La riforma dei centri per l'impiego
La riforma dei centri per l’impiego per l’attuale Esecutivo è la conditio sine qua non per l’avvio della misura del reddito di cittadinanza. Lo scritto analizza lo stato dell’arte dei centri per l’impiego e gli elementi necessari per la realizzazione di un sistema più efficiente di servizi per il lavoro. Particolare attenzione è dedicata alla governance multilivello dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro per la costruzione di un sistema nazionale nel rispetto di quanto previsto dall’art. 117 Cost. Si analizza, inoltre, il d.m. 11.1.2018, n. 4 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha per la prima volta nel nostro paese declinato in modo puntuale i livelli essenziali delle prestazioni previsti dall’art. 28 del d.lgs. 14.9.2015, n. 150.
È tornato in auge il tema dei servizi per l’impiego e questo, sicuramente, in ragione del fatto che l’attuale Esecutivo ha collegato l’erogazione della misura del reddito di cittadinanza ai centri per l’impiego (di seguito CPI). Il tema dei servizi per l’impiego costituisce da sempre il termometro per misurare il funzionamento del mercato del lavoro di un Paese e che ad oggi vede l’Italia tra quelli che necessitano di una cura fortificante rispetto agli altri Paesi europei. I servizi per l’impiego sono necessari per assicurare alle persone l’esercizio del diritto all’accesso al lavoro sancito dall’art. 4, co. 1, Cost. Tale diritto è previsto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che afferma il diritto di ogni individuo ad «accedere ad un servizio di collocamento gratuito». Il sistema di collocamento pubblico è stato modificato in Italia con la l. 15.3.1997, n. 59, che ha mutato radicalmente le regole che governano il mercato del lavoro e i servizi per l’impiego1. Nello stesso anno, con la l. 24.6.1997, n. 196 è stato introdotto nel nostro ordinamento il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo che ha costituito il primo tassello per la costruzione di un sistema di servizi per il lavoro misto pubblico-privato, dove operano i soggetti pubblici e privati. In seguito, con il d.lgs. 23.12.1997, n. 469, di attuazione della l. n. 59/1997, sono stati istituiti i CPI2. L’art. 4 del d.lgs. n. 469/1997 prevedeva che le regioni, mediante un provvedimento legislativo, istituissero i propri servizi regionali per l’impiego. In particolare, l’art. 4, co. 1, lett. a) del d.lgs. n. 469/1997 disponeva che i CPI fossero attribuiti dalle regioni alle province e ogni Centro avesse un bacino di utenza di circa 100.000 abitanti (art. 4, co. 1, lett. f), d.lgs. n. 469/1997). Alla fine degli anni ‘90, la Corte di giustizia condanna l’Italia e pone fine al regime di monopolio statale dei servizi di collocamento dei lavoratori3. In seguito, prima con il d.lgs. 19.12.2002, n. 297 e poi con il d.lgs. 10.9.2003, n. 276, cd. “Riforma Biagi”, sono stati introdotti tra gli operatori del mercato del lavoro, le Agenzie per il lavoro (di seguito APL). Questi due interventi hanno costituito la base per la creazione di un modello concorrenziale tra i CPI e gli operatori privati autorizzati nell’attività di collocamento dei lavoratori. Successivamente a questi interventi legislativi, i CPI perdono sempre più il ruolo di collocatori4 e si riducono a svolgere funzioni meramente accertative o compilative (v. il rilascio dello stato di disoccupazione e la compilazione del patto di servizio). Questo è avvenuto soprattutto in quelle regioni in cui vi era scarsa propensione alla programmazione dei servizi e delle misure di politica attiva5. Il d.lgs. n. 181/2000 recava le disposizioni per agevolare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro e fino all’avvento del d.lgs. 14.9.2015, n. 150 è stato il testo di riferimento in tema di servizi per il lavoro assieme al d.lgs. n. 276/2003 e alla l. 24.12.2007, n. 247. Il decreto è stato oggetto di molte modifiche nel corso degli anni6, fino a quando nel 2015, l’art. 34, co. 1, lett. f), d.lgs. n. 150/2015 lo ha abrogato interamente con la sola esclusione degli artt. 1 bis e 4 bis. Lo stesso articolo, con la lett. e) ha abrogato, altresì, il d.lgs. n. 469/1997. Il 2015 è stato un anno di grandi cambiamenti per l’organizzazione dei CPI. Infatti, in primo luogo, il sistema dei servizi per il lavoro ha dovuto fare i conti con il riordino del sistema provinciale, previsto dalla l. 7.4.2014, n. 56, cd. “legge Delrio”, che ha provocato un vero e proprio esodo degli operatori dei CPI verso amministrazioni con prospettive più certe dei servizi per il lavoro7; in secondo luogo, il disegno di legge costituzionale teso a delineare un nuovo riparto di competenze tra Stato e regioni attraverso una revisione del Titolo V, Capo II della Cost. – con una riallocazione a livello centrale delle competenze in materia di politiche attive del lavoro – ha creato uno “stallo” dei servizi per il lavoro fino all’esito referendario8; e, infine, l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2015 non ha favorito la creazione di una governance multilivello chiara in materia di servizi e politiche attive del lavoro. Pertanto, alla luce di quanto fin qui esposto di seguito si analizzeranno i provvedimenti normativi adottati in questi ultimi quattro anni in materia di servizi per l’impiego.
