it (28.7.2011).
10 I dati ufficiali, aggiornati al settembre 2012, sono pubblicati in www.penalecontemporaneo.it, 5.11.2012.
11 Pelissero, M., op. cit., 1025.
12 C. cost., n. 253/2003, cit.
13 Pelissero, M., op. cit., 1021.