Nell’ultimo quadriennio lo Stato e le regioni, nel rispetto del principio di leale collaborazione9, hanno condiviso l’obiettivo di rilanciare le politiche attive del lavoro e di riformare i servizi per l’impiego, rafforzando i CPI ed assicurando ai cittadini ed alle imprese prestazioni in linea con gli standard di funzionamento e di qualità richiesti negli altri paesi europei. Lo scopo è quello di favorire l’occupazione, attraverso anche lo sviluppo delle competenze, rendendo le stesse adeguate ed effettivamente spendibili nel mercato del lavoro. Il processo di collaborazione è stato avviato a partire dal mese di luglio del 2015, con la sottoscrizione in sede di Conferenza Stato-regioni dell’Accordo Quadro in materia di politiche attive10, per poi culminare alla fine del 2017 con l’approvazione presso le Conferenze Stato-regioni e Unificata di un importante pacchetto di provvedimenti in materia di lavoro e che, ad oggi, rappresentano il quadro di riferimento normativo e programmatico per l’attività dei servizi11.
Infatti, il 21.12.2017 sono stati approvati:
a) l’Intesa, ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 150/2015, sullo schema di decreto recante gli indirizzi generali in materia di politiche attive del lavoro;
b) l’Integrazione dell’Accordo Quadro in materia di politiche attive per il lavoro, sancito dalla Conferenza Stato-regioni nella seduta del 22.12.2016;
c) l’Intesa, ai sensi dell’art. 5, co. 1, lett. c), d.lgs. n. 276/2003 sullo schema di decreto che stabilisce i requisiti giuridici per l’iscrizione all’Albo delle APL;
d) l’Intesa, ai sensi dell’art. 12, co.1, d.lgs. n. 150/2015 sullo schema di decreto che stabilisce i criteri per la definizione dei sistemi di accreditamento dei servizi per il lavoro;
e) l’Accordo, ai sensi dell’art. 15, co. 1, d.l. 19.6.2015, n. 78, conv. con mod. dalla l. 6.8.2015, n. 125, sul Piano di rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro.
Con l’Accordo Quadro in materia di politiche attive del 30.7.2015 e i successivi rinnovi, nonché integrazioni, lo Stato e le regioni hanno assicurato congiuntamente sul piano finanziario un sostegno al personale a tempo indeterminato impiegato nei CPI nelle regioni a Statuto ordinario (circa 5.605 unità). Con la l. 27.12.2017, n. 205, (art. 1, co. 793800) lo Stato ha destinato risorse nazionali pari a 235 milioni di euro, a decorrere dal 2018, per l’assegnazione definitiva del personale a tempo indeterminato in capo alle regioni e/o agenzie ed altri enti regionali ad hoc, già esistenti o di nuova costituzione. Inoltre, la l. n. 205/2017 ha stanziato risorse pari a 16 milioni di euro per la proroga e, ove ne ricorrano le condizioni, per l’eventuale stabilizzazione del personale impiegato nelle regioni con contratti a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa (circa 343 operatori) operante presso i CPI12. La norma ha previsto un periodo transitorio per permettere alle regioni la definizione e la messa in atto delle necessarie condizioni normative, amministrative e organizzative per il subentro del personale nell’esercizio delle funzioni, al fine di garantire la continuità nei servizi. Il termine del periodo transitorio era il 30.6.2018. Fino a tale data, province e città metropolitane hanno continuato a svolgere le attività di gestione del suddetto personale, anticipando gli oneri connessi, con successiva rivalsa sulle amministrazioni regionali13. Ogni regione ha compiuto la scelta organizzativa per il trasferimento del personale e, di conseguenza, anche il modello di governance dei servizi, istituendo e/o avvalendosi di un’Agenzia regionale per il lavoro. A oggi, tutti gli operatori dei CPI sono dipendenti delle regioni, ovvero sono stati trasferiti e/o assegnati presso i relativi enti strumentali demandati alla gestione dei servizi per l’impiego. L’unica eccezione in questo panorama è costituita dalla Lombardia che ha lasciato la gestione del personale dei CPI in capo alle province e alla città metropolitana. Ad oggi sono dodici le regioni che hanno un’Agenzia per il lavoro14 e sono cinque le regioni che hanno regionalizzato il personale dei CPI presso le proprie direzioni o dipartimenti. Il modello organizzativo dei servizi per l’impiego su base regionale è stato quasi complessivamente delineato. Si tratta di un passo fondamentale, perché una governance chiara delle funzioni attribuite è la precondizione per l’erogazione efficace dei servizi ai cittadini e per un corretto funzionamento del sistema. Fiumi di inchiostro sono stati usati e molte sono state le trasmissioni televisive che hanno raccontato un sistema di servizi per l’impiego inefficiente incardinato sui CPI. Per avere un quadro più esaustivo occorre prendere in considerazione qualche numero al fine di meglio comprendere la realtà italiana. In Italia, al 31.12.2016 erano 7.93415 le persone che lavoravano nei CPI contro i quasi 100.000 della Germania o i quasi 50.000 della Francia. In Italia, nel 2015 sono stati spesi circa 600 milioni di euro per i servizi per il lavoro contro gli oltre 5 miliardi della Francia e gli 11 miliardi della Germania16. Questi numeri confermano un sostanziale disinteresse del nostro Paese nell’investire sui servizi per l’impiego. Le risorse previste dalla l. n. 205/2017 e dal Piano di rafforzamento per l’assunzione di personale a termine17, se pur apprezzabili, non sono però sufficienti per consentire ai CPI di affrontare gli ambiziosi compiti a loro affidati dal d.lgs. n. 150/2015 e soprattutto i nuovi compiti che si profilano con l’avvio del reddito di cittadinanza. I CPI, con le loro strutture inadeguate, non sono in grado di reggere queste sfide, rischiando di diventare sempre di più il “collo di bottiglia” delle politiche del lavoro. Oltre alla questione quantitativa degli operatori dei CPI, si pone anche un problema di qualità del personale. Infatti, nei CPI mancano le professionalità necessarie per l’erogazione dei servizi per il lavoro. Per esempio, il servizio di orientamento specialistico non viene erogato in tutte le regioni18. Al fine di costruire un sistema di servizi per l’impiego efficiente è necessario fare uno sforzo straordinario per innalzare i livelli di competenze degli operatori che vi lavorano19 e assumere nuovo personale qualificato in linea con i servizi da erogare.
Prima di procedere nell’analisi dei recenti provvedimenti normativi è bene porre l’attenzione sull’art. 117 Cost. in merito al riparto di competenze tra Stato e regioni in materia servizi e politiche attive del lavoro20. L’art. 117 Cost. riserva al co. 2, lett. m), la competenza esclusiva allo Stato nella «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», mentre al co. 3, stabilisce che sono soggette alla legislazione concorrente la «tutela e sicurezza del lavoro» con esclusione «della istruzione e formazione professionale» che rimane di competenza esclusiva delle regioni21. Ne deriva che la materia oggetto di trattazione, è in parte di competenza esclusiva dello Stato – livelli essenziali delle prestazioni (di seguito Lep) –, e in parte è di competenza concorrente – politiche attive e organizzazione dei servizi per il lavoro22. Nelle materie di legislazione concorrente spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali, mentre alle regioni è riconosciuta la potestà legislativa di “attuazione” degli stessi23. L’espressione «tutela e sicurezza del lavoro» ha creato diversi problemi interpretativi24 e sono molti i ricorsi presentati alla Consulta e, ancora oggi, non abbiamo una esaustiva definizione. Tuttavia, in dottrina con tale espressione si identificano i servizi che possono migliorare il funzionamento del mercato del lavoro. Con la nota sentenza n. 50/200525, la Consulta conferma tale interpretazione stabilendo che «in essa rientri la disciplina dei servizi per l’impiego ed in specie quella del collocamento» e riconosce la competenza di tale materia alle regioni nel rispetto dei Lep di competenza dello Stato. Inoltre, la Corte precisa che «l’allocazione delle funzioni amministrative non spetta, in linea di principio, allo Stato», bensì alle regioni e che pertanto è la regione che stabilisce come organizzare il proprio sistema di servizi per il lavoro. Alla luce di quanto fin qui esposto, sembra potersi affermare che la scelta operata dalla sola regione Lombardia26 di lasciare il personale ai CPI alle province anche in seguito alla l. n. 205/2017 sembra essere in linea con quanto affermato dalla Consulta, soprattutto se tale scelta è stata compiuta al fine di tutelare l’utenza nell’esercizio del diritto di accesso al lavoro.
L’art. 117, co. 2, lett. m), Cost., come modificato dalla riforma del Titolo V del 2001, costituisce una “norma di bilanciamento”. Da una parte, il Legislatore ha voluto riservare maggiore poteri alla potestà legislativa concorrente od esclusiva delle regioni, ma dall’altra, in nome della garanzia di uniformità delle prestazioni sul territorio nazionale ha riservato la determinazione dei Lep allo Stato. Pertanto, le regioni che intendano legiferare in materia di tutela e sicurezza del lavoro, lo possono fare nel rispetto, sicuramente, dei Lep di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 150/2015, ma anche dei principi fondamentali fissati dalla legislazione statale e quindi i principi previsti dallo stesso decreto27. In dottrina si è lungamente dibattuto sul significato dell’espressione “livelli essenziali delle prestazioni” e alcuni autori sono concordi nel riservare alla legge statale la determinazione delle «tipologie di prestazioni da garantirsi su tutto il territorio nazionale», nonché, anche, l’individuazione di «un quantum o soglia di prestazione, rispetto alla quale il legislatore regionale possa incidere solo in melius»28. L’art. 28 del d.lgs. n. 150/2015 ad una prima lettura sembra avere l’ambizione di stabilire i Lep da assicurare a tutti i cittadini sul territorio nazionale, nel rispetto della Carta costituzionale. Tuttavia, se si analizza l’articolato ci si rende conto che la tecnica utilizzata presenta dei profili peculiari. Infatti, il Legislatore non indica specifici servizi da assicurare a tutti i cittadini, ma interviene elencando una serie di articoli dello stesso decreto che sono definiti “livelli essenziali delle prestazioni” ed abrogando la normativa previgente. L’art. 28 elenca tra i Lep: l’organizzazione dei servizi per il lavoro di cui all’art. 11; i servizi e le misure di politica attiva del lavoro di cui all’art. 18; il patto di servizio di cui all’art. 20; le specifiche misure per i beneficiari di forme di sostegno al reddito di cui all’art. 21, co. 2, e l’assegno di ricollocazione di cui all’art. 23 (di seguito AdR). A parere di chi scrive, non tutti gli elementi dell’elenco sono Lep. Si pensi, per esempio, alla previsione di cui all’art. 11, co. 1, lett. da a) a d), il cui testo non prevede prestazioni, bensì “principi”29 a cui la potestà legislativa regionale deve ispirarsi nell’organizzazione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro. Inoltre, il combinato disposto degli artt. 28 e 2, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2015 (quest’ultimo rinvia la «specificazione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere erogate su tutto il territorio nazionale» ad opera di un decreto interministeriale, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome) genera un ulteriore contrasto con le finalità previste dall’art. 117 Cost, in quanto il sistema dei Lep si presenta in forma “liquida” a seconda del contenitore, convenzione ai sensi dell’art. 11, e a seconda del contesto territoriale. Infatti, questa interpretazione delle norme garantisce alle regioni un margine di discrezionalità, non compatibile, ad avviso di chi scrive, con le finalità perseguite dall’art. 117 Cost. per le ragioni già esposte (v. supra, § 2.1). Alla luce di questo impianto del d.lgs. n. 150/2015 i servizi previsti dall’art. 18 non si configurano in via autonoma quali livelli essenziali ma lo divengono quando nelle convenzioni di cui all’art. 11 sono previsti come tali. Un elemento di novità e di particolare interesse è sicuramente costituito dall’allegato B) del d.m. 11.1.2018, n. 4 che riprendendo il d.lgs. n. 150/2015, la l. 12.3.1999, n. 68 e s.m.i., la l. 22.5.2017, n. 81 e l. 15.9.2017, n. 147, tenta di specificare i Lep in materia di servizi e politiche attive del lavoro. L’allegato indica per ogni Lep: la nomenclatura, i riferimenti normativi, l’attività e la descrizione delle stesse, i risultati attesi nonché il codice di riferimento per la registrazione dell’attività all’interno della Scheda anagrafica professionale (di seguito SAP) per il tramite del Sistema informativo unitario di cui all’art. 13 d.lgs. n. 150/2015. I Lep sono suddivisi in due blocchi a seconda dell’utenza: ci sono le prestazioni rivolte alle persone in cerca di lavoro, ivi incluse le persone iscritte al collocamento mirato, e le prestazioni rivolte alle imprese. Le prestazioni riservate alle persone in cerca di occupazione sono: accoglienza e prima informazione; dichiarazione di immediata disponibilità (DID) al lavoro, profilazione e aggiornamento della SAP; orientamento di base; patto di servizio; orientamento specialistico; supporto all’inserimento o reinserimento lavorativo; avviamento alla formazione; gestione di incentivi alla mobilità territoriale; gestione di strumenti finanziari alla conciliazione dei tempi di lavoro con gli obblighi di cura nei confronti di minori o di soggetti non autosufficienti; predisposizione delle graduatorie per l’avviamento a selezione presso le p.a.; promozione di prestazioni di lavoro socialmente utile; collocamento mirato; presa in carico integrata dei soggetti in condizione di vulnerabilità; supporto all’autoimpiego. Le prestazioni rivolte alle imprese sono: accoglienza e informazione; incontro domanda/offerta; attivazione di tirocini; collocamento mirato. L’allegato B costituisce sicuramente una pregevole opera di chiarimento in quanto fornisce un vocabolario/glossario che accomuna l’Italia dei servizi al lavoro (istituzioni, operatori ed utenti). È apprezzabile anche il metodo di lavoro adottato dal documento che è espressione di un lungo percorso di lavoro che ha visto Stato e regioni fianco a fianco per la prima volta in Italia nella costruzione di un sistema nazionale dei servizi e delle misure di politiche attive. Ora ogni operatore dei servizi per l’impiego, ogni disoccupato, ogni impresa da Palermo a Bolzano conosce i contenuti del servizio di orientamento di base. Tale risultato non era affatto scontato, in passato diverse erano le difficoltà interpretative degli atti regionali che definivano i servizi per il lavoro e spesso una stessa nomenclatura conteneva attività e servizi differenti da regione a regione. Il lavoro svolto in questi ultimi anni costituisce la precondizione per la costruzione di un sistema nazionale di servizi e politiche attive del lavoro. I prossimi passi, al fine di completare questa cornice, sono sicuramente la definizioni degli standard di servizio e dell’unità di costo standard di ogni servizio. Tali obiettivi sono tra quelli previsti dall’art. 2 del d.m. n. 4/2018 per l’anno 2018. Solo con il completamento di questi altri elementi si potrà attuare il principio di sussidiarietà in caso di inerzia da parte delle regioni nell’erogazione dei Lep. Inoltre, se si conclude tale percorso si potrà avere: maggiore contezza delle risorse necessarie affinché i servizi siano erogati in tutti i territori; valutazione della performance dei servizi per l’impiego; monitoraggio completo dei servizi per il lavoro e, forse, si potrà fare un reale raffronto tra i servizi per il lavoro del nostro Paese con quelli degli altri paesi europei.
La riforma dei CPI rientra sicuramente tra le priorità che l’attuale Governo si è dato. Molti sono ancora i temi che lo Stato e le regioni devono affrontare. In particolare:
i) il finanziamento strutturale del personale dei CPI e il rafforzamento sia in termini quantitativi che qualitativi degli operatori, superando la decretazione annuale delle risorse e permettendo una programmazione pluriennale dei servizi e delle politiche attive;
ii) l’implementazione del Sistema informativo unitario con il rafforzamento del Portale dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (di seguito Anpal), sia come interfaccia per gli utenti nell’acquisizione di informazioni sui servizi e misure di politiche attive del lavoro, che come Portale che eroga servizi, evitando all’utenza spostamenti inutili30 e liberando gli operatori dalle funzioni meramente burocratiche;
iii) la costruzione del fascicolo del lavoratore previsto dall’art. 14 d.lgs. n. 150/2005;
iv) il consolidamento del ruolo di coordinamento delle regioni in materia di servizi e politiche attive del lavoro da parte dell’Anpal;
v) il monitoraggio sull’attuazione del d.m. ai sensi dell’art. 12, co. 1, d.lgs. n. 150/2015 in tema di accreditamento dei servizi per il lavoro da parte delle regioni;
vi) la definizione degli standard di servizio e dell’unità di costo standard del servizio ai sensi dell’art. 2 d.m. n. 4/2018;
vii)la definizione dei temi e delle modalità di convocazione in tutto il territorio nazionale degli utenti di cui all’art. 4, co. 5, del d.m. n. 4/2018;
viii)la definizione delle modalità operative del principio di sussidiarietà a tutela degli utenti dinanzi all’inerzia delle regioni ai sensi dell’art. 2 d.m. n. 4/2018;
ix) la creazione di un rapporto di fidelizzazione tra i datori di lavoro e i CPI volto ad aumentare l’offerta dei posti di lavoro disponibili attraverso la costruzione di servizi specialistici per le imprese;
x) l’applicazione uniforme dei meccanismi di condizionalità, tenuto conto dell’offerta congrua di cui al d.m. 10.4.2018.
Inoltre, sono necessari alcuni interventi di manutenzione del d.lgs. n. 150/2015 che vadano nella direzione della semplificazione degli adempimenti a carico degli operatori dei CPI. In tal senso è utile un intervento che reintroduca l’istituto della conservazione dello stato di disoccupazione al fine di omogenizzare i diversi regimi di accesso e mantenimento ai servizi e alle misure di politica attiva legate allo stato di disoccupazione (v. Naspi, reddito di inclusione, collocamento mirato e collocamento ordinario)31. Altrettanto necessario è anche un ripensamento della misura dell’AdR di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 150/2015. In particolare ad avviso di chi scrive, occorre rendere la misura obbligatoria per i beneficiari di Naspi da oltre quattro mesi, evitando che i beneficiari pongano in essere quei comportamenti opportunistici volti a preferire le politiche attive previste dal patto di servizio rispetto a questa misura32 con lo scopo di eludere i meccanismi di condizionalità33. Il patto di servizio è un accordo sottoscritto tra il CPI e il disoccupato che contiene l’indicazione degli impegni delle parti e i servizi e le misure di politica attiva che saranno offerti al disoccupato. Talvolta, a fronte di questi impegni, lo stesso CPI non è in grado di porre in essere le attività necessarie per avviare il disoccupato a percorsi di inserimento lavorativo e questa mancanza comporta l’inapplicabilità del meccanismo di condizionalità. Ne consegue che il disoccupato beneficiario di Naspi, informato sulla disciplina del d.lgs. n. 150/2015, preferisce sottoscrivere il patto di servizio in luogo del patto di attivazione dell’AdR34. Inoltre, sempre con il riferimento al d.lgs. n. 150/2015 sono necessari dei chiarimenti in merito:
a) alla differenza tra l’istituto dell’autorizzazione e l’istituto dell’accreditamento per i servizi per il lavoro35;
b) alla differenza tra “servizi” e “misure di politica attiva” di cui all’art. 1836. Nel nostro Paese la governance multilivello in tema di servizi e politiche attive del lavoro non ha agevolato la formazione di un sistema nazionale. Tuttavia, tale obiettivo è ineludibile, in quanto sempre di più le forme di sostegno al reddito (Naspi, reddito di inclusione e reddito di cittadinanza) sono condizionate dalla partecipazione del beneficiario alle politiche attive, soprattutto se queste ultime sono finanziate da risorse comunitarie (v. Fondo sociale europeo). In Italia – dove la gestione della politica passiva è affidata all’Inps, la gestione della politica attiva è affidata all’Anpal37 o alle regioni – è imprescindibile la creazione di momenti di condivisione e di formazione congiunta tra le istituzioni coinvolte. Si segnala che i luoghi privilegiati per agevolare il processo di condivisione e di leale collaborazione sono sicuramente: la Rete Nazionale dei servizi per le politiche del lavoro di cui all’art. 1 d.lgs. n. 150/201538, il Consiglio di amministrazione di Anpal di cui all’art. 6 d.lgs. n. 150/201539, il Comitato delle Politiche attive del lavoro40 e il Comitato per i ricorsi di condizionalità41. Al fine di rafforzare il sistema dei servizi e delle misure di politica attiva è auspicabile che ci siano progetti per la formazione comune dei funzionari delle diverse strutture (in specie di CPI, regioni, Anpal e Inps) al fine di garantire la circolarità delle informazioni e soprattutto la collaborazione interistituzionale a garanzia di un servizio di qualità per l’utenza e forse solo così, al di là dei proclami elettorali, la persona torna al centro delle politiche del lavoro.
Dall’analisi fin qui svolta sui CPI emerge uno stato di salute dei servizi per il lavoro particolarmente precario e che molti sono ancora gli interventi da porre in essere al fine di superare questa precarietà. Le risorse finanziarie destinate ai servizi per il lavoro, i numeri relativi al personale e alle loro competenze professionali, i Lep di cui all’allegato B del d.m. n. 4/2018, la governance multilivello in materia di servizi e politiche attive del lavoro, gli atti normativi adottati in questi ultimi anni e il numero dei disoccupati42 confermano la fragilità del sistema. Infatti, raffrontando il contesto in cui operano i CPI con le linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali di cui agli artt. 1 e 2 del d.m. n. 4/2018 appare chiaro che tali obiettivi, pur condivisibili, sono, talvolta, troppo ambiziosi e forse, troppo distanti dalla realtà. Tutto ciò premesso, merita in ogni caso sottolineare che la direzione intrapresa per la costruzione di un sistema nazionale di servizi e misure di politica attiva è quella giusta e occorre continuare a lavorare in tal senso per garantire alle persone l’esercizio del diritto all’accesso al lavoro previsto dalla Carta costituzionale.
1 Il sistema di collocamento pubblico di manodopera previsto dalla l. 29.4.1949, n. 264 viene superato intorno agli anni ’90 con la liberalizzazione dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro attraverso l’introduzione nel sistema delle Agenzie per il lavoro. Inizialmente con l’art. 25 l. 23.7.1991, n. 223, in seguito con l’art. 9 bis l. 28.11.1996, n. 608 e infine con l’art. 4 bis d.lgs. 21.4.2000, n. 181. Per una ricostruzione dell’evoluzione della disciplina si veda: Varesi, P.A., I servizi per l’impiego, in Santoro Passarelli, G., a cura di, Diritto e processo del lavoro del lavoro e della previdenza sociale, Torino, 2017, 576 e ss.; Ichino, P.Sartori, A., I servizi per l’impiego, in Brollo, M., a cura di, Il mercato del lavoro, Padova, 2012, 53 e ss.; Liso, F., Appunti sulla trasformazione del collocamento da funzione pubblica a servizio, in De Luca Tamajo, R.Rusciano, M.Zoppoli, L., a cura di, Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2004, 365 e ss.
2 È importante ricordare che siamo in una fase precedente rispetto alla riforma costituzionale del 2001. La l. cost. 18.10.2001, n. 3 al co. 3 dell’art. 117, Cost. dispone che la “tutela e sicurezza sul lavoro” è una competenza concorrente tra Stato e regioni. Sul tema fra le tante C. cost., 23.3.2001, n. 74 e C. cost., 28.1.2005. n. 50. In particolare, nella prima sentenza, precedente alla l. cost. n. 3/2001, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, co. 1, lett. b), c) e d) in quanto il grado di dettaglio delle disposizioni sulla composizione della commissione tripartita, sull’organismo istituzionale per l’integrazione fra le politiche del lavoro e le politiche formative e, infine, sulla previsione diretta in merito alla natura giuridica ed il regime patrimoniale e contabile della struttura cui saranno affidate funzioni di assistenza tecnica e monitoraggio nelle politiche attive del lavoro «vulnerano l’autonomia organizzativa delle Regioni oltre il limite costituzionalmente consentito». Nella sentenza del 2005 (successiva alla riforma del Titolo V del 2001) la Corte ribadisce la strada già intrapresa nella sent. n. 74/2001 e sancisce che «quale che sia il completo contenuto che debba riconoscersi alla materia ‘tutela e sicurezza del lavoro’, non si dubita che in essa rientri la disciplina dei servizi per l’impiego ed in specie quella del collocamento. Lo scrutinio delle norme impugnate dovrà quindi essere condotto applicando il criterio secondo cui spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali ed alle Regioni l’emanazione delle altre norme comunemente definite di dettaglio; occorre però aggiungere che, essendo i servizi per l’impiego predisposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro, possono verificarsi i presupposti per l’esercizio della potestà statale di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., come pure che la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgere opera di intermediazione può esigere interventi normativi rientranti nei poteri dello Stato per la tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.)».
3 C. giust., 11.12.1997, C55/96, Job Centre coop. arl., in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 22 con nt. di Ichino, P., La fine del regime italiano di monopolio statale dei servizi di collocamento; in Riv. giur. lav., 1998, II, 27, con nt. di Rocella, M., Il caso Job Centre II; sentenza sbagliata, risultato (quasi) giusto; in Dir. lav., 1998, II, 93, con nt. di Ales, E., Macroton II: la Corte di Giustizia abroga il monopolio pubblico del collocamento?
4 Secondo la rilevazione continua sulle forze di lavoro condotta dall’Istat, con riferimento all’anno 2017, emerge come la ricerca di lavoro in Italia permanga affidata prevalentemente a canali di natura informale (con una percentuale che sale fino all’87,3% delle persone in cerca di occupazione), mentre contenuta risulta l’azione di intermediazione svolta dai CPI (con una percentuale pari al 24,2% di persone in cerca di lavoro che si sono rivolte ai CPI, al netto di coloro che si sono avvalsi dei sistemi informativi per mettersi in contatto con i centri). Con riferimento agli esiti occupazionali, la rilevazione Istat richiama come il ricorso ai CPI sia stato ritenuto utile, ai fini del successo nell’inserimento nel mercato del lavoro, solo dal 2,4% dei lavoratori.
5 Nelle regioni EmiliaRomagna, Veneto, Piemonte e Toscana i CPI vengono coinvolti nell’erogazione di servizi e misure di politica attiva, assumendo un ruolo attivo nel mercato del lavoro.
6 Ad opera di: d.lgs. n. 297/2002; d.lgs. n. 276/2003; l. 27.12.2006, n. 296; d.l. 25.6.2008, n. 112; l. 4.11.2010, n. 183; l. 28.6.2012, n. 92; d.l. 28.6.2013, n. 76, conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 99.
7 Per l’attuazione della l. n. 56/2014 sul riordino delle funzioni delle province, in data 11.9.2014 in Conferenza Unificata è stato sancito l’Accordo ai sensi del co. 91 dell’art. 1 della l. n. 56/2014 per l’individuazione delle funzioni di cui al co. 89 dello stesso articolo. Al punto 11 dell’Accordo era previsto: «Nel rispetto del più generale principio di coerenza dell’ordinamento, si conviene che lo Stato e le Regioni, per le funzioni che rientrino nell’ambito di applicazione di disegni di legge delega o di deleghe già in atto relative a riforme di settori di cui all’Allegato 1 del presente Accordo [cd. Jobs Act], sospendono l’adozione di provvedimenti di riordino fino al momento dell’entrata in vigore delle riforme in discussione. Fino a tale data, le predette funzioni, nel rispetto del principio di continuità amministrativa, continuano ad essere esercitate dagli enti di area vasta o dalle città metropolitane a queste subentrate». Il d.lgs. n. 150/2015, uno dei decreti attuativi della l. delega 10.12.2014, n. 183, cd. Jobs Act, è stato adottato il 14.9.2015, pertanto la funzione dei servizi per l’impiego è rimasta in sospeso fino a tale data. L’accordo è reperibile sul sito www.statoregioni.it.
8 Il referendum del 4.12.1016 ha respinto la riforma costituzionale proposta dall’allora Governo in carica.
9 La stessa Consulta nella sent. n. 50/2005 raccomanda la leale collaborazione tra Stato e regioni qualora ricorra l’ipotesi delle competenze interferenti.
10 L’atto è reperibile sul sito www.statoregioni.it.
11 Tutti gli atti sono reperibili sul sito www.statoregioni.it.
12 In attuazione della norma è stato approvato il 15.2.2018 in Conferenza Stato-regioni il decreto interministeriale per i trasferimenti delle risorse per la copertura dei predetti rapporti di lavoro.
13 I rapporti tra le amministrazioni locali sono stati regolati da un’apposita convenzione, sulla base dello schema tipo approvato in Conferenza Unificata il 15.2.2018, chiamata a disciplinare le modalità di rimborso di tali oneri anticipati nel periodo transitorio.
14 V. Indagine conoscitiva sul funzionamento dei servizi pubblici per l’impiego in Italia e all’estero promossa dalla Commissione Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza sociale del Senato della Repubblica del 1.8.2018 depositata durata l’audizione della IX Commissione della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
15 Anpal, Monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017, in www.anpal.gov.it
16 Oliveri, L., Prospettive operative per una riforma dei centri per l’impiego, in Funzionamento servizi pubblici per l’impiego, 11, www.adapt.it.
17 È previsto l’assunzione di 1.600 operatori CPI.
18 V. il documento sul Quadro ricognitivo sui modelli regionali organizzativi dei CPI e sullo stato di operatività dei servizi a cura della IX commissione della Conferenza delle regioni e delle province autonome del 25.9.2018. Il documento è stato inviato al commissione lavoro del Senato della Repubblica.
19 Gli operatori dei CPI hanno dei titoli di studio troppo bassi per poter essere riformati. Si pensi che il 56% degli operatori dei CPI ha conseguito il diploma superiore, mentre poco più del 28% detiene un titolo di livello terziario o superiore e il 12% circa ha un titolo di licenza media. V. Anpal, Monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017, cit.
20 V. le diverse posizioni della dottrina nel fascicolo Il nuovo titolo V della Costituzione Stato/Regioni e Diritto del lavoro, in Lav. pubbl. amm., 2002, suppl. n. 1 e il fascicolo dedicato al tema Federalismo e diritto del lavoro, Lav. dir., 2001, 3.
21 Per un approfondimento sugli effetti della riforma del Titolo V del 2001: Del Punta, R., Tutela e sicurezza del lavoro, in Lav. dir., 2001, 461 ss.; Persiani, M., Devolution e diritto del lavoro, in Argomenti dir. lav., 2002, 19 e ss.; Treu, T., La riforma dei servizi per l’impiego e le competenze regionali, in Magnani, M.Varesi, P.A., a cura di, Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali, Torino, 2005, 44; Napoli, M, Le fonti del diritto del lavoro ed il principio di sussidiarietà, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2002, 89 e ss.; Pallini, M., La modifica del Titolo V della Costituzione; quale federalismo per il diritto del lavoro, in Riv. giur. lav., 2002, I, 21 ss.
22 Le regioni mantengono la competenza esclusiva in materia di formazione professionale, ivi inclusa i tirocini (art. 117, co. 34).
23 V. Luciani, V., Regioni e diritto del lavoro. Note preliminari, in Argomenti dir. lav., 2002, 1, 57; Varesi, P.A., Regioni e politiche attive del lavoro dopo la riforma costituzionale, in Il nuovo titolo V della costituzione Stato/regioni e Diritto del lavoro, in Lav. pubbl. amm., 2002, suppl. al n. 1, 121 e ss.
24 Lo affermano: Treu, T., La riforma dei servizi per l’impiego e le competenze regionali, cit., 44 e Carinci, F., Una riforma rimasta orfana, in Lav. pubbl. amm., 2002, 4.
25 In Riv. giur. lav., 2005, 417.
26 L.r. Lombardia, 4.7.2018, n. 9.
27 Art. 11, co. 1, d.lgs. n. 150/2015.
28 Pizzolato, F., Commento sub art. 2, in Balboni, E.Baroni, B.Mattioni, A.,Pastori, G., a cura di, Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge n. 328 del 2000 ed ai provvedimenti attuativi della riforma del titolo V della Costituzione, Milano, 2003, 87 e ss; Ales, E., Diritto all’accesso al lavoro e servizi per l’impiego nel nuovo quadro costituzionale, in Dir. lav. merc., 2003, n. 1, 11 e ss. V. C. cost., 26.6.2002, n. 282, in Foro it., 2003, I, 394, con nt. di Molaschi, V., Livelli essenziali delle prestazioni e Corte Costituzionale: prime osservazioni. Per una ricostruzione sulle forme di determinazione dei Lep v. Varesi, P.A., I servizi per l’impiego, cit., 606 e ss.
29 Se si segue la linea interpretativa percorsa dalla sent. n. 50/2005, che rinvia alla competenza regionale l’organizzazione dei servizi per l’impiego nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali, i principi di cui all’art. 11, sono nient’altro che i principi fondamentali per l’attuazione della competenza legislativa concorrente da parte delle regioni in ottemperanza da quanto previsto dall’art. 117 Cost.
30 V. DID on Line che dal 1.12.2017 è una prestazione che gli utenti possono fare direttamente da casa collegandosi al Portale Anpal (www.anpal.gov.it.)
31 La circ. Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 23.12.2015, n. 34 prevede l’istituto della conservazione dello stato di disoccupazione per i disabili iscritti al collocamento mirato, mentre lo esclude per le persone iscritte al collocamento ordinario.
32 V. Tessaroli, L., Riforma dei servizi per il lavoro: assegno di ricollocazione, in Libro dell’anno del diritto 2016, Roma, 2016, 368 e ss.
33 V. in questo volume, Diritto del lavoro, 2.2.2 Assegno individuale di ricollocazione: un primo bilancio.
34 Le modalità di attuazione dell’AdR sono reperibili su www.anpal.gov.it
35 Ai sensi dell’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 276/2003, l’autorizzazione è «provvedimento mediante il quale lo Stato abilita operatori, pubblici e privati, di seguito denominati ‘agenzie per il lavoro’, allo svolgimento delle attività di cui alle lettere da a) a d)», mentre l’accreditamento è «provvedimento mediante il quale le regioni riconoscono a un operatore, pubblico o privato, l’idoneità a erogare i servizi al lavoro negli ambiti regionali di riferimento, anche mediante l’utilizzo di risorse pubbliche, nonché la partecipazione attiva alla rete dei servizi per il mercato del lavoro con particolare riferimento ai servizi di incontro fra domanda e offerta». L’accreditamento equivale ad una “prequalifica” per il possibile affidamento di funzioni di pubblico servizio secondo i regimi consentiti dalla legge (concessione, appalto di servizi, partenariato, ecc.). La concessione è l’atto amministrativo con cui la p.a. consente al concessionario l’uso di risorse e/o l’esercizio di attività non disponibili da parte dei privati e riservate ai pubblici poteri. L’autorizzazione è una tipologia di atto amministrativo discrezionale con cui un’autorità rimuove i limiti che, per motivi di pubblico interesse, sono posti in via generale ed astratta dalla legge all’esercizio di una preesistente situazione giuridica soggettiva. A differenza dell’accreditamento, l’autorizzazione non attribuisce nuovi diritti, ma permette l’esercizio di un diritto già esistente. L’autorizzazione segue dunque la richiesta del privato di poter esplicare un diritto rientrante nella propria situazione giuridica (per es., la costruzione o la ristrutturazione di un immobile, la guida di un autoveicolo o motoveicolo, il possesso di un’arma ecc.).
36 L’art. 18 d.lgs. n. 150/2015 reca disposizioni in merito a «Servizi e misure di politica attiva del lavoro». La congiunzione “e” sembra indicare una diversità tra i servizi e le misure di politica attiva. Tuttavia tale differenziazione viene meno se si analizzano alcune delle attività previste dall’articolo stesso. Ad es., la misura dell’AdR si configura come politica attiva nazionale, ma se si osserva il contenuto della misura emerge che l’AdR è anche un servizio.
37 Ad avviso di chi scrive, alla luce della giurisprudenza costituzionale sulla competenza concorrente citata, diversi sono i dubbi di legittimità sulla gestione diretta dell’AdR da parte dell’Anpal.
38 La rete dei servizi per le politiche del lavoro è costituita dai seguenti soggetti, pubblici o privati: «a) l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro …; b) le strutture regionali per le Politiche Attive del Lavoro ...; c) l’INPS, in relazione alle competenze in materia di incentivi e strumenti a sostegno del reddito; d) l’INAIL, in relazione alle competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro; e) le Agenzie per il lavoro, di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e gli altri soggetti autorizzati all’attività di intermediazione ai sensi dell’articolo 12 ...; f)i fondi interprofessionali per la formazione continua di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388; g)i fondi bilaterali di cui all’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 276 del 2003; h) l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e Italia Lavoro S.p.A.; i) il sistema delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado» (art. 1 d.lgs. n. 150/2015).
39 Il consiglio di amministrazione è composto dal presidente (nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali) e da due membri, nominati per tre anni con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, uno su proposta della Conferenza delle regioni e province autonome, uno su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
40 Decreto Anpal, 3.2.2017, n. 24 in www.anpal.gov.it. che all’art. 2 dispone che al comitato partecipano: Anpal, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, Anpal servizi Spa; la Segreteria del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (partecipazione eventuale) e le Istituzioni e/o esperti in relazione a specifiche questioni attinenti gli argomenti all’ordine del giorno. Agli incontri hanno partecipato nel corso di questi anni anche l’Inps, rappresentanti del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca.
41 Decreto Anpal, 8.3.2018 in www.anpal.gov.it.
42 A giugno 2018, il tasso di disoccupazione è pari al 10,9% e il numero dei disoccupati risulta così pari a 2 milioni e 866 mila